Nel grande amore di Anna Karenina e Vronskij a un certo punto entra la cattiva Eris, ossia lo spirito della competizione distruttiva dovuta al fatto che lui era in allarme per la propria autonomia minacciata dall'amante; ella a sua volta si sentiva trascinata da una forza oscura verso la discordia:" lei fu contenta di quell’invito alla tenerezza. Ma una stran forza non le permetteva di abbandonarsi alla propria inclinazione, come se le condizioni della lotta non le permettessro di sottomettersi (…) sentì che, a fianco dell'amore che li univa, fra loro si era insediato un certo malvagio spirito di dissidio e che lei non poteva scacciarlo dal cuore di lui, né, ancor meno, dal proprio"[2].
Perfino le espressioni di approvazione diventano sospette e allarmanti quando l'amore, in uno solo dei due, è in fase calante.
"C'era qualcosa di offensivo nel fatto che egli avesse detto: "Questo sì che va bene", come si dice ai bambini quando smettono di fare i capricci; e ancor più offensivo era quel contrasto fra il tono di colpa che aveva lei e quello sicuro di sé di lui: e per un istante Anna sentì sollevarsi dentro di sé il desiderio di lotta; ma, fatto uno sforzo su se stessa, lo soffocò e accolse Vrònskij con la stessa allegria di prima"
Tuttavia la simulazione non regge: "anche sapendo che si rovinava, non poté non fargli vedere quanto lui avesse torto, non poteva sottomettersi" (Anna Karenina parte ottava, capitolo XXIV),
Capita spesso, quasi sempre purtroppo, che gli amanti diventino nemici.
Lo rileva già Ovidio
"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans "(Amores, I, 9, 1-2), è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato
Alcune altre testimonianze sparse qua e là nei secoli
In Le nozze di figaro di Mozart-Da Ponte (del 1786) Marcellina in un'aria (IV, 5) lamenta l'ostilità degli uomini verso le donne. Sono gli unici maschi del mondo a odiare le femmine della loro specie:" Il capro e la capretta/son sempre in amistà./L'agnello all'agnelletta/ la guerra mai non fa./ Le più feroci belve/per selve e per campagne/lascian le lor compagne/in pace e in libertà./ Sol noi, povere femmine,/che tanto amiam quest'uomini/trattate siam dai perfidi/ognor con crudeltà".
In D'Annunzio la donna non poche volte è la nemica, come Ippolita Sanzio lo è di Giorgio Aurispa nel Trionfo della morte (del 1894) di cui cito la conclusione :" Fu una lotta breve e feroce come tra nemici implacabili che avessero covato fino a quell'ora nel profondo dell'anima un odio supremo. E precipitarono nella morte avvinti".
Riferisco anche, per dare un esempio meno noto, alcuni versi di una poesia, di uno dei massimi poeti ungheresi del Novecento, Endre Ady (1877-1919):" Sono le nostre ultime nozze:/Ci strappiamo la carne a colpi di becco/e cadiamo sul fogliame d'autunno" ( Nozze di falchi sul fogliame secco) [3].
Fa rabbrividire, forse perché non è del tutto falsa, una sentenza tragica del misogino suicida C. Pavese"Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco"[4]. E pure, con un pessimismo meno esteso ma più personalizzato:"Sono tuo amante, perciò tuo nemico"[5]. Più avanti c'è invece una riflessione cosmica che può spiegare questa ostilità interna alla coppia:" Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella che si è superata, Zeus contro Tifone, Apollo contro il Pitone. Inversamente, ciò contro cui si combatte è sempre una parte di sé, un antico se stesso. Si combatte soprattutto per non essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non combatte"[6].
C'è un romanzo di M. Kundera, non uno dei più conosciuti, che ha un breve capitolo intitolato "La lotta"; ed è lotta tra i sessi che viene presentata così:" Neanche lei pensava al piacere e all'eccitazione. Si diceva: non ti lascerò, non mi scaccerai, lotterò per tenerti. E il suo sesso che si muoveva su e giù si era trasformato in una macchina da guerra che lei aveva messo in moto e guidava. Si diceva che quella era la sua ultima arma, l'unica che le era rimasta, ma onnipotente. Al ritmo dei suoi movimenti ripeteva fra sé, come il basso ostinato in una composizione musicale: lotterò, lotterò, lotterò, e credeva di vincere (...) Il sesso di Laura si muoveva con forza su e giù. Laura lottava. Lottava per Bernard. Ma contro chi? Contro colui che stringeva a sé e poi di nuovo respingeva, per costringerlo ad assumere un'altra posizione. Questa ginnastica estenuante sul divano e sul tappeto, che li bagnava di sudore, che li lasciava senza fiato, assomigliava alla pantomima di una lotta spietata: lei lottava e lui si difendeva, lei dava ordini e lui ubbidiva"[7].
Lucrezio aveva già descritto questa lotta
"sic in amore Venus simulacris ludit amantis/nec satiare queunt spectando corpora coram/nec manibus quicquam teneris abradere membris/possunt errantes incerti corpore toto./Denique cum membris collatis flore fruuntur/aetatis, iam cum praesagit gaudia corpus/atque in eost Venus ut muliebria conserat arva,/adfigunt avide corpus iunguntque salivas/oris et inspirant pressantes dentibus ora,/nequiquam, quoniam nil inde abradere possunt/nec penetrare et abire in corpus corpore toto;/nam facere interdum velle et certare videntur:/usque adeo cupide in Veneris compagibus haerent,/ membra voluptatis dum vi labefacta liquescunt " (De rerum natura, IV, vv. 1101-1114), così nell'amore Venere con i simulacri beffa gli amanti, né possono saziarsi rimirando i corpi presenti, né con le mani possono raschiare via nulla alle tenere membra, mentre errano incerti per tutto il corpo. Infine, come, congiunte le membra, godono del fiore della giovinezza, quando già il corpo pregusta il piacere e Venere è sul punto di seminare i campi della femmina, inchiodano avidamente il corpo e mescolano le salive della bocca, e ansimano premendo coi denti le labbra, invano poiché di lì non possono raschiare via niente, né penetrare e sparire nel corpo con tutto il corpo, infatti sembrano talvolta volere farlo lottando: a tal punto sono avidamente attaccati nei lacci di Venere, mentre le membra sdilinquite dalla violenza del piacere si struggono.
Aggiungo un mio contributo comparativistico: ne Il castello di Kafka viene descritta una copula del genere per denunciare l'impossibilità o l'impotenza dell'amore tra K. e Frieda:"poiché la seggiola era accanto al capezzale, vacillarono e caddero sul letto. E lì giacquero, ma non con l'abbandono di quella prima notte. Lei cercava qualcosa, e lui pure, e ciascuno, furente e col viso contratto, cercava, conficcando il capo nel petto dell'altro: né i loro amplessi né i loro corpi tesi li rendevan dimentichi, ma anzi li richiamavano al dovere di cercare ancora; come i cani raspano disperatamente il terreno, così essi scavavano l'uno il corpo dell'altro, e poi, delusi, smarriti, per trovare un'ultima felicità, si lambivano a volte con la lingua vicendevolmente il viso. Solo la stanchezza li pacificò e li riempì di mutua gratitudine. Poi sopraggiunsero le due serve. "Guarda quei due sul letto" disse l'una, e per compassione li coprì d'un lenzuolo"[8].
giovanni ghiselli
[1]J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 136.
[2] L. Tolstoj, Anna Karenina (del 1877) , parte ottava, capitoloXII.
[3] Trad. it. Lerici, Milano, 1964.
[4]Il mestiere di vivere , 9 settembre 1946.
[5] Il mestiere di vivere ,18 novembre 1945.
[6]Il mestiere di vivere, 28 dicembre 1947.
[7]M. Kundera,
L'immortalità , p. 169.
[8]F. Kafka, Il
castello , p. 84.
Nessun commento:
Posta un commento