martedì 23 novembre 2021

Aristofane, "I cavalieri" - parte 1 di 2

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Aristofane

I Cavalieri

I

 

I Cavalieri rappresentato alle Lenee del 424 è la prima commedia della quale Aristofane fu anche regista.

In pecedenza lo era stato Callistrato per i Banchettanti del 427 per i Babilonesi del 426 e per gli Acarnesi del 425.

Questa commedia è una satira feroce nei confronti del demagogo Cleone che era il beniamino del popolo.

 

I Banchettanti probabilmente contenevano già un attacco a Cleone.

 

Nella parabasi delle Vespe, Il coro dice al pubblico che Aristofane non ha reso mezzane le sue muse e non se l’è presa con gente dappoco ma con i più potenti con impeto degno di Eracle che attaccò mostri immani (1030).

 L’autore si è messo subito a lottare proprio con quello dalle zanne aguzze (xusta;ς tw` karcarovdonti, 1031). E’ Cleone che ha la voce di un torrente rovinoso e fetore di foca e coglioni immondi di Lamia[1] e culo di cammello (prwkto;n de; kamhvlou, 1035).

 

I Babilonesi affrontavano il tema scottante del rapporto tra Atene e le città alleate diventate suddite. Probabilmente Aristofane faceva qualche riferimento al brutale intervento di Cleone nell’assemblea dell’estate del 427 a proposito della ribellione di Mitilene. Propose un genocidio contro la città ribelle.

 Cleone dopo la rappresentazione intentò un processo contro Aristofane come sappiamo dagli Acarnesi rappresenti alle Lenee del 425 (vv. 377 - 382) “Cleone mi trascinò davanti al Consiglio e mi calunniava (dievballe) e usava la lingua per dire menzogne contro di me (kai; yeudh' kateglwvttizev mou, Acarnesi, 380) e urlava come il torrente Cicloboro, un diluvio. E oramai morivo sotto la melma dei suoi imbrogli. Ora che siamo alle Lenèe prosegue Diceopoli, Cleone non potrà calunniarmi dicendo che infamo la città davanti agli stranieri. Siamo solo noi: l’agone è quello lenaico e gli stranieri non ci sono. Io sono un mendìco ma parlerò della città e dirò cose terribili ma giuste ejgw; de; levxw deina; mevn, divkaia dev (501). La figura di Diceopoli è autobiografica e dichiara guerra alla guerra.

 

Alle Lenèe del 424 Aristofane presentò i Cavalieri e ottenne il primo premio.

Nell’estate del 425 c’era stato l’episodio di Sfacteria con la cattura di 120 Spartiati.

 E’ questo l’antefatto dei Cavalieri scritti dunque tra fine agosto del 425 e inizi gennaio del 424.

Il coro è formato dai cavalieri ateniesi, ostili al regime ma fedeli alla madre polis, e pronti a sacrificarsi per lei.

I personaggi sono Demo un vecchio che sembra rimbecillito e plagiato da Paflagone ma poi si fa furbo , una specie di finto pazzo, personificazione del popolo di Atene. Sotto la maschera di Paflagone gli spettatori riconoscevano il demagogo Cleone.

Il nome si può etimologizzare con il verbo paflavzw (mi agito). Al v. 919 il salcicciaio dice di Paflagone ajnh;r paflavzei.

 

Nella Pace (del 421), Trigeo, il contadino bramoso di pace, dice al Coro di contadini state attenti che Cleone quel Cerbero là sotto paflavzwn kai; kekragwv", agitandosi e urlando, come quando era qui, non ci sia d’impaccio a tirare fuori la dea, la Pace imprigionata da Polemo in un antro.

Cleone era morto nel 422, al pari dello spartano Brasida, l’altro pestello dell Grecia (Pace, v. 259 - 288)

 

 Paflagone è un bursopwvlh" un cuoiaio (buvrsa è pelle conciata, cuoio) che divora i beni comuni. Il suo nome rivela l’origine barbara e servile (oriundo dalla Paflagonia nel nord dell’Asia minore).

Il servo ha acquistato grande potenza (come i liberti Calllisto Pallante e Narcisso dell’imperatore scimunito Claudio 41 - 54).

Gli altri due servi anonimi di Demo (I e II servo con le maschere che imitavano i volti degli strateghi Demostene e Nicia) hanno saputo da un oracolo che come alleato contro Paflagone devono chiamare Agoracrito, un salcicciaio ajllantopwvlhn - ajlla'" - anto" oJ salsiccia e sanguinaccio - insigne per malvagità. I cavalieri saranno contro Paflagone. L’agone si svolge tra questi due ignobili personaggi.

Agoracrito prevarrà poi farà bollire Demo ringiovanendolo senza farlo morire come Medea quando mise a bollire Pelia.

 Cleone viene malamente esautorato. L’Argomento I finisce così: “To; de; dra'ma twn' a[gan kalw'" pepoihmevnwn”, il dramma è di quelli fatti molto bene.

 

 

I Cavalieri di Aristofane (424 a. C.) e la politica italiana di questo 2021 d. C.

 

Nei Cavalieri di Aristofane due beceri, Paflagone e Agoracrito, si contendono i favori di Demo, il popolo, un duvskolon gerovntion, un vecchietto scontroso (42) ujpovkwfon (43) un po’ sordo,

Ha il sopravvento Agoracrito perché è più canaglia dell’altro.

 Non vorrei che il contrasto attuale tra Salvini e la Meloni portasse al risultato del prevalere della parte più sguaiata e scomposta dei due schieramenti politici.

 

Ma vediamo il testo

Sull’orchestra entrano i due servi del popolo che portano le maschere degli strateghi Demostene e Nicia.

 In fondo all’orchestra si vede la casa del popolo

Il primo servo identificabile con Demostene lamenta la sventura toccata a lui e al suo compagno di servitù (Nicia): il cattivo acquisto recente - to;n newvnhton kakovn (2) di un terzo servo, Paflagone il quale infligge continuamente botte agli altri due servitori - plhga;" ajei; prostrivbetai toi'" oijkevtai" (5).

Il servo II lo chiama il primo dei Paflagoni, il vero Paflagone e ne lamenta le calunnie.

I due si lamentano insieme dicendo mumu' 6 volte.

Poi i due cercano di concordare una reazione. Una prova dell’esistenza delle divinità è che “ io sono in odio agli dèi” (34) dice servo II.

Servo I descrive il padrone: Dh'mo" Puknivth", Popolo di Pnice (la sede dell’assemblea) duvskolon gerovntion, un vecchietto scontroso (42) ujpovkwfon un po’ sordo - kwfov", sordo. E’ un masticafave kuamotrwvx (41, kuvamo" e trwvgw, rodo).

Si accedeva ai pubblici uffici, una fonte di reddito per i più in questo Stato assistenziale, grazie a un sorteggio effettuato con le fave.

Cfr. Il gerovntion dei Cavalieri 42 con Il Gerontion di Eliot (1920) Here I am, an old man in a dry month,/ being read by a boy, waiting for rain” 1 - 2. Gerontion non è stato at the hot gates, alle Termopili, My house is a decayed house (7) e il padrone è the Jew, l’ebreo rannicchiato sul davanzale

E’ a dull head among windy spaces (16), una testa intronata fra spazi ventosi. Aspetta un segno. Nella giovinezza dell’anno venne Cristo la tigre nel maggio depravato per essere spartito, mangiato e bevuto.

 Ma oramai prevalgono personaggi equivoci come mr. Silvero, l’affarista omosessuale with caressing hands (25) e altri che origliano. Dopo tale conoscenza che cosa è il perdono? La storia è un labirinto con passaggi nascosti e corridoi tortuosi.

L’eroismo è figlio di vizi innaturali i delitti impongono le virtù.

 

E’ la confusione morale, estetica, quella dove sguazza Paflagone appunto e deruba il gerovntion Demo. La tigre balza nell’anno nuovo e ci divora.

 

 The tiger springs in the new year. Us he devour 51.

Il vecchio si è irrigidito in a rented house (54) in una casa d’affitto

Ha perso beauty in terror, terror in inquisition (60) e

I have lost my passion: why should I need to keep it

Since what is kept must be adultereted? (61 - 62)

Altri protract the profit, prolungano il profitto. Profittatori

Tenants of the house, padroni della casa

Thoughts of a dry brain in a dry month (Gerontion, 79 - 80), pensieri di un arido cervello in un’arida stagione

Aridità, confusione, impotenza.

 

Dunque il padrone ejprivato dou'lon (44) ha comprato un nuovo schiavo bursodevyhn Paflagovna, il conciapelli Paflagone - buvrsa e devyw, stropiccio uno capacissimo di tutto - panourgovtaton - e calunniosissimo. Costui si è messo a carezzare e adulare il Popolo e gli ha fatto il dono del triobolo e[ce triwvbolon (51).

Cleone dopo Sfacteria nel 425 aveva alzato la paga degli Eliasti da due a tre oboli. Sicché Paflagone nutre Demo rubando i piatti preparati dai due colleghi.

 

Servo I (Demostene) dice che era stato lui a preparare ma'zan lakwnikhvn (55) la focaccia laconica di Pilo ma Paflagone gliel’ha rubata e ha imbandito lui th;n uJp j ejmou' memagmevnhn (57) quella impastata da me (mavssw).

 

Il successo di Pilo era stato organizzato militarmente da Demostene ma Cleone aveva guidato la spedizione e si era appropriato dei risultati catturando gli opliti spartani rifugiatisi nell’isola di Sfacteria di fronte a Pilo.

 

Gli Ateniesi sbarcarono con una decisa superiorità numerica (circa 1000 opliti e 1000 peltasti e arcieri, oltre alle ciurme); ma ciò che caratterizzò la battaglia fu che gli Ateniesi non impiegarono gli opliti, bensì i peltasti e arcieri, che dimostrarono per la prima volta - sia pure aiutati dalla superiorità numerica - la loro possibilitȧ di battere con tattica aggirante anche le migliori truppe pesanti, come le spartane. Infine gli opliti spartani, presi alle spalle, ridotti a 292, dovettero arrendersi presso la vecchia fortezza dove s'erano asserragliati.

Per quanto gli Ateniesi non sapessero sfruttare la vittoria, questi prigionieri furono un pegno prezioso per Atene.

 

Nell’Eracle di Euripide ( del 416) Anfitrione fa l’elogio dell’armatura sagittaria to; pavnsofon eu{rhma, l’invenzione più ingegnosa. L’oplita ha solo la lancia, e, spezzata quella, è perduto. Lo è anche se i suoi compagni di schiera sono vili. L’arciere ha molte frecce e può colpire a distanza e respingere i nemici - ejka;" ajfestw;" polemivou" ajmuvnetai (198). La cosa più ingegnosa in battaglia sofo;n mavlista, è salvare la vita sw/vzein to; sw'ma facendo del male ai nemici drw'nta polemivou" kakw'" (202).

 

L’elogio degli armati alla leggera fa pensare all’impresa di Sfacteria

 Gli Ateniesi avevano occupato Pilo e gli Spartani avevano sbarcato 420 olpiti nell’isola di Sfacteria nell’estate del 425 di fronte alla baia di Navarino. Il più valoroso tra gli Spartani era il trierarco Brasida (Tucidide IV, 11, 4) ma rimase ferito.

Cleone, incalzato da Nicia e dalla folla, promise di partire per Pilo portando con sé peltasti e arcieri. (peltasthv" è il fante armato con uno scudo leggero, pevlth - h" - hJ)

Gli Ateniesi ridevano per queste vanterie (IV, 28).

Cleone scelse come collega Demostene tra gli strateghi di Pilo. Lo cooptò perché aveva saputo che intendeva sbarcare nell’isola (IV, 29, 2). Gli era venuta nuova fiducia da un incendio dell’isola. Prima temeva che la boscosità e l’assenza di strade favorisse i pochi Spartani. Gli Ateniesi sbarcarono: erano 800 opliti. Poi si aggiunsero 800 arcieri e peltasti in numero non minore più i Messeni (32, 2). Occuparono le alture e mostrarono agli spartani questa massa di nemici yiloiv, nudi ossia armati alla leggera.

Questi traevano la loro forza dagli archi toxeuvmasi, dai giavellotti ajkontivoi", dalle pietre livqoi" e dalle fionde sfendovnai" usati da lontano. Non si potevano nemmeno attaccare: avevano la possibilità di fuggire o attaccare chi si ritirava (32, 4). Gli opliti ateniesi fronteggiavano quelli spartani, mentre oiJ yiloiv stavano di fianco e dietro, e li saettavano.

 Se attaccati, scappavano, e nella corsa erano avvantaggiati dall’essere leggeri. Gli Spartani si disorientarono (34). Cominciarono a fuggire e i fanti leggeri a inseguirli uccidendoli. Finché gli Spartani si ritirarono nel loro forte.

 Lo stratego dei Messeni chiese una parte degli arcieri e della fanteria leggera per aggirare gli Spartani. Avuti i soldati, difatti li aggirò passando per dirupi. Gli Spartani si trovarono come alle Termopili[2] wj" mikro;n megavlw/ eijkavsai (Tc. IV, 36, 3), si parva licet componere magnis (Virgilio, Georgiche IV, 176) .

Ma invece di morire combattendo, si arresero e vennero catturati.

 Demostene e Cleone volevano portarli vivi ad Atene. Gli Spartani gettarono gli scudi e agitarono in alto le mani - parei'san ta;" ajspivda" oiJ plei'stoi kai; ta;" cei'ra" ajnevseisan (aoristi di parivhmi e ajnaseivw IV, 38). Epitada il comandante spartano era morto. Gli era succeduto Stifone. Dei 420 opliti, 292 di cui 120 spartiati furono fatti prigionieri. Gli altri erano morti. Erano passati 72 giorni dall’inizio.

Fu un fatto incredibile che gli Spartani si fossero arresi. I Messeni devastarono la Laconia. Gli iloti fuggivano e gli Spartani erano in grande difficoltà Tuc. IV, 41).

 

Paflagone, continua Servo I, rincitrullisce il vecchio, poi spaccia calunnie e allora noi prendiamo le frustate kav/ta mastigouvmeqa ( Cavalieri, 64).

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

II

 

Nulla sfugge a Paflagone, aggiunge servo II: tiene una gamba a Pilo e una in assemblea. Con tale scoscio il prwktov" si trova ejn Cavosin (Caoni popolazione dell’Epiro) con il doppio senso derivato da cavskw, sono aperto, gli aperti: le mani tra gli Etoli, etimologizzato con aijtevw - chiedo - , i petulanti; la mente tra i Clopìdi, abitanti di un villaggio del nord est dell’Attica, etimologizzato con klophv, furto, significa tra i ladri (79).

 

Droysen istituiva un’analogia fra Cleone e il “selvaggio Mario”, o peggio ancora il “sanguinario Robespierre”[3].

 

Eppure Droysen avvia una rivalutazione del demagogo ateniese tanto infamato da Tucidide e da Aristofane: “Si può dire quel che si vuole del carattere di Cleone, ma in ogni modo egli era l’anima del sistema democratico ateniese in quel periodo…Frattanto le eterie dovevano impegnarsi non poco nelle trattative allacciate con Sparta; un accenno contenuto nelle Vespe ci fa capire che in quei circoli si pensava seriamente già allora di limitare la democrazia…Cleone appariva il vero difensore contro tali intrighi; ecco perché il coro delle Vespe lo chiama subito in sua difesa, non appena crede di fiutare qualche congiura”[4].

 

Tucidide presenta il demagogo dicendo che era il più violento dei cittadini ("biaiovtato" tw'n politw'n", III, 36, 6) e quello più capace di persuadere ("piqanwvtato"") la massa.

Mitilene nel 327 si ribellò, la rivolta venne repressa e, dopo la resa, Cleone propose di uccidere tutti i Mitilenesi.

 Gli Ateniesi in un primo momento lo approvarono. Poi Diodoto li persuase a punire solo i colpevoli: affermando che risparmiando i Mitilenesi non contrari ad Atene i sostenitori della città egemone sarebbero stati incoraggiati.

 

Similmente Kadár dopo la repressione sovietica della rivoluzione ungherese del 1956 disse: “chi non è contro di noi, è con noi”.

Il partito di Diodoto vinse:"ejkravthse de; hJ tou' Diodovtou" (III, 49, 1) e Mitilene scampò alla distruzione.

 Un poco più di mille ("ojlivgw/ pleivou" cilivwn", III, 50, 1) ribelli furono comunque uccisi, le mura di Mitilene vennero abbattute, le navi portate via e il territorio dell'isola (tranne quello di Metimna) diviso in lotti per i cleruchi ateniesi.

 

Torniamo ai Cavalieri. I due servi non sanno come fare.

Il servo II propone il suicidio bevendo sangue di toro ( ai\ma tauvreion piei'n, 83, come fece Temistocle (cfr. Plutarco, Vita, 31, 6 e Cicerone Brutus 43).

 

Il toro del resto è pure un animale collegato al culto dionisiaco

nelle Rane Aristofane renderà omaggio al collega già morto chiamandolo:"Cratino il divoratore del toro"(Taurofavgo" v. 357), per esaltare la sua vocazione dionisiaca con un epiteto che veniva attribuito allo stesso Dioniso.

Il toro è anche un animale da immolare nei grossi sacrifici: (cfr. Virgilio, Georgiche, II,146 - 147:"et maxima taurus/victima ).

 

Nell’ Edipo re il toro prefigura la fine del re di Tebe imbestiato:"Infatti va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle rupi/inutile con inutile piede bandito in solitudine/cercando di allontanare i vaticini/dell'ombelico della terra; ma questi sempre/vivi gli volano addosso (Edipo re, 477 - 482).

 

Qui nei Cavalieri il toro del sacrificio potrebbe essere Cleone - Paflagone.

 

Il servo I invece suggerisce un altro elemento del culto dionisiaco: il vino.

"Il sesso, l'alcool, il sangue. I tre momenti dionisiaci della vita umana: non si sfugge, o l'uno o l'altro"[5].

Il vino dice la caricatura di Demostene stimola l’inventiva e spinge all’azione.

Chiede al compare servo II un boccale di vino per annaffiare il cervello e dire qualcosa di intelligente to;n nou'n i{n j a[rdw kai; levgw ti dexiovn (96).

La caricatura di Nicia non sa cosa possa combinare l’altro servo con il vino dagli effetti equivoci.

 

Il portiere del castello di Macbeth , una specie di portiere dell'inferno come ipotizza di essere con ironia sofoclea[6], disquisisce, intorno agli effetti del bere sulla libidine: la provoca e la sprovoca; provoca il desiderio ma ne porta via l'esecuzione. " Therefore, much drink may be said to be an equivocator with lechery ", perciò bere molto si può denominare colui che rende equivoca la lascivia: la crea e la distrugge; la spinge innanzi e la tira indietro; la persuade e la scoraggia; "makes him stand to, and not stand to", la mette in piedi e non la tiene su, insomma la equivoca col sonno e dandole una smentita la pianta (II, 3).

 

Il servo II dunque va e torna con il vino dicendo che lo ha rubato senza essere visto: Paflagone dorme u{ptio" mequvwn, supino, ubriaco e russa (rjevgkei, 104), steso sulle pelli.

Poi due bevono alla salute del buon genio ajgaqou' daivmono" (106)

Il servo I manda il II a rubare anche gli oracoli di Paflagone

Nicia va e torna con il furto. Paflagone russava come prima e per giunta scorreggiava sicché non se ne è accorto.

L’oracolo contiene l’elenco dei demagoghi: dopo la morte di Pericle (429) prima uno stuppeiopwvlh" (129) un mercante di stoppa (Eucrate) governava la città, poi un probatopwvlh" (132), un mercante di pecore. E sono due mercanti fa Nicia. Poi il terzo, più schifoso del secondo, bdelurwvtero" (134), bursopwvlh" oJ Paflagwvn, a{rpax, un rapace che strilla kekravkth" con la voce del torrente Cicloboro (137)

 

La commedia i Cavalieri di Aristofane riduce Cleone a “una caricatura ripugnante”[7]

Cicerone nel Brutus scrive: “Cleonem etiam temporibus illis turbulentum[8] illum quidem civem, sed tamen eloquentem constat fuisse” (28), si sa che in quei tempi visse anche Cleone, uomo politico certo agitatore sedizioso sedizioso ma eloquente.

 

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

III

 

La gara di ignobiltà

 

Tra demagogo cuoiaio e quello salsicciaio presso un popolo educato male vince il più ignobile.

 

L’oracolo dice che un altro mercante (pwvlh"), uno che esercita un mestiere straordinario, un ajllantopwvlh~ (143) - ajlla`~ - a`nto~ oj salsiccia, insomma un salsicciaio farà fuori Paflagone.

Proprio in quel momento, per destino, compare un ambulante che reca un banco pieno di budella.

Servo I lo chiamas swth;r salvatore della città e di loro due (148)  

I due servi lusingano il salsicciaio: nu'n oujdeiv", au[rion d j uJpevrmega" (158), tu ora sei niente ma domani stragrande. Sarai duce (tagov") della beata Atene.

Questo si sente deriso (tiv m j katagela'") e chiede perché, invece di canzonarlo, non gli lascino lavare le trippe (pluvnein ta;" koiliva") e vendere le salsicce (pwlei'n te tou;" ajlla'nta") 160 - 161.

Ma Servo I indicando il pubblico gli dice che sarà signore di tutti loro, dell’Agorà, dei porti e della Pnice. Calpesterai la boulhv, farai a pezzi gli strateghi, manderai la gente in galera e nel Pritanèo laikavsei" irrumabis, imporrai la fellatio.

Prova a salire sul tavolo e a guardare il Mediterraneo con tutti i porti, da est a ovest, dalla Caria a Cartagine. Così sarai beato

Salsicciaio domanda “sarò beato, se mi storcerò gli occhi? ” (175)

 Servo I: No, grazie a te, tutto può diventare oggetto di mercato (176).

Si pensi alla globalizzazione.

“Diventerai ajnh;r mevgisto", come dice l’oracolo” (178) .

“Ma io sono solo un salsicciaio, come diverrò un uomo importante?”

“Proprio per questo diventerai potente: sei un poveraccio uno triviale e sei sfrontato” (180 - 181).

 

Aristofane vuole dire che i valori sono stati capovolti.

Si può pensare all’Oedipus si Seneca: L'ordine naturale è sovvertito affermano queste parole di Manto:"Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta " (vv. 366 - 367), è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.

 

Salsicciaio fa: “ oujk ajxiw' jgw' jmauto;n ijscuvein mevga (182)”, io non mi ritengo degno di tanto potere

Allora il Servo I: “mw`n ejk kalw'n kajgaqw'n ? 184, sei forse nato da gente per bene?

“No, da poveri farabutti piuttosto” 185

“Beato per la tua sorte: è il meglio che ti potesse capitare per la carriera politica eij" ta; pravgmata (187), si congratula Servo I.

 

L’aborto come contraccettivo

Ancora l’Oedipus di Seneca: Tutto si trova fuori posto nel corpo emblematico degli animali sacrificati:" Natura versa est; nulla lex utero manet " (v.371), la natura è sovvertita, nessuna regola sussiste per il ventre materno (371) . Cfr. l’aborto come contraccettivo

 

La persona colta è malvista in un ambiente di persone rozze - gente zotica.

Aristofane, Leopardi, Thomas Mann e Platone.

Può succedere perfino dentro la scuola.

 

Il Salsicciaio non ha studiato plh;n grammavtwn ( Aristofane, Cavalieri, 189) a parte le lettere dell’alfabeto e per giunta male.

Servo I “Ma conoscerle pure se male è l’unica cosa che ti danneggia!”

La demagogia non si addice a uomini istruiti e di buoni costumi, ma a uno ignorante e schifoso eij" ajmaqh' kai; bdelurovn (193).

 

Ricordiamo Leopardi:"Né mi diceva il cor che l'età verde/sarei dannato a consumare in questo/natio borgo selvaggio, intra una gente/zotica, vil; cui nomi strani, e spesso/argomento di riso e di trastullo,/son dottrina e saper; che m'odia e fugge,/per invidia non già, che non mi tiene/maggior di sé, ma perché tale estima/ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori/a persona giammai non ne fo segno"[9].

 

Lo sviluppo intellettuale porta alla solitudine.

Sentiamo Tonio Kröger di T. Mann:"Allora, col martirio e l'orgoglio del conoscere, sopravvenne la solitudine, ché la vicinanza dei bonari, delle anime gaiamente ottenebrate, gli riusciva intollerabile, e il marchio sulla sua fronte turbava costoro. Ma sempre più dolce divenne per lui la gioia della parola e della forma"[10]. Ma tale gioia è contaminata dal dolore: "La letteratura non è affatto una vocazione; è una maledizione…perché lo sappiate. E quando principia a farsi sentire questa maledizione? Presto, terribilmente presto. A un'epoca in cui si potrebbe ragionevolmente pretendere di vivere d'amore e d'accordo con Dio e con il mondo, uno comincia a sentirsi segnato, a rendersi conto d'essere in incomprensibile contrasto con gli altri, coi normali, con la gente ordinaria; sempre più fondo si scava l'abisso d'ironia, d'incredulità, d'opposizione, di lucidità, di sensibilità che lo separa dagli uomini; la solitudine lo inghiotte, e da quel momento non c'è più possibilità d'intesa" (p. 238).

I nemici degli intellettuali assomigliano ai non miti giganti del materialismo di cui ci racconta Platone nel Sofista (246) dove segnala una gigantomaciva... peri; th'" oujsiva", una battaglia di giganti sull'essere.

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

IV

 

Servo I ricorda l’oracolo che profetizza la vittoria del Salsicciaio.

 

L’aquila e il serpente: Omero e Aristofane

Aristofane prende da Omero (Iliade, XII, 200 ss) l’immagine della lotta tra l’aquila e il serpente che afferrato dall’uccello rapace poi lo colpisce nel petto vicino al collo e l’aquila deve lasciar cadere la preda. Il serpente sembrava stupido e soccombente, invece l’ha avuta vinta

L’uccello, straziato dal dolore, fuggì a volo, tra i soffi del vento, strillando. Come farà Paflagone.

I Troiani rabbrividirono vedendo torcersi il serpente per terra. L’indovino Polidamante interpreta il segno come brutto per i Troiani l’aquila volava verso destra, poi non ha avuto successo. Ettore però gli risponde laicamente: tu vuoi che io obbedisca agli uccelli dei quali io non mi do pensiero né cura tw'n ou[ ti metatrevpom j oujd j ajlegivzw (238) .

Ettore sente l'amor patrio e dice: "ei|" oijwno;" a[risto" ajmuvnesqai peri; pavtrh""[11] , uno è l'auspicio ottimo: difendere la patria

Comunque qui aveva torto.

 

 Non che queste creature alate conoscano il futuro, “sed volatus avium dirigit deus[12]. Del resto l’ Amleto di Shakesoeare dirà: “ There is special Providence in the fall of a sparrow (Hamlet, V, 2).

Anche nella Parodo dell’ Agamennone di Eschilo il Coro canta che Artemide casta per pietà è irata con gli alati cani del padre (134 - 135), le aquile che hanno divorato una lepre gravida. La dea stugei' de; dei'pnon aijetw'n, odia il pasto delle aquile (138)

 

Il servo I spiega a Salcicciaio che l’aquila di cuoio, dall’artiglia adunca, corrisponde a Paflagone che soccomberà e il dio darà grande gloria ai trippai a meno che preferiscano vendere salsicce ( pwlei'n ajlla'nta", 201)

Il serpente invece è lo stesso salsicciaio poiché il rettile come la salsiccia è makrovn, una cosa lunga (206) ed entrambi bevono sangue - ei\q j aiJmatopwvth" e[sq j o{ t j ajlla`" cwj dravkwn (208)

Il serpente prevarrà sull’aquila se non si lascia ammorbidire dalle chiacchiere (210) ai[ ke mh; qalfqh/' lovgoi"qavlpw, scaldo.

 

Quindi Servo I spiega a Salsicciaio come si governa: deve pasticciare e insaccare insieme gli affari pubblici (tavratte kai; covrdeu j oJmou' ta; pravgmata, 214), e conquistare il popolo addolcendolo con manicaretti di parole. Gli altri requisiti del demagogo li hai: fwnh; miarav, voce ripugnante, sei malnato e piazzaiolo gevgona" kakw'" , ajgorai'o" ei\ (218).

 Dunque mettiti la corona e liba al dio della stupidità (Koavlemo" (221)

 

 Koavlemo" era anche il soprannome del nonno di Cimone, Plutarco, Vita, 4, 4. Cimone era figlio di Milziade che morì in prigione nel 489 perché dopo Maratona non era riuscito a conquistare Paro. Il figlio che rimase orfano da ragazzo aveva fama di beone dissoluto. Dicevano che fosse simile a suo nonno Cimone soprannominato Coalemo, cioè babbeo.

Cimone nel 462 fece un errore politico che gli rovinò la carriera mandando truppe ateniesi in soccorso degli spartani che combattevani gli Iloti ribelli.

I Lacedemoni congedarono gli Ateniesi per timore di una contaminazione culturale.

 

Salcicciaio obietta che Paflagone è temuto dai ricchi e pure il popolo povero ne ha paura, tanto che se la fa addosso.

Allora Demostene ricorda che ci sono iJpph'" a[ndre" ajgaqoi; civlioi (225) mille valorosi che odiano Paflagone a aiuteranno Salcicciaio. E lo faranno anche tw'n politw'n oiJ kaloiv te kajgaqoiv, e chiunque sia una persona perbene tra gli spettatori, e io con loro, e il dio ci assisterà.

Paflagone ha una maschera che non assomiglia a Cleone siccome nessuno dei fabbricanti di costumi oujdei;" tw'n skeuopoiw'n (232) ha voluto farla somigliante, per paura. Ma il pubblico del teatro è intelligente e il mostro verrà riconosciuto.

 

A proposito di kaloiv te kajgaqoiv Leopardi nota che i Greci intendentissimi del bello (Zibaldone, 2546) non potevano separarlo dal buono

La crasi tra bello e buono che troviamo nella parola kalokajgaqiva viene commentata da Leopardi in questo modo: il greco era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

V

 

Paflagone esce dalla casa di Demo ed entra in scena.

Accusa i due servi del Popolo di avere istigato i Calcidesi alla rivolta ricevendo in cambio una coppa calcidica.

Giura per i 12 dèi di cui c’era un altare nell’Agorà che scoprirà la congiura che spinge i Calcidesi alla ribellione per rovesciare la democrazia.

Il fatto storico è che la città di Calcide nell’Eubea si era ribellata ad Atene nel 445.

 

Il salsicciaio accenna a fuggire e Servo I lo prega di non tradire la loro causa. Quindi invoca l’aiuto dei Cavalieri cui arrivo è preannunciato dalla polvere.

 

Parodo 242 - 302

Il corifeo incita gli altri cavalieri a colpire Paflagone il farabutto capace di ogni malefatta pai'e pai'e panou'rgon (247).

 E’ un telwvnh", un pubblicano, un agente delle tasse, quindi bisogna colpire questo burrone, un’ ingorda Cariddi di rapina favragga kai; Cavrubdin ajrpagh'" (248).

Il panou`rgo" compie azioni scellerate pollavki" th`" hJmevra" molte volte al giorno (250).

L’obiettività epica per la quale il nemico esterno, lo spartano per esempio o il Persiano, viene considerato spesso con rispetto, non viene mantenuta nei confronti del nemico interno, quello di classe. Cfr. Tucidide e Tacito.

Paflagone chiama in aiuto i vecchi eliasti confratelli nel triobolo - w\ gevronte" hJliastaiv, fravtere" triwbovlou - 255 - i giudici dell’Eliea, il tribunale popolare, ai quali Cleoni aveva alzato la paga da due a tre oboli.

Nelle Vespe del 422 Aristofane presenterà questi giudici come profittatori fanatici e parziali, plagiati e sfamati dal regime e persecutori dei ricchi.

 

In questi Cavalieri Paflagone - Cleone ricorda agli eliasti che li nutre gridando a dritto e a rovescio - ejgw; bovskw kekragwv" - 256.

Urlare è la negazione del dialogo, del parlare civile e dialettico e viene approvato da chi non sa o non vuole riflettere.

 

Il Corifeo rinfaccia a Paflagone diverse ruberie e vessazioni.

Divori i beni dello Stato - ta; koina; katesqivei" - 257) e palpi come fichi - kajposukavzei" 258) e comprimi i magistrati che devono rendere i conti per vedere chi è acerbo o maturo wjmov" h} pevpwn (260) o non ancora maturo.

Penso che intenda maturus oboedientiae et iniquitati.

 E freghi il cittadino poco accorto (ajmnokw'n - ajmnov" , agnus e koevw, caveo, mi accorgo), ricco, non malvagio e pauroso nell’agire, lo fai venire dal Chersoneso tracio (il granaio di Atene), lo stringi tra le braccia, poi gli fai girare le spalle e glielo fai entrare.

E’ un aspetto ridicolo della persecuzione contro i ricchi praticata dai demagoghi cari al popolo e odiati dalla classe abbiente.

E’ difficile che un ricco, soprattutto se arricchito con il commercio come i commercianti del Chersoneso, sia poco accorto.

 

Paflagone cerca di ingraziarsi i Cavalieri dicendo che intende proporre di innalzare per loro un monumento al valore.

 

Il Corifeo non gli dà retta e mette in guardia il coro: ci abbindola con le chiacchiere come se fossimo dei vecchi.

Lo accusa di essere vago di ciance e di virtù nemico.

Quindi lo minaccia e fa il gesto di prenderlo a calci nel ventre.

Paflagone chiama in aiuto la città e il popolo su cui aveva un reale ascendente.

 

Cosa che non hanno potuto fare i politici della nostra prima repubblica quando caddero sotto i colpi di alcuni magistrati siccome non avevano avuto il sostegno del popolo ma il favore di un governo esterno, favore che poi è venuto meno quando, caduto il muro di Berlino e l’impero sovietico, quei politici asserviti e i loro partiti servivano più.

 

Il corifeo rinfaccia a Paflagone il fatto che gridando cerca di mettere a soqquadro la città. La confusione danneggia gli onesti e favorisce i disonesti.

 

La confusione delle parole tende a confondere le menti.

 

Aristofane nei Cavalieri indica la confusione come male capitale per Atene, eppure utile ai demagohi che se ne avvalgono per distrarre e disorientare il popolo. E poi derubarlo.

In questi ultimi tempi per accrescere la confusione si è tolta chiarezza e perspicuità alle parole: chi parla e perfino chi scrive cerca di non farsi capire. Molte trasmissioni televisive, a partire dai telegiornali, poi il doppiaggio dei film e il farfugliare dei più presentano sfacciatamente dizioni spesso incomprensibili per molti tra quanti ascoltano.

 Poi ci si mette l’inglese, non quale lingua di Shakespeare ma come una lingua franca, fatta di sigle e di formule. Meno si capisce meglio è: più facile diventa ingannare.

La pubblicità inganna in maniera opposta: grida le sue menzogne con chiarezza perché devono rimanere scolpite nel cervello e nell’anima.

 

Paflagone conferma la propria fiducia nell’urlo con il quale conta di volgere in fuga i coreuti avversi.

Ma il corifeo brandisce l’arma segreta dei nemici di Paflagone: un altro becero che lo superi in impudenza - ajnaideiva/ - (277).

 

Dopo lo statuto dei lavoratori dell’ottimo ministro Brodolini di Recanati, abbiamo avuto i Craxi e i Martelli, poi i Bossi, quindi i Salvini, i Di Maio e le Meloni. Di peggio in paggio.

 

Paflagone accusa il Salsicciaio di intesa con gli Spartani e

 Salsicciaio ribatte che Paflagone fa delle scorpacciate nel Pritaneo dove entra kenh'/ th'/ koiliva/ a stomaco vuoto e ne esce a pancia piena pleva/ (280 - 281).

Cleone aveva acquisito il diritto di pranzare nel Pritaneo in seguito alla vittoria di Pilo e il venditore di trippa ora lo accusa di essere un budellone.

 

Nel proemio della Teogonia , Esiodo ci racconta della sua vocazione. Badava al gregge che pascolava sotto l'Elicona, (in Beozia) quando le Muse gli diedero il bastone da rapsodo. Esse intrecciano belle e incantevoli danze sulla cima dell'Elicona e, guizzando con agili piedi, inneggiano agli dei: ad Afrodite dalle ciglia palpitanti 16, ad Atena dagli occhi splendenti, a Crono dai tortuosi disegn (18). Le figlie di Zeus e della Memoria sono Clio (storia), Euterpe (flauto), Talia (commedia), Melpomene (tragedia), Tersicore (danza), Erato (lirica), Polimnia (pantomima), Urania (astronomia) e Calliope (epica), la più prestante di tutte (79).

 

Le Muse dissero: "pastori, solo ventri "gastevre" oi\on " (Teogonia, 26)

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

VI

 

La confusione e il segreto di Stato (arcana rei publicae)

 

Servo I, aggiunge che Paflagone, esporta merci proibite a[rton kai; kreva" kai; tevmaco", pane carne, e pesce salato. Leccornie di cui Pericle non fu mai onorato (282 - 283).

 

Probabilmente era parco come sarà Augusto il quale dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides ( Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.

 

I due rivali si minacciano beceramente gridando insulti e minacce.

Per esempio: Paflagone urla: “ diaforhvsw, ti farò a pezzi se grugnirai qualcosa ei[ ti gruvxei"” (294)

Salsicciaio a Paflagone: ti coprirò di merda se parlerai - koproforhvsw s j eij lalhvsei" (295).

 

Agone I 303 - 460

Il Coro aggredisce Cleone: lo chiama borborotavraxi (307).

 

Il male è sempre la confusione.

Più avanti è il Salsicciaio che rinnova questo epiteto dicendo a Paflagone: tu fai come i pescatori di anguille, i quali le acchiappano, solo se mettono sottosopra il fango: “kai; su; lambavnei", h]n th;n povlin taravtth/" (v. 867), anche tu arraffi, se scompigli la città.

 

La confusione e i segreti di Stato (arcana rei publicae)

Quello della confusione è un tema ricorrente nella Medea di Seneca. La navigazione ha unito, confondendo, parti del mondo che doveva restare separate e distinte.

Così si sono guastati i candida…saecula (Medea, 329) dei padri. "Bene dissaepti foedera mundi/ traxit in unum Thessala pinus,/iussitque pati verbera pontum/partemque metus fieri nostri/mare sepositum" ( Medea, vv. 335 - 339), la nave tessala unificò le parti del cosmo ben separate da un recinto di leggi, e ordinò che il ponto patisse le frustate dei remi; e che il mare lontano divenisse parte della nostra paura.

 Il rischio è quello del ritorno al magma indifferenziato del caos. Infatti “il pretium huius cursus [13], il risultato del caos cosmico provocato dalla prima nave è Medea, emblema del caos etico "[14]. Il mondo pervius ha aperto la via alla "confusion delle persone"[15]

 E' la stessa u{bri" di Serse il quale tentò di trattenere con vincoli la sacra corrente dell'Ellesponto e di unificare ciò che deve restare diviso ( Eschilo, Persiani, vv. 745 - 750).

Questo discorso viene richiamato, nelle Storie di Erodoto, da Temistocle il quale, dopo la vittoria sui Persiani, afferma:"Poiché questa impresa non l'abbiamo compiuta noi, ma gli dèi e gli eroi i quali non permisero che un uomo solo, per giunta empio e temerario, regnasse sull'Asia e sull'Europa, uno che teneva in egual conto le cose sacre e profane, incendiando e abbattendo i simulacri degli dèi, uno che fece frustare e incatenare anche il mare"(VIII, 109)[16].

Un atto disperato compiuto da chi voleva congiungere entità che non possono esserlo (sunavyai ajduvnata[17]): culture, abitudini, norme, di popoli diversi, o anche soltanto i caratteri di due persone incompatibili.

 Il gracchio indistinto. Sovrana è la confusione.

 

Molte persone poco chiare cercano di non farsi capire quando parlano.

Perché lo fanno? Per celare i propri errori per confondere gli ascoltatori affinché non possano accorgersi delle loro menzogne.

 

Questo viene fatto da una donna del circolo dei Verdurin: “

“Poiché non aveva nessuna istruzione e temeva di fare errori di francese, ella ponunciava apposta le parole in maniera confusa pensando che, se le sfuggiva uno sbaglio, sarebbe così rimasto velato di nebulosità che non sarebbe stato possibile distinguerlo con certezza, di modo che la sua conversazione era un gracchio indistinto dal quale emergevano i pochi vocaboli di cui era sicura” Proust, Dalla parte di Swann, p. 218)

Questo trucco veniva usato da alcuni studenti impreparati quando li interrogavo.

Ora lo impiegano coloro che leggono i titoli dei telegiornali e alcuni tra quanti doppiano i film i quali del resto sono spesso parlati in dialetto e quando non ci sono i sottotitoli non si capisce niente. Sovrana è la confusione.

 

 

Aristofane

I Cavalieri

VII

 

La prima cosa è confondere. Manzoni, Gogol’ e oggi da noi

Nelle Anime morte di Gogol’ (1842) un “filosofo giurista” suggerisce al protagonista Čičikov di confondere le idee per rendere impossibile il compito di fare giustizia: “Confondere, confondere e nient’altro: introdurre nel caso nuovi elementi estranei, che coinvolgano altri, complicare e nient’altro. E che si raccapezzi pure il funzionario pietroburghese incaricato. Che ci si raccapezzi!” ripeté guardando Čičikov negli occhi con straordinaria soddisfazione, come il maestro guarda lo scolaro quando gli spiega un punto insidioso della grammatica russa”.

“Già l’importante è trovare delle circostanze capaci di gettare fumo negli occhi, disse Čičikov guardando anche lui negli occhi il filosofo con soddisfazione come uno scolaro che ha capito il punto insidioso spiegato dal maestro”

Il quale riprende: “Le circostanze si troveranno, si troveranno! (…) appena la situazione diventa critica, la prima cosa è confondere. Si può confondere, aggrovigliare tutto così bene che nessuno ci capirà nulla” (p. 374 - 375).

Cfr. l’avvocato Azzecca - garbugli il quale dice a Renzo: “vedete, a saper bene maneggiare le grida, nessuno è reo e nessuno è innocente” ( Manzoni, I promessi sposi, capitolo III).

 

Ancora a proposito di confusione, K. Marx, commenta Shakespeare[18] scrivendo che nel denaro il grande drammaturgo inglese rileva:"la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose"[19].

 

Con la copertura del segreto di Stato è stato confuso gran parte del popolo italiano. Ora dicono che lo toglieranno. Dovranno scusarsi con quanti non hanno creduto alle montature organizzate per nascondere la verità e hanno capito e scritto e detto che nelle stragi erano entrate le mani di pezzi dello Stato diventate cruente. Pasolini è stato ucciso per avere fatto questa denuncia.

La confusione è sempre stata la nebbia che nasconde i moventi, le cause e i promotori dei crimini.

Negli ultimi tempi la confusione massima oscura i significati delle parole prive di chiarezza, ordine sintattico, completezza.

Si ricorre al balbettamento, all’acronimo, all’inglese fatto di sigle e mal pronunciato per togliere lucidità alle parole. Il segreto di Stato può essere tolto, siccome quello che deve rimanere nascosto verrà raccontato in maniera incomprensibile per i più.

 

Ma torniamo al primo agone dei Cavalieri

Il Coro accusa Paflagone di avere sconvolto la città intera, di avere assordato Atene con le sue grida - ta;" j Aqhvna" ejkkekwfwka" bow`n - 311.

 

L’inquinamento acustico

Attualizzo questa accusa ricordando a chi mi legge il rumore delle discoteche, delle motociclette, degli appartementi ristrutturati per mesi e mesi nei condomìni.

Il rumore ostacola la lettura, lo studio, il pensiero, la pace e viene prodotto in quantità sempre maggiore poprio per questo. L’inquinamento acustico è forse il più dannoso ma nessuno lo denuncia

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

VIII

 

Il Coro lancia un’altra accusa a Paflagone: dall’alto delle rocce avvisti i tributi degli alleati come si fa con i tonni (qunnoskopw'n. 312). Non senza la mattanza.

Cfr. la proposta di Cleone di ammazzare tutti i cittadini di Mitilene, l’alleata ribelle nel 427.

 

Salsicciaio procede con i rinfacciamenti a Paflagone delle sue malefatte: manipolazione di buoi macellati e sottrazione di carne ai contadini.

 

Servo I gli rinfaccia uno tiro che lo mise in ridicolo: “prima di arrivare nel borgo di Pergase nuotavo nelle scarpe” (e[neon ejn tai" ejmbavsin, 321). Può darsi che Cleone gli abbia assegnato un compito troppo grande. Forse quello di Sfacteria ma non è probabile perché l’impresa ebbe successo. Certo è che non è chiaro. Quindi la confusione è dappertutto, come il naufragio nel Satyricon.

 

In ogni caso la ridicolizzazione dell’avversario è una costante della schermaglia politica. Ne abbiamo sentite tante su Berlusconi, su Renzi e dette da Renzi il rottamatore dei vecchi ruderi inservibili, e così via.

Ultimamente Salvini si presenta parecchio ingrassato per cui siamo pronti a godere del chiasso che in Italia si fa del bue grasso.

Del resto non gli è mancato il successo, sicché: Italiani “date passo al trionfo del bue grasso”.

 

Il coro rinfaccia a Paflagone l’impudenza che sola protegge gli oratori politici - ajnaivdeian h{per movnh prostatei` rJhtovrwn - 325.

Si ricordi che Tucidide attribuisce a Cleone la qualifica di persuasivo al superlativo - “piqanwvtato"" (III, 36, 6),

non senza “il più violento” del resto (biaiovtato").

 

Qui in Italia la violenza è stata affidata ai sicari delle stragi e ultimamente a certi sindaci pistoleri dei borghi lombardi e veneti.

 

Fidando in questa sfacciataggine, continua il Coro, mungi i forestieri fruttuosi ajmevlgei" tw`n xevvnwn tou;" karpivmou" (326).

Già, e quelli non fruttuosi vengono macellati.

 Poi è menzionato Ippodomo un proprietario terriero fautore della pace che è ridotto a guardare e struggersi - leivbetai qewvmeno" (327).

Ma per fortuna è apparso un altro uomo miarwvtero" (329), più farabutto, che sorpasserà Paflagone nel fare ogni male e anche in audacia - panourgiva/ te kai; qravsei (331).

 

Quindi il coro si rivolge al Salsicciaio e gli chiede di mostrare che una buona educazione non conta nulla nu'n dei'xon wJ" oujde;n levgei to; swfrovnw" trafh'nai (334).

Cfr. “Con la cultura non si mangia” ebbe a dire il ministro Tremonti, un budellone evidentemente - gastevre" oi\on. Perciò è stata distrutta la scuola, quella che ci dava una base su cui potevamo costruire la nostra educazione.

 

Quindi tra i due rivali c’è una gara dove ciascuno gioca al proprio ribasso e cerca di impedire all’altro di parlare: Salsicciaio dice: anche io sono una canaglia - kajgw; ponhrov" eijmi (336)

Il coro gli siggerisce di mettere anche i genitori tra le canaglie.

Salsicciaio rivendica la propria capacità di parlare e fare la salsa, cioè pasticci.

Paflagone obietta che il parlare del suo nemico è pari solo a quello di un avvocatucolo nella causetta contro un meteco.

Per proprio conto invece si vanta di avere ingoiato quvnneia qermav (354) filetti caldi di tonno e di averci bevuto sopra un boccale di vino puro ajkravtou oi{nou coa' - cou'" –acc sing coeva contratto (354). Inoltre mi fotterò gli strateghi di Pilo.

 

Salsicciaio replica di poter trangugiare un budello di bue e trippa di porco, quindi di berci sopra del brodo (to;n zwmovn - quello mevla" era il brodo nero degli Spartani - ), poi senza nemmeno lavarsi ajnapovnippo" 357, potrà sopraffare a forza di grida gli oratori - laruggiw' tou;" rJhvtora" e sconvolgere Nicia (358)

Inoltre può permettersi di mangiare scelivda" (362) costolette di manzo, un cibo da ricchi.

Il popolo mangiava pane, pesce, legumi e olive. E prenderà in appalto mevtalla, le miniere.

 

Paflagone dice che sconvolgerà la bulè con la forza boulh;n biva/ kukhvsw (kukavw che torna a 866 nell’accusa di Salsicciaio).

Salsicciaio lo minaccia: io ti sbatterò il culo invece della salsiccia ( ejgw; de; kinhvsw gev sou prwkto;n ajnti; fuvskh", 364).

Cfr. il cenone del culo di Marziale infelix venter spectat convivia culi (II, 51, 5)

 

Paflagone: “e io ti tirerò fuori dalla porta per le chiappe a testa in giù” (365).

I due si insultano a vicenda minacciando l’uno all’altro torture truci.

Il Coro incoraggia Salsicciaio dicendogli: se riuscirài ad ammollire Paflagone con il primo assalto lo troverai vigliacco: infatti conosco il suo carattere: “deilo;n eujrhvsei": ejgw; ga;r tou;" trovpou" ejpivstamai” (390).

 

Una cosa del genere dice Germanico negli Annales di Tacito in un discorso tenuto ai suoi legionari prima della battaglia della rivincita nel campo di Idistaviso (16 d. C.) con l'intenzione di minimizzare la forza e il valore dei nemici Germani:"Iam corpus ut visu torvum et ad brevem impetum validum, sic nulla vulnerum patientia: sine pudore flagitii, sine cura ducum abire, fugere, pavidos adversis, inter secunda non divini, non humani iuris memores." ( II, 14), il loro corpo poi, come è minaccioso a vedersi e gagliardo per un breve assalto, così non ha resistenza alle ferite, senza vergogna del disonore, senza curarsi dei capi, si allontanano, fuggono, spaventati nelle avversità, immemori nel successo di ogni legge divina e umana. Si può pensare alla sconfitta dei Tedeschi da parte dei Russi nella II guerra mondiale.

 

 Servo I, ossia Demostene dice che Paflagone è parso essere uomo mietendo la messe altrui “ajnh;r e[doxen ei\nai tajllovtrion ajmw'n qevro" (392)

Ora fa seccare (ajfauvei) e vuole vendere quelle spighe - tou;" stavcou" ejkeivnou" 393 di cui ha fatto un mazzo.

 

Sono i 292 prigionieri lacedemoni tra cui 120 Spartiati catturati a Pilo; ajfauvei, probabilmente significa che i prigionieri venivano nutriti poco per ottenere un riscatto maggiore.

Ma Paflagone conta sempre sull’ebetudine di Demo che ha una testa intronata.

Qui in Italia è stata avvilita la scuola e umiliata, abbassata la formazione dei giovani

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

IX

 

Glutei e paradisi fiscali

 

Segue una battuta del Coro sull’incontinenza urinaria del beone Cratino: “se non ti odio - dice a Paflagone - possa io diventare un vello di pecora (kw/dion, 400) nel letto di Cratino o un cantante in una tragedia di Morsimo, un pessimo tragediografo ( cfr. Pace, 803, Rane 151)

Poi: “in tutte le occasioni Paflagone sta seduto sui fiori della corruzione - dwrodovkoisin ejp j a[nqesin i{zwn, 402) - dw`ron e devcomai,accetto doni.

 

Si pensi ai basilh'~ dwrofavgoi, i re divoratori di doni, cui Esiodo chiede di raddrizzare i giudizi (Opere, 263 - 264).

 

Se sputerà il boccone, il Coro brinderà al lieto evento.

 

Ma Paflagone è sicuro di essere insuperabile in impudenza (ajnaideiva/, 409).

 

Salsicciaio afferma che lo supererà siccome è stato nutrito con rimasugli di pane eppure è cresciuto tanto.

 

Paflagone gli domanda: come fai tu nutrito con un cibo da cane a combattere con un cane dalla testa di cazzo? (416).

 

Le natiche per nascondere piccoli furti, i paradisi fiscali per occultare quelli grossi.

 

Nei Cavalieri di Aristofane lo sfacciato salsicciaio Agoracrito racconta una delle sue bricconate: distraeva i cuochi tou;" mageivrou" (418) dicendo: “ : skevyasqe, pai'de": oujc oJra'q j; w{ra neva, celidwvn”(419), guardate ragazzi, non vedete? È primavera, una rondine; quelli guardavano e lui intanto rubava della carne tw'n krew'n e[klepton (420)

Se uno mi vedeva, nascondevo il furto tra le natiche - ajpokruptovmeno" eij" tw; kocwvna tou;" qeou;" ajpwvmnun (424) e spergiuravo sugli dèi.

Da tanti anni piuttosto che nelle natiche gli evasori nascondono i profitti nei paradisi fiscali in modo da non pagare le tasse.

 

Un politico che vide il furto di Agoracrito disse: questo ragazzo non potrà non governare il popolo (426)

Servo I sottolinea che la previsione è azzeccata e si confà al personaggio: uno che ha spergiurato, rubato, un uomo dal culo che teneva stretta la carne è quello che ci vuole per un ruolo politico di comando.

Paflagone minaccia sfracelli: si scaglierà su Salsicciaio sconvolgendo insieme il cielo e la terra a casaccio oJmou' taravttwn thvn te gh'n kai; th;n qavlattan eijkh'/ (431).

 

 Questo sconvolgimento è il correlativo oggettivo della sua anima disordinata come la tempesta finale che subissa Prometeo alla fine della tragedia di Eschilo:

:"certo di fatto e non più soltanto a parole/la terra si è messa a ondeggiare,/e mugghia il profondo rimbombo/del tuono, e le spire del lampo /brillano (e{like~ d j ejklavmpousi steroph`~[20]) ardenti, e i turbini fanno girare/la polvere (strovmboi de; kovnin[21] - eiJlivssousi), e saltano i soffi/di tutti i venti dichiarandosi/una guerra (stavsin[22]) reciprocamente contraria/e sono sconvolti insieme il cielo e il mare ( xuntetavraktai d j aijqh;r povntw/", Prometeo incatenato, vv. 1080 - 1088).

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

X

 

Demagogie varie

 

I due continuano la schermaglia fatta di accuse e insulti

Il Salsicciaio rinfaccia a Paflagone i profitti a lui pervenuti in seguito all’assedio di Potidea nella Calcidica (Cavalieri, 432 - 430 a. C.).

 

Una delle cause della guerra del Peloponneso era stata la questione di Potidea. Questa città della Calcidica era, da una parte, colonia di Corinto, dall'altra, polis alleata e tributaria degli Ateniesi che, in maniera provocatoria, le imposero il distacco dalla madrepatria allontanando gli epidemiurghi, magistrati Corinzi inviati ogni anno a Potidea. I Potideati, cui erano stato richiesto anche di abbattere parte delle sue mura, quella verso il sud di Pallene, la penisola occidentale della Calcidica e di consegnare ostaggi (" ejkevleuon to; ej" Pallhvnhn tei'co" kaqelei'n kai; oJmhvrou" dou'nai", Tucidide, I, 56 ), risposero di no ( anno 432). Gli Ateniesi mandarono un esercito, di cui facevano parte pure Alcibiade e Socrate, ad assediare la città .

Secondo Tucidide gli assediati arrivarono all’antropofagia II, 70 - tine" kai; ajllhvlwn ejgevgeunto (geuvw, gustus, faccio gustare, m. gusto ).

 

Paflagone accusa Salsicciaio di discendere dagli empi sacrileghi contro la dea ejk tw'n ajlithrivwn sev fhmi gegonevnai tw'n th'" qeou' (446) - ajlitaivnw, “mi rendo colpevole”.

 

L’affare di Cilone e il sacrilegio degli Alcmeonidi. Il segreto di Stato

 

Paflagone si riferisce al sacrilegio compiuto dagli Alcmeonidi intorno al 630 quando questi trucidarono i Ciloniani che si erano posti sotto la protezione di Atena. Avevano legato un filo alla statua di Atena: lo svolgevano tenendolo in mano mentre scendevano dall’acropoli, ma quando furono giunti davanti al tempio delle dèe venerande (peri; ta;" semna;" qeav") il filo si ruppe e Megacle con altri arconti lapidarono quelli fuori dal tempio e scannarono quanti si erano rifugiati nel tempio.

Si salvarono solo quelli che invocarono le mogli degli arconti. In seguito gli assassini klhqevnte" ejnagei'" ejmisou'nto, chiamati maledetti erano odiati, mentre i Ciloniani tornati potenti lottavano contro gli Alcmeonidi (Plutarco, Vita di Solone, 12).

Ne parlano anche Erodoto (5, 71) e Tucidide (I, 126)

 Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi scrive che il sacrilegio venne riconosciuto ed esecrato: e i resti dei colpevoli furono esumati dalle tombe e, dopo questo Epimenide, ejkavqhre th;n povlin (I) purificò la città, intorno al 596.

 

Più di trenta anni dopo il sacrilegio dunque.

Come il segreto di Stato tolto alle stragi, posto che venga davvero eliminato.

 

Tucidide scrive che questa vicenda di Cilone venne usata dagli

Spartani contro Pericle.

Poco prima lo scoppio del conflitto, mandavano ambascerie agli Ateniesi con delle accuse, per avere ottimi motivi di guerra:" ejgklhvmata poiouvmenoi, o{pw" sfivsin o{ti megivsth provfasi" ei[h tou' polemei'n"(Tucidide, I, 126, 1). La prima ingiunzione è quella di espellere la macchia della dea:" ejkevleuon tou;" jAqhnaivou" to; a[go"[23] ejlauvnein th'" qeou'" (I, 126, 2).

Ecco l'uso che si può fare della storia locale e della religione contro il nemico politico che poi qui è Pericle, la cui madre, Agariste, era della famiglia dei "maledetti" Alcmeonidi.

 

“Nelle trattative che precedettero lo scoppio della guerra del Peloponneso, le accuse reciproche per colpe di sangue ebbero una parte importante. Gli Spartani rimproveravano agli Ateniesi il sangue di cui essi un paio di secoli innanzi si erano macchiati nel soffocare il tentativo fatto da Cilone per diventare tiranno. L’accusa nel fatto aveva di mira Pericle, discendente dagli Alcmeonidi, che nel massacro avevano avuto la parte direttiva. Gli Ateniesi, in risposta, ammonirono gli Spartani d’espiare da parte loro la contaminazione di sangue di cui si erano macchiati quando avevano ucciso dei supplici nel tempio di Posidone al capo Tenaro, e quando (470) nel tempio di Atena Chalkioikos avevano fatto morir di fame e sepolto nelle vicinanze di esso Pausania, il vincitore di Platea (479), scoperto a tramare contro lo Stato[24]. Per quest’ultimo fatto l’Oracolo aveva già imposto loro una pena espiatoria[25][26].

 

Cilone era un nobile Ateniese, vincitore olimpico e genero di Teagene, tiranno di Megara. Incoraggiato dal dio delfico e aiutato dal suocero, costui nel tempo delle Olimpiadi (nel 636 o nel 632) occupò l'acropoli di Atene per instaurare la tirannide. Gli Ateniesi guidati dall’Alcmeonide Megacle però reagirono e, mentre Cilone con il fratello scapparono, diversi ciloniani vennero uccisi sebbene avessero cercato rifugio nei templi. In seguito a queste uccisioni vennero chiamati sacrileghi ed empi contro la divinità (" ejnagei'" kai; ajlithvrioi th'" qeou'") quelli, e la stirpe che discese da loro (I, 126, 11). Tucidide non nomina gli Alcmeonidi quali responsabili dell'eccidio, ma rileva che i Lacedemoni ordinavano di scacciare la sozzura ( "a[go" oiJ Lakedaimovnioi ejkevleuon ejlauvnein", I, 127, 1), si intende per vendicare gli dèi[27]; in realtà perché sapevano che Pericle vi era implicato per parte di madre, che era nipote di Clistene Alcmeonida, e supponevano che eliminato lui, gli Ateniesi non li avrebbero contrastati.  

 

Salsicciaio replica dicendo a Paflagone: “tuo nonno era uno dei mazzieri” - to;n pavppon ei\nai fhmiv sou - tw`n dorufovrwn - (447 - 448). Questi costituivano la guardia del corpo di Pisistrato che si era fatto tiranno.

 

Quando Solone tornò ad Atene non poté impedire che Pisistrato il quale "aveva qualcosa di seducente e amabile nel conversare" (Plutarco, Vita di Solone , 29), con l'astuzia e con la forza si impadronisse del potere facendosi tiranno (nel 560 la prima volta, fino al 555, poi, dopo un esilio decennale, dal 545 fino alla morte avvenuta nel 527 a.C.)

 

Seguono botte inflitte da Salsicciaio a Paflagone mentre il coro approva.

 

Scena di passaggio 461 - 497

Riprendono le accuse tra i due: Salsicciaio accusa Cleone di essere andato ad Argo per combinare affari da traditore con gli Spartani, ijdiva/ (467) per tornaconto personale.

In realtà gli Ateniesi cercavano di attirare nella loro alleanza gli Argivi rimasti neutrali nel conflitto.

I due beceri si rinfacciano a vicenda complotti con i nemici di Atene.

 

Paflagone si allontana, e Servo I, Demostene, consiglia a Salsicciaio di recarsi nel bouleuthvrion (485) la sala del Consiglio dove il rivale sarà già andato a spargere calunnie. Devi mostrare il tuo senno e giudizio se è vero che una volta nascondevi la carne tra le chiappe - ei[per ajpekruvyw tovte - eij" tw; kocwvna to; kreva" (483 - 484). Deve confermare la grande intelligenza e destrezza di comportamento che aveva da ragazzo.

 

Servo I - paidotribikw'" - 492 - come un maestro di ginnastica, gli fa ungere il collo di grasso perché possa sfuggire alla presa delle calunnie e gli fa mangiare l’aglio (skovrodon) che davano ai galli per eccitarli alla lotta.

Quindi le ultime raccomandazioni: “ricordati - mevmnhso - 495 - 497 di mordere - davknein - calunniare - diabavllein - di rosicchiargli la cresta e torna dopo avergli mangiato i bargigli. Ci aspetta una vera e propria lotta di galli.

 

Aristotele si associa alla cattiva stampa che infama Cleone: “ Klevwn oJ Kleaivnetou o{" dokei` mavlista diafqei`rai to;n dh`mon tai`" oJrmai`", kai; prw`to" ejpi; tou` bhvmato" ajnevkrage kai; ejloidorhvsato - (Costituzione degli Ateniesi, 28, 17 - 19), Cleone figlio di Cleeneto il quale sembra essere stato il principale responsabile della corruzione del popolo con i suoi impulsi violenti: fu il primo a a urlare e insultare dalla tribuna.

 

Pericle ebbe tutt’altro stile e, finché visse (429), la situazione del governo era migliore - beltivw ta; kata; th;n politeivan h\n (27, 21).

Però al tempo della sua rivalità con Cimone che era molto ricco e generoso, Pericle non poteva sostenere con il suo patrimonio le elargizioni del rivale e, ajntidhmagogw`n contrapponendo la propria demagogia a quella dell’avversario, rese retribuito anche il servizio nei tribunali - ejpoivhse de; kai; misqofovra ta; dikasthvria (Costituzione degli Ateniesi, 27, 3).

 Insomma diede impulsi allo Stato assistenziale.

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XI

 

 

Parabasi I 498 - 810

Il Corifeo si rivolge al pubblico come profeta, portavoce di Aristofane: fate attenzione ai nostri anapesti (504)

 - due brevi e una lunga un piede “battuto a rovescio” rispetto al dattilo.

Accentato sulla terza sillaba invece che sulla pima.

Il cavaliere dice che il poeta, Aristofane, odia gli stessi odiati dal Coro e valorosamente marcia contro Tifone e Uragano.

 Titani e Giganti, gli eterni nemici dell’ordine e della cultura. Zeus li ha sepolti nel Tartaro.

Il corifeo spiega perché Aristofane ha esitato prima di assumere la regia dei drammi precedenti diretti da Callistrato:

" non per stoltezza gli è capitato di indugiare ma poiché riteneva che mettere in scena una commedia è l'impresa più difficile di tutte", ajlla; nomivzwn/kwmw/didaskalivan ei\nai calepwvtaton e[rgon aJpavntwn"(vv. 515 - 516).

 

Gli autori di commedie e i politici che vengono a noia.

 

Nella Parabasi il coro avverte che il drammaturgo deve essere cauto con il pubblico il quale abbandona gli autori una volta osannati, appena questi invecchiano e perdono la vena

 

Pericle e gli inquilini che abitano dentro le trasmissioni televisive.

 

I frequentatori abituali delle trasmissioni televisive dovrebbero leggere i classici per non venire a noia. Innanzitutto imparerebbero a parlare in maniera meno confusa e generica, esprimendo con chiarezza idèe e sentimenti invece dei luoghi comuni rancidi, poi non susciterebbero tedio presentando tutti i giorni i loro sembianti per lo più inameni.

Plutarco ricorda che Pericle non si presentava spesso in pubblico, ma come ad intervalli (oi|on ejk dialeimavtwn) per evitare abitudine e sazietà (to; sunece;ς feuvgwn kai; to;n kovron Vita di Pericle, VII, 7.)

A tutti voi che mi laggete ripropongo quanto scrive Orazio nell’Ars poetica: “vos exemplaria Graeca/nocturna versate manu, versate diurna” (vv. 268 - 269), voi leggete e rileggete i modelli greci, di notte e di giorno.

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XII

 

Magnete che aveva vinto molte volte, cantando al suono della lira (yavllwn) e agitando le ali e imitando i Lidi e introducendo insetti nella commedia e tingendosi di verde come le rane, divenuto vecchio e canuto venne rigettato siccome gli era venuto meno il motteggiare - ejxeblhvqh presbuvth" w[n, o{ti tou` skwvptein ajpeleivfqh - Cavalieri 525.

 

 Cratino un tempo grondava lode e veniva cantato nei conviti tanto fiorì quell’uomo - ou[tw" h[nqhsen ejkei`no" (530)

Ora lo vedete delirare senza provarne nemmeno pietà, le corde si allentano, le connessure non tengono e va in giro con una corona secca in testa, morto di sete - stevfanon me;n e[cwn au\on, divyh/ ajpwlolwv" (Cavalieri, 533).

 

Quindi Cratete che vi congedava offrendovi la colazione, impastando dalla delicatissima bocca idee di grande urbanità (539 - 540) . E’ stato l’unico a resistere sebbene non gli siano mancate le cadute.

 

Pensate ai nostri politici trionfanti per qualche tempo, poi caduti nell’oblio o addirittura nel disprezzo.

Mi viene in mente Bossi per tutti. Quindi Macbeth:"Life's but a walking shadow; a poor player , - that struts and frets his hour upon the stage, - and then is heard no more: it is a tale - told by an idiot, full of sound and fury - signifying nothing " (V, 5), la vita è solo un'ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita sul palcoscenico nella sua ora, e poi non se ne parla più, è una storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e foga, che non significa nulla.

 

Magnete vinse alle Dionisie del 472.

 

Cratino vinse la gara comica del 423 battendo le Nuvole di Aristofane con il Fiasco (Putivnh).

La Commedia, moglie legittima del poeta, lo accusava di tradirlo con l’Ebbrezza e di correre dietro ai vinelli giovani. Il poeta rispondeva che un bevitore d’acqua non avrebbe potuto creare nulla di bello.

Cratino coniò il verbo eujripidaristofanivzein, euripidaristofaneggiare.

 

Cratete fu attivo dal 450 al 430. Le sue commedie erano prive di vis polemica. Seguiva il modello di Epicarmo ricorrendo spesso al mito. Lamia per esempio raccontava della regina libica che trasformate in un mostro mezza donna e mezzo asino divorava i bambini

 

Perciò Aristofane ha preso tempo: prima di mettere mano al timone bisogna fare il rematore (ejrevthn genevsqai) , poi stare a prua e osservare i venti, e infine kuberna'n (544) pilotare la nave per proprio conto. Frequenti sono le metafore nautiche.

Cfr. l’insegnamento praticato per gradi: scuole medie, ginnasio, liceo, università.

Ora dal momento che è stato saggio e non è saltato su stoltamente a raccontare sciocchezze - o{ti swfronikw`" koujk ajnohvtw" ejsphdhvsa" ejfluavrei (545) , levate grandi applausi per il poeta affinché se ne vada radioso lavmponti metwvpw/ (550) con la fronte sfolgorante (era calvo)

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XIII

 

Il I semicoro invoca Poseidone , dio dei cavalli, dio delle navi, del Sunio capo sud est dell’Attica, e del promotorio Gerestio all’estremità meridionale dell’Eubea dove c’erano due templi a lui dedicati, signore dei delfini, caro a Formione e a tutti gli Ateniesi

Formione fu un valoroso comandante navale che partecipò alla repressione della rivolta di Samo nel 440 (Tuc, I, 117, 2), e nel 429 sconfisse la flotta Corinzia a Naupatto.

 

Vengono menzionate come care al dio anche le gare nei carri dei giovani fieri i quali del resto possono trarne rovina e addirittura la morte.

 

Nell’Elettra di Sofocle c’è il la storia, del resto inventata dal pedagogo, della morte di Oreste in una gara di carri. Le Nuvole di Aristofane raccontano la passione del giovane Fidippide che per la passione dei cavalli e riempie il proprio padre di debiti.

 

Breve digressione Alcibide e i cavalli, Pericle e la democrazia ateniese

 

Sulla vita privata non irreprensibile di Alcibiade, Tucidide afferma che aveva desideri troppo grandi rispetto alle sue ricchezze, sia per l'allevamento di cavalli sia per le altre spese:" ejpiqumivai" meivzosin h] kata; th;n uJpavrcousan oujsivan ejcrh'to e[" te ta;" iJppotrofiva" kai; ta;" a[lla" dapavna""(VI 15, 3); e, per questo essendo criticabile, non poteva permettersi a lungo l'arroganza con cui diceva:"Kai; proshvkei moi ma'llon eJtevrwn, w\ jAqhnai'oi, a[rcein"(VI 16, 1), spetta a me Ateniesi, più che ad altri comandare.

Pericle poteva contrastare il dh'mo" fino a spingerlo all'ira (kai; pro;" ojrghvn, II, 65, 8) poiché era inattaccabile nelle questioni di denaro:"ciò gli dava l'autorità di dire al popolo la verità, anziché piaggiarlo. Egli ebbe sempre le redini in pugno: se la moltitudine voleva romper la cavezza, egli sapeva imporlesi e intimidirla; se era abbattuta, sapeva rianimarla. Così Atene sotto di lui, "non era più una democrazia che di nome, ma in realtà era l'imperio del primo uomo"[28]. Tucidide usa l’'espressione ( " ejgivgnetov te lovgw/ me;n dhmokrativa, e[rgw/ de; uJpo; tou' prwvtou ajndro;" ajrchv", II, 65, 9) per la quale Jaeger nota che "la teoria filosofica posteriore, della costituzione mista quale ottima forma di Stato, è qui anticipata da Tucidide. La "democrazia" ateniese non è per lui la realizzazione di quell'esteriore eguaglianza meccanica che gli uni esaltano quale apice della giustizia, gli altri condannano quale suo opposto"[29]. Quindi Jaeger ricorda che " nel Menesseno di Platone (238d), Aspasia , la moglie di Pericle... chiama la politica ateniese... una aristocrazia e cerca di provare che questa è e sempre fu "il governo del migliore col consenso del popolo"( met j eujdoxiva" plhvqou" ajristokrativa).

 

La costituzione mista e il comunismo aristocratico.

 

Tucidide usa l’'espressione ( " ejgivgnetov te lovgw/ me;n dhmokrativa, e[rgw/ de; uJpo; tou' prwvtou ajndro;" ajrchv", II, 65, 9), era a parole una democrazia, ma di fatto il governo del primo uomo di Atene (Pericle)

La democrazia ateniese del tempo di Pericle, nel discorso epitafico di Aspasia riferito da Socrate nel Menesseno di Platone è un’aristocrazia con il consenso della massa: “met j eujdoxiva~ plhvqou~ ajristokrativa” (238d).

La costituzione mista mikth; politevia che Polibio vede attuata a Roma (consoli, senato, comizi) e abbozzata già nella rJhvtra di Licurgo (VI, 3, 8) dove c’erano i re, la gerousiva, l’Apella e gli Efori che sindacavano l’operato dei potenti, si trova anche in questa compresenza di democrazia radicale e aristocrazia nell’Atene di Pericle. Platone nella Repubblica giunge ad auspicare un utopistico comunismo aristocratico nella città retta dai filosofi.

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XIV

 

Torniamo alla Parabasi dei Cavalieri.

Capo del I Semicoro

Vogliamo elogiare i nostri padri - eujlogh'sai boulovmeqa tou;" patevra" hJmw'n (565) uomini degni (a[ndre" a[xioi) di questa terra e del peplo. Questo veniva ricamato dalle fanciulle ateniesi e portato sull’Acropoli per la statua della dea da un solenne corteo all culmine delle Panatenee. Si trova ritratto nel fregio del Partenone scolpito da Fidia

Nessuno di loro vedendo i nemici li contò (hjrivqmhsen, 570) ma avevano l’animo sempre pronto alla lotta. Nessuno chiedeva intercessioni a Cleeneto, il padre di Cleone, per essere mantenuto a spese dello stato.

Ora se non ottengono la proedria kai; ta; sitiva (575), il posto in prima fila e il vitto gratuito, si rifiutano di combattere.

Noi invece riteniamo giusto difendere la città e gli dèi della nostra terra valorosamente e gratis - hJmei'" d j ajxiou'men th'/ povlei - proi'ka gennaivw" ajmuvnein kai; qeoi'" ejgcwrivoi" (576 - 577)

In cambio di tanto altruismo chiediamo solo di non suscitare risentimento “se portiamo i capelli lunghi e siamo ripuliti con lo strigile” ( mh; fqonei`qj hjmi'n komw'si mhd j ajpestleggimevnoi", 580 - ajpostlegglizw, stleggiv", striglia, raschiatoio ). I capelli lunghi erano la moda degli Spartani.

 

Le parole usate per gabbare i gonzi. Per esempio “incredibile” e “mozzafiato”

II Semicoro

Viene invocata Pallade che protegge la polis w\ poliou'ce Pallav" (581)

Segue il canonico mito di Stato presente in molti drammi (p. e. nella Medea, nell’Eracle e nelle Supplici di Euripide quindi nell’Edipo a Colono di Sofocle). In queste tragedie Atene viene presentata come città ospitale e soccorrevole dei supplici.

 

Pallade dunque protegge e si prende cura della città più sacra e la migliore di tutte per guerra, poeti, potenza in quanto signora della regione dominante - th'" iJerotavth" ajpasw'n polevmw/ te kai; poihtai'" dunavmei q j uJperferouvsh" medevousa cwvra" (582 - 585).

Pallade è richiesta di apparire nu`n ou\n deu`ro favnhqi e di essere presente con Nivkh, alleata e amica dei padri ateniesi nelle spedizioni e nelle battaglie.

 

La statua di Atena Parthénos crisoelefantina che si trovava nella cella del Partenone, eretta da Fidia nel 447, era rivestita di un peplo, aveva in testa un elmo attico e nella mano destra una Nike con una corona d’oro, nella sinistra una lancia e uno scudo

 

Il capo del II semicoro elogia i cavalli per il loro contributo nelle battaglie.

 

 Pochi mesi prima, nel 425, Nicia aveva condotto una spedizione contro Corinto. Sulle navi erano saliti 2000 opliti e 200 cavalieri che ebbero successo a Soligea a 60 stadi da Corinto.

 

Il cavalli dunque sono degni di encomio.

Avevano comprato le gavette kwqwvna" e alcuni anche skovroda kai; krovmmua (600) aglio e cipolle. Inoltre remavano con alti nitriti: “ijppapai', ti" ejmbalei' (602) chi remerà?

Bisogna prendere i remi e spingerli con forza. Tu non spingi purosangue? Dicevano l’uno all’altro.

E balzavano su Corinto. Poi con gli zoccoli i più giovani scavavano i giacigli e andavano in cerca di strame. E invece di erba medica mangiavano granchi h[sqion de; tou;" pagouvrou" ajnti; poiva" Mhdikh'" (606) andando a caccia di quelli che uscivano dalla nicchia o dal fondo. Con granchi forse Aristofane allude agli abitanti di Corinto, la città dai due mari.

Un granchio, secondo Teoro, un personaggio preso di mira da Aristofane già negli Acarnesi 134, esclamò: non riesco a sfuggire ai cavalieri da nessuna parte.

Questi cavalieri pur ostili a Cleone e al regime da lui imposto sono tanto disposti ai servizi e ai sacrifici in favore di Atene che hanno comunicato il fervore patriottico ai loro cavalli

 

Scene di passaggio 611 - 755

Satira del cretinismo parlamentare

Rientra in scena Salsicciaio e dice al coro di essere diventato nikovboulo" (615) quello che vince nella boulhv.

Il Corifeo è contento e vuole sentire il resoconto esatto safw`" 619

Salsicciaio dunque racconta che entrò nella boulhv dove Cleone tuonava e scagliava menzogne contro i Cavalieri kata; tw`n ijppevwn: mettendo su parole grosse in maniera molto persuasiva li chiamava congiurati - xunwmovta".

 

Pensate alle parole grosse che non significano niente come –una bellezza, una cultura “incredibile” o un panorama “mozzafiato” ripetute frequentemente e sonoramente dagli imbroglioni per impressionare i gonzi.

 

 La Boulè lo ascoltava e impallidì, fece lo sguardo di chi mangia la senape ka[bleye na'pu (631) kai; ta; mevtwp j ajnevspasen e aggrottò la fronte

Salsicciaio vedendo che quel consiglio di idioti abboccava invocò i suoi alleati: Malvagità Impostura, Insolenza e la piazza dove fu allevato chiedendo di dargli ardire e lingua piena di risorse e voce impudente nu`n moi qravso" kai; glw`ttan eu[poron dovte - fwnh;n t’ ajnaidh` (637 - 638)

Mentre meditavo così uno zozzone rottinculo scorreggiò da destra

ejk dexia'" ejpevparde katapuvgwn ajnhvr (639). ajpopevrdomai.

Battuta nonsensical

 

Io mi prostrai, poi con un colpo di chiappe ruppi il cancello che separava il pubblico dai buleuti e cominciai a gridare “porto buone notizie: da quando è iniziata la guerra non ho mai visto le acciughe - ajfuva" - più a buon mercato (644 - 645).

Quelli subito rasserenarono le fronti e mi incoronavano per la buona notizia.

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XV

 

Quando Salsicciaio consigliò di requisire i vasi ai fabbricanti per riempirli di alici i buleuti applaudirono - ajnekrovthsan (651) e lo guardarono a bocca aperta. Atto da materialone tellurico.

A questo punto Paflagone furbo e malizioso , sapendo bene di quali parole soprattutto godeva la Bulè, propose che per la buona notizia (eujaggeliva) si dovevano quvein ejkato;n bou'" th'/ qew'/ (656) sacrificare cento buoi alla dea (Atena)

Il consiglio lo approvò.

Quando mi accorsi di essere vinto dalla merda bovina - continua a raccontare Salsicciaio - ka[gwg j o{te dh; jgnwn toi'" bolivtoi" hjtthmevno" - (658), rilanciai a 200 buoi e consigliai di promettere mille capre ad Artemide se le sardine aiJ tricivde" fossero arrivate a costare un obolo ogni cento.

La bulè allora si volse al Salsicciaio.

 Prevale chi spara pomesse più grosse e difficilmente realizzabili.

I demagoghi a turno rilanciano alzando le offerte “incredibili” per mozzare il fiato appunto e i pensieri di chi li ascolta.

Paflagone accusò il colpo e straparlava - ejkplagei;" ejflhnavfa - 654, allora i prutavnei" presidenti, e gli arcieri oiJ toxovtai della polizia urbana lo trascinavano fuori.

Intanto i buleuti rumoreggiavano per le alici.

Paflagone disse che stava arrivando da Sparta un araldo per la tregua. E i consiglieri: Nuni; peri; spondw'n ; (671) la tregua ora? si capisce: hanno saputo che da noi le alici sono a buon mercato : ouj deovmeqa spondw'n: oj povlemo" eJrpevtw (673), non abbiamo bisogno di tregua: la guerra proceda. La guerra porta pivazioni e distruzioni ma il miraggio di farsi subito una scorpacciata di alici la fa preferire alla pace.

Quindi i buleuti urlavano ai pritani di togliere la seduta e saltavano la cancellata. Si può pensare alle urla e alle risse dei nostri deputati.

Allora Salsicciaio va al mercato a comprare tutto il coriandolo e lo scalogno che c’era , poi li distribuisce gratis ai buleuti e[peita tai'" ajfuvai" ejdivdoun hjduvsmata, quindi davo il condimento per le alici kajcarizovmhn e me li ingraziai. Così con un obolo di coriandolo sono piaciuto tutta la bulè. E me ne venni ejlhvluqa (682).

Pensate alle idiozie che sentiamo in molti dibattiti televisivi dove chi parla deve stare attento a non trasgredire i luoghi comuni dei quali è stata infarcita la testa del pubblico.

 

Coro

Il coro si complimenta con Salsicciaio ma lo avverte che la lotta continua. I Cavalieri saranno suoi alleati

Salsicciaio annuncia l’ingresso in scena di Paflagone infuriato. Entra sollevando un ‘onda sorda (wjqw`n kolovkuma, 692) che porta tempesta. Sconvolge a agita tutto. Mormò che ardire! Esclama il venditore di Salsicce.

Mormò era una specie di strega usata come spauracchio per i bambini

Paflagone spera di fare a pezzi l’avversario con un po’ delle sue menzogne - ti tw'n ejmoi; yeudw'n (695)

Ma Salsicciaio replica: le tue minacce e le spacconate mi hanno fatto godere , sono scoppiato a ridere, poi mi sono messo a scalciare in una danza lasciva (movqwn quella dei marinai che si colpivano le natiche con i piedi) e a gridare chicchirichì - periekokkavsa - (697) perikokkavzw.

 

I due continuano a lanciarsi minacce a vicenda.

Salsicciaio auspica che dalla proedria guadagnata a Pilo Paflagone venga retrocesso all’ultima fila.

Paflagone si vanta di potere rendere il popolo largo e stretto - duvnamai poei'n to;n Dh'mon eujru;n kai; stenovn (720)

E Salsicciaio cwj prwkto;" oumo;" toutogi; sofivzetai (721) anche il mio culo possiede questa abilità.

Volgarità su volgarità si posa.

I due vanno a chiamare Demo.

Salsicciaio lo chiama w\ Dhmivdion, w\ filtaton (726), Populuccio, o carissimo, mentre Paflagone gli chiede di uscire per vedere come il suo fedele servitore viene oltraggiato - e[xelq j, i{n j eijdh`/" uJbrizomai - 727

Il gevrontion esce e domanda Tiv" ,w\ Paflagwvn, ajdikei' se ; chi ti fa torto Paflagone?(729)

Echeggia Saffo: tiv" s j w\ - Yavpf, ajdikhvei ; chi ti fa torto o Saffo? (Ode fr. 1 LP, vv. 19 - 20 l’Inno cletico ad Afrodite)

 

Paflagone risponde che per difendere Demo prende botte (tuvptomai) da Salsicciaio e dai giovinastri del Coro, i cavalieri (730)

 Perché? Tihv ; domanda Demo

 Perché ti voglio bene e sono innamorato di te - oJtih; filw' s j w\ Dh'm j ejrasthv" t j eijmi; sov" (731) .

Poi si presenta Salsicciaio dicendo di essere rivale in amore - ajnterasthv" - di quello.

Comandare è l’amore più grande di questi due.

 “Da lungo tempo ti amo e voglio farti del bene” ejrw`n pavlai sou boulovmenov" te s j eu\ poiei`n (734)

Quindi Salsicciaio mette in guardia Demo dicendogli : sei simile ai ragazzi corteggiati - o{moio" ei\ toi'" paisi; toi'" ejrwmevnoi" (737): preferisci i mercanti come lucernai, cuoiai, calzolai ai kalokajgaqoiv (738).

Paflagone rinfaccia ancora una volta la sua benemerenza di Pilo

Quando gli strateghi si tiravano indietro io navigai fin là e ne riportai prigionieri i Laconi (743)

 

Salsicciaio gli contrappone il proprio furto di una pentola mentre uno la faceva bollire eyovnto" eJtevrou th;n cuvtran uJfeilovmhn (745).

 I due chiedono la convocazione dell’ejkklhsiva (746)

Salsicciaio vorrebbe che l’assemblea non si riunisse nella Pnice mh; jn th`/ pukniv - 749. Teme che Demo uscito di casa e seduto su quella rimanga al solito a bocca aperta come se infilzasse fichi secchi - kevchnen w{sper ejmpodivzwn ijscavda" (v. 755 - caskwv o caivnw)

Il popolo dentro casa è dexiwvtato" (753) accortissimo, ma sulla pietra della Pnice diventa stupido.

 

Nel III capitolo di I promessi sposi il dottor Azzecca - garbugli dice a Renzo: "perché, vedete a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente". E "mentre il dottore mandava fuori tutte queste parole, Renzo lo stava guardando con un'attenzione estatica, come un materialone sta sulla piazza guardando al giocator di bussolotti che, dopo essersi cacciato in bocca stoppa e stoppa e stoppa, ne cava nastro e nastro e nastro, che non finisce mai".

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XVI

 

Agone II 756 - 941

Il coro mette in guardia Salsicciaio contro Paflagone che è poikivlo" ajnhvr (758), variopinto, quindi camaleontico, capace di adeguarsi alle situazioni

 

Nella parodo dell’Ecuba di Euripide il coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come «lo scaltro (oJ poikilovfrwn[30])/ furfante dal dolce eloquio, adulatore del popolo» (vv. 131 - 132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena. In questa tragedia Ulisse è un freddo politico per cui vale solo la ragion di stato che calpesta tante vite innocenti.

Nel primo episodio la vecchia regina esautorata, la madre dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa dannata dei demagoghi:

«Razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza? Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue?» (Ecuba, vv. 254 - 261).

Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.

 

Paflagone, continua salsicciaio, siccome poikivlo" ajnhvr è eujmhvcano" porvou" porivzein, capace di trovare vie di uscita kajk tw`n ajmhvcanwn (758 - 759) anche da dove non c’è verso di evadere.

 

Viene in mente l’Odisseo di Omero

Nel primo canto dell’Odissea Mente - Atena preconizza a Telemaco il ritorno del padre suo: afferma di saperlo senza essere un profeta ("mavnti"") né un esperto di uccelli (" ou[t& oijwnw'n savfa eijdwv"", v. 203) ma congetturandolo con l'intelligenza, ispirata del resto dai numi: Odisseo saprà tornare " ejpei; polumhvcanov" ejstin" (v. 205), poiché ha molte risorse.

 

Dunque Salsicciaio deve stare in guardia fulavttou (761)

 

Vari aspetti di Odisseo - Ulisse

 

“Ulisse è l'eroe polùmetis (scaltro) come è polùtropos (versatile) e poluméchanos nel senso che non manca mai di espediento, di pòroi , per trarsi d'impaccio in ogni genere di difficoltà, aporìa ...La varietà, il cambiamento della metis, sottolineano la sua parentela con il mondo multiplo, diviso, ondeggiante dove essa è immersa per esercitare la sua azione. E' questa complicità con il reale che assicura la sua efficacia"[31].

Nell’Odissea il protagonista eponimo è ricco di espedienti ma non è un farabutto: usa le tante risorse che ha per salvare la propria vita e quelle dei compagni.

Invece è un mascalzone nell’Ecuba di Euripide, come abbiamo visto, nelle Troiane, nell’ Ifigenia in Aulide del medesimo autore e nel Filottete di Sofocle. Durante le lezioni del corso che terrà alla Primo Levi in ottobre e novembre, vi parlerò anche di queste care tragedie.

 

 

Segno di contraddizione è Ulixes anche nella letteratura latina:

 

Ulisse malfamato

Nell' Eneide Ulisse è malfamato: "sic notus Ulixes?" (II, 44) non conoscete Ulisse? domanda Laocoonte, e più avanti Sinone, per convincere i Troiani, ne denuncia la trama criminale contro Palamede morto "invidia pellacis Ulixi " (II, 90) per l'invidia del perfido Ulisse e lo definisce "scelerum inventor" (II, 164) ideatore di crimini.

Durante il viaggio dei Troiani profughi verso l’Italia, racconta Enea: “Effugimus scopulos Itacae, Laërtia regna, - et terram altricem saevi exsecramur Ulixi ” [47], evitiamo gli scogli di Itaca, regno di Laerte, e malediciamo la terra del crudele Ulisse.

Nel VI canto Deifobo raccontando la sua fine definisce Ulisse , l’Eolide [48], hortator scelerum (v. 529), istigatore di scelleratezze.

 

Nelle Troiane di Seneca, Andromaca annuncia l'arrivo di Ulisse con queste parole: " Adest Ulixes, et quidem dubio gradu vultuque/: nectit pectore astus callidos" (vv. 521 - 522), ecco qua Ulisse e certamente con un incedere e un'espressione equivoca: intreccia nel petto astuzie scaltre.

Più avanti la vedova di Ettore lo apostrofa in questo modo:"O machinator fraudis et scelerum artifex,/virtute cuius bellicā nemo occĭdit,/dolis et astu maleficae mentis iacent/etiam Pelasgi, vatem et insontes deos praetendis? Hoc est pectoris facinus tui " (vv. 750 - 754) o tessitore di frodi e artefice di inganni, per il cui valore in battaglia nessuno è morto, mentre per i tuoi inganni e l'astuzia della mente malefica giacciono morti anche i Pelasgi, ora metti avanti l'indovino e gli dèi incolpevoli? Questo è un delitto dell'animo tuo.

Ulisse vuole la morte del piccolo Astianatte pensando ai lutti che il bambino procurerebbe alle madri greche se divenisse grande e forte come il padre.

 

Nella I delle Heroides di Ovidio, Penelope scrive a Ulisse, qualificandolo come ferreus (v. 58), e immaginando che peregrino captus amore (76), sia preso dall’amore per una straniera cui “Forsitan et narres quam sit tibi rustica coniunx,/quae tantum lanas non sinat esse rudes” (77 - 78), forse racconti quanto sia rozza tua moglie, che sa soltanto cardare la lana.

 

Il duplice Ulisse di Dante secondo Boitani

“Al Dante che voleva narrare di Ulisse, si presentavano tre tradizioni mitiche e letterarie di grande autorevolezza. Nella prima, l’eroe greco è un imbroglione, un ingannatore, un inventore di storie false, un oratore illusionista. Tale appare a Virgilio nell’Eneide, a Ovidio nelle Metamorfosi, a Stazio nell’Achilleide, e a tutta una serie di scrittori posteriori come Ditti, Benoît de Sainte Maure, Guido delle Colonne e così via. E non c’è alcun dubbio sul fatto che Dante condanni Ulisse all’inferno per le sue frodi: come chiarisce Virgilio nella sua presentazione della fiamma cornuta, per “l’agguato del caval”, e per gli stratagemmi con cui riuscì, assieme a Diomede, a strappare Achille a Deidamia e a rubare il Palladio…D’altro canto, le ali della fazione avversa, come i remi di Ulisse, sorvolano la proibizione mitico - ontologica (antica e medievale) delle Colonne d’Ercole e, in spirito ultra - umanistico e romantico, usano una seconda tradizione. In essa, Ulisse rappresenta il modello della virtù e della saggezza, il vincitore del vizio, il nobile ricercatore della conoscenza: in una parola, l’ideale dell’uomo ‘classico’…Cicerone, Orazio, Seneca, ma anche Fulgenzio e, nel Medioevo stesso, Bernardo Silvestre e Giovanni del Virgilio, contemporaneo e amico di Dante, parlano di Ulisse in questi termini” [32].

 

Ulisse reputato positivamente

Nel De finibus bonorum et malorum [33] Cicerone premette che è innato in noi l’amore della conoscenza e del sapere, e tanto grande che la natura umana vi è trascinata senza l’attrattiva di alcun profitto. Questo si vede dall’episodio odissiaco delle sirene le quali attiravano i naviganti non per la dolcezza della voce o la novità dei canti “sed quia multa se scire profitebantur” (V, 18), ma poiché dichiaravano di sapere molte cose. Quindi l’Arpinate traduce i vv. 184 - 191 e conclude: “Vidit Homerus probari fabulam non posse, si cantiunculis tantus irretitus vir teneretur, scientiam pollicentur, quam non erat mirum sapientiae cupǐdo patriā esse cariorem. Atque omnia quidem scire, cuiuscumque modi sint, cupere curiosorum”, Omero si accorse che il mito non poteva essere approvato se un uomo di quella levatura fosse stato trattenuto irretito da canzoncine, il sapere promettono, e non era strano che a uno bramoso di sapienza fosse più caro della patria. E certamente la brama di sapere tutto, di qualunque genere sia, è proprio delle persone curiose.

 

Lo considera positivamente anche Apuleio che fa di Ulisse una prefigurazione del suo Lucio, il protagonista delle Metamorfosi che si salva grazie alla curiositas di stampo odissiaco:" Nec ullum uspiam cruciabilis vitae solacium aderat, nisi quod ingenita mihi curiositate recreabar... Nec immerito priscae poeticae divinus auctor apud Graios summae prudentiae virum monstrare cupiens multarum civitatium obitu et variorum populorum cognitu summas adeptum virtutes cecinit " (IX, 13), né vi era da qualche parte alcun conforto di quella vita tribolata se non il fatto che mi sollevavo con la mia innata curiosità...e non a torto quel divino creatore dell'antica poesia dei Greci volendo raffigurare un uomo di somma saggezza, narrò che egli raggiunse i sommi valori visitando molte città e conoscendo popoli diversi.

La curiosità è un antidoto alla noia, se questa è un frutto della triste incuriosità: “L’ennui, fruit de la morne incuriosité[34].

 

Secondo Aristofane invece Paflagone - Cleone è solo e sempre un farabutto. Non mancano però quelli che lo riabilitano e rivalutano come strenuo difensore della democrazia.

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XVII

 

Paflagone prega Atena di aiutarlo s’ei meritò del popolo ateniese assai ed è diventato bevltisto" ajnhvr (764) dopo Liside, il mercante di montoni del v. 132 che alla morte di Pericle sposò Aspasia, e dopo Cinna e Salabaccò, due note prostitute. Vuole continuare a pranzare nel Pritaneo senza avere fatto nulla. Giura sulla propria vita a Demo che è il solo a difenderlo peri; sou mavcomai movno" (767).

 

Anche Salsicciaio giura al popolo che lo ama e gli vuole bene: se non gli crede possa lui essere trascinato fino al ceramico uncinato per i coglioni. Kai; th'/ kreagra/ tw'n ojrcipevdwn eJlkoivmhn eij" Keramikovn (772).

 

Paflagone torna a rivendicare i propri meriti: torturando (streblw'n) alcuni, strozzando (a[gcwn) altri e mendicando (metaitw'n, 775) presso altri ancora ha portato grandi ricchezze nell’erario (ejn tw'/ koinw'/).

 

Salsicciaio replica che lui rubando il pane agli altri lo servirà al Popolo (778)

Quindi offre a Demo un cuscino cucito con le proprie mani affinché non si logori le chiappe che hanno combattuto a Salamina ( i{na mh; trivbh/" th;n (pughvn) ejn Salami'ni (785)

Nella Pnice c’erano posti a sedere ricavati nella roccia e un proskefavlaion poteva essere gradito

Demo è contento del gesto gennai'on kai; filovdhmon, nobile e democratico del Salsicciaio e gli chiede se discenda dal tirannicida Armodio che uccise Ipparco, figlio del tiranno Pisistrato nel 513.

 

La necessità dell’esame critico delle notizie. Attualità di Tucidide

 

Sentiamo ogni giorno affermazioni o negazioni non messe alla prova attraverso un esame critico bavsano" - .

Spesso anzi tante notizie diffuse dai media e presentate come inoppugnabili sono smentite e sbugiardate da fatti evidenti.

Certe novelle buone vengono contraddette da altre pessime.

 La logica non consente tali contraddizioni ma i “loici” sono pochi oramai.

Faccio un esempio: “il PIL cresce, il virus è mezzo morto, dunque il benessere generale aumenta” poclama un servizio.

Il servizio o la pagina seguente dicono invece che diversi lavoratori sono lasciati in mezzo alla strada e ogni giorno il covid ammazza ancora decine di persone.

 

Tucidide nel primo capitolo metodologico della sua Storia (I, 20) denuncia alcune tradizioni trasmesse senza esame critico"ajbasanivstw""(I, 20, 1). La massa degli Ateniesi per esempio (" jAqhnaivwn gou'n to; plh'qo"") crede che Ipparco fosse tiranno quando fu ucciso da Armodio e Aristogitone, mentre aveva il potere Ippia, il figlio maggiore di Pisistrato. Da questo e da altri casi si vede come la ricerca della verità (hJ zhvthsi" th'" ajlhqeiva") sia una faccenda senza cura (ajtalaivpwro") per i più che preferiscono volgersi alle informazioni già pronte:" ejpi; ta; ejtoi'ma ma'llon trevpontai" (I, 20, 3).

Nel VI libro Tucidide torna sull’argomento e afferma che l’atto di audacia di Armodio e Aristogitone fu intrapreso per un caso erotico, non politico: “To; ga;r jAristogeivtono~ kai J Armodivou tovlmhma di j ejrwtikh;n xuntucivan ejpeceirhvqh” (VI, 54, 1).

Bologna 17 ottobre 2021 ore 8, 38

giovanni ghiselli

 

Nel 510 fu cacciato Ippia e nel 508 Clistene varò le riforme democratiche.

 Cfr. la cacciata di Tarquinio il Superbo da Roma nel 509. I latini copiavano perfino le date!

 

Salsicciaio mette in dubbio l’amore di Paflagone per il popolo: da 7 anni (dallo scoppio della guerra, 431) lo tieni chiuso in città ad abitare nelle botti, nei buchi, nelle torrette e lo soffochi con il fumo (blivttei", come si fa con le api per prendergli il miele, 794).

 

Quando il re spartano Archidamo invadeva l’Attica e devastava i campi, i contadini si rifugiavano in città e nello spazio tra le lunghe mura. Dormivano dove capitava, nei templi, nelle torri delle mura, al Pireo, nei recinti degli eroi (Tucidide II, 17, 1 - 3).

 

Paflagone per giunta ha sempre respinto le proposte di pace fatte dagli Spartani dopo Pilo.

 

Cleone dopo Pilo aveva imposto agli alleati - sudditi un aumento del contributo e accresciuto la paga dgli Eliasti a tre oboli.

I confederati della lega delio - attica di Atene avevano una sovranità molto limitata rispetto ad atene. Fate conto come gli Europei nel Patto di Varsavia e nella Nato.

 

 Paflagone ribatte che ha respinto le offerte di pace affinché Demo potesse regnare su tutti gli Elleni: farà l’eliasta, il giudice anche in Arcadia e prenderà 5 oboli. L’ha detto l’oracolo. Intanto si gode il triobolo grazie a lui.

Salsicciaio replica che Paflagone non si preoccupa del benessere di Demo ma dei propri furti e doni. Demo non vede i suoi misfatti acciecato dalla guerra e dalla nebbia, mentre per necessità e bisogno aspetta gli oboli a bocca aperta. Ma se potrà tornare in campagna e ricrearsi mangiando spighe tenere o grano cotto (ci'dra fagwvn, 806) e riprenderà il dialogo con la sansa (stemfuvlw/, un fondo di olive spremute), allora capirà a quanto ha rinunciato per quegli oboli e andrà contro il demagogo guerrafondaio con la durezza di un campagnolo.

Tu ora lo inganni e spacci sogni sul tuo conto ejxapata`/" kai; ojneiropolei'" peri; sautou' (809).

 

In questa settimana di ferragosto sbattuta dal vento, i sogni spacciati dai media sono: il virus corre in fuga retrograda, l’economia è in crescita progressiva, la scuola sta per riprendere a pieno ritmo e in settembre ci sarà l’apoteosi della cultura, le medaglie olimpiche sono un premio per tutti in quanto le hanno conquistate gli sforzi di tutti gli Italiani.

Nelle spiagge di Pesaro invero passeggiano tante pance e ventri sporgenti di uomini emuli di donne incinte.






[1] Mostro che si ciba di carne umana.

[2] Cfr. Erodoto VII, 210 - 225

[3] J. G. Droysen (1808 - 1884), Aristofane (del 1835), (a cura di Giovanni Bonacina), p. 33. dell’Introduzione.

[4] Op. cit., p. 140.

[5] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 2 luglio 1945.

[6] Egli esordisce dicendo: questo si chiama bussare per davvero! Se un uomo fosse portiere dell'inferno (if a man were porter of hell - gate) avrebbe l'abitudine antica di girare la chiave (II, 3). Non "possiamo fare a meno di sentire che nel far finta di essere il portiere dell'inferno egli è terribilmente vicino alla verità" (Bradley, op. cit., p. 424).

[7] Droysen, Arisofane, , p. 177.

[8] Nei Cavalieri (424 a. C) di Aristofane Cleone - Paflagone è chiamato “borborotavraxi” (v. 307), il mescola - fango; egli si comporta come i pescatori di anguille, i quali le acchiappano, solo se mettono sottosopra il fango: “kai; su; lambavnei", h]n th;n povlin taravtth/" (v. 867), anche tu arraffi, se scompigli la città, gli fa il salsicciaio.

[9] Le ricordanze, vv. 28 - 37.

[10] T. Mann, Tonio Kröger, p. 238

[11]Iliade , XII, 243. In risposta a Polidamante

[12] Amminano Marcellino, Storie, XXI, 1, 9, ma è dio che dirige i voli degli uccelli..

[13] Cfr. Medea di Seneca, vv. 360 - 361 (n.d.r.)

[14]G. Biondi, Il mito argonautico nella Medea. Lo stile 'filosofico' del drammatico Seneca, "Dioniso" 1981, p. 428 - 429 e 435. G. Biondi, ibid., p. 435.

[15] “Sempre la confusion delle persone/principio fu del mal della cittade” ( Paradiso , XVI, 67 - 68).

[16] Proust ricorda questo episodio in La prigioniera e lo applica al suo sermo amatorius:" Eppure, non mi rendevo conto che già da un pezzo avrei dovuto staccarmi da Albertine, giacché era entrata per me in quel periodo miserando nel quale un essere disseminato nel tempo e nello spazio non è più per noi una donna, ma una serie di eventi sui quali non possiamo far nessuna luce, una serie di problemi insolubili, un mare che, come Serse, cerchiamo inutilmente di fustigare per punirlo di tutto quello che ha ingoiato” (p. 103).

[17] Cfr. Aristotele, Poetica 1458a.

[18] Il quale nel Timone d'Atene chiama l'oro "comune bagascia del genere umano"; l'universale mezzana che "profuma e imbalsama come un dì di Aprile quello che un ospedale di ulcerosi respingerebbe con nausea" (IV, 3)

[19] Manoscritti economico - filosofici del 1844, p. 154.

[20] Ecco l’elettricità, un altro “di quegli agenti terribili” menzionati da Leopardi nello Zibaldone (p. 3645).

[21] La polvere, come la cenere, nei drammi Greci è spesso un simbolo negativo di sterilità e morte. Nell' Antigone, per esempio, il segno positivo della luce viene contrapposto a quelli negativi della polvere, del sangue e della pazzia:"Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce ( favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere macchiata di sangue (foiniva...kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (vv.599 - 603). La polvere fa paura forse perché prefigura l'inevitabile esito della nostra vita:"what is this quintessence of dust? " (Amleto, 2, 2), che cosa è per me questa quintessenza di polvere? domanda il principe di Danimarca. Naturalmente l'uomo, e pure la donna, dei quali Amleto non si prende alcun piacere. Insomma:"I will shaw you fear in a handful of dust" ( The waste land, v.30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.

[22] E’ la guerra civile che confonde i ruoli, come fa l’incesto, trasformando i fratelli in nemici. Secondo Tucidide cambia anche il significato delle parole. Lo afferma a proposito della guerra civile (stavsi") di Corcira (427 - 425):"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. “Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82 - 84)”, M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p.43 

[23] Freud accosta questa parola a “tabù un vocabolo polinesiano di traduzione difficile in tedesco, ma equivalente in modo esatto al latino sacer….Anche l’a[go~ dei greci e il kodausch (kadosch) degli ebrei deve avere avuto lo stesso significato del tabù per i polinesiani…I divieti tabù più antichi e più importanti sono i due princìpi fondamentali della legge totemica: non uccidere l’animale totemico e fuggire il rapporto sessuale con individui di sesso diverso appartenenti allo stesso totem…L’uomo che ha violato un tabù, diventa egli stesso tabù in quanto possiede la pericolosa capacità di indurre gli altri a seguire il suo esempio…Se l’animale totem è il padre, allora le due fondamentali imposizioni totemiche, le due prescrizioni tabù che ne formano il nucleo essenziale, e cioè non uccidere il totem e non avere rapporti sessuali con alcuna donna che al totem appartenga, vengono a coincidere in quanto a contenuto con i due crimini di Edipo, che uccise il padre e possedette la madre, e al tempo stesso con i due desideri arcaici del bambino, la cui rimozione insufficiente o il cui risveglio formano il nucleo di forse tutte le psiconevrosi ”. S. Freud, Totem e tabù (del 1913), p. 33, pp. 51 - 52 e p. 189.

[24] Tucidide racconta (I, 128) che Pausania mandò una lettera al re di Persia proponendogli di prendere in moglie sua figlia e di sottomettere al suo potere Sparta con tutta la Grecia. Il re gli rispose amichevolmente ma in modo generico (I, 129). Luciano Canfora pensa che la lettera di Pausania sia un falso: “In ogni caso, per la sua liquidazione politica e fisica quelle lettere furono perfette: l’arma di cui gli efori si servirono per infliggergli una morte atroce murandolo vivo nel tempio nel quale si era rifugiato in nome del diritto di asilo. Ma come avevano potuto entrarne in possesso? L’ipotesi più ragionevole è che la lettera di Serse può essere autentica (indica semplicemente una buona disposizione a fare accordi9, mentre l’altra sarà stata fabbricata dali efori come prova esplicita del suo tradimento…nel caso di Tucidide la questione si complica, più che in altri, poiché effettivamente nella sua opera troviamo sia documenti autentici trascritti integralmente, sia documenti “stilizzati” (la lettera di Nicia che si trova al principio del settimo libro) sia documenti rielaborati (i discorsi dei protagonisti). Ma, nel caso particolare della lettera di Pausania a Serse, la vera difficoltà è che a Erodoto, il quale ne parla di sfuggita, risultava un’altra più credibile versione dei fatti: che cioè Pausania avesse progettato un’alleanza matrimoniale non con il Gran Re, ma con il satrapo della Frigia Megabates (V, 32). ” (La storia falsa, pp. 12 - 13)

[25] Tucidide, I, 26 ss.

[26] Nilsson, Religiosità greca , p. 58.

[27] Si noti l’ironia.

[28] Jaeger, op. cit., p. 680.

[29]Op. cit. p. 684. La costituzione è un nutrimento di uomini (trofh; ajnqrwvpwn), di persone buone, se è buona, di individui malvagi se è cattiva.

Quella ateniese ha nutrito uomini di valore.

p. 198

Essa non esclude nessuno per debolezza sociale, né per povertà, né per oscurità dei padri; e neppure preferisce alcuno per i motivi contrari. I medesimi pregi vengono attribuiti alla “sua” democrazia dallo stesso Pericle nel discorso che gli attribuisce Tucidide in Storie II 35 sgg. quando lo stratego fa l’encomio dei caduti nel primo anno di guerra e l’elogio di

Atene, la scuola dell’Ellade (II, 41) 

[30] Aggettivo formato da poikivlo~ (variopinto) e frhvn (mente). L'azione di "colorare" "rendere variegato" qualcosa, coincide dunque, di fatto, con il renderlo enigmatico, di difficile comprensione. Si comprende bene, perciò, che uno degli epiteti di Odisse sia proprio poikilomhvvvth" (Il 11, 482; Od. 3, 163; 13, 293.) "dai pensieri variegati". Si potrebbe dunque concludere che per i Greci ciò che è variegato, poikivlo" , si presenta automaticamente come enigmatico, di difficile interpretazione ". (M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, p. 142.).

Poikivlo" è etimologicamente connesso al latino pingo, pictor, pictura e significa qualche cosa di non semplice (cfr. Platone, Teeteto, 146d. dove poikivlo" è opposto a monoeidhv", "semplice"), di macchiato come la pelle di pantera, (Iliade X, 29 - 30), e di oscuro: cfr Euripide, Elena 711 - 712 dove l'aggettivo è riferito dal nunzio all'oscurità del divino difficile da congetturare:" oJ qeov" wJ" e[fu ti poikivlon - kai; dustevkmarton" (cfr. tekmaivrw).

[31]M. Detienne - J. P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia , p. 3 e sgg.

[32] P. Boitani, L’ombra di Ulisse, p. 54.

[33] Del 45 a. C. E’ un dialogo in cinque libri, dedicato a Bruto, sul problema del sommo bene e del sommo male.

[34] Baudelaire, Les Fleurs du Mal, LXXVI, 3.

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