lunedì 22 marzo 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. VI. La tematica dell’orrore. Seneca, Albertino Mussato e Shakespeare

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La tematica dell’orrore. Seneca, Albertino Mussato  e Shakespeare

“Shakespeare, ‘simile al mondo ed alla vita’, secondo Kott, riprende la tematica senecana dell'orrore, e l' atrocità shakespeariana non stupisce, non ci è mai lontana. Titus Andronicus, Riccardo III , si ritrovano in Medea e Thyestes. Da Titus Andronicus fino ad Amleto, fino alla crudeltà senza nome della morte di Cordelia. In Shakespeare, il teatro di sangue che porta l'insegna senecana, raggiunge il suo punto culminante"
[1].
 
fu Albertino Mussato (1261-1329), allievo di Lovato Lovati (1241-1309), il promotore del cosiddetto preumanesimo padovano.
Mussato fu "il primo scrittore moderno che volle imitare le tragedie di Seneca. Mussato, scopritore di un "Seneca tragicus" (Ecerinis [2]) sotto la descrizione dei crimini di Ezzelino[3], rappresenta i crimini del suo contemporaneo Cangrande della Scala[4], il tiranno di Verona e cerca il suo modello nei temi di orrore e di sangue delle tragedie di Seneca (…) Si inizia la traiettoria moderna di un Seneca tragicus (…) che culmina nella esposizione che ci offre Shakespeare in Titus Andronicus, opera degna del più specifico Tieste o di Medea.
L’ esposizione tematica del teatro della crudeltà viene così formulata:"I must talk of murders, rapes and massacres/Acts of black night, abominable deeds,/ Complots of mischief, treason, villainies/ Ruthful to hear, yet piteously performed " (V, 1, 63-66)"[5], io devo parlare di assassinii, stupri e massacri, atti della nera notte, azioni abominevoli, complotti del demonio, tradimenti, malvagità, penosi a udirsi, eppure eseguiti in modo da fare pietà.
Sono parole di Aaron il moro amato da Tamora.
 
Vediamo ora l’orrore nella Medea di Seneca
 Medea rivolge una preghiera nera anche alla luna perché si faccia vedere facie lurida (790), con aspettto squallido : "Sic face tristem pallida lucem/ funde per auras,/horrore novo terre populos/inque auxilium, Dictynna[6], tuum/pretiosa sonent aera Corinthi" (Medea, vv. 792-796), Così con la fiaccola pallida devi versare una luce funesta per l'aria, così con un raccapriccio inaudito terrorizzare le genti, Dictinna, e in tuo aiuto risuonino i preziosi bronzi di Corinto.
Il rumore dei bronzi doveva fare riapparire la luna eclissata.
La fiaccola funerea torna nei versi successivi: "Tibi sanguineo caespite sacrum/solemne damus, /tibi de medio rapta sepulcro/ fax nocturnos sustulit ignes,/ tibi mota caputflexa voces/ cervice dedi,/tibi funereo de more iacens/passos cingit vitta capillos,/tibi iactatur tristis Stygia/ramus ab unda, tibi nudato/pectore maenas/ sacro feriam bracchia cultro" (vv. 797-807), a te offriamo un sacrificio solenne su zolla insanguinata, per te la fiaccola sottratta al sepolcro ha alzato fuochi notturni, per te scossa nel capo, piegato il collo ho pronunciato le formule, per te, disposta secondo il rito funereo, una benda mi cinge gli sparsi capelli, per te viene agitato il lugubre ramo portato dall'onda Stigia, per te a petto nudo, come una Menade, mi ferirò le braccia con questo coltello.
L'anafora del tibi ossessivamente ripetuto significa la devozione totale di Medea a questa dea che impersona anche la luna calante.
Lo scuotimento della testa e la torsione del collo significa lo stato selvaggio della donna e ricorda un gesto della menade di Euripide  :"truferovn te plovkamon eij" aijqevra rJivptwn"(Baccanti , v. 150) che scaglia la molle chioma. Un ricordo che ho ravvisato anche in un quadro di Picasso del 1922 Deux femmes courant sur la plage .
Il ferimento del proprio corpo apre la via a quello dei figli: Medea prende dalla vista del suo sangue versato da lei stessa la spinta a spargere quello dei bambini:"Manet noster sanguis ad aras:/ assuesce, manus, stringere ferrum/ carosque pati posse cruores-/sacrum laticem percussa dedi" (vv. 807-811), il nostro sangue cola sull'altare: abìtuati, mano, a snudare la spada e a poter sopportare il sangue dei cari. Colpita ho versato il liquido sacro.
Medea si rende conto di contare troppo su Ecate e se ne scusa: il motivo dell'ossessione è sempre l’uomo che l’ha abbandonata: "Quodsi nimium saepe vocari/quereris votis, ignosce, precor:/causa vocandi, Persei, tuos/saepius arcus/ una atque eadem est/semper, Iason" (vv. 812-816), e se ti lamenti di essere invocata spesso, perdonami, ti supplico: la causa dell'invocare troppo spesso il tuo arco, figlia di Perse, è sempre una e la stessa, è sempre Giasone.

“Per moltissimi aspetti, il teatro di Seneca si prestava a incontrare una sua grande fortuna in epoca barocca. Dacché è un teatro di grandiose passionalità, di smisurate aspirazioni, di crolli risonanti, di cruente sensazionalità  e di ipertrofie retoriche"[7].
Do un altro  esempio di cruenta sensazionalità senecana: nel Thyestes il nunzio racconta lo scempio compiuto da Atreo sui nipoti cotti quali vivande per il loro padre:"Stridit in verubus iecur;/nec facile dicam, corpora an flammae gemant" (vv. 770-771), stride sugli spiedi il fegato, e non potrei dire facilmente se gemano i corpi o le fiamme.
Quindi:"lancĭnat gnatos pater,/artusque mandit ore funesto suos" (vv, 778-779), il padre dilania i figlioli e con bocca sepolcrale mastica gli arti che sono suoi.
Meno particolareggiata e compiaciuta dell'orrifico è la tecnofagia vista dalla pur furibonda Cassandra nell' Agamennone di Eschilo. La donna invasata vede i bambini di Tieste che piangono la propria uccisione e le loro carni cotte (ojptav" te savrka" ) divorate dal padre (v. 1097). 

Bologna 22 marzo 2021 ore 17, 54
giovanni ghiselli

p.s
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[1] George Uscatescu, Seneca e la tradizione del teatro di sangue, "Dioniso" 1981, p. 387.
[2] Del 1314 .
[3] 1194-1259 Crudelis ut Nero (ndr)
[4] 1291-1329.
[5] George Uscatescu, op. cit,. p. 374
[6]  Come la casta diva Artemide significa anche la luna.
[7] Marcello Pagnini, Seneca e il teatro elisabettiano, in "Dioniso" LII,  1981, p. 409.

1 commento:

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