Nietzsche in La nascita della tragedia considera Edipo un eroe della passività.
“L'eroe raggiunge appunto nell'attitudine puramente passiva la sua attività suprema, la quale continua ad agire molto al di là della sua stessa vita, mentre il cosciente tendere e sforzarsi della sua vita precedente lo ha condotto solo alla passività"Quindi Nietzsche gli contrappone Prometeo come personaggio illuminato dalla gloria dell'attività. Prometeo rappresenta anche l'artista titanico il quale "trovò in sé la caparbia fede di poter creare uomini o almeno di poter distruggere dèi olimpici: e ciò mediante la sua superiore sapienza, che era però costretto a scontare con un'eterna sofferenza"[1].
Edipo trova la soluzione delle sue pene nell'ultimo dramma, quando il cieco comprende che i fatti precedenti non erano stati agiti bensì subiti da lui: ejpei; tav g j e[rga mou-peponqovt j ejsti; ma'llon h] dedrakovta" (Edipo a Colono, vv.266-267) le mie azioni piuttosto che compierle io le soffersi. Ora gli dei che prima ti hanno abbattuto ora ti innalzano, gli fa notare la figlia Ismene (v.394).
Il lunatic king Shakespeare, Re Ler dirà parole simili: “I am a man/more sinned against than sinning” (King Lear, III, 2), io sono un uomo contro il quale si è peccato , più che un peccatore
Edipo dunque trova la sua dimensione positiva nella passività di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella fase dell'attività sconsiderata.
Così Giovanni Drogo in Il deserto dei Tartari di Buzzati scopre"l'ultima sua porzione di stelle"(p.250) e sorride nella stanza di una locanda ignota, completamente solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti, dopo avere sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera". Invece il suo destino si compie al lume di una candela, dove"non si combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".
Del resto gli eroi della passività nella letteratura moderna sono tanti, da Oblomov di Goncarov, a Zeno di Svevo per dire solo i più noti.
La rivendicazione di Prometeo fornisce una legittimazione all'ira di Zeus e argomenti a Nietzsche in La nascita della tragedia per distinguere "la concezione ariana" dal mito semitico:" La cosa migliore e più alta di cui l’umanità possa diventare partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve poi accettarne le conseguenze, cioè l’intero flusso di dolori e di affanni, con cui i celesti offesi devono visitare il genere umano che nobilmente si sforza di ascendere: un pensiero crudo, per la dignità conferita al crimine, stranamente contrasta con il mito semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro menzognero, la seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti eminentemente femminili fu considerata come origine del male. Ciò che distingue la concezione ariana è l’elevata idea del peccato attivo come vera virtù prometeica"[2].
In Aurora del resto Nietzsche scrive bene su gli Ebrei che hanno resistito eroicamente a millenni di persecuzioni e conquisteranno l’Europa: “il loro eroismo nello spernere se sperni [3] supera le virtù di tutti i santi…Oltre tutto seppero crearsi, proprio da quelle occupazioni che si lasciarono loro (o alle quali furono abbandonati), un senso di potenza e di eterna vendetta; si deve dire, a scusa perfino della loro usura, che senza questa occasionale, gradevole, utile tortura dei loro spregiatori, difficilmente avrebbero resistito ad avere così a lungo considerazione per se stessi. Giacché la nostra considerazione per noi stessi è legata al fatto che possiamo esercitare un contraccambio nel bene come nel male (…) Essi sanno che l’Europa dovrebbe un giorno cadere come un frutto pienamente maturo nella loro mano, purché questa si tenda anche di poco verso il frutto. Frattanto hanno bisogno, a questo fine, di mettersi in vista in tutti i campi della distinzione europea e di piazzarsi tra i primi (…) quando gli Ebrei avranno mostrato l’opera loro in tali pietre preziose e intarsi dorati, quali i popoli europei, di più breve e meno profonda esperienza, non sono né furono capaci di produrre; quando Israele avrà convertito la sua eterna vendetta in una eterna benedizione dell’Europa, sarà giunto allora ancora una volta quel settimo giorno in cui il vecchio Dio degli Ebrei potrà rallegrarsi di se stesso, della sua creazione e del suo popolo eletto,- e tutti, tutti noi, ci rallegreremo con lui”[4].
“Esercitare il contraccambio nel bene come nel male” fa pensare a Medea che dice: “Nessuno deve considerarmi un'incapace' (fauvlhn) e debole (kajsqenh`) o una persona mite. Altro è il mio carattere: violenta (barei`an) con i nemici e con gli amici buona (eujmenh`). Quelli che si comportano così hanno la vita più gloriosa” (807 ss.).
“I Greci si avvicinarono al pensiero che anche il crimine potesse avere una sua dignità-perfino il furto, come per Prometeo, perfino la strage di bestiame in quanto sfogo di un’invidia insensata, come per Aiace: nella loro esigenza di attribuire una dignità al delitto e di incarnarvela essi hanno inventato la tragedia-un’arte e un godimento che all’ebreo, nonostante tutta la sua attitudine per la poesia e la sua inclinazione al sublime, sono restati estranei nella loro essenza più profonda.”[5].
Le Oceanine si impietosiscono per la sorte di Prometeo e lo stesso Titano si sente meritevole di tanta compassione (v.246), eppure è tutt'altro che pentito e prorompe nel grido di ribellione con il quale afferma la dignità del suo delitto:"io sapevo tutto questo:/di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò (eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai)/ aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene (aujto;~ huJrovmhn povnou~ )"(265-267).
Ambigua e molto criticata è del resto la figura di Prometeo.
L’eroe della tragedia, secondo Kierkegaard, come per Aristotele, non è del tutto colpevole. Ma l’attenuazione della colpa non riduce la pena: “La pena è più profonda poiché la colpa ha l’ambiguità estetica”[6]
Nella tragedia di Eschilo, è il Titano stesso ad ammettere di avere infuso negli uomini cieche speranze
Prometeo deve riconoscere: ho infuso in loro cieche speranze ("tufla;" ejn aujtoi'" ejlpivda" katw/vkisa", v.250).
Egli è divinità solo apparentemente benefica in quanto portatore di conoscenze pratiche fuorvianti:" qnhtou;" g j e[pausa mh; prodevrkesqai movron", ho fatto smettere ai mortali di prevedere il destino"(v.248). Movro~ è la parte che tocca a un uomo, una parte che comprende la morte. Prometeo ha illuso i mortali, li ha resi ciechi riguardo al futuro. Ha scoperto le tecniche.
“pa'sai tevcnai brotoi'sin ejk Promhqevw~ (v. 506), tutte le tecniche ai mortali derivano da Prometeo[7].-
"Questo sapere è sempre una conoscenza pratica: è il sapere che ha creato la civiltà, le tevcnai. Egli ha insegnato loro i diversi mestieri, inoltre l'astronomia, i numeri e le lettere; ma non per allargare la conoscenza del mondo nel senso degli antichi ionici: al contrario, questo sapere è orientato, alla maniera attica, verso le tevcnai, verso uno scopo pratico e un'utilità…il fuoco è il simbolo delle tevcnai, dell'attività pratica"[8].
Si veda un esplicito svuotamento di questo to; sofovn tecnologico nel discorso di Diotima del Simposio platonico:"kai; oJ me;n peri; ta; toiau'ta sofo;" daimovnio" ajnhvr, oJ dev, a[llo ti sofo;" w[n, h] peri; tevcna" h] ceirourgiva" tinav", bavnauso"" (203a), chi è sapiente in tali rapporti[9] è un uomo demonico, quello invece che si intende di qualcos'altro, o di tecniche o di certi mestieri, è un facchino.
C’è un’opinione molto diversa nel Corpus Hippocraticum , una sentenza che si trova più volte citato nei libri di B. Farrington, molto quotati una ventina d'anni fa, è questo :"h[n ga;r parh'/ filanqrwpivh, pavresti kai; filotecnivh", dove c'è amore per il genere umano, là c'è sempre amore per la tecnica"[10].
“Per quanto parli di economia, il nostro tempo è un dissipatore: sperpera la cosa più preziosa, lo spirito”[11].
Leopardi in Il pensiero dominante condanna l’ossessione dell’utile da parte della sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede"(vv. 59-64).
Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro il poeta di Recanati nella Palinodia al Marchese Gino Capponi :" anzi coverte/fien di stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar (...)sempre che spinga/contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni"(vv. 61-67).
Bologna 6 gennaio 2023 ore 17, 21
giovanni ghiselli
Sempre1308955
[1] La nascita della tragedia, cap. IX
[2] F. Nietzsche. La nascita della tragedia, cap. IX
[3] Disprezzare il fatto di essere disprezzato, massima di San Filippo Neri (1515-1595) ndr.
[4] F. Nietzsche, Aurora (del 1881) III, 205.
[5] La gaia scienza, III, 135.
[6] Enten-Eller , Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno, Tomo Secondo, p. 30
[7] Ovidio, Metamorfosi, I, 141-142. e già il ferro funesto e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce luce; venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro
. E’ la descrizione dell’età del ferro. Riporterò questi versi in un contesto più ampio più avanti.
[8] B. Snell, Eschilo e l'azione drammatica, p. 121.
[9] Quelli tra gli uomini e gli dèi.
[10]B. Farrington, Lavoro Intellettuale E Lavoro Manuale Nell'Antica Grecia , p.38. Nella nota a piè di pagina si trova il testo greco attribuito a Precetti (VI) che dovrebbe essere un testo di scuola ippocratica.
[11] Nietzsche, Aurora, III, 179.
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