NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna   -  Tutte le date link per partecipare da casa:    meet.google.com/yj...

venerdì 30 aprile 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXXI. La morte di Cleopatra. Un poco di metodologia storiografica

PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI


Siamo arrivati alla morte di Cleopatra. Partiamo da Shakespeare. La regina si rammarica del fatto che Iras sia morta pima di lei. Teme di apparire vile a riccioluto Antonio ( the curled Antony, v., 2, 300):  quando Iras lo avrà raggiunto, lui domanderà di Cleopatra e darà a lei quel bacio che era pronto per l’amante arrivata in cielo. Ma la regina si è fatta precedere dalla parrucchiera ed è in ritardo.  Quindi invita l’aspide a venire da lei e se lo applica al petto. Gli chiede: “with thy sharp teeth this knot intrinsicate - of life at once untie” (303-304) con i tuoi denti aguzzi sciogli in un colpo solo questo intricato nodo della vita.

 

La funzione di sciogliere gli intrighi rivelando le verità nascoste viene attribuita da Cordelia, la figlia buona di Re Lear, al tempo:" Time shall unfold what plaited cunning hides", il tempo spiegherà ciò che l' attorcigliata astuzia nasconde (I, 1).

 Il tempo ha la funzione benefica di salvare l’umanità quando questa giunge sull’orlo del baratro

Ancora nel Re Lear il duca di Albania aspetta una salvezza dal tempo auspicandone la fretta: “Se il cielo non manda subito i suoi spiriti a frenare queste colpe orrende, sarà per forza necessario che l’umanità vada a caccia di se stessa, come i mostri del mare like monsters of the deep (IV, 2).

Il serpente è arrivato nel momento opportuno per  salvare la dignità di Cleopatra.

La regina gli fa fretta: “poor venenous fool, be angry and dispatch”, (304-305), povero sciocco velenoso, irritati e fai presto. Se l’aspide potesse parlare, Cleopatra lo udirebbe chiamare the great Cesare- ass unpolicied (306-307) un asino grossolano.

Quindi la battuta già citata sul serpente assimilato a un bambino che succhia fino a fare addormentare la nutrice.

Infine la regina prende un altro aspide e se lo applica al braccio. Inizia la frase: “what should I stay (311)  perché dovrei restare… ma non la finisce perché muore

La  completa  Carmiana: “in this vile world?” In questo mondo spregevole?

Quindi l’amica la saluta e ne fa l’elgio funebre con queste parole: “now boast thee, death, in thy possession lies - a lass unparalle’ d” (514-515), ora vantati morte, in tuo potese giace una ragazza senza pari.

Plutarco racconta che l’aspide fu portato con i fichi nascosto sotto le foglie secondo l’ordine di Cleopatra che non voleva vederlo, ma tolti i fichi lo vide e disse “eri qui dunque” (86, 3). E denudato il braccio lo offrì al morso. Altri dicono che il serpente era custodito in un orcio e che Cleopatra lo provocò e lo irritò con un fuso d’oro finché questo saltò fuori e le morse il braccio. Ma nessuno conosce la verità- to; d’ ajlhqe;" oujdei;" oi\den (86, 4)

C’è una terza versione secondo la quale Cleiopatra teneva del veleno in uno spillone cavo nascosto tra i capelli.

Come si vede Plutarco non usa il dialogo e non sceglie fra tre versioni della morte di Cleopatra. Questo di riferire tutte le fonti disponibili, pure quelle poco verosimili è un metodo seguito anche da altri storiografi.

Ne faccio quattro esempi.

A proposito della diceria secondo la quale le ragazze indigene con penne di uccello spalmate di pece traevano pagliuzze d’oro da un lago situato in un’isola posta davanti alla costa africana Erodoto scrive : “tau'ta  eij mh; e[sti ajlhqevw~ oujk oi\da, ta; de; levgetai gravfw” (I, 195, 2), queste cose non so se sono vere, ma quello che si dice lo scrivo.

E per quanto  riguarda un’intesa tra i Persiani e gli Argivi: “ejgw; de; ojfeivlw levgein tav legovmena, peivqesqaiv ge me;n ouj pantavpasin ojfeivlw” (VII, 152, 3), io sono tenuto a dire le parole dette, a credere a tutte invece non sono tenuto.

  

In modo simile  Curzio Rufo: “Equidem plura transcribo quam credo: nam nec adfirmare sustineo, de quibus dubito, nec subducere, quae accepi” (9, 1, 34), per conto mio riporto più notizie di quelle cui presto fede: infatti non me la sento di confermare notizie delle quali non sono sicuro, né di sottrarre quelle che ho ricevuto.

Quindi, a proposito  del cadavere di Alessandro che giaceva nel sarcofago da sei giorni, trascurato, e, nonostante il caldo estivo, il corpo non era degenerato, Curzio scrive: “Traditum magis quam creditum refero (10, 10, 12).

 

Arriano a proposito della morte di Alessandro Magno riporta una notizia alla quale non crede, della quale anzi afferma che dovrebbero vergognarsi quanti l’hanno scritta.

Si racconta dunque che il condottiero macedone,  sentendosi morire, voleva gettarsi nell’Eufrate per sparire accreditando la fama di una sua assunzione in cielo in quanto nato da un dio. Glielo impedì Rossane ed egli le disse che lo privava della gloria di essere nato dio. Ebbene lo storiografo di Nicomedia precisa che ha riportato queste notizie wJ" mh; ajgnoei'n dovxaimi perché non sembri che io le ignori, più che per il fatto che esse sembrino pista; ej" ajfhvghsin, (7, 27, 3) credibili a raccontarle.

 

Concludo citando Tacito

Ut conquirere fabulosa et fictis oblectare legentium animos procul

gravitate coepti operis crediderim, ita vulgatis traditisque

demere fidem non ausim. die, quo Bedriaci certabatur, avem

invisitata specie apud Regium Lepidum celebri luco conse-

disse incolae memorant, nec deinde coetu hominum aut cir-

cumvolitantium alitum territam pulsamve, donec Otho se ipse

interficeret; tum ablatam ex oculis: et tempora reputantibus

initium finemque miraculi cum Othonis exitu competisse. (Historiae, II, 50)

Come reputerei lontano dalla serietà dell’opera iniziata  andare in cerca di miti e dilettare le anime dei lettori con delle invenzioni, così non oserei togliere credito a tradizioni diffuse. Nel giorno in cui si combatteva a Bedriaco, gli abitanti ricordano che un uccello di aspetto mai visto si posò in un frequentato bosco sacro presso Reggio Emilia, e che non venne spaventato né scacciato di lì dalla grande quantità delle persone né degli uccelli che svolazzavano intorno, finché Otone non si fu ucciso; allora scomparve alla vista; e per chi tiene conto dei tempi, il principio e la fine del prodigio coincide con la fine di Otone.

Sono fatti dell’aprile del ’69.

 

Bologna 30 aprile 2021 ore 20

giovanni ghiselli

 

p. s

Sempre1122320

Oggi376

Ieri487

Questo mese13409

Il mese scorso13315

Debrecen e Grecia 1980. Capitolo 16. Il viaggio di ritorno

Ifigenia mi fissava con uno sguardo fiero e cosciente che queste non erano soltanto parole. Quindi rispose: “Tu riconosci in me mito, poesia e nobiltà d’animo perché le hai dentro di te. Io contraccambio il tuo amore e comunque andrà a finire il nostro rapporto ti amerò sempre poiché nella tua persona straodinaria raduni tutti i valori essenziali dell’uomo umano: intelligenza, onestà, volontà. Queste  doti che negli altri sono dimidiate, divise e disperse, o del tutto assenti, tu le raccogli nella tua bella persona, e non vuoi tenertele dentro, ma donarle al possimo tuo, a me soprattutto. Ricordo la prima volta che ti vidi e ti sentii parlare Mi sembrava di essere la Salomè di Oscar Wilde affascinata da Iokanaan. Non avevo mai visto capelli neri come i tuoi e volevo toccarli. Volevo baciare la tua bocca, rossa come un ramo di corallo. Te lo dissi. Tu non mi respingesti gridando: “indietro, figlia di Sodoma! Non toccarmi. E io non chiesi al tetrarca la tua testa in cambio dei miei salti. E’ vero tesoro?”

Ci abbracciammo con forza lì sulle rovine della città ricca d’oro e sull’epilogo del nostro amore ridotto ai soli ricordi, privo di ogni progetto oramai. Tuttavia facemmo quasi l’amore davanti a un gruppo di turisti che ci osservavano meravigliati.

Poi partimmo. Eravamo felici, precariamente ma del tutto felici.

Impiegammo la sera e la notte per uscire dall’Ellade. Ci fermammo devoti alle Termopili davanti alla statua di Leonida con la scritta molw;n labev - vieni a prenderle - detto delle armi spartane richieste da Serse.

Quindi viaggiammo per altri due giorni. Andavamo d’accordo. Si beveva soltanto acqua che è ottima come Pindaro ci aveva insegnato, la sorella acqua di Francesco “la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta”.

La notte dormivamo qualche ora dentro l’automobile, verso mezzanotte mangiavamo un po’ di pane e margarina seduti sul parafango della bianca Volkswagen fermata in luoghi deserti da dove potevamo vedere gli innumerevoli sorrisi del mare illuminato dalla luna, la scura campagna addormentata e miriadi di stelle.

A mezzogiorno per ingannare la fame, ci si tuffava nei seni gonfi di luce.


Bologna 30 aprile 2021ore 11, 9

giovanni ghiselli


p. s.

Statistiche del blog

     Sempre1122097

Oggi153

Ieri487

Questo mese13186

Il mese scorso13315

La barbarie peggiore è l’indifferenza per la vita umana

L’indifferenza per la vita umana si è vista ieri sera in televisione dove giornalisti e opinionisti commentavano l’assassinio del commissario Luigi Calabresi senza dire una parola sul presunto suicidio di Giuseppe Pinelli che per anni è stato collegato alla strage di piazza Fontana cui seguì immediatamente  la caccia all’anarchico, e tre anni dopo l’uccisione del commissario.

Un’ indifferenza disumana per la vita umana, dato che anche Pinelli era un uomo, ed era un uomo umano.

Poi un’altra indifferenza: quella per la verità.

Ieri si è parlato a lungo di quei fatti e  su Pinelli nemmeno una parola.

Il figlio di Calabresi, il noto giornalista Mario, è stato intervistato e mostrato con la presenza della madre vedova del commissario, mentre la vedova e i figli di Pinelli non sono nemmeno stati nominati. Di loro non si sa niente. Ma questo l’ho già scritto ieri.

 

Ora aggiungo che un altro segno di barbarie e di noncuranza della vita umana è l’affermazione di Salvini  che la difesa è sempre legittima. Io affermo, e me ne prendo la responsabilità, che sparare sulle spalle o sulla testa dei ladri mentre fuggono e sono già sulla strada non è legittima difesa: è un crimine che deve essere evitato con un minimo di senso umano e di considerazione della vita umana. La pena di morte per il furto è il dis-angelo, la cattiva novella dei peggiori regimi dittatoriali e di chi li sostiene o li invoca. Anzi, ogni pena di morte è una barbarie al pari dei sacrifici umani dedicati a idoli crudeli.

Chi propugna la pena di morte approva fascismi e nazismi.

Spero che Papa Bergoglio insorga contro questa forma di antiumanità. Intanto lo faccio io poiché me ne sono sentito in dovere. Io non conto nulla, se tuttavia queste parole avranno qualche peso sulle coscienze lo dovrò ai miei non pochi lettori umani che ringrazio.


Bolgna, 30 aprile 2021, ore 9, 30

giovanni ghiselli


p. s.

Statistiche del blog

Sempre1122052

Oggi108

Ieri487

Questo mese13141

Il mese scorso13315

giovedì 29 aprile 2021

Mario Calabresi, Luigi Calabresi, Giuseppe Pinelli e altri a Piazza pulita. La trasmissione è in corso

Questa sera nella trasmissione televisiva Piazza pulita il giornalista Mario Calabresi ha ricordato commosso la sua infanzia con il padre, il commissario  assassinato nel 1972.

Tutto il rispetto per il dolore del figlio che ha ricordato le probabili complicità e la diffusa omertà che ha protetto gli assassini.

Ma nel dicembre del 1969 ci fu un altro morto, molto probabilmente ammazzato anche lui, e c’è stata dell’altra omertà. Ebbene questo primo morto, Giuseppe Pinelli, che nella vicenda degli eventi è stato per anni collegato al secondo, il commissario Calabresi, non è stato nemmeno nominato dal giornalista figlio de commissario, né da Formigli, né da Paolo Mieli, né da Tomaso Montanari.

Di quest’ultimo mi dispiace dirlo perché lo stimo. Ma ora lo invitano spesso in televisione e si vede che ci ha preso gusto. Sa bene pure lui che non si può dire tutto se se vuole rimanere nel giro. Corruptio optimi pessima.

Ebbene il  ferroviere Giuseppe Pinelli è il più degno di ricordo e la sua morte è la più merirevole di indagine anche perché fu una delle vittime usate, per lo meno convocandolo in questura, al fine gettare del fumo sui responsabili della strage di piazza Fontana.

Il questore Marcello Guida dirigeva le indagini indirizzate subito contro gli anarchici, i meno protetti. L’anarchico Pinelli ci rimise la vita, l’anarchico Pietro Valpreda venne condannato e finì in prigione finché fu riabilitato e scarcerato.

Questa sera nessuno ha avuto il coraggio di ricordare Pinelli. Lo faccio io e lo presento come una delle vittime, del tutto innocenti, della prima strage di Stato. Una cara persona.

Mieli ha ricordato che Pasolini diceva “io so, ma non ho le prove”.

E ha avuto la sfrontatezza di commentare queste parole: “è troppo facile affermare questo, tanto poi pagano altri”. Formigli gli dava ragione. Ricordo all’esimio storico e al celebre opinionista che Pasolini ha pagato con la vita il coraggio di accusare il potere.

Un coraggio che ora abbiamo davvero in pochi. We happy few.

 

Bologna 29 aprile 2021 ore 21, 52

giovanni ghiselli


p.s

Statistiche del blog

Sempre1121917

Oggi460

Ieri520

Questo mese13006

Il mese scorso13315

Debrecen e Grecia 1980. Capitolo 15. Le rovine ravvivate

Menade danzante
Pensavo: “Sarà squilibrata e anche folle, a volte sarà capricciosa o noiosa, talora perfino tremenda, però è bella e ha il senso del bello. Quando il nostro traballante rapporto sarà precipitato del tutto, inizierò a scrivere in lode e pure in infamia di lei quanto nemmeno Eschilo ha fatto per Clitennestra, né Sofocle per Antigone, né Euripide e nemmeno lo stesso Omero per Elena.

Poiché questa donna le contiene tutte: ha dentro di sé la furia scellerata della Tindaride, l’ostinazione eroica di Antigone, la bellezza perversa di Elena, la donna per cui non è nemesi patire tanti dolori quanti ne soffro da un anno, dopo tre stagioni di gioia.

Le manca però la dolce, nobile, generosa anima di Ifigenia e non devo desiderare le nozze con lei”.

Si accorse che meditavo sul nostro rapporto, quindi depose la maschera della moglie assassina, si mise quella della compagna affettuosa e domandò: “Che cosa pensi tu, amore?”

“Che nonostante tutto ti amo, perché sei comunque una donna non usuale e quando ti osservo mi addentro nel cuore della realtà, fin nelle sue viscere”.

Mi guardò con un’espressione di gratitudine, poi mi domandò con un pizzico di ironia:

“Te ne accorgi soltanto qui estetizzato dalle rovine roventi e ancora macchiate dal sangue dei Pelopidi tragici?”      

“No Ifigenia: ho capito che non eri ordinaria da quando mi telefonasti nell’autunno del 1978 e mi offristi il tuo amore senza condizioni, prima ancora che ti corteggiassi.

Non avevi la ritrosia della zitella frustrata né la scontrosità della vergine assetata di sesso. Recitavi il ruolo della giovane donna disinibita, disinvolta, contenta di sé, una parte a me congeniale, e la recitavi bene per giunta.

Dimostravi una femminilità di razza.

Ora ti amo perché mentre osservo la tua persona che ravviva queste rovine, ricordo il tempo non ancora defunto nel quale hai rinnovato la vita delle mie rovine interiori”.

 

Bologna 29 novembre 2021 ore 19, 31

giovanni ghiselli


p. s.

Statistiche del blog

Sempre1121829

Oggi372

Ieri520

Questo mese12918

Il mese scorso13315

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXX. il corteggiamento di Cleopatra al serpente

L'invidia degli dèi. Amore e morte

 

Uscita la guardia, Cleopatra commenta: "what poor an instrument - may do a noble deed! he brings me liberty" (V, 2, 235 - 236), che misero strumento può compiere un'azione nobile! Egli mi porta la libertà.

 

Nobiltà e libertà sono associate alla morte quando questa ci sottrae alla perdita dell'identità che è insopportabile se una persona ne ha una propria, non gregaria. Si pensi a Dante che è morto terminata la Commedia oppure a Fausto Coppi che, punto da una zanzara, si è lasciato morire appena ha smesso di correre in bicicletta.

 

Segue la negazione della femminilità già citata sopra e accostata a quelle di Medea e di lady Macbeth: “and I have nothing of woman in me” (238 - 239). E’ più facile rinunciare alla propria femminilità, un’identità collettiva, che a quella della nobiltà, identità molto più rara

La guardia esce ed entra il contadino cui Cleopatra domanda: “Hast thou the pretty worm of Nilus there - that kills and pains not? (243) hai tu lì il grazioso serpente del Nilo che uccide senza fare male?

Cleopatra invero riprende la sua femminilità con il serpente quasi corteggiandolo come un amante. Poco più avanti dirà la battuta già citata: the stroke of death is as a lover's pinch (V, 2, 294), il tocco della morte è come il pizzicotto di un amante.

Poi arriva a mostrare un sentimento da nutrice per l'aspide dicendo a Carmiana: "Peace, peace! dost thou not see my baby at my breast - that sucks the nurse asleep?" (V, 2, 317 - 320), silenzio, silenzio! Non vedi che ho Il mio bambino al petto vhe succhia fino a fare addormentare la balia?

Invero Cleopatra è troppo femminile per poter negare la femminilità che fa parte della sua identità profonda non meno della propria regalità

Il contadino conferma che il morso del serpente uccide. Però deve avere notato che Cleopatra corteggia il serpente come il suo prossimo e ultimo amante perché, congedato da Cleopatra, la saluta dicendo: "I wish you all joy of the worm" (260), vi auguro ogni gioia con il serpente.

Chi ama la vita e ama l'amore non smette mai di corteggiare, non può farne a meno.

 

Nel suo ultimo romanzo Svevo scrive. "Ne ho cinquantasette degli anni e sono sicuro che (…) la mia ultima occhiata dal mio letto di morte sarà l'espressione del mio desiderio per la mia infermiera, se questa non sarà mia moglie e se mia moglie avrà permesso che sia bella!" (La coscienza di Zeno, Preambolo)

 

Plutarco scrive che quando il contadino ebbe scoperto i fichi, le guardie ne ammirarono to; kavllo" kai; to; mevgeqo" (85, 3) la grandezza e la grossezza e furono invitati a prenderne, sicché cadde ogni diffidenza verso di lui. La bellezza, anche quella dei fichi, apre molte porte.

Dopo il pranzo, cleopatra sigillò una tavoletta scritta da lei e la mandò a Ottaviano. Gli chiedeva di farla seppellire con Antonio su;n jAntwnivw/

qavyai - (85, 5).

La tendenza a corteggiare sempre non esclude la fedeltà alla persona del tutto congeniale.

 

Allora torniamo a Shakespeare.

Rientra Iras con un manto e una corona . Cleopatra se ne fa adornare perchè sente Antonio che la chiama: "I hear him mock - the luck of Caesar (284 - 285), lo sento schernire la fortuna di Cesare, "which the gods give men - to excuse their after wrath" (285 - 286) che gli dèi concedono agli uomini per giustificare la loro ira futura. Sento un'eco proveniente da Erodoto che avverte sull'invidia degli dèi nei confronti degli uomini dai successi eccessivi.

Quello (Solone) allora disse: "O Creso, tu fai domande sulle vicende umane a me che so che il divino è tutto invidioso e perturbatore. to; qei`on pa`n ejo;n fqonero;n kai; taracw`de" - (Erodoto, Storie, I, 32, 1).

Volendo nobilitare "l'invidia degli dèi" avvalendoci di parti dell'opera, vediamo che essa scatta nei confronti degli uomini di potere che, superando la giusta misura umana, si inorgogliscono e peccano di u{bri", o fanno errori politici, o sbagli militari: come Creso appunto, come Policrate tiranno di Samo, come Serse cui lo zio Artabano dice che il fulmine si abbatte sugli edifici e gli alberi più alti, poiché il dio tende a troncare tutto ciò che si innalza "filevei ga;r oJ qeo;" ta; uJperevconta pavnta kolouvein", VII, 10).

 

Quindi Carmiana saluta e bacia le ancelle amiche Carmiana e Iras che cade morta.

Quindi la battuta splendida con l'associazione tra il tocco della morte e il pizzicotto di un amate which hurts and is desired (295) che fa male ed è desiderato.

E' l'associazione amore e morte diffusa in letteratura antica e moderna

Sentiamo H. Hesse:"Amore e voluttà gli parevano l'unica cosa che potesse davvero scaldare la vita, e darle un valore (…) L'amore delle donne, il gioco dei sessi stava per lui in cima a tutto e il fondo della sua frequente tendenza alla malinconia e al disgusto aveva origine nell'esperienza di quanto sia instabile e fugace la voluttà (…) Morte e voluttà erano una cosa sola"[1].

 

Bologna 29 aprile 2021 ore 11, 26

 giovanni ghiselli

 

p. s.

Statistiche del blog

 Sempre1121596

Oggi139

Ieri520

 

Questo mese12685

 

Il mese scorso13315

 

 

 

 

[1] Narciso e Boccadoro, p. 252.

mercoledì 28 aprile 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXIX. La dignità nella morte di Cleopatra e di Polissena

PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI


Il cesto di fichi per Cleopatra e quello di fragole nel
Riccardo III
Uscito Ottaviano, Cleopatra commenta le promesse di lui con Iras e Carmiana: egli mi raggira, ragazze, mi raggira con parole perché non agisca nobilmente verso me stessa “he words latino verbum- me that I should not be noble to myself (V, 2, 191-192).
Il carattere nobile rimane tale anche nel momento supremo della morte.
Cfr. la morte di Polissena nell’Ecuba di Euripide. La principessa troiana dice a Odisseo che non deve temere di venire importunato da suppliche. Ti seguirò per via della necessità, poi sono io che voglio morire qanei'n te crhv/zomai (347).
 
Se non lo volessi, continua Polissena, kakh; fanou'mai kai; filovyuco" gunhv (348) apparirò quale donna vile e attaccata alla vita. Vengo da una condizione principesca, una ragazza h|/  path;r h\n a[nax-Frugw'n ajpavntwn (349-350) il cui padre era il signoe di tutti i Frigi e dovevo sposare un re. Avevo molti pretendenti. Ero i[sh qeoi'si plh;n to; katqanei'n movnon (356), simile alle dèe a parte che sarei dovuta morire, nu'n  dj eijmi; douvlh, ora sono una schiava. Basta questo nome cui non sono avvezza a farmi amare il morire. Ora posso essere comprata per denaro da padroni crudeli, io, la sorella di Ettore e di molti altri eroi, addetta alla necessità di fare il pane,- prosqei;"  d j ajnavgkhn sitopoiovn ejn dovmoi", 362, di spazzare la casa- saivrein te dw'ma- e stare al telaio  363.
Uno schiavo comprato da qualche parte dou'lo" wjnhtov"  povqen  insozzerà il mio letto - levch de; tajma; cranei' , che una volta era considerato degno di principi. No di certo - Ouj dh't j (367).
Mando fuori dagli occhi una luce libera attribuendo il mio corpo all’Ade (367).
Polissena quindi chiede alla madre di non impedirle quanto ha deciso: mhde;n ejmpodwvn gevnh/ (372), anzi di condividere la sua volontà: morire è meglio che subire turpitudini immeritate (374). Chi non è abituato ad assaggiare i mali li porta sul collo con sofferenza e si sente più fortunato morendo.

Torniamo a Shakespeare
Carmiana dice che il giorno luminoso è finito: we are for the dark (V, 2, 194) siamo pronte per il buio.
Poi rientra Dolabella e conferma che Ottaviano intende inviare la regina a Roma (V, 2, 200-202)
Lo abbiamo già visto nella Vita di Plutarco (84, 2)
Cleopatra rivolta a Iras le dice che cosa si aspetta da quella deportazione: “thou, an Egyptian puppet-dimin. of L. pupa-, shalt be shown-in Rome, as well as I (207-208) tu, quale una marionetta egiziana sarai messa in mostra come me, e saremo alzate alla vista di tutti da volgari schiavi  and forced to drink their vapour- e costrette ad aspirare le loro emanazioni .
Piuttosto che vedersi vilipesa da littori e istrioni i quali rappresenteranno Antonio come ubriaco e che dover assistere a qualche giovanotto mentre,  travestito da becera Cleopatra squeaking Cleopatra , avvilisce la sua grandezza raffigurandola in the posture of a whore (V, 2, 214-219), nell’atteggiamento di una puttana, la donna regale, la donna non comune decide di uccidersi.
Prima di morire però chiede a Charmian e alle altre anncelle  di adornarla dalla regina che  siccome vuole tornare sul Cidno a incontrare Marco Antonio : “I am again for Cydnus-to meet Mark Antony” (V, 2,  227-228)
Comunque ha deciso: “My resolution is placed, and I haved nothing of woman in me: now from head to foot I am a marble-constant; now the fleeting moon non planet of mine” (V, 2, 238-241), la mia risoluzione è presa e io non ho nulla di femminile in me, adesso sno salda come il marmo dalla testa ai piedi,  adesso la luna incostante non è il mio pianeta.
Cfr. Lady Macbeth che vuole defemminilizzarsi quando invoca gli spiriti che apportano pensieri di morte:"unsex me here", snaturatemi il sesso ora, e riempitemi dalla testa ai piedi della crudeltà più orrenda (of direst cruelty). Il sangue di cui gronda la tragedia, nel suo corpo deve  addensarsi e chiudere ogni via di accesso al rimorso ( Macbeth, I, 5).
Cfr. pure la Medea di Seneca la quale pensa di incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima negando la propria femminilità:" pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue./ " (vv. 42-44, scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale, dice a se stessa.
Lady Macbeth e Medea vogliono uccidere altre persone, Cleopatra  solo la schiava che diventerebbe dopo la vittoria di Ottaviano,  e lo fa con regalità: the stroke of death is as a lover's pinch (V, 2, 294), il tocco della morte è come il pizzicotto di un amante.
 
Plutarco racconta che Cleopatra dopo avere incoronato di fiori e abbracciato la tomba di Antonio  ejkevleusen auJth`/ loutro;n genevsqai (Vita di Antonio, 85, 1) ordinò che le si preparasse un bagno. Dopo essersi lavata e accomodata a tavola, fece un pranzo splendido.
Vuole riassestarsi per  incontrare Antonio.
 
Intanto era arrivato un uomo dalla campagna con un cesto- kai; ti" h|ken ajp j ajgrou` kivsthn tina; komivzwn (85, 2).
Le guardie gli domandarono che cosa contenesse ed egli scoperchiatolo e tolte le foglie, mostrò il recipiente pieno di fichi- suvkwn ejpivplewn to;
ajggei`on edeixe (85, 3).
Nel dramma di Shakespeare una guardia  annuncia il contadino: “Here is a rural - L. rur -stem of rus - fellow - that will not be denied your higness’ presence - he brings you figs. (V, 2, 233-234), qui c’è un campagnolo che non vuole gli si neghi la presenza di vostra altezza, egli vi porta dei fichi.

Il cestino con la frutta che sembra un dono, prefigura la morte.
Nel Riccardo III anticipa di poco una condanna capitale.
Nella Torre siede l’intero consiglio della corona  che   aspetta Riccardo il Lord Potettore il quale ha già deciso di condannare a morte il ciambellano lord Hastings che ha cercato di non cedere al complotto ordito per esautorare il legittimo successore al trono,  figlio del defunto Edoardo IV e nipote di Riccardo.
Il quale aveva già risposto “Chop off his head”, tagliargli la testa , alla domanda di Buckingham: "Now, my lord, what shall we do if we perceive Lord Hastings will not yeld to our complots?” allora, signore, che cosa dobbiamo fare se ci rendiamo conto che Lord Hastings non cede ai nostri complotti? (III, 1, 191-193)
Entra dunque Il duca di Gloucester e Lord Potettore del nipote erede al trono. Sono tutti trepidi temendo ciascuno per  sé ma il più allarmato è Hastings che si è opposto al colpo di Stato.
Riccardo non si scopre subito, anzi assume un tono svagato prima di decretare la condanna del ciambellano: “My Lord of Ely, when I was last in Holborn - I saw good strawberries in your garden there;-I do beseech, send for some of them” III, 4, 31-33)
Poche battute dopo, nonostante Hastings abbia cercato di fare ammenda, Riccardo grida infuiato: Off with his hear!” (III, 4, 76), gli si tagli la testa!
 
Jan Kott commenta: “Shakespeare non sapeva la gerogafia. Per lui la Boemia si trova in riva al mare. Anche Firenze per Shakespeare è un porto di  mare. Ignorava anche la storia. Cleopatra si fa slacciare il busto da un’ancella. Shakespeare non aveva mai visto il mare , né una battaglia, né le montagne” Ma conosceva le leggi e gli usi del potere . “Questo è un capitolo del Principe di Machiavelli fatto dramma: la grande scena del colpo di Stato. Ma questa scena è rappresentata da uomini vivi, ed è in questo che sta la superiorità di Shakespeare. Uomini che sanno di essere mortali e che mercanteggiando cercano  di strappare alla storia spietata un briciolo di rispetto per se stessi, le apparenze del coraggio, le apparenze della decenza. Non ci riusciranno: la storia prima ne fsrà degli stracci, poi taglierà loro la testa”[1]

Bologna 28 aprile 2021 ore 19, 36
giovanni ghiselli

p. s
Statistiche del blog
Sempre1121325
Oggi388
Ieri559
Questo mese12414
Il mese scorso13315





[1] Shakespeare nostro contemporaneo, passim

Diverse sono le violenze e varie. Devono essere denunciate e condannate tutte

La violenza sessuale è nefanda ma non è l’unica.

E’ giusto maledire questa ma ce ne sono diverse altre.

Vengono ricordate, esecrate e condannate molte tra quelle fisiche, sebbene non tutte. Dipende da chi le subisce.

Rimangono invece completamente ignorati e impuniti, sebbene ripetuti ogni giorno a tutte le ore, gli stupri inflitti ai cervelli privi della difesa della cultura, alle persone lasciate nella povertà mentale e spirituale. La violenza fisica è anche spirituale, beninteso, ma quella che non fa sanguinare il corpo viene sistematicamente ignorata.

Penso alle martellanti menzogne della pubblicità.

Una propaganda vergognosa che invita la gente povera al consumo di cose brutte, spesso inutili e pure dannose.

Faccio il solo esempio delle persone in sovrappeso invitate a mangiare merendine e altre schifezze del genere sature di conservanti. I bambini diventano obesi per essere stati letteralmente resi succubi di un nutrimento eccessivo e malsano raccomandato con violenza tanto subdola quanto insistente  da  chi ci lucra sopra e dai genitori sedotti pure loro dalla sirena pubblicitaria cui l’ignoranza non può opporre resistenza.

Lasciare il popolo nell’ignoranza è una violenza.

E’ la violenza più diffusa siccome quasi mai denunciata  e proprio mai condannata.

Platone nel Gorgia  denuncia come deleteria l'azione dei politici Ateniesi, Temistocle, Cimone, Pericle, i quali:"  hanno rimpinzato i cittadini e riempito la città di porti, di arsenali, di mura,  di contributi e di altre sciocchezze del genere senza preoccuparsi della temperanza e della giustizia" ( a[neu ga;r swfrosuvnh~ kai; dikaiosuvnh~, 519a).

La premessa è che la polis non è grande ma oijdei' kai; u{poulov~ ejstin (518e), è gonfia e ulcerosa nel suo interno.

 

Perché scrivo questo? Vorrei che il denaro ricevuto dall’Europa venisse impiegato, in massima o almeno in gran parte, per il recupero e il progresso della cultura, a partire da una scuola davvero buona, per il ristoro della salute fisica e mentale, per l’educazione delle donne e degli uomini a diventare veramente umani. Significa volersi bene e aiutarsi a vicenda. Vuole dire vivere, parlare e agire politicamente, cioè per il bene della comunità.

Altrimenti i nostri governanti meriteranno i biasimi rivolti da Socrate nel dialogo di Platone citato sopra a politici che non erano certo peggiori di quelli che hanno ridotto l’Italia in queste condizioni deplorevoli.

 

Bologna 28 aprile 2021 oe 11, 35

giovanni ghiselli

 

p. s

Statistiche del blog

Sempre1121077

Oggi140

Ieri559

Questo mese12166

Il mese scorso13315

martedì 27 aprile 2021

Debrecen e Grecia 1980. Capitolo 14. Nauplion. Micene e la bipede leonessa

La mattina seguente contammo i denari e constatammo che se volevamo arrivare a Bologna senza rubare né cantare e danzare per poi girare con il cappello in mano non potevano permetterci più di dormire nemmeno in un povero ostello né di mangiare neppure in una bettola di grado infimo. Avevamo 62 mila lire e almeno mille chilometri da percorrere con un’automobile gran bevitrice, non  ameno dell’amico Danilo.

A Nauplion la fame e il pensiero della carestia non ci tolsero la voglia di fare una nuotata nel mare sfavillante di luce che, diffusa copiosamente dalle mani generose del sole, attraversava l’acqua facendo brillare i sassi del fondo, le schiene iridate dei pesci e gli aculei bruni bruni dei ricci.

Il corpo di Ifigenia che guizzava esile e muscolosa come una Nereide, mi spinse a impetrare la mia metamorfosi in un mostro marino. Volevo mangiarla non tanto per assimilare la sua bellezza, quanto per il fatto che inattenuata restava la fame crudele e mi incalzava lo stimolo della gola implacata.

Quando uscì dall’acqua non potei trattenermi dal morderle entrambe le cosce carnose.

 

Poi andammo a Micene dove ci fermammo tre ore. Ifigenia camminava esaltata in mezzo alle rovine contaminate dal sangue scuro dei Pelopidi massacrati tra grida inumane di dolore e di odio. La giovane donna biancovestita recitava i versi di Eschilo con i quali la bipede leonessa Clitennestra proclama la giustizia, la bellezza e il piacere del proprio delitto.

“Lo colpisco due volte, e quello con due lamenti, lascia subito crollare le membra. Allora io sul caduto aggiungo un terzo colpo e un ringraziamento votivo a Zeus.

Quello lì disteso vomita lo spirito suo, e soffiando un acre fiotto di sangue mi colpisce con uno spruzzo  di rugiada sanguigna. E io godo non meno di come gioisce della pioggia inviata da Zeus il grano quando nel calice ancora germoglia la spiga”[1]. Un orgasmo con il sangue.

La guardavo affascinato e pensoso.


Bologna 27 aprile 2021 ore 21, 16 

giovanni ghiselli


p. s

Statistiche del blog

Sempre1120831

Oggi453

Ieri437

Questo mese11920

Il mese scorso13315

  

 



[1] Cfr Eschilo, Agamennone, 1258 e 1384-1392

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXVIII. La vita umana come una processione di attori. Regista è la Sorte

PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUI


Aggiungo questo splendido pezzo di Luciano all’argomento

La vita umana come recita che presenterò nel mio corso di giugno

Venne dato da tradurre diversi anni fa quale seconda prova all’esame di maturità. Una volta agli studenti si chiedeva questo. Ero tra gli esaminatori non interni nel liceo Mamiani di Pesaro. Gli studenti furono in grado di tradurre. Doveva essere verso la fine degli anni Ottanta o tra i primi anni Novanta, non ricordo l’anno preciso.

 

Toig£rtoi ™ke‹na Ðrînt… moi ™dÒkei Ð tîn

¢nqrèpwn b…oj pompÍ tini makr´ proseoikšnai,

Dunque a me che guardavo sembrò che la vita umana fosse simile a una lunga processione,

 

corhge‹n d kaˆ diat£ttein kasta  TÚchdi£-

fora kaˆ poik…la to‹j pompeuta‹j t¦ sc»mata

pros£ptousa· tÕn mn g¦r laboàsae„ tÚcoi,

basilikîj dieskeÚasenti£ran te ™piqe‹sa kaˆ

dorufÒrouj paradoàsa kaˆ t¾n kefal¾n stšyasa

tù diad»matitù d okštou scÁma perišqhken·

e che la Tyche la guidasse e ordinasse ogni cosa, applicando ai partecipanti  abbigliamenti  differenti e vari: preso uno infatti, se è il caso, lo equipaggia da re, mettendogli la tiara, attribuendogli guardie del corpo e incoronadogli il capo con un diadema, mentre a un altro dà la foggia di un servo;  

tÕn dš tina kalÕn enai kÒsmhsentÕn d ¥morfon

kaˆ gelo‹on pareskeÚasen· pantodap¾n g£r,

omaide‹ genšsqai t¾n qšan.

uno poi lo adorna in modo che sia bello, un altro invece lo rende deforme e ridicolo: multiforme infatti, credo, debba essere lo spettacolo.

 poll£kij d kaˆ

di¦ mšshj tÁj pompÁj metšbale t¦ ™n…wn sc»mata

oÙk ™îsa e„j tšloj diapompeàsai æj ™t£cqhsan,

¢ll¦ metamfišsasa tÕn mn Kroson ºn£gkase

t¾n toà o„kštou kaˆ a„cmalètou skeu¾n ¢nala-

be‹ntÕn d Mai£ndrion tšwj n toj okštaij

pompeÚonta t¾n toà Polukr£touj turann…da

metenšduse kaˆ mšcri mšn tinoj e‡ase crÁsqai

tù sc»mati·

Spesso poi a metà della processione cambia le parvenze di alcuni: non permettendo che marcino in processione fino al termine  come erano stati ordinti, ma cambiando quell’ordine costringe Creso a prendere il costume di uno schiavo, e di un prigioniero di guerra, mentre Meandrio che fino allora sfilava tra i servi lo riveste con la tirannide di Policrate e per un certo tempo gli lascia indossare quell’abito

™peid¦n d Ð tÁj pompÁj kairÕj

paršlqVthnikaàta ›kastoj ¢podoÝj t¾n skeu¾n

kaˆ ¢podus£menoj tÕ scÁma met¦ toà sèmatoj

™gšneto oŒÒsper Ãn prÕ toà genšsqaimhdn toà

plhs…on diafšrwn.

Quando poi il tempo della processione è passato, allora ciascuno restituendo l’abito e spogliandosi dell’aspetto con il corpo, diventa quale era prima di essere nato, per niente diverso dal vicino.

 œnioi d Øp¢gnwmosÚnhj,

™peid¦n ¢paitÍ tÕn kÒsmon ™pist©sa ¹ TÚch

¥cqonta… te kaˆ ¢ganaktoàsin ésper o„ke…wn

tinîn steriskÒmenoi kaˆ oÙc § prÕj Ñl…gon ™cr»-

santo ¢podidÒntej.

Ma alcuni per stoltezza, quando la Tyche che sta accanto a loro richiede l’adornamento, se la prendono, e se ne dolgono come se fossero privati di alcuni beni propri e non restituissero quello di cui si erano serviti per breve tempo.

 

O mai dš se kaˆ tîn pˆ tÁj skhnÁj poll£kij

˜wrakšnai toÝj tragikoÝj Øpokrit¦j toÚtouj prÕj

t¦j cre…aj tîn dram£twn ¥rti mn Kršontaj,

™n…ote d Pri£mouj gignomšnouj À 'Agamšmnonaj,

kaˆ Ð aÙtÒje„ tÚcoimikrÕn œmprosqen m£la

semnîj tÕ toà Kškropoj À 'Erecqšwj scÁma

mimhs£menoj metÑl…gon o„kšthj proÁlqen ØpÕ

toà poihtoà kekeleusmšnoj.

Io credo che tu abbia visto spesso sulla scena gli attori tragici: questi secondo la necessità dei drammi ora diventano Creonti, talora Priami o Agamennoni, e, se è il caso, il medesimo attore che poco prima recitava con gravità la parte di Cecrope o di Eretteo, poco dopo entra in scena da servo secondo  l’ordine del poeta. 

 

½dh d pšraj œcontoj

toà dr£matoj ¢podus£menoj ›kastoj aÙtîn t¾n

crusÒpaston ™ke…nhn ™sqÁta kaˆ tÕ proswpe‹on

¢poqšmenoj kaˆ katab¦j ¢pÕ tîn ™mbatîn pšnhj

kaˆ tapeinÕj per…eisinoÙkšt'Agamšmnwn Ð

'Atršwj oÙd Kršwn Ð Menoikšwj¢ll¦ Pîloj

Cariklšouj SounieÝj ÑnomazÒmenoj À S£turoj

Qeoge…tonoj Maraqèniojtoiaàta kaˆ t¦ tîn

¢nqrèpwn pr£gmat£ ™stinæj tÒte moi Ðrînti

œdoxen.

 

Quando il dramma è già terminato ciacuno di loro, deposta la veste ricamata d’oro  e messa via la maschera e sceso giù dai coturni, se ne va povero e dimesso, non più Agamennone figlio di Atreo, né Creonte figlio di Meneceo, ma Polo figli di Caricle da Sunio  o Satiro figlio di Teogitone sa Maratona. Così sono sembrate le faccende umane a me come una volta osservavo quello spettacolo.   

 

Luciano (120-185 circa)  Menippo o la Necromanzia  (16, 9-44)

 

 

 

 

 

Bologna 27 aprile 2021 ore 18, 31

 giovanni ghiselli


p. s

Statistiche del blog

Sempre1120716

Oggi338

Ieri437

Questo mese11805

Il mese scorso13315