NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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martedì 30 novembre 2021

Hanno fatto trombetta.

 


 

“La Repubblica” 30 novembre pagina 10

Titolo in grassetto

Pnrr, obiettivi vicini

Bene giustizia e digitale

Più indietro i trasporti.

L’acronimo Pnnr, sconosciuto ai più, sembra uno sberleffo fatto con  la lingua tra le labbra o pure la trombetta di Dante, dopo la notizia dei 1000 morti sul lavoro che si trova nella prima pagina del medesimo quotidiano odierno.

Invece pare che significhi “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.

Quel resilienza da resilire “indietreggiare”, “balzare all’indietro”, mi fa pensare all’incipit dell’Epistola 122 di Seneca: “detrimentum iam dies sensit; resiluit aliquantum”. In questa lettera a Lucilio, si tratta del sole che torna indietro e delle giornate che si accorciano, mentre la resilienza attuale è il salto all’indietro, il cammino retrogrado proprio della tutela dei lavoratori, della loro dignità, della loro vita.

 

Quel “Bene giustizia” se la giustizia è questa, grida vendetta.

 

Bologna 30 novembre 2021 ore 21, 19

giovanni ghiselli

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I morti per lavoro.


 

“La Repubblica” del30 novembre 2021. Prima pagina.

“1000

Sono i morti per lavoro  

In dieci mesi. Mai così tanti”

 

La parte alta della pagina è piena di foto con facce di uomini e donne sorridenti. Prima che morissero nel lavoro evidentemente.

Dipinte in questi visi

“son dell’umana gente

le magnifiche sorti e progressive”.

Le sorti tuttora celebrate dai ministri della Repubblica italiana.

 

Bologna 30 novembre 2021 ore 16, 18

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lunedì 29 novembre 2021

Un razzismo odioso quanto quello dei maschilisti.


 

Nella pagina 5 di Bologna Cronaca del quotidiano  “la Repubblica” di oggi, 29 novembre 2021, leggo:

Boldrini “Vorrei un Pd apertamente femminista

E una donna al Quirinale”.

 

Questo è razzismo. Secondo tale richiesta, non importa come sia questa donna.

Ma si sa: basta che sia donna, come una volta bastava essere Ariani.

Non siamo tutti uguali noi uomini e nemmeno le donne lo sono.

Il valore di una persona non dipende da come è conformata tra gambe e nel petto, bensì dall’ ingegno, dalla sensibilità, dall’onestà di ciascuno. Per i miei gusti anche dalla cultura e dal buon gusto che distolgono dal razzismo.

Questo è pericoloso: deriva spesso dalla frustrazione e dal risentimento.

La Presidente emerita della Camera dei deputati viene a Bologna “per presentare il suo ultimo libro”.

 Nell’articolo che sto citando l’emerita dice anche un’amenità: “Il mio libro vuole essere uno strumento a disposizione delle ragazze e dei ragazzi, che devono capire che tante cose che vengono fatte e dette non sono normali”.

Certamente è così, però aggiungo che tante altre non sono vere.

Tre non lo sono in questa intervista.

Una: non è vero che ogni donna è migliore di ogni uomo.

 Due: le donne non sono tutte uguali: le emerite Boldrini e Pivetti non equivalgono a Nilde Jotti che le ha precedute davvero con merito; la deputata detta Cicciolina non era  equivalente a Tina Aselmi né a Rosy Bindi, e non valeva più di Aldo Moro o di Enrico Berlinguer  

Tre: il libro che verrà presentato alle 18 in Sala Borsa detto “a disposizione delle ragazze e dei ragazzi”, probabilmente non lo è  sine pecunia. Questa se non è menzogna è reticenza.

 

 Se non avessi di meglio da fare, ossia studiare per non sproloquiare vanamente  quando farò lezione, domani alla Primo Levi su Lisistrata, giovedì all’Arci di Rovigo introducendo il genere drammatico- tragico, andrei in Sala Borsa a dire queste parole. Comunque le ho scritte e ne sono contento. Le dovevo a voi che mi leggete.

Bologna 29 novembre 2021 ore 17, 05

Giovanni ghiselli

p. s.

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La diffidenza e la transvalutazione operata dal denaro

 


 

Euclione seguita a piangere miseria: “Meam pauperiem conqueror.

Virginem habeo grandem, dotem cassam inlocabilem, ho una figlia di già matura verginità, senza dote, impossibile maritarla (191)

Megadoro promette aiuto: “dabitur; adiuvabere a me ; dic, si quid opust, impera”.

Nemmeno tanta generosità scioglie la dura, glaciale diffidenza di Euclione.

"altera manu fert lapidem, panem ostentat altera "(195).

Poi:"ego istos novi polypos qui ubi quicquid tetigerunt tenent "(198).

Teme che Megadoro voglia patteggiare la restituzione dell’oro che gli ha rubato. E si mette a correre verso casa per vedere se il tesoro c’è ancora.

Megadoro conosce il tipo ma solo in parte: crede che il vicino sia avarissimo a causa della povertà

 Neque illo quisquam est alter hodie ex paupertate parcior”.  

Euclione entra in casa poi ne riesce sollevato: “salva res est” (207). E’ il mito della roba.

Torna vicino a Megadoro il quale gli domanda cosa pensi del suo genus, della fides ,della condotta.

Tutto a posto

Poi fa: “aetatem meam scis (214)  

Non è un limite secondo Euclione: scio esse grandem, item ut pecunia”, so che è grande come il tuo denaro.

Il vecchio che vuole sposare la ragazza non è vecchio anzi è grande, se grande è il suo denaro

 

Cfr.  Shakespeare e K. Marx

Shakespeare nel Timone d'Atene (IV, 3) chiama l'oro "comune bagascia del genere umano"; l'universale mezzana che "profuma e imbalsama come un dì di Aprile quello che un ospedale di ulcerosi respingerebbe con nausea".

 C. Marx ne i Manoscritti economico-filosofici del 1844 , commenta il drammaturgo inglese dicendo che nel denaro rileva:"la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose"(p.154).

 

Megadoro contraccambia i complimenti di Euclione e questo pensa: aurum huic olet : gli arriva il profumo del mio oro 216.

  Megadoro fa la propsta:"filiam tuam mihi uxorem posco. Promitte hoc fore "(219).

Euclione ribatte che si sente preso in giro, lui povero dal  vicino ricco, e dice che non se lo merita

Megadoro lo assicura che non lo sta canzonando.

Euclione gli domanda come faccia a volere in moglie sua figlia

Perché vada meglio per te e per me risponde Megadoro con pregevole   semplicità.

Allora Euclione: "Venit hoc mihi in mentem te esse hominem divitem- factiosum me item esse pauperem pauperrimum

 "(226-227) penso che tu sei un uomo ricco, pieno di aderenze, mentre io sono il più povero tra i poveri.

 

Bologna 29 novembre 2021 ore 11, 40

giovanni ghiselli

homo pauperum pauperrimus et ego, sed not cordis.

Non scrivo sempre le traduzioni perché mi sembrano comprensibili dal lettore italiano. Ma se ci sarà richiesta, tradurrò tutto come facevo con il greco

Saluti gianni

p. s.

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Gli idolatri.

L’economia prima della salute è la parola d’ordine.

Una volta si diceva che questa era « vincere ! » poi si perdeva la guerra costata centinaia di migliaia di vite umane.

 

 Inizio della seconda scena dell’Aulularia di Plauto

 

Euclione e Megadoro

I due vecchi si incontrano per strada. L’avaro Euclione non ha trovato il magister curiae.

Megadoro saluta affabilmente Salvus atque fortunatus, Euclio, semper sies! (182)

Euclione risponde Di te ament!

Sospetta però, e tra sé dice ubi dives blande appellat pauperem –iam illic homo aurum scit me habere; eo me salutat blandius (184-185).

Illic è arcaico per ille.

Euclione lamenta che non va troppo bene per via del denaro ego haud perbene a pecunia (186)

Megadoro risponde si est animus aequus sat habes qui bene vitam colas (187)

L’avaro teme che la sua vecchia serva abbia parlato e si propone cui ego iam linguam praecidam atque oculos effodiam  domi (189).

Chi ama troppo il denaro non può amare né rispettare il prossimo. Euclione è un idolatra.

 

 

nel De ira  Seneca   ricorda che i re incrudeliscono e compiono rapine e distruggono Stati costruiti con lunga fatica di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt ut aurum argentumque in cinere urbium scrutentur " (III, 33, 1).

 

Il culto idolatrico del denaro porta all'annientamento di ogni altro valore, di ogni bellezza, di ogni gioia.

D. H. Lawrence fa su questo tema una riflessione che si può collegare anche a quanto si è detto a proposito del cambiamento dei significati delle parole in certi periodi:" Tutte le grandi parole, pensava Connie, erano diventate vane per la gente della sua generazione; amore, gioia, felicità, casa, padre, madre, marito, tutte quelle grandi parole erano presso che morte ora, e andavano morendo di giorno in giorno.

La casa non era che un luogo dove si viveva; l'amore una cosa che non ingannava più; la gioia una parola da applicarsi a un bel charleston; la felicità un termine ipocrita usato per ingannare gli altri; il padre era una persona che si godeva la vita; il marito un uomo con cui si viveva e si cercava di tenere il buon umore. E quanto al sesso, l'ultima grande parola, non era che un nome da cocktail applicato a una eccitazione fugace che divertiva un istante e lasciava più flaccidi di prima (…)Il denaro? Forse era un'altra cosa. Si aveva sempre bisogno di denaro. Il denaro, il successo, la dea-cagna (…) erano necessità permanenti (…) Per far muovere il meccanismo della vita, si ha bisogno di denaro. Bisogna averne. Bisogna avere denaro. Non si ha veramente bisogno di nient'altro, in fondo. Tutto qui! Non è colpa nostra se viviamo; e, dal momento che viviamo, il denaro è una necessità, la sola necessità assoluta.

Di ogni altra cosa, alla peggio, si può fare a meno. Ma non del denaro. Per l'ultima volta: tutto qui!"[1].

 

Infine la Bibbia a proposito degli idolatri:"Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15-18).

 

Bologna 29 novembre 2021

giovanni ghiselli

 

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[1] D. H. Lawrence, L'amante di Lady Chatterly (del 1928), p. 80.

domenica 28 novembre 2021

La nausea della chiacchiera.


 

La nausea della chiacchiera vuota di significato continuamente prodotta da uomini e donne insignificanti

 

Diversi testi antichi denunciano la chiacchiera delle donne.

Li riporto allagando il  biasimo a ogni chiacchiera e ciancia che dobbiamo subire troppo spesso da personaggi di entrambi i sessi.

Rare sono le persone che non chiacchierano ma parlano o stanno zitte. Poche e davvero pregevoli.

 

Nell’Aulularia di Plauto, il vecchio ricco Megadoro viene spinto dalla sorella Eunomia a sposare la figlia dell’avaro Euclione.

Il fratello oppone resistenza.

Eunomia insiste e ammette di essere una chiacchierona come tutte le donne

"nam multum loquaces merito omnes habemur

nec mutam profecto repertam ullam esse "(124-125), giustamente siamo ritenute tutta loquaci e di certo non si è mai trovato una donna muta.

Nell’ Aiace di Sofocle, quando Tecmessa cerca di distogliere l’amante dal suicidio il Telamonio le risponde

"donna, alle donne conferisce bellezza il silenzio"(v.293).

 

Si diceva che Giulio Andreotti avesse citato questo verso alla collega Adele Faccio nei primi anni Settanta quando donne e uomini politici erano colti.

 

Negli Eraclidi di Euripide il coro dei vecchi ateniesi afferma che gli araldi ingrandiscono quanto è accaduto raddoppiandolo e innalzandolo come una torre (pa`si khvruxi novmo~ di;~ tovsa purgou`n, v. 293)..

Si tratta dell’araldo di Euristeo che ha minacciato Demofonte il quale lo ha cacciato.

Cfr. le chiacchiere dei conduttori televisivi.

La figlia di Eracle Macaria dice a Demofonte re di Atene

" per la donna gunaikiv  il silenzio sighv- e la temperanza kai; to; swfronei'n- sono  le cose più bella kavlliston-, e rimanere tranquillamente dentro casa ei[sw q  j h{sucon mevnein dovmwn-"(Eraclidi, 476-477).

 

Nelle tragedie di Euripide la vedova di Ettore si presenta come la buona sposa, casalinga e silenziosa. Tale autoelogio si trova già nella tragedia Andromaca del 427, poi nelle Troiane del 415.

Andromaca dice che non lasciava entrare in casa scaltre chiacchiere di femmine: e[sw te melavqrwn komya; qhleiw`n e[ph-oujk eijsefrouvmhn (Troiane, vv. 651-652) e allo sposo offriva silenzio di lingua e volto calmo (glwvssh" te sigh;n o[mma  q  j  h{sucon, Troiane, 654).

 

Veniamo alla Storia che, come ebbe a scrivere Vico, nasce dalla poesia.

Polibio conclude il XXXI capitolo delle sue Storie mettendo in rilievo che la fama della nobiltà morale di Scipione Emiliano andò crescendo grazie alle donne che chiacchierano fino alla nausea su qualsiasi argomento nel quale si  siano gettate (" a{te tou' tw'n gunaikw'n gevnou" kai; lavlou kai; katakorou'" o[nto", ef j  o{ ti a]n oJrmhvsh/", XXXI, 26, 10).

Queste chiacchiere femminili elogiative per la pietas del distruttore di Cartagine verso la propria madre, furono uno degli strumenti della buona Fortuna che assecondò la sua indole ottima secondo Polibio.

 

Ho visto un film-La persona peggiore del mondo- con un personaggio femminile di grande levatura.

Una donna che è curiosa della vita e sa cogliere le occasioni –soprattutto quelle amorose- che la vita offre. Un film norvegese. Mi è piaciuto anche perché quella donna mi ha fatto tornare in mente le mie tre amiche finlandesi che sapevano tanto ascoltare quanto parlare e non si tiravano indietro di fronte all’offerta di esperienza accrescitive del sapere della gioia e della propria persona.

Cicerone nel De finibus bonorum et malorum [1] premette che è innato in noi l’amore della conoscenza e del sapere, e tanto grande che la natura umana vi è trascinata senza l’attrattiva di alcun profitto. Questo si vede dall’episodio odissiaco delle sirene le quali attiravano i naviganti non per la dolcezza della voce o la novità dei canti “sed quia multa se scire profitebantur” (V, 18), ma poiché dichiaravano di sapere molte cose. Quindi l’Arpinate conclude: “Vidit Homerus probari fabulam non posse, si cantiunculis tantus irretitus vir teneretur, scientiam pollicentur, quam non erat mirum sapientiae cupǐdo patriā esse cariorem. Atque omnia quidem scire, cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum”, Omero si accorse che il mito non poteva essere approvato se un uomo di quella levatura fosse stato trattenuto irretito da canzoncine, il sapere promettono, e non era strano che a uno bramoso di sapienza fosse più caro della patria. E certamente la brama di sapere tutto, di qualunque genere sia, è proprio delle persone curiose.

 

Qualche sapere ho dato alle tre amiche finniche curiose; molto sapere, con tanta gioia e conoscenza di me stesso, hanno dato loro a me.

 

 

 Bologna 28 novembre 2021 ore 20, 07 E’ ora di andare a correre. Me lo sono meritato studiando e scrivendo. Ora devo meritarmi la cena

giovanni ghiselli

 

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[1] Del 45 a. C. E’ un dialogo in cinque libri, dedicato a Bruto, sul problema del sommo bene e del sommo male.

Le risse televisive non sono casuali.


 

Le risse televisive sono prima programmate quindi incoraggiate o quanto meno non impedite  tenendo conto dei gusti della maggioranza dei telespettatori.

 Si vuole evitare che costoro facciano come  quelli che osservavano la commedia romana:

 spesso"media inter carmina poscunt -aut ursum aut pugiles; his nam plebecula gaudet " (Orazio, Epistole  II, 1,  vv.185-186), nel mezzo del dramma chiedono l'orso o i pugili; di queste cose infatti gode la plebaglia.

.

 

Terenzio dell’nel prologo dell’ Hecyra ,la Suocera del 165 a. C:,  ricorda che il pubblico abbandonò il teatro quando in precedenza venne rappresentata questa commedia:  la prima volta il  popolo fra tumulti e schiamazzi volò a vedere pugili e funamboli .

La seconda volta, come si sente dire –rumor venit- che   stavano per dare uno spettacolo di gladiatori-datum iri gladiatores- il pubblico vola via- populus convolat (39-40).

 

 Terenzio dunque la terza volta prega gli spettatori "nolite sinere per vos artem musicam/recidere ad paucos "(46-47), non lasciate che per colpa vostra l'arte drammatica divenga il privilegio di pochi.

Il poeta ha sempre considerato guadagno massimo"quam maxume servire vestris commodis ", soddisfare quanto più possibile i vostri desideri.

Dunque date silentium 55.

C'è il problema dei gusti di un pubblico rozzo, e la volontà di raffinarli in Terenzio. Non nei nostri programmatori e conduttori delle discussioni politiche.

La gente non deve cambiare canale e non deve capire quello che davvero succede.

 

Bologna domenica 28 novembre 2021 ore 11, 04. Lavorerò  fino alle 12 per nutrire il mio spirito e quello dei miei lettori, poi bicicletta e sole per rafforzare la salute e migliorare l’aspetto. Sconsiglio le  pastorelle della domenica.

 

giovanni ghiselli

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sabato 27 novembre 2021

L’egoismo e l’avidità sono i genitori del virus


 

Il virus è stato generato e viene allevato dall’avidità e dall’egoismo.  In questa fase di globalizzazione, quando tutto interferisce con tutto, i paesi poveri sono stati lasciati senza vaccino. Ora le varianti arrivano dalle zone meno curate e infettano anche noi pur vaccinati in gran parte.

 

Il male fatto agli altri prima o poi ricade su chi lo fa. Qui si può vedere il contrappasso.

 

Non dico che il virus sia stato mandato dagli dèi per punire l’egoismo di questa nostra società, ma credo che sia stata la natura, violentata in tutti i modi dal consumismo e dalla pretesa di fare crescere il PIL indefinitamente, a darci questo avvertimento: se non porremo un limite a questo maltrattamento della terra del mare e del cielo, se non ridurremo le disuguaglianza tra chi ha troppo e chi ha troppo poco o non ha niente, questo flagello non sarà l’ultimo ad abbattersi sulla nostra specie.

 

Bologna 27 novembre 2021 ore 18, 53

giovanni ghiselli

 

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Senofane


 

I farabutti immaginano che tutti siano simili a loro. Noi quando eravamo ingenui fanciulli nella nostra santa semplicità pensavamo di essere benvoluti per il fatto che volevamo bene.

Poi abbiamo capito che le cose non stanno proprio così.

Senofane di Colofone (VI-V secolo a. C.) ed aleatico, è l’inventore dell’evemerismo prima di Evèmero, siceliota di Messina del IV-III secolo.

Trascrivo alcune parole di elegie di Senofane per farvele conoscere e per non dimenticarle io stesso:

Aijqiopev" te qeou;" sfetevrou" simou;" mevlanav" te

Qrh'/kev" te glaukou;" kai; purrouv" favsi pelevsqai (fr. 13 D., 6-7)

Gli Etiopi dicono che i loro dèi sono camusi e neri

I Traci dicono che sono rossi e dagli occhi verdastri.

 

In un altro frammento frammento leggiamo:

rJwvmh" ga;r ajmeivnwn- ajndrw'n hjd j i{ppwn hJmetevrh sofivh- )2 D., 11-12, la nostra sapienza vale più della forza di uomini e di cavalli.

 

Cfr. Seneca: Valet? Et leones? Formosus est? Et pavones. Velox est? Et equi (Ep. 76, 9).

 

Bologna 27 novembre 2021 ore 11, 54

Giovanni Ghiselli

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venerdì 26 novembre 2021

Il persiano Otane nobile di nome e di fatto.


 

Nel dibattito costituzionale raccontato da Erodoto, Otane  dice che gli sembra opportuno che nessuno divenga più nostro monarca- ejmoi, dokevei e[na me;n hJmevwn mouvnarcon mhkevti genevsqai (III, 80, 2). 

 Questo mouvnarco"  di fatto è un tiranno. A costui l’u{briς deriva dai beni presenti, mentre l’invidia gli è connaturata dall’origine: fqovnoς de; ajrch̃qen  ejmfuvetai ajnqrwvpw/  (Storie, III, 80, 3)

 Il re ha ogni malvagità (e[cei pa'san kakovthta, 80, 4)  che   compie  per arroganza e invidia

Eppure il sovrano non dovrebbe essere invidioso poiché ha tutti i beni.

Invece invidia i cittadini migliori, si compiace dei peggiori (caivrei de; toi'si kakivstoisi tw'n astw'n) ed è ottimo ad accogliere le calunnie ( diabola;ς de; a[ristoς ejndevkesqai, Erodoto,  III, 80, 4).

Quanto allo fqovno", Tacito attribuisce più di una volta l'invidia ai suoi Cesari: Tiberio (14-37) temeva dai migliori un pericolo per sè, dai peggiori disonore per lo stato (ex optimis periculum sibi, a pessimis dedĕcus publicum metuebat , Annales , I, 80).

 

Ma torniamo a Otane di Erodoto (III, 80, 6)

La cosa più grave è questa: "novmaiav te kinevei pavtria kai; bia'tai gunai'ka" kteivnei te ajkrivtou"" (III, 80, 5) sovverte le patrie usanze, violenta le donne e manda a morte senza giudizio. "Così il persiano Otane riassume ciò che è in sostanza il motivo comune fra i Greci per l'opposizione alla tirannide"[1]. 

 

 Nelle tragedie il tiranno è il paradigma mitico di questo principio ( Serse nei Persiani di Eschilo, Creonte di Sofocle e di Euripide nelle Supplici).

 

Invece il governo del popolo ha il nome più bello, l’uguaglianza davanti alla legge: “plh̃qoς de; a[rcon prw̃ta me;n ou[noma pavntwn kavlliston e[cei, ijsonomivhn (6), poi esercita a sorte le magistrature (pavlw/ me;n ajrca;ς a[rcei ) e ha un potere soggetto a controllo (uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei) e presenta tutte le deliberazioni del consiglio all’assemblea pubblica (bouleuvmata de; pavnta ejς to; koino;n ajnafevrei).

 I bouvleumata non sono khruvgmata, ordinanze, editti.

 

Otane dunque propone la democrazia, perché nella massa deve stare ogni potere.

 

Megabizo invece parlò in favore dell’oligarchia ( Erodoto, III, 81).  

Questo altro nobile accetta la critica alla tirannide ma non l’elogio del popolo. Infatti dice non c’è niente di più stupido (oujdevn ejsti ajxunetwvteron, cfr. sunivhmi), né più prepotente ( uJbristovteron) di una moltitudine buona a nulla (oJmivlou ajcrhivou).

Il monarca è caratterizzato dall’ybris, il dh̃moς è sfrenato (ajkovlastoς)

La moltitudine non ha imparato niente da altri e non conosce da sé nulla di buono, e sconvolge lo Stato scagliandosi a[neu novou simile a un fiume invernale (ceimavrrw/ potamw̃/  i[keloς, 81, 2).

 

Per ultimo parlò Dario. Approva Megabizo sulla democrazia, lo confuta sull’oligarchia.

Secondo lui il sistema migliore è la monarchia anche se tw̃/ lovgw/, a parole sono ottime tutte e tre.

Non c’è niente di meglio di un uomo ottimo il quale con il suo senno (gnwvmh/, III, 82, 2) guida tutto il popolo ed è irreprensibile ajmwvmhtoς. Nell’oligarchia invece gli oligarchi giungono a grandi inimicizie, da cui nascono stragi, quindi si passa alla monarchia che così si rivela il regime migliore. Quando invece comanda il dh̃moς (dhvmou te au\ a[rcontoς, III, 82, 4)  è impossibile che non sopravvenga la malvagità (ajduvnata mh; ouj kakovthta ejggivnesqai) e i malvagi instaurano tra loro filivai ijscuraiv, salde amicizie, poiché danneggiano gli interessi comuni cospirando tra loro.

Questo avviene finché li fa cessare uno che viene proclamato monarca. E ancora una volta si vede wJς hJ mounarcivh kravtiston.

Del resto per farla breve: a noi la libertà chi l’ha data?.

-kovqen hJmi'n hJ ejleuqerivh ejgevneto kai; teu' dovnto" ; (III, 82, 5) Non il popolo né l’oligarchia ma un monarca.

Cfr. il rispetto di Erodoto per le culture diverse

 

 Manteniamo dunque la monarchia concluse Dario (III, 82, 5). Vennero dati questi 3 pareri e gli altri quattro nobili aderirono all’ultimo.

Otane che voleva dare ai Persiani l’isonomia, sconfitto, non volle entrare in lizza per diventare re siccome non voleva comandare né essere comandato: “ejgw; me;n nun uJmĩn oujk enagwnieũmai: ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw” (III, 83, 2).

 

Ricordo di nuovo Bertolt Brecht  che dopo Tiberio Gracco, nipote di Scipione l’Africano,  e Friedrich Engels, figlio di un facoltoso industriale,  ha raccolto questo messaggio di vera nobiltà

Infine sentiamo  Bertolt Brecht:

“Io son cresciuto figlio

di benestanti. I miei genitori mi hanno

messo un colletto, e mi hanno educato

nelle abitudini di chi è servito

e istruito nell’arte di dare ordini. Però

quando fui adulto e mi guardai intorno

non mi piacque la gente della mia classe,

né dare ordini né essere servito.

E io lasciai la mia classe e feci lega

Con la gente del basso ceto”[2].

 

Bologna 27 novembre 2021 ore 19, 59

giovanni ghiselli

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[1]C. M. Bowra, Mito E Modernità Della Letteratura Greca  , p. 170.

[2] Scacciato per buone ragioni in Poesie di Svendborg del 1939.

Parerga e Paralipomena.


 

Aggiungo queste parole a quelle scritte ieri sul tema della abominevole violenza contro le donne

 

 

La giornata contro la violenza perpetrata sulle donne.

 

E’ giustissimo ricordare, denunciare e condannare questa violenza mai esecrata abbastanza e tanto meno impedita.

Dunque che alle sfilate e alle fiaccolate seguano i fatti.

I violenti devono essere messi nella condizione di non potere nuocere.

 

Il mio grido di denuncia e di dolore si leva contro questo scempio, però dobbiamo ricordare che l’abominio va esteso ad altri fatti criminali.

 

Un altro obbrobrio è la disoccupazione: mentre i posti migliori  sono riservati alle famiglie dell’oligarchia dominante, le multinazionali possono arbitrariamente licenziare lavoratori dopo averli sottopagati  per anni.

 Tra quelli non licenziati molti muoiono sul lavoro  adulti, anziani e anche giovanissimi, per l’incuria di chi dovrebbe dare loro una formazione e tutelarne l’incolumità.

Le donne subiscono le maggiori ingiustizie pure in questo campo.

Ma delle lavoratrici messe in mezzo alla strada, magari con i figli, o lasciate morire, non si parla abbastanza nei “buoni salotti” televisivi.

 

 

Anche la scuola sempre più degradata e inefficiente  grida vendetta. E’ sparita quasi del tutto la meritocrazia che premiava i ragazzi studiosi e assicurava loro un lavoro appena laureati.

La mia generazione è stata l’ultima a godere di questo diritto.

Leggo che nemmeno quest’anno ci sarà lo scritto all’esame di maturità. La traduzione del brano di greco era l’unica prova davvero seria e difficile, forse anche troppo ai tempi miei, tempi però nei quali la strada verso il lavoro a tempo indeterminato era già spianata una volta conseguita la maturità. Da diversi anni le ragazze studiano più e meglio dei ragazzi. Ebbene, bisognerebbe garantire una scuola che desse sapere e sapienza, non senza una prospettiva sicura di lavoro confacente allo studio ben fatto e meritevole di riconoscimento non solo verbale.

 

giovanni ghiselli