NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 30 giugno 2021

Gli allievi che non ho avuto

C’era un’adolescente finché un adolescente non l’ha uccisa.

C’era una Chiara finché un ragazzo suggestionato dal demone Samael della serie Tv “Lucifer” non l’ha uccisa.

C’erano due ragazzini che tanti anni fa avrebbero potuto essere miei alunni e imparare entrambi a parlare, a rispettarsi e a volersi bene, ma uno dei due non ha imparato e ha ucciso l’altra, Chiara, una ragazzina deliziosa.

Ti sia lieve il suol, creatura.

gianni

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. XXIV. Si avvicina la resa dei conti

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La bilancia del destino
 
Arrivano notizie non buone per Riccardo
Entra per primo sir Richard Ratcliff che annuncia l’arriva di una gagliarda flotta sulla costa occidentale. Sulle spiagge si affollano molti che dovrebbero stare dalla parte del re ma sono amici dubbi e non ben risoluti a respingere il nemico. L’ammiraglio della flotta è Richmond e Buckingham è già pronto ad accoglierlo.
Entra anche sir William Catesby e Riccardo  gli ordina di correre dal duca di Norfolk. A Ratcliff di andare a Salisbury.
Catesby non si affretta e Riccardo lo insulta: “dull unmindfull villain”, ottuso furfante smemorato (445) poi gli domanda perché non corra da Norfolk
Catesby risponde che aspettava l’ordine del re da riferire al duca di Norfolk.
Riccardo si rimangia l’offesa appena lanciata “O, true, good Catesby!” e gli dice di portargli l’ordine di raccogliere forze il più possibile numerose e potenti, poi di andare a Salisbury.
Si vede che Riccardo sta perdendo l’equilibrio perché sente calare il piatto della bilancia dove sta il suo destino. Il nostro equilibrio dipende spesso da come ci sentiamo collocati nella bilancia fatale ovvero da come procediamo sul filo del rasoio del destino.
Entra poi Stanley conte di Derby, fortemente sospettato da Riccardo.
Dice che non ha notizie buone ma nemmeno tanto cattive che non possano essere riferite. In queste parole si sente il timore del cortigiano che avverte il pericolo della propria caduta in disgrazia.
Riccardo infatti lo biasima subito: Hoyday, a riddle! Neither good nor bad! (459), ma guarda un indovinello, né buone né cattive. Quindi gli chiede di parlare in modo diretto. Certo è che non è facile essere diretti con un tiranno che non ha mai parlato in modo veritiero né retto perché non è un rex rectus, ma appunto un tiranno.
Se si pone mente al latino rex si deve pensare alla parentela di questa parola con il verbo greco ojrevgw, "tendo, stendo". "La radice deriva dall'indoeuropeo *reg- che ha dato come esito in greco ojreg- (con protesi di oj- ) in latino reg-"[1] da cui rego, dirigo, regio, regione e rectus, diritto.  Quindi "in rex bisogna vedere non tanto il sovrano quanto colui che traccia la linea, la via da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è retto"[2]. Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti, quando giocano, dicono:  sarai re se farai bene:  "at pueri ludentes  'Rex eris ' aiunt/ 'si recte facies" [3].  Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re allora non può essere contorto. Nemmeno la virtù può esserlo: “et haec recta est, flexuram non recipit ” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette piegatura.
Altrettanto la verità che è pure “non latenza”
Nell’Antigone il messo in procinto di raccontare la catastrofe di Antigone e di Emone, avverte la regina Euridice che non la blandirà con menzogne: “ojrqo;n aJlhvqei j  ajeiv” (v. 1195), la verità è sempre una cosa dritta.
 
Stanley deve dare la  pur brutta notizia: Richmond is on the seas (462).
Riccardo lancia una maledizione: There let him sink, and be the seas on him (463) che ci affondi e il mare gli stia sopra.
Il naufragio è già pronto per Riccardo e a dire la verità intera il naufragio riguarda tutti prima o poi.
 
Nel Satyricon il vecchio poeta Eumolpo dice:"si bene calculum ponas, ubique naufragium est " (115, 17), se fai bene i conti, il naufragio è dappertutto. Marìa Zambrano afferma che l'uomo, da quando ha memoria e storia, ha sempre avuto nel fondo dell'animo il sentimento del naufragio e ricorda che il suo maestro Ortega y Gasset nei suoi corsi su "La razòn vital" descriveva "la condizione di "naufragio" come la più umana della vita umana"[4]. 
 
Stanley aggiunge che Richmond punta sull’Inghilterra to claim the crown (468) per rivendicarne la corona.
 In effetti Enrico Richmond Tudor diverrà Enrico VII e sposerà Elisabetta la figlia di Edoardo IV ambita da Riccardo sconfitto nel 1485.
Riccardo fa notare che il trono non è vacante e che il re è lui: Riccardo III è l’erede del grande York. Dunque che cosa fa Richmond nel mare?
Stanley risponde che se non è per quanto ha detto (to claim the crown)  non sa congetturare I cannot guess (474).
Questa risposta accresce la diffidenza di Riccardo verso Stanley che viene investito da domande relative alle sue truppe. In effetti sono lontane, nel nord, mentre la minaccia viene dal sud. Stanley chiede di avere permesso di radunarle per combattere con il re, ma Riccardo ribadisce la sua sfiducia: thou wouldst be gone, to join-L. iungere Gk. zeugnuvnai-  with Richmond-but I’ll not trust thee (490-491), tu vorresti andare per unirti a Richmond, però io di te non mi fido.
 Nei rappoti di potere come in quelli amorosi  prima o poi entrano il sospetto e la diffidenza. Il potere e l’amore, come la ricchezza, la salute, la bellezza, per alcuni anche la cultura  contribuiscono all’identità e questa deve essere difesa con ogni mezzo e a qualunque costo.
Stanley cerca di assicurare la propria lealtà- I never was, nor never will be, false L. falsus (483), non sono mai stato né sarò mai sleale.
Una scusa enfatica, esagerata: mi fa pensare al “grazie davvero” delle persone fallaci.
Riccardo lo capisce e lo lascia andare ma gli ordina di lasciargli il figlio in ostaggio minacciandone la testa in caso di tradimento del padre.
Quando scoppiano conflitti tra coniugi, l’ostaggio sacrificabile è il figlio
Entrano tre messi che riferiscono al sovrano di altre defezioni. 
Riccardo reagisce gridando: “out on you, owls!- L. ulula allocco. Nothing but songs of death? (IV, 4, 507),  via gufi! Nient’altro che canti di morte?
Quindi colpisce il terzo messo e gli fa. Prendi questo, finché non porterai notizie migliori.
Il III messo allora gli dà una buona notizia: Buckingham’s army is dispers’d and scatter’d  G K. skedavnnumi-(511) , l ‘esercito di Buckingham è disperso e sparpagliato ed egli stesso si aggira da solo e nessuno sa dove
Riccardo si scusa e gli dà del denari to cure the blow of thine (514) perché lo curi dalla percossa. Il messo aggiunge che è stato proclamato un bando che promette una mercede a chi arresta il traditore
Entra un quarto messo con un’ altra notizia buona: che nemmeno Richmond si è fidato di Buckingham e ha levato le vele per tornare in Bretagna
Riccardo confortato esorta a narciare: march on, march on, per andare a schiacciare these rebels L. rebellis renewing war=.  re-again ; bellum war, here at home, questi nostri ribelli nostrani
Rientra Catesby con due notizie una buona: Buckingham is taken, è stato preso, e una cattiva: che Richmond è sbarcato a Milford with a mighty power, con un esercito potente
Riccardo ordina ls marcia verso Salisbury dove dovrà essere tradotto Buckingham (535-538).

Finisce qui la IV scena del IV atto

Bologna 4 giugno 2021 ore 11, 38
giovanni ghiselli
 


[1] G. Ugolini, Lexis, p. 346.
[2] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , p. 295.
[3] Orazio, Epistulae  I, 1, 59-60.
[4] L'uomo e il divino , p.65 n. 9.

Moena marzo 1981. 26. La parassita

stazione di Affi
Poco più tardi, viaggiando verso Bologna, l'accordo tra i demoni nostri si ruppe, senza una causa precisa; forse perché uno dei due non è buono, oppure perché sono cattivi entrambi, in maniera diversa per giunta; fatto sta che litigammo di nuovo, e i benefici di quel pomeriggio fatato andarono in fumo.

Mentre guidavo, pensavo alle prossime lezioni nella quarta ginnasio, con scarso entusiasmo invero; quindi, per necessaria compensazione, meditavo sull'opera letteraria che avrei iniziato presto: un dramma, o un romanzo  con due amanti tragicamente travagliati e ostacolati da iniquità sociali, nevrosi e contraddizioni personali, ma alla fine trionfanti nel sole dell'Amore e della Giustizia.

Mi compiacevo di tale disegno e di tanto ottimismo. Bisognava però trovare le forme e antivedere in modo non vano l'esito della nostra esperienza: in quale maniera avremmo dovuto stimolarci noi due per arrivare allo scopo grandioso di spingere un popolo intero al bello morale? La comes, da compagna di viaggio poco presente, sonnecchiava sebbene non fosse tardi.

Di sua iniziativa non diceva parola, e, quando le domandavo qualcosa, rispondeva, or sì or no, a monosillabi. Alla lunga mi diede fastidio, e un poco alla volta i sentimenti amorosi si dileguarono. Mi venne in mente un altro viaggio, fatto in tempi meno malsani: allora la ragazza mi aveva raccontato che sua madre, durante le ore di guida del marito sui lunghi percorsi autostradali, invece di aiutarlo a vincere il sonno nemico parlando con lui, dormiva, o fingeva di farlo, poiché non aveva niente da dirgli. La stessa scappatoia prendeva mia madre quando vedeva mio padre, vago di ciance, protendere un braccio con gesto elocutorio. Al pensiero che tale situazione parentale si ripetesse tra noi, mi venne l'angoscia. Volli provare se questa fosse scaturita solo dagli antichi dolori miei, o se avesse una causa nella realtà che stavo vivendo. Domandai a bassa voce: "Dormi tesoro?"

"No - rispose con aria stanchissima e pigra - ma ho tanto sonno".

"Ho sonno anche io - ribattei, quasi polemicamente - ci facciamo compagnia per un poco?".

"No: ho troppo sonno. Ti prego, lasciami dormire".

Non le chiesi altro; avevo già provato a me stesso che la pena mia era stata causata dal solito suo atteggiamento parassitario: se eravamo entrambi assonnati, non capivo perché io dovessi sgobbare e lei dormire, o fingere di dormire. La necessaria Musa, davanti a me si toglieva ancora le mutande odorose di spezie profumatissime generate dal ventre suo, grazie a Gesù, però con me non voleva parlare più, poiché non mi amava.

Questo pensiero, dopo le radiose speranze del pomeriggio, mi rodeva di nuovo come un tarlo dentro il cervello. "E' il suo egoismo colossale, schifoso, a guastarmi l'umore, a darmi l'angoscia, a corrompere ogni gioia mia che non condivide, come non vuole collaborare a niente di serio e impegnativo".

Ero pieno di risentimento. Alla stazione Affi, lago di Garda sud , mi fermai per un caffé, senza invitarla. Quando fui tornato ed ebbi ripreso a guidare, Ifigenia doveva avere capito qualche cosa del mio stato d'animo, e  preoccupata, per sé naturalmente, alzò la testa e mi chiese: "Allora di cosa vuoi che parliamo?"

"Del mio capolavoro", dissi con tono secco e astioso. Poi tacqui.

Ma dopo qualche secondo, siccome la Musa nemica non sembrava intenzionata a fare altre domande, aggiunsi una provocazione che era anche una mezza dichiarazione di guerra.

"Voglio scrivere un'opera d'arte sulla nostra storia; così quando, assai presto,

sarà finita del tutto ne resterà il ricordo".

A questo punto la ragazza si svegliò completamente e domandò irritata: "Dunque? Che  cosa posso fare per te?"

Allora io, per bilanciare i toni della conversazione che speravo continuasse almeno fino a Mantova est, con voce addolcita risposi: "Tu potresti leggere gli appunti di questi ultimi due anni, non sono molti, e sottolinearne, magari commentarne le parti degne di entrare, rielaborate, nel nostro capolavoro".

Speravo in una risposta conciliante, invece avevo  scatenato anche il risentimento suo, e il demone funesto della nostra competizione cattiva. Infatti rispose: "Se avrò tempo, li leggerò dopo l’ esame di recitazione. Fino a tutto luglio non posso: devo pensare ai compiti verso me stessa, prima di assecondare la tua volontà di successo".

"Senti come ha imparato la parte della Nora di Ibsen ", pensai [1].

"Ho capito", risposi, e non le rivolsi più la parola. Mi ripugnava tanto parassitismo, il suo recitare evidente e continuo, la volontà di sfruttamento di quel rospo velenoso rivestito del corpo di Venere. Da me aveva appreso e preso tutto quanto le era stato possibile, e in cambio non voleva darmi più niente. Eppure anche dai suoi rifiuti potevo imparare, almeno finché la sofferenza del precipitare indietro, nella brutalità del risentimento ferino, non fosse diventata inutilmente deleteria.

Allora mi sarei fatto lasciare e avrei cominciato a scrivere.

Arrivati a Bologna, la scaricai davanti al cancello, senza aiutarla a portare i bagagli davanti alla porta del suo appartamento: la salutai freddamente dall'automobile. Imparare soffrendo, sì; ma farsi calpestare, no, nemmeno dall'aurea Afrodite. La odiavo. Tornai a casa mia dove sentii di essere del tutto solo nel mondo.

Quando si è giovani fa una brutta impressione, poi ci si abitua.

Alla mia età di oggi l’unico amore è quello della sopravvivenza cum dignitate. Non mi lamento. 

 

  

[1] Cfr. Casa di bambola, ultima scena.

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. XXIII. Varium et mutabile semper femina

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Aggiunta del 30 giugno 2021

Girano interpretazioni psicologistiche sul delitto di Monteveglio.
Chiacchiere per lo più, interpretazioni ricamate che coprono la causa più vera e meno chiarita a parole di questo crimine atroce. L’ajlhvqeia, che è non latenza e non deve rimanere celata, è che la gente ricorre alla violenza quando difetta di parole per esprimere le proprie ragioni. Questo non viene detto né scritto in maniera chiara e diretta perché significherebbe mettere sotto accusa la cattiva educazione che guasta e rovina le menti
 Continua la schermaglia tra Elisabetta e Riccardo.
Alla fine il malvagio prevale  sulla donna che cede e si arrende.
Le battute di Riccardo promettono ogni bene alla futura sposa e alla loro terra. Si sa che da un re buono ridonda ogni bene sul suo paese.
Elisabetta ribatte colpo su colpo rinfacciando a Riccardo i suoi tanti delitti anche su i consanguinei.
Vediamo le parole più significative secondo me, e più facili a commentarsi da parte mia
Riccardo chiede be eloquent to her siate eloquente con lei, la figlia,  in my behalf nel mio interesse 357
Elisabetta individua in questa richiesta il raggiro del parlare retoricamente e risponde: “Plain and not honest is too harsh a style” (360) semplice e non onesto è uno stile troppo stridente.
 
La semplicità infatti si associa alla bellezza e all’onestà
Nel logos epitafios il  Pericle di Tucidide dice: "filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva"[1] kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.  
Più avanti Tucidide indica la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata dalle guerre civili: a causa di queste ("dia; ta;" stavsei""), fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà partecipa:"kai; to; eu[hqe", ou| to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh" (III, 83, 1).
In questo contesto la semplicità è “bontà di carattere, bontà d’animo” (eu\ h\qo~).
Nelle Fenicie[2] di Euripide, Polinice afferma la parentela della semplicità con la giustizia e con la verità:"aJplou'" oJ mu'qo" th'" ajlhqeiva"[3] e[fu,-kouj poikivlwn dei' ta[ndic' eJrmhneuavtwn" (vv. 469-470), il discorso della verità è semplice, e quanto è conforme a giustizia non ha bisogno di interpretazioni ricamate. Invece l' a[diko" lovgo" , il discorso ingiusto, siccome è malato dentro, ha bisogno di rimedi artificiosi:"nosw'n ejn auJtw'/ farmavkwn dei'tai sofw'n" (v. 472).
 
Al ripetersi del rinfacciamento dei bambini uccisi, Riccardo risponde : “Harp not on that string, madam: that is past” (364), non arpeggiate su quella corda signora; quello è il passato.
Una metafora musicale che mi fa venire in mente due versi della Parodo dei Sette a Tebe di Eschilo:
dia; dev toi genu'n iJppivwn
kinuvrontai fovnon calinoiv. (vv. 122-123), attraverso le mascelle equine le briglie arpeggiano strage.
 
Riccardo vuole giurare ma Elisabetta continua a ricordargli i crimini che annullano ogni intenzione buona. L’inesauribile corteggiatore continua a prospettarle il tempo a venire dato che il passato è proprio passato.
Quindi ricorre all’extrema ratio di giurare sulla pericolosa impresa che sta per affrontare: invoca su di sé e sul proprio successo la maledizione del cielo if with dear heart’s love,- immaculate devotion, holy thoughts,- I tender not thy beauteous, princely daughter” (403-405)  se con pieno amore del cuore, immacolata devozione, santi pensieri, io non mi offro alla tua bella, principesca figliola.
Elisabetta sta cedendo: chiede se debba lasciarsi tentare dal demonio, dimenticare chi sia lei e scordare che Riccardo ha ucciso i suoi figli
Riccardo fa la battuta risolutiva tra il macabro e l’erotico. Ancora amore e morte
But in your daughter womb I bury them
Where, in that nest of spicery, they will breed
Selves of rhemselves, to your recomforture” (423-425),
Ma  io li seppellisco nel grembo di vostra figlia dove, in quel nido di spezie profumate, essi genereranno altri se stessi per vostra consolazione.
Non manca l’incesto. D’altra parte Riccardo è lo zio, il fratello del padre della ragazza che vuole sposare. Cfr. Claudio e Agrippina iunior.
infine Elisabetta si muove per  sottomettere la figlia al volere di Riccardo cui dice di scriverle quanto pima: lei risponderà facendogli  sapere come è disposta la ragazza. Riccardo bacia la futura  suocera dicendole di trasmettere quel bacio alla fidanzata. Ma appena la donna è uscita dice:
Relenting fool, and shallow, changing woman! 430, si è intenerita la sciocca,  superficiale, volubile donna!
varium et mutabile semper/femina ",  aveva già sentenziato Virgilio attraverso Mercurio (Eneide , IV, 569-570).
 
 Bologna 3 giugno 2021 ore 11
giovanni ghselli
 


[1] eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi.
Augusto  dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides (  Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.
 Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo”  G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11
Senza risalire al 14 d. C., penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire,  ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando  a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo da loro più e meglio che a scuola. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me". 
[2] Composte intorno al 410 a. C. 
 [3] Seneca cita questo verso traducendolo così: “ut ait ille tragicus ‘veritatis simplex oratio est’, ideoque illam implicari non oportet” (Ep. 49, 12), come dice quel famoso poeta tragico “il linguaggio della verità è semplice”, e perciò non deve essere complicata.

A Chiara Gualzetti con doloroso affetto

Come è possibile che un adolescente uccida un’adolescente?
Qual è la ragione? Nessuna buona naturalmente. Tra le cattive ce n’è una preponderante ed è quella che motiva la violenza dei prepotenti e l’impossibilità di difendersi delle vittime.
Secondo me, tale causa prevalente è l’incapacità di parlare dovuta a carenze oramai decennali di scuola, di educazione, di esempi buoni.
 
  Molte persone, soprattutto tra i giovani non sono in grado di esprimere i loro sentimenti buoni e cattivi. Noi possiamo e dobbiamo aiutare i ragazzi a cosmizzare la loro turbolenza emotiva, a bonificare la palude ribollente degli istinti giovanili, con lo strumento delle materie che insegniamo e con il grande rispetto per le  persone che educhiamo:"maxima debetur puero reverentia"[1], al fanciullo si deve il massimo rispetto.
In seguito a crimini brutali compiuti da adolescenti U. Galimberti ha scritto[2]: "perché leggere Petrarca e Leopardi, Pirandello o Primo Levi? A quell'età la letteratura o è educazione delle emozioni, o altrimenti val la pena di gettarla, e piazzare tutti gli studenti davanti a un computer e renderli efficienti in questa pratica visivo-manuale". Senza l’educazione delle letture infatti, invece delle emozioni e dei sentimenti, i giovani provano impulsi che possono anche spingerli a fare, o a farsi, del male.
Gli impulsi vanno educati, non repressi: “Ogni impulso che tentiamo di soffocare, germoglia nella mente, ci intossica”[3].
Ma come si educano le emozioni? Secondo me  attraverso la bellezza del lovgo" e del mu'qo". Per intenderla e appropriarsene sono necessari sensibilità e uno studio rigoroso.
Platone nel Protagora fa dire al sofista che tutta la vita dell'uomo ha bisogno di un buon ritmo e di armonia, per questo i maestri fanno suonare sulla cetra ai bambini le poesie dei buoni poeti lirici e costringono i ritmi e le armonie ad accordarsi con le anime degli alunni (326b).
 Galimberti torna sull'argomento dopo altri delitti domestici efferati:"Una madre mette in lavatrice la sua bambina che aveva partorito sette mesi prima, un'altra mamma si accanisce con un coltello da cucina sul corpo indifeso della sua bambina di sette anni per poi suicidarsi" è l'incipit del pezzo[4].
Lo studioso seguita ponendo una domanda che ci riguarda come insegnanti e suggerisce una risposta: "la scuola a questo punto può fare qualcosa in quella stagione dell'adolescenza quando i ragazzi sono parcheggiati in quella terra di nessuno dove la famiglia, per effetto delle carenze comunicative accumulate, non svolge più alcuna funzione e la società alcun richiamo? Certamente. A patto che i professori non si limitino a "istruire", ma incomincino a "educare", cioè a prendersi cura della crescita emotiva dei loro studenti". Del resto "non si dà apprendimento senza gratificazione emotiva, e l'incuria dell'emotività, o la sua cura a livelli così sbrigativi da essere controproducenti, è il massimo rischio che oggi uno studente, andando a scuola, corre".
 
Forse il problema è ancora più grave di come lo pone Galimberti. I giovani spesso devono soffocare i sentimenti per essere accettati.
Dobbiamo invece  educarli, incoraggiarli e istruirli a esprimere i loro affetti.
Ricorro al campo che è il mio, e ricordo il caso della povera Ottavia, la giovinetta figlia di Claudio e Messalina, moglie e vittima di Nerone, ragazzo cresciuto in un ambiente dove c'erano pugnali perfino nei sorrisi[5]: "Octavia quoque, quamvis rudibus annis, dolorem caritatem omnes adfectus abscondere didicerat" ( Annales, XIII, 16), anche Ottavia, sebbene non scaltrita dall'età[6], aveva imparato a nascondere la pena, l'amore e tutti i sentimenti.
Dedico questo pezzo alla ragazzina Chiara Gualzetti che me lo ha suggerito riempiendomi di una commozione bisognosa di esprimersi in parole. Spero che arrivino a lei: riposa in pace, creatura, e ti sia lieve il suol.
gianni
 
 
 


[1] Giovenale, Satira 14, 47.
[2] Nel quotidiano "la Repubblica" del 13 febbraio 2001.
[3] Il ritratto di Dorian Gray, p. 26, in Oscar Wilde, Opere.
[4]“ la Repubblica”, sabato 25 maggio 2002, p. 15
[5] Cfr, Shakespeare, Macbeth:"There' s daggers in men's smile" II, 4.  Alla SSIS di Bologna ho fatto una lezione comparativa partendo da questa tragedia. 
[6] Tacito ha appena raccontato l’avvelenamento di Britannico da parte di Nerone. Siamo nel 55 d. C. e Ottavia ha solo quindici anni. 

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. XXII. Il potere non è potenza

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Aggiunta del 30 giugno 2021. Così come il sapere non è la sapienza-to; sofo;n d j ouj sofiva (Baccanti, 395)
Il vocabolo femminile può generare la vita, quello maschile o neutro non riesce a farlo.
 
Segue una lunga suasoria di Riccardo a Elisabetta. E’ inficiata da contraddizioni e luoghi comuni. E pure dall’illusione che il potere sia una cosa grande. Voglio smontare subito questa chimera citando un verso delle Baccanti di Euripide che verranno rappresentate a Siracusa in luglio e agosto. Spero di poterci andare dopo avere concluso questo corso
 
Cfr. Euripide, Baccanti, 310: “ ajll j ejmoiv, Penqeu` , pivqou- mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein
Via Penteo, da’ retta a me, non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini.
E’ Tiresia che parla cercando di salvare Penteo, il re di Tebe, che per propria disgrazia non gli dà retta. Finirà male anche lui
 
 
Riccardo prova anche a scusarsi: Quello che è stato fatto sconsigliatamente non può più essere corretto oramai-what is done cannot be now amended L. emendare-(291).
E’ possibile però pentirsi degli errori. E si possono trovare compensi per i danneggiati. Ho portato via il regno ai vostri figli: “To make amends I’ll give it to your daughter” (295), per fare ammenda lo darò a vostra figlia. E’ evidente la contraddizione tra i versi 291 e 295.
Chi entra in contraddizione nel parlare o non sa quello che vuole e quello che dice oppure lo sa ma vuole confondere, cioè imbrogliare.
Il regno, continua Riccardo, andrà comunque alla discendenza di Elisabetta. I suoi nipoti saranno come figli suoi.
Se i figli da voi partoriti sono stati un tormento per la vostra giovinezza vexation to your youth 305 , i miei saranno un conforto della vostra vecchiaia-a comfort to your age- 306.
Ora Riccardo ricorre a un vieto luogo comune, il che fa pensare che non c’è nulla di autentico in quanto dice.
Torna ancora la parola amend  e di nuovo in contraddizione con la ricorrenza precedente: “I cannot make you what amends I would” (309), non posso darvi le riparazioni che vorrei, dunque accettate i benefici che posso offrirvi. Dorset, il figlio di Elisabetta, verrà richiamato in patria e colmato di onori. Era fuggito in Francia da Richmond per non essere ammazzato da Riccardo come i suoi fratellastri.
 
Le liquide gocce delle lacrime the liquid drops of tears-Cf. O. Lat. dacruma L. lacrima, Gk. davkru, davkruma- versate torneranno a voi trasformate in fulgide perle.
Un’altra trasfomazione del dolore in gioielli se non in gioia si trova in The tempest
Ariel canta che il padre di Ferdinando, il re di Napoli Alonso, giace in fondo al mare in seguito al naufragio
Full fandom five thy father lies
Of his bones are coral –corallum-koravllion-made
Those are pearls that were his eyes:
Nothing of him that doth fade-vapidus-svanito-
But doth suffer a sea-change-cambio-are
Into something rich- unless the Teut. Base rik- is merely borrowed fom the Celic rīg- Cf L.rex -and strange-extraneus
Sea-nymphs hourly ring is knell
 (I, 2, 399-405),
almeno a cinque braccia tuo padre giace,
dalle sue ossa si sono  formati coralli,
sono perle quelli che erano i suoi occhi:
nulla di lui muore ma subisce un cambiamento marino
in qualche cosa di prezioso e raro,
le ninfe marine a ogni ora suonano la sua campana.
 
Riccardo continua a promettere felicità in seguito al matrimonio della giovane Elisabetta . Spinge la madre della ragazza che vuole sposare, chiamandola addirittura madre mia, di andare dalla figlia¨
Go then, my mother; to thy daughter go, 325, le chiede di metterle nel cuore la fiamma ambiziosa dell’aurea sovranità e di informarla sulle dolci ore silenziose delle gioie coniugali.
Abbiamo già visto alcune smontature dell’aurea sovranità in diversi autori
Ne aggiungo un paio da Seneca   
Nel primo coro dell’Agamennone le donne di Micene si rivolgono alla fallax Fortuna che inganna i re facendo girare precipitosamente le loro sorti (praecipites regum casus/ Fortuna rotat (71-72) , i quali metui cupiunt metuique timent (72), vogliono essere temuti e ne hanno paura. La notte  non offre ai potenti il suo placido seno né il sonno che placa le cure scioglie il loro animo dagli affanni-non curarum somnus domitorpectora solvit” 75-76)
 
Nella Fedra il quarto coro asserisce: minor in  parvis Fortuna furit- leviusque ferit leviora deus;- servat placidos obscura quies-praebetque senes casa securos (1124- 1127), meno infuria la Sorte sugli umili, dio colpisce più debolmente le forze più deboli; una quiete senza notorietà conserva  le persone nella pace, e una capanna presenta vecchi senza preoccupazioni. Sono parole di cittadini ateniesi.
Riccardo si accinge a punire il meschino ribelle e ottuso dull-brain’d- Buckingham; quindi tornerà cinto di corone trionfali guidando la figlia di Elisabetta to a conqueror’s bed (334) nel letto del conquistatore, in più sensi, dove le farà il resoconto delle  vittorie – and she shall be sole victoress, Caesar, s Caesar  (IV, 4 4, 366) ed essa sarà la sola vincitrice: il Cesare di Cesare
Ricordate cosa dice Cleopatra a Carmiana e Iras ? Se no, ve lo rammento io
:‘Tis poltry to be Caesar;-not being Fortune, he’ s but Fortune’s knave,-a minister of her will-(V, 2,  2-3), è una miseria essere Cesare;  non essendo egli la Fortuna, è solo il servo della fortuna, un ministro del suo volere.
Abbiamo visto quanto Cleopatra Tolemaica fosse più bella, fine e intelligente di Riccardo Plantageneto
giovanni ghiselli

 

Shakespeare, "Riccardo III". Rilettura. XXI. Continua il corteggiamento alla madre per irretire la figlia

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Amore e odio vengono spesso associati.
 
Aggiunta del 30 giugno 2021. Ma è un’associazione incongrua quindi improduttiva di vita e produttrice invece di morte come può essere l’accoppiamento tra un leone e un cerbiatto.
Basta un gesto, una frase, perfino una sola parola a significare l’incompatibilità. Allora bisogna troncare. Subito.
Faccio un esempio. Una sera stavo portando una tale a cena dopo un concubitus. Durante il tragitto in automobile colei deplorava la strada quasi accusandomi del fatto che era piena di curve. Non dissi niente ma fuit haec sapientia mea: concubitu pohibere vago, quella di escludere tale accoppiamento instabile, mal fondato. Credo che le vittime delle prepotenze siano in qualche maniera complici di quanto subiscono. A una persona che rispetta se stessa deve bastare un solo sgarbo per cambiare aria. Il fatto è che pochissimi sono capaci di stare soli.  
 
Riccardo promette a Elisabetta che se avrà successo nella guerra sanguinosa che va ad affrontare farà a lei e ai suoi beni più grandi del danno che hanno ricevuto da lui.
La donna domanda quale bene possa farle del bene (IV, 4, 240-241)
Si sente così avvolta dal male da avere perduto la vista e la nozione di ogni bene.
Riccardo promette “l’elevazione della vostra prole, nobile signora”.
La donna con figli gradisce sempre molto l’attenzione che il corteggiatore dedica a questi. E’ una mossa giusta
Ma Elisabetta resiste ancora alle lusinghe e risponde con sarcasmo: “up to some scaffold, there to lose their heads” (IV, 4, 243), (elevazione) fino a qualche patibolo dove perdere le loro teste. Torna la commistione di amore e morte: il corteggiatore propone amore e la donna replica evocando e rinfacciando la morte, come aveva fatto Lady Anne nella seconda scena del I atto di questo dramma.
 
Elisabetta continua a fare domande che sembrano escludere ogni fiducia in quanto promette Riccardo il quale ricorre al mito classico che fa sempre presa in chi abbia un poco di educazione. Dice alla cognata che deve annegare (drown) nel Lete del suo animo adirato- in the Lethe of thy angry- anger, collera,  Lat. angor- soul” - il  mesto ricordo dei torti che ella pensa siano stati arrecati da lui.
Ricorrere al mito significa allontanare il dolore e universalizzarlo
Murray commenta il V stasimo della Medea di Euipide dove il Coro ricorda altri bambini uccisi da un’altra madre, Ino precedente Medea.
“Il pianto di morte non è più un grido udito nella stanza accanto. E’ l’eco di molti pianti di bambini dall’inizio del mondo, bambini che ora sono in pace e la cui sofferenza antica è diventata in parte mistero, in parte musica. La Mermoria-quella Memoria che era la madre delle Muse- ha compiuto la sua opera. Noi vediamo qui la giustificazione dell’alto formalismo e delle convenzione della tragedia greca. Essa può toccare, senza indietreggiare qualunque orrore di vita tragica, senza mancare di sincerità e senza guastare la sua normale atmosfera di bellezza. Essa porta le cose sotto la grande magia di qualche cosa cui è difficile dare un nome, ma che io ho tentato di indicare in queste pagine; qualche cosa che noi possiamo pensare come eternità o l’universale o forse perfino come Memoria. Perché Memoria, usata in questo modo, ha un potere magico[1]”.
 
Elisabetta lascia parlare  Riccardo che le giura di amarne la figlia from my soul ( 256) con tutta l’anima mia. La cognata prova a rinfacciargli la morte dei fratelli della fanciulla e Riccardo replica la dichiarazione d’amore aggiungendo che vuole fare di Elisabetta iunior la regina d’Inghilterra. Quindi chiede alla suocera designata di insegnargli a corteggiare la figlia dato che la conosce bene.
Elisabetta senior torna a ricordargli il sangue versato: Riccardo potrebbe inviare alla donna che ama un fazzoletto intriso del sangue del fratello e invitarla ad asciugarsi le lacrime con questo.
Viene in mente la pezza che Ipazia arrossò con il suo sangue mestruale e mostrò a un suo allievo innamorato di lei.  C’è ancora il contrasto tra amore e morte e la loro vicinanza.
Elisabetta continua dicendo al cognato che può anche ricordare a sua figlia come le abbia ucciso lo zio paterno Clarence, lo zio materno Rivers  e la zia acquisita Anne
Riccardo reagisce dicendo di sentirsi beffato da questi consigli, poi prova a recuperarli proponendosi di dire che ha ucciso tanti congiunti  per amore di Elisabetta.
Ma la madre dissocia l’amore dal sangue associando questo piuttosto all’odio. Noi  però sappiamo che  odio e amore vengono spesso associati.
Almeno quanto amore e morte
Facciamo qualche esempio
Molto noto è l'epigramma di Catullo: "Odi et amo . Quare id faciam, fortasse requiris./Nescio, sed fieri  sentio et excrucior ." (85), odio e amo. L'ossimòro condensa la contraddizione lacerante del poeta che dissocia l'amare  dal bene velle: la componente sensuale da quella affettiva, come chiarisce bene il distico finale del carme 72 :"Qui potis est?, inquis. Quod amantem iniuria talis/ cogit amare magis, sed bene velle minus "(vv. 7-8), come può essere?, chiedi. Poiché una tale offesa costringe l'amante ad amare di più ma a voler bene di meno.
 "E' la conflittualità catulliana fra sesso e amore"[2]. Si trova anche in Senilità di Svevo:"Aveva posseduto la donna che odiava, non quella ch'egli amava. Oh, ingannatrice!"[3].
Su questa linea Paolo Silenziario, autore che si colloca tra la tarda antichità e l'inizio della cultura bizantina (VI sec. d. C), in uno dei suoi circa ottanta epigrammi rimasti nell' Antologia Palatina  considera l'oltraggio della donna che gli ha sbattuto la porta in faccia, aggiungendo parole ingiuriose, come una forma di   u{bri" che eccita ancora di più il suo folle amore:"u{bri" ejmh;n ejrevqei ma'llon ejrwmanivhn" (V, 256)
 
Secondo Ovidio, oltre essere turpe odiare chi abbiamo amato, non è produttivo, e non è indicativo di emancipazione dall'amore:"Saepe reas faciunt et amant" (Remedia amoris, v. 661), spesso le accusano e amano. Senza contare le relazioni e i matrimoni che finiscono in tribunale con danni di tutti i generi:"Tutius est aptumque magis discedere pace/nec petere a thalamis litigiosa fora./Munera, quae dederas, habeat sine lite iubeto;/esse solent magno damna minora bono" (vv. 669-672), è più sicuro e più conveniente separarsi in pace, e non passare dal talamo ai processi del foro. I doni che le avevi fatto, lascia che se li tenga senza contesa; di solito le perdite sono inferiori a un bene grande.
 “La Chauchat poteva essere solo un’avventura estiva che non doveva trovare approvazione davanti al tribunale della ragione: era una donna ammalata, fiacca, febbricitante e bacata nell’animo, circostanza connessa con gli aspetti equivoci della sua esistenza complessiva.
Per questo Hans provava anche sentimenti di prudente distacco
(T. Mann, La montagna incantata, capitolo  IV)
In D'Annunzio la donna non poche volte è  la nemica, come Ippolita Sanzio lo è di Giorgio Aurispa nel Trionfo della morte   (del 1894) di cui cito la conclusione :" Fu una lotta breve e feroce come tra nemici implacabili che avessero covato fino a quell'ora nel profondo dell'anima un odio supremo. E precipitarono nella morte avvinti".
Cito anche, per dare un esempio meno noto, alcuni versi di una poesia,  di uno dei massimi autori ungheresi del Novecento, Endre Ady (1877-1919):" Sono le nostre ultime nozze:/Ci strappiamo la carne a colpi di becco/e cadiamo sul fogliame d'autunno" ( Nozze di falchi sul fogliame secco) [4].
Fa rabbrividire, forse perché non è del tutto falsa, una sentenza tragica del misogino suicida C. Pavese"Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco"[5]. E pure, con un pessimismo meno esteso ma più personalizzato:"Sono tuo amante, perciò tuo nemico"[6].
 
giovanni ghiselli 
 


[1] G. Murray, Euripides and his age, pp. 242-243.
[2] A, Traina, Di fronte ai classici , p. 263.
[3] Senilità (del 1898), p. 155.
 [4]. Trad. it. Lerici, Milano, 1964.
[5]Il mestiere di vivere , 9 settembre 1946.
[6] Il mestiere di vivere ,18 novembre 1945.