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Critica della parresia: Arriano nell’Anabasi di Alessandro biasima quella di Callistene.
Su ciascun autore non è mai stata detta l'ultima parola e lo studioso non deve essere solo il ripetitore pedissequo di teorie altrui. "La scuola, i luoghi della formazione, della Bildung, hanno continuato malgrado tutto a essere centri di critica, di discussione, di confronto tra tendenze diverse, di interrogazione"[1]. La critica dei ragazzi deve avere la possibilità di colpire anche i docenti: all'allievo va lasciata piena libertà di parola. Sentiamo ancora Cacciari:" Paideia è ab origine connessa a parresia . Se viene meno la parola libera - e la parola può cessare di essere libera soltanto per 'autocensura' - , la parola che intende discutere ogni presupposto e ogni 'stato', non vi è più scuola, ma, per dirla con Nietzsche, "produzione di impiegati", se va bene di "impiegati intelligenti"[2].
Parrhsiva potrebbe essere scelta come parola chiave e considerata a partire dallo Ione[3] di Euripide dove il protagonista esprime il desiderio di ereditare da una madre ateniese questo privilegio, recandosi ad Atene, poiché lo straniero che piomba in quella città, anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai[4] koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).
Analogo concetto si trova nelle Fenicie[5] quando Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.
"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande (Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[6].
Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando riporta queste parole “ingenuamente sublimi” scritte da padre Du Breul nel sedicesimo secolo: “Sono parigino di nascita e parrisiano di lingua, giacché parrhysia in greco significa librtà di parola della quale feci uso anche verso i monsignori cardinali”[7].
Vediamo ora una critica della parresia per rendere problematica anche questa.
Un biasimo della parresia, giudicata fuori luogo, troviamo in Arriano il quale celebra l’impresa e la persona di Alessandro Magno, e pur muovendogli qualche critica, tende a giustificarlo per i suoi atti tirannici.
Nell’ Anabasi di Alessandro dunque l’autore accusa di “ajkaivrw/… parrhsiva/ ”[8], inopportuna libertà di parola, lo storico Callistene che rifiutò di prostrarsi davanti al re e ne chiarì, invero non ignobilmente, le ragioni.
[1] M. Cacciari, in Di fronte ai classici , p. 22.
[2] M. Cacciari, op. cit., p. 22.
[3] Del 411 a. C.
[4] Forma poetica equivalente a kevkthtai.
[5]Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.
[6] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21 n. 2.
[7] Notre-Dame de Paris, p. 38.
[8]
Arriano, Anabasi di Alessandro, 4,
12, 7.
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