NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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martedì 3 gennaio 2023

La storia di Päivi. 25. Notturno finlandese. Il Kalevala

Quando, verso le sette di sera, atterrai nell’aeroporto di Helsinki, Päivi, avvisata da un telegramma, mi stava aspettando avvolta in una pelliccia: lassù il 20 settembre faceva freddo come da noi per Natale. A Bologna non a Siracusa né a Roma. Terre benedette da Dio comunque le nostre.
I capelli non le erano caduti sotto il taglio del ferro, e le ondeggiavano lungo il dorso intabarrato.
La scorsi al di là di una parete vitrea: aveva un’aria triste e un poco sofferente, ma, a prima vista, mi parve più bella e più fine di quando ci frequentavamo nel caldo della puszta ungherese: segno che il clima artico, aspro e tagliente, le si addiceva più dell’afa polverosa esalata dalla grande, sitibonda pianura magiara durante l’estate troppo calda, quasi apocalittica per la sua natura di nordica chiara, tenue, e, nei momenti peggiori, un po’ scolorita. A parte il suo vello purpureo dei suoi capelli.
Ci abbracciammo e baciammo, ma subito dopo Päivi disse che le dispiaceva se non avevo ancora ricevuto la sua ultima lettera: lei, lunedì 23, doveva partire la mattina presto da Yväskylä per andare a ricoverarsi nell’ospedale di Oulu, dove Jussi le aveva prenotato un posto e tutte le visite necessarie.
Non disse a che cosa, poiché non ce n’era bisogno.
Per stare insieme dunque avevamo solo due giorni e tre notti.
Ma nella disposizione in cui ci mettemmo dopo tale accoglienza, due giorni interi erano pure troppi. Päivi quasi sicuramente andava ad abortire la nostra creatura: l’aveva deciso da sola, o con il suo “ex boy friend”, come chiamava Jussi, e con me taceva su questo argomento, preliminare ad ogni altra conversazione su qualunque altro tema.
Perciò facemmo il viaggio da Helsinki a Yväskylä, in una bianca Volkswagen guidata da lei, senza dire niente di decisivo né di significativo.
 
Osservavo il paesaggio.
Lungo la strada ci sono boschi e laghi; nel cielo c’era una luna grande, interamente tonda, tanto che consentiva di vedere la vegetazione, la terra e le acque fredde; anzi, quando la strada saliva su una collina, apparivano ampie zone rischiarate dalla sua luce bianchissima. Io aguzzavo entrambi gli occhi per trarre conforto dalla visione della terra promessa che aveva nutrito le donne più amate da me in trent’anni di vita vicini già al loro compimento inquieto[1]. Trenta anni di vita con tre mesi di amore. Non senza molte macerie.
Ricordavo parti del Kalevala[2] letto in aereo, e dirigevo lo sguardo sui seni dei laghi per vedere se nel biancheggiare dell’acqua si bagnavano le anatre azzurre o i cigni selvatici; scrutavo le rive ricurve, orlate di piante, per riconoscere le folaghe che dovevano tuffarsi a gara nel cerchio della luna riflessa sollevando spruzzi di perle; adocchiavo i prati lungo la strada per verificare se gli steli dei fiori, piegandosi, accostavano le colonne anelanti a baciarsi. Niente di questo.
Pensai all’erba verdissima del sottobosco di Debrecen che rimaneva schiacciata dalla schiena delle mie finniche distese a fare l’amore e l’abito letterario evocò questo pentametro “De nostro curvum pondere gramen erat” [3] che Ovidio fa scrivere all’infelice Saffo in una lettera per Faone dove la donna abbandonata rimpiange il tempo felice dell’amore non più contraccambiato dal giovane.
Ancora non sapevo che sarei tornato a Debrecen più di una volta per interrogare quell’erba dove vidi il principio delle mie gioie. L’abbandonato questa volta ero io.
Nella luce lunare della fredda notte artica tutto era fermo e poco espressivo, come il viso di Päivi nei momenti peggiori, quando quella strana creatura si chiudeva in se stessa. Non aveva niente di importante da dirmi, e nemmeno io volevo parlare.
Non avevamo in comune più nulla: né progetti, né attese, né speranze.
Restavano solo i ricordi, e probabilmente nemmeno gli stessi per l’uno e per l’altra.
Arrivati, ci sistemammo nel monolocale del collegio dove lei abitava e facemmo l’amore per l’ultima volta, senza gioia, nonostante avessi provato a dirle, le parole che Antonio disse Cleopatra, quando erano entrambi vicini al suicidio, “let’s have one other gaudy night[4].
 

Bologna 3 gennaio 2022 ore 18, 44
giovanni ghiselli
 
Siamo arrivati a 1307951. Metto questi numeri per significare che non è necessario andare in televisione a farsi presentare i libri per farsi leggere. Non credo che i vari Carofiglio abbiano pù lettori di me. Dovevo questa spiegazione a chi si chiedesse perché lo faccio. 


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[1] Il 14 novembre.
[2] E’ l’epopea nazionale finlandese composta da Elias Lönrot nell’Ottocento sulla base di canti popolari raccolti viaggiando nella Finlandia orientale. Significa “Terra di Kaleva”, il progenitore della stirpe finnica.
[3] Ovidio, Heroides, XV, 148, l’erba era incurvata dal nostro peso
[4] Shakespeare, Antonio e Cleopatra, III, 13, 183.

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