NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 3 gennaio 2023

Nietzsche 27. Socrate, Platone e il Cristianesimo


“Socrate era plebaglia. E’ noto, e lo si può vedere anche oggi quanto fosse brutto. La bruttezza, un’obiezione di per se stessa, è tra i Greci quasi una confutazione. Socrate era poi veramente un greco? (…) Gli antropologi che si interessano alla criminologia ci dicono che il delinquente tipico è brutto: monstrum in fronte, monstrum in animo. Il delinquente è un décadent[1]

 

 “Riconobbi Socrate e Platone come sintomi di decadimento, come strumenti della dissoluzione greca, come pseudogreci, antigreci (Nascita della tragedia, 1872). Quel consensus sapientium dimostra assai poco che essi avessero ragione nelle cose in cui si trovavano d’accordo: dimostra piuttosto che essi stessi, questi saggissimi, concordavano fisiologicamente in qualche cosa, per assumere-per dover assumere- lo stesso atteggiamento negativo nei confonti della vita[2]”.

"Ma la lotta contro Platone o –per dirla in termini più inettellegibili e “popolari-la lotta contro la millenaria oppressione clerico-cristiana- dal momento che il cristianesimo è un platonismo per il “popolo” ha prodotto in Europa una grandiosa tensione spirituale, quale non si era mai avuta sulla terra: con un arco così teso , d’ora innanzi si potrà mirare alle più mete più lontane [3].

La linea Parmenide, Platone, cristianesimo dice “no” al divenire e alla vita terrena. Il sì alla terra tra i Greci lo dicono Eraclito e gli Stoici.

I primi calunniano questo mondo inventando un altro mondo come vera patria dell’uomo. Una linea partita da Parmenide. Divergente è quella che va da Eraclito agli Stoici a Nietzsche.

Vediamo alcune critiche fatte da Nietzche a Parmenide nel libro “La filosofia nell’età tragica dei Greci” scritto nel 1873.

Parmenide dunque si immerse nel bagno gelido delle sue tremende astrazioni

Ciò che è verace deve essere eternamente presente: di esso non può dirsi fu né sarà. L’essente dunque non nasce e non muore: è indivisibile, è immobile, è compiuto. Se ne sta sospeso equilibrato in tutte le sue parti, perfetto in ogni suo punto come una sfera. E’ solo, non sta in uno spazio che se ci fosse sarebbe un secondo essente. Parmenide se la prese con il proprio occhio che vedeva il divenire: “guardatevi dal seguire l’occhio senza sguardo- a[skopon o{mma- , l’orecchio che echeggia e la lingua e investigate soltanto con la forza del pensiero!” (capitolo 10)

Inizia così quella separazione del tutto fallace tra spirito e corpo che prosegue con Platone ed è una maledizione della filosofia. Tutte le percezioni sensibili secondo Parmenide procurano soltanto illusioni e l’illusione principale è attribuire l’esistenza al non essente, al divenire. Tutta la varietà del mondo è mera parvenza e illusione. Dobbiamo riscattarci da questo eterno inganno dei sensi. Il filosofo maneggia i gusci vuoti di parole indeterminate e sta seduto esangue accanto a tale verità, imbozzolato in una ragnatela di formule

Parmenide considera identici pensiero ed essere, quell’essere bozzoluto e sferico, mortalmente greve e rigidamente inerte

I divkranoi di Parmenide sono i bicefali, che ammettono  essere e non essere. Il filosofo eleatico (570- 475)  dice che costoro mescolano i contrari in un guazzabuglio poiché la mancanza di risorse nei loro petti indirizza male la mente fuorviandola- ajmhcanivh ga;r ejn aujtw`n-sthvqesin ijquvnei plakto;n novon   (frammento 6 Karst del poema Sulla Natura vv. 5-6).

 

Il cristianesimo è stato balsamo per la Roma già decaduta di un Giovenale, e veleno per i Germani.

“Balsamo e veleno. Non si rifletterà mai abbastanza a fondo: il cristianesimo è la religione dell’antichità invecchiata, suo presupposto sono popoli di civiltà degenerata e vecchia; su questi esso potè e può agire come un balsamo. In età in cui gli orecchi e gli occhi sono “pieni di fango”, al punto di non poter più percepire la voce della ragione e della filosofia e da non poter più vedere la saggezza in carne e ossa, porti essa il nome di Epitteto o di Epicuro: allora la croce del martirio innalzata e la “tromba del giudizio universale” possono forse essere efficaci per muovere tali popoli a un morire decoroso.  Si pensi alla Roma di Giovenale, a questo rospo velenoso con gli occhi di Venere qui si impara che cosa significhi fare il segno della croce davanti al “mondo”, qui si prova rispetto per la silenziosa comunità cristiana e le si è grati di avere invaso tutto il mondo greco-romano. Se la maggior parte degli uomini nasceva allora subito con l’asservimento dell’anima, con la sensualità senile: che beneficio incontrare quegli esseri, che erano più anima che corpo e che sembravano realizzare l’idea greca delle ombre dell’Ade: figure schive, sguscianti, pigolanti, piene di bontà, con un’aspettativa di “vita migliore”(…) Questo cristianesimo, come risuonare vespertino della buona antichità, con una campana crepata, stanca e tuttavia di suono piacevole, è ancora, persino per colui che si aggira oggi per quei secoli solo storicamente, in balsamo per le orecchie. Invece per i popoli barbari giovani e freschi il cristianesimo è veleno; trapiantare nell’anima eroica, fanciullesca e animalesca dell’antico tedesco per esempio la dottrina del peccato e della dannazione, non significa altro che avvelenarla”[4].

Bologna 3 gennaio 2022 ore 19, 04

giovanni ghiselli

p. s.

Sempre1307985

 

 



[1] Crepuscolo degli idoli, Il problema di Socrate, 3. Del 1888,

[2] Crepuscolo degli idoli, Il problema di Socrate, 2.

[3] Di là dal bene e dal male, prefazione.

[4] Umano, troppo umano II, 1 Opinioni e sentenze diverse, 224

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