NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 21 novembre 2021

Perché scrivere tanto?

 


 

Il racconto è dolore, ma è anche amore. Il silenzio è spesso puro dolore

 Aristofane, Eschilo, Berto, Virgilio, Leopardi.

 

Terminata la parabasi (vv. 614-705) Compare Lisistrata. La corifea le domanda perché sia accigliata-skuqrwpov" (Lisistrata, 707)

 La caporiona cita un verso di Euripide (Telefo fr. 704): ajll j aijscro;n eijpei'n kai; siwph'sai baruv (712) turpe è parlare e tacere è grave.

 

Cfr. Prometeo incatenato di Eschilo "ajlgeina; mevn moi kai; levgein ejsti;n tavde,-a[lgo" de; siga'n, pantach'/ de; duspotma” doloroso è per me raccontare queste cose,/ma doloroso è anche tacere, e dappertutto sono le sventure"(vv. 197-198). Due versi questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo Il male oscuro (1964) che racconta la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”. Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.

 

Così Enea racconta a Didone la distruzione di Troia: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem (…) Sed si tantus amor casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide, II, 3, 10-13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile…ma se tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga dal pianto, comincerò.

 

Nella Tebaide di Stazio (45-96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare per gli infelici e rievocare le pene antiche.  

 

Infine Leopardi che corteggia la luna

"O graziosa luna, io mi rammento

che, or volge l'anno, sovra questo colle

io venia pien d'angoscia a rimirarti:

e tu pendevi allor su quella selva

siccome or fai, che tutta la rischiari.

Ma nebuloso e tremulo dal pianto

che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci

il tuo volto apparia, che travagliosa

era mia vita; ed è, né cangia stile,

o mia diletta luna. E pur mi giova

la ricordanza, e il noverar l'etate

del mio dolore.

(Alla luna del 1820, vv. 1-12)

 

giovanni ghiselli

 

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