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martedì 23 novembre 2021

Aristofane, "I cavalieri" - parte 2 di 2

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Aristofane

I Cavalieri

XVIII

 

Sviluppo senza progresso

 

L’educazione attraverso gli esempi. La repressione di Mitilene e altre alleate ribelli.

Aristofane, Tucidide, Isocrate,

 

Paflagone risponde che alla città lui ha reso più servizi di Temistocle.

Salsicciaio reagisce con un elogio di Temistocle che garantì l’acqua la città.

 

Era sovrintendente alle acque del demanio (uJdavtwn ejpistavth") e impose grosse multe a chi rubava l’acqua (Plutarco, Vita, 31)

 

Inoltre le aggiunse il Pireo per colazione. Cioè fece fortificare il Pireo e volle fare degli Ateniesi un popolo di marinai per accrescere la loro potenza (Tuc. I, 93, 3 - 4).

 

Platone nega che Atene sia stata resa grande dall'azione dei politici Ateniesi, Temistocle, Cimone, Pericle. Si dice che costoro abbiano reso grande la città, e non si accorgono che essa, proprio a causa di questi uomini del passato, invece è gonfia e ulcerosa nel suo interno: “kaiv fasi megavlhn th;n povlin pepoihkevnai aujtouvς : o{ti de; oijdei' kai; u{poulov~ ejstin dij ejkeivnouς tou;ς palaiouvς, oujk aijsqavnontai (Gorgia, 518e).

 Essi, senza preoccuparsi della temperanza e della giustizia ( a[neu ga;r swfrosuvnh~ kai; dikaiosuvnh~, 519a), hanno riempito la città di porti, di arsenali, di mura, di tributi e di altre sciocchezze del genere (kai; toiuvtwn fluariw̃n).

Quando la malattia esploderà, verranno accusati i consiglieri presenti; Qemistokleva de; kai; Kivmwna kai; Perikleva ejgkwmiavsousin, tou;ς aijtivouς tw̃n kakw̃n, mentre continueranno a elogiare Temistocle e anche Cimone e Pericle, i responsabili dei mali.

 

E’ lo sviluppo senza progresso denunciato da Pasolini:" E' in corso nel nostro paese… una sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d'accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno degli italiani"[1].

Il genocidio culturale parte sempre dall’impoverimento e imbarbarimento della lingua. La fiducia nel progresso della vita è fiducia nella lingua.

 

“Concepito in modo solo tecnico - economico, lo sviluppo a breve termine è insostenibile. Abbiamo bisogno di un concetto più ricco e complesso dello sviluppo, che sia nello stesso tempo materiale, intellettuale, affettivo, morale (…) Il XX secolo non è uscito dall’età del ferro planetaria, vi è sprofondato”[2].

 

 Salsicciaio continua a elogiare Temistocle il quale, senza togliere alla città niente di quello che mangiava prima, ijcqu'" kainou;" parevqhken (816) le offrì pesci nuovi.

Paflagone invece di unificare Atene con le lunghe mura, di impastarla con il Pireo ha mortificato i cittadini diatecivzwn kai; crhsmw/dw'n dividendoli con muri e cantando oracoli (818). Temistocle fu mandato in esilio feuvgei th;n gh'n (fu condannato all’esilio per tradimento, Tucidide, I, 138, 6), mentre tu, Paflagone, ti asciughi le dita con mollica di pane scelto.

 

Demo comincia a sospettare di Cleone.

 

Salsicciaio seguita a denunciare i furti di denaro pubblico pepetrati da Paflagone: pesca a piene mani nel denaro pubblico (827). Lo accusa di avere preso 40 mine da quelli di Mitilene.

 

 Nel 427 Cleone, battuto da Diodoto, ritirò la sua proposta di ammazzare tutti gli abitanti dell’isola.

 

Nel 428 le città dell'isola di Lesbo, tranne Metimna, si ribellarono; Mitilene capeggiò la rivolta ed entrò nella lega peloponnesiaca. Gli Ateniesi reagirono con forza, assediarono la città per terra e per mare, finché questa nel 427 si arrese. Gli aiuti spartani furono inefficaci e tardivi.

 Dopo la resa, Cleone propose di uccidere tutti i Mitilenesi e gli Ateniesi in un primo momento lo approvarono.

Però poi si pentirono di avere accolto la proposta di sterminio, e Cleone parlò contro tale metavnoia .

 Disse in sostanza che l'impero ateniese è una tirannide ("turannivda e[cete th;n ajrchvn", III, 37, 2) la quale per reggersi deve usare la forza e bandire la compassione.

Il sistema capitalistico è la tirannide della finanza e del mercato che impone il consumo sconsiderato attraverso le favole mentite della pubblicità

Cleone rimproverò gli Ateniesi accusandoli di estetismo: si lasciano vincere dalle parole belle dei sofisti e non badano alla visione concreta dei fatti.

Mazzarino nota che "Con Cleone tutto cambia. Egli è il primo uomo del popolo, che assuma direttamente la condotta del movimento democratico...Tucidide gli aveva attribuito, appunto, un'aperta ostilità contro l'eloquenza forbita. "Affascinati da questa eloquenza, sembrate cercare qualcosa di diverso dal mondo in cui viviamo; e finite con l'assomigliare a gente seduta per uno spettacolo di gara tra sofisti, anziché ad un'assemblea deliberante". L'antipatia personale di Tucidide non gli impedisce, dunque, di caratterizzare questa eloquenza di Cleone, e di riconoscere che egli era personalità allora dominante in Atene"[3].

“In ogni caso questo discorso mostra che Cleone non era affatto un adulatore del popolo, nell’accezione comune del termine e nel senso che Aristofane vorrebbe accreditare; le sue parole contro il popolo sono dure e veementi, i rimproveri più amari sono fin troppo giustificati”[4].

“Il discorso riferito da Tucidide ci ha fatto vedere che Cleone era solito parlare al popolo con molta severità; al contrario i suoi avversari cercavano di confondere il giudizio della massa con parole dolci e con adulazioni di ogni genere”[5].

 

I Mitilenesi, continua Cleone, hanno fatto un gravissimo torto agli Ateniesi che li avevano onorati al di sopra degli altri, sbagliando del resto: l'uomo per natura è portato a disprezzare chi lo rispetta e ad ammirare chi non cede:"pevfuke ga;r kai; a[llw" a[nqrwpo" to; me;n qerapeu'on uJperfronei'n, to; de; mh; uJpei'kon qaumavzein"(Tucidide, III, 39, 5).

Questa invero è la regola dei rapporti sadomasochisti, praticati da uomini spiritualmente distorti, da quanti, come lamenta Teognide, si ingannano a vicenda, deridendosi a vicenda (Silloge , v. 59).

La conclusione del sanguinario demagogo è che bisogna punire con la morte questi ribelli e dare un esempio chiaro (paravdeigma safev", III 40, 7) agli altri alleati.

L'educazione richiede gli esempi dopo le regole: in questo caso è richiesto un paradigma di atrocità per insegnare ai sudditi che non devono ribellarsi.

Platone nella Repubblica afferma che non sono diversi dai ciechi coloro che non hanno nell’anima nessun esemplare chiaro:"mhde;n ejnarge;" ejn th'/ yuch'/ e[conte" paravdeigma" (484c).

Seneca sostiene che la via per la saggezza è breve ed efficace attraverso gli esempi, mentre è lungo il cammino che passa per i precetti:"longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla (Epist. , 6, 5).

 

A tale proposta segue quella più moderata di Diodoto il quale consiglia di punire solo i colpevoli: così i sostenitori di Atene sarebbero stati incoraggiati. Il partito di Diodoto vinse:"ejkravthse de; hJ tou' Diodovtou" (III, 49, 1) e Mitilene scampò alla distruzione. Comunque un poco più di mille ("ojlivgw/ pleivou" cilivwn", III, 50, 1) ribelli furono uccisi, le mura di Mitilene vennero abbattute, le navi portate via e il territorio dell'isola (tranne quello di Metimna) diviso in lotti per i cleruchi ateniesi.

Con questo episodio secondo Jaeger, Tucidide "coglie l'occasione di fare svolgere i rispettivi criteri alle correnti energica e moderata della politica attica verso i confederati nel duello oratorio tra Cleone e Diodoto nell'assemblea popolare d'Atene, e dimostrare le immense difficoltà che presentava, appunto durante la guerra, il problema del giusto trattamento dei confederati"[6].

 

Il Coro elogia e invidia la facondia di Salsicciaio (zhlw' se th'" eujglwttiva", 837). Continuando così diventerà mevgisto" JEllhvnwn (838) il più grande degli Elleni. Non deve mollare il rivale visto che gli ha dato la presa - ejpeidhv soi labh;n devdwken (841). Avrà successo facilmente con tali fianchi - katergavsei ga;r rJa/diw" pleura;" e[cwn toiauvta" - 842 Sembra una presa di tipo omosessuale

Paflagone replica che lui potrà mettere un bavaglio ai suoi nemici - tou;" ejmou; ejcqrou;" ejpistomivzein - 845 finché rimarrà qualche cosa degli scudi presi a Pilo (846).

 

Pausania (II sec. d. C.) scrive che nel portico (stoav) al tempo suo si vedevano ancora gli scudi di bronzo ejntau'qa aspivde" kei'ntai calkai' tolti agli Scionei e ai loro alleati. Quelli tolti agli Spartani nell’isola di Sfacteria erano spalmati di pece perché non venissero sciupati dalla ruggine (Viaggio in Grecia, I, 15, 4).

Scione si trova nella Calcidica (Pallene) a sud di Potidea. Venne punita per la ribellione pesantemente nel 422 da Nicia che guidò una spedizione di 50 triremi e 1000 opliti

 

Nel Panegirico Isocrate ricorda come moderata la punizione subita dai Meli, al pari di quella degli abitanti di Scione, nella Calcidica, avvenuta qualche anno prima. Infatti altri popoli dominatori non si sono comportati più mitemente ("pra/ovteron", 102) di loro, degli Ateniesi, che dunque devono essere giustamente lodati ("divkaiovn ejstin hJma'" ejpainei'n") poiché hanno tenuto a lungo il potere trattando con durezza solo pochissimi ribelli ("ejlacivstoi" calephvsante"").

“Nel Panegirico ( del 380 a. C.) la posizione assunta da Isocrate è rigidamente coincidente con quella “ufficiale” Ateniese. Qui Melo è posta sullo stesso piano di Scione: sono entrambe città “che hanno combattuto contro di noi” (101) e che bisognava esemplarmente punire, al fine di tenere sotto controllo un così grande impero, dal momento che “si erano messe dalla parte del torto” (102); gli Ateniesi andrebbero - semmai - elogiati perché avevano saputo tenere così a lungo in vita l’impero “usando la mano pesante contro pochissimi” (102); anche altre potenze egemoni hanno dovuto fare altrettanto” [7].

 Isocrate però cambia idea nel tempo.

"Venticinque anni dopo, nel discorso Sulla Pace (356 a. C.) la posizione è profondamente mutata. Nel contesto della crisi della Seconda Lega e della "guerra sociale", Isocrate condanna retrospettivamente anche la prima esperienza imperiale, e fa sue, in una serrata e sferzante invettiva, proprio quelle accuse all'impero che aveva respinto nel Panegirico : il carattere tirannico dell’impero (91 - 92), l’imposizione delle cleruchie (79), la riscossione del tributo (82 - 83), comportamenti, questi, che avrebbero giustificato persino la durissima pretesa punitiva degli ex - alleati al momento della resa di Atene, vanificata solo grazie all’intervento di Sparta (78 - 79); questa volta Isocrate non nomina i Melii né le altre "vittime" della consueta lista, ma il cenno è inequivocabile nella preterizione con cui si apre il lungo atto d'accusa:"gli episodi che vi ferirebbero di più e che più vi farebbero soffrire li tralascerò"(81); e si tratta certamente delle indifendibili e spietate punizioni inflitte alle città ribelli. Addirittura qui Isocrate giunge a dire (69) che, solo quando caddero sotto il dominio spartano, gli Ateniesi "finalmente capirono che non è giusto che i più forti dominino sui più deboli”: chiara allusione alla lunga battuta degli Ateniesi nel dialogo coi Melii ( Tucidide, V, 105), la medesima cui alluderà ancora nel Panatenaico (64). Il sovvertimento dell’impostazione adottata nel Panegirico è reso esplicito - tra l’altro - dal ricorrere della medesima terminologia: nel Panegirico (102) aveva detto che si erano dovuti punire i pochi ejxamartavnonte~[8] per garantire l’integrità dell’impero, qui dice che Atene non ha esitato a compiere spedizioni contro oujde;n pwvpot j eij~ hJma'~ ejxamartavnonta~[9] (Pace 84). La prospettiva è, insomma, quella tucididea, la diagnosi è quella dell'impero - tirannide...In questa prospettiva la repressione di Melo rientra tra gli episodi che solo per non infierire sull'uditorio si preferisce non ricordare, a tal punto suonano "amari" (pikrav) e " dolorosi" (lupou'nta). Pure e semplici repressioni di città incolpevoli. Né sarà male ricordare, a proposito di lupou'nta, che proprio Senofonte - a suo tempo uno dei bersaglio del Panegirico 100 - 14 - aveva parlato del "dolore" degli Ateniesi (penqou'nte" eJautou;"), all'indomani di Egospotami, al ricordo "di quello che avevano fatto ai Melii"(Hell ., II, 2, 3).

L'ultimo Isocrate, infine, che nell'estrema vecchiezza scrive il Panatenaico [10], concede ormai che la repressione di Melo, Scione, Torone...furono "errori" da parte di Atene (63, 70), e riconosce, dinanzi alla ricorrente rievocazione “delle sofferenze dei Melii" , di “non potere né voler rispondere a tutto quanto possa a buon diritto dirsi a carico della nostra città” (64). Dunque non importa più se fossero ejxamartavnonte~ i puniti, certo fu aJmavrthma il punirli così duramente” [11].

 

Salsicciaio nota che Cleone ha fatto appendere gli scudi con le imbracciature toi'" povrpaxin (849) in modo che, qualora sentisse odore di ostracismo, i mercanti di miele e di formaggio che lo appoggiano melitopw'lai kai; turwpw'lai (854) oltre naturalmente i bursopw'lai i cuoiai, potranno correre a imbracciarli per difenderlo.

 

Gli Spartiati toglievano l’imbracciatura agli scudi quando non li usavano per timore che li prendesseto gli iloti (Crizia, 88 B, 37 D. K.)

 

Demo se ne risente con Paflagone. Si sta convincendo che lo ingannava

Paflagone gli risponde che è stato lui solo a fermare i congiurati antidemocratici e[pausa tou;" xunwmovta" (862)

Nulla mi è mai sfuggito di quanto si trama in città, anzi mi sono messo subito a gridare - ajll j eujqevw" kekraga - 863 -

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XIX

 

Le anguille e l’Eliea: il tribunale dove si trulla

 

 Salsicciaio paragona Paflagone ai pescatori di anguille. quelli oiJ ta;" ejgcevlei" qhrwvmenoi (864).

 Quando hJ livmnh lo stagno è calmo, lambavnousin oujdevn (865), mentre le prendono aijrou'si, se rimestano il fango sopra e sotto eja;n d j a[nw te kai; kavtw to;n bovrboron kukw'sin (866) kai; su; lambavnei", h}n th;n povlin taravtth/" (867) anche tu peschi se crei turbolenza nella città.

 

 Nella parabasi delle Nuvole, Aristofane scriverà che tutti si accaniscono contro Iperbolo imitando le mie immagini delle anguille: ta;" eijkou;" tw'n ejgcevlewn ta;" ejma;" mimouvmenoi (559). In effetti è un’immagine efficace presentata due volte nei Cavalieri.

 

Salsicciaio poi regala un paio di scarpe a Demo facendogli notare che Paflagone skuvth tosau'ta pwlw'n che vende pelli tanto numerose e grandi, non gli ha mai dato del cuoio per rattoppare scarpe.

Demo apprezza

Paflagone contrattacca ricordando a Demo che lui ha fatto di meglio: e[pausa tou;" kinoumevnou" ho fermato l’ascesa dei cinedi cancellando Gritto dalla lista dei cittadini (877) .

Salsicciaio replica chiedendo se non sia terribile che lui si metta a controllare i culi (se deino;n ejsti prwktothrei'n (878) per tenere a bada quelli che si fanno sbattere. Li ha fermati per invidia temendo che diventassero oratori.

 

Eschine poporrà che i prostituti non possano parlare in assemblea in quanto chi fa vergognoso mercato del proprio corpo, venderà facilmente gli interessi della città (Eschine, Contro Timarco, 1).

 

Quindi Salsicciaio si fa amare da Demo regalandogli la propria tunica citwvn. Nemmeno Temistocle l’aveva fatto mai, nota il gerovntion. Il Pireo era una bella trovata ma non mi pareva più grande del mantello - ouj mei`zon ei\nai faivnet j ejxeuvrhma tou` citw`no" 886

 

Paflagone definisce le lusinghe del rivale piqhkismoiv, astuzie da scimmia (887).

 

Sono frequenti tali raggiri da parte delle propagande. Si pensi al fatto che mentre i contagi e i ricoveri aumentano con il rischio di nuove chiusure di negozi, scuole e biblioteche, clausure che riguarderebbero milioni di persone, la notizia spacciata come la più importante ogni giorno è quella degli italiani che vincono le medaglie. Non li ho contati ma credo che tutti insieme non superino i contagiati di un giorno né i deceduti di 4 giorni.

 

Salsicciaio risponde che il suo maestro di demagogia è poprio Paflagone.

Paflagone ribatte atteggiandosi ad allievo di Salsicciaio e dà il poprio mantello a Demo ma il vecchio lo manda alla malora - ej" kovraka" 892 ai corvi - per il buvrsh" kavkiston o[zon, la pessima puzza di cuoio.

Salsicciaio prende la palla al balzo dicendo che Paflagone lo ha fatto apposta per soffocare Demo i{na s j ajpopnivxh/ (893).

 Poi Agoracrito aggiunge che una volta il suo rivale fece crollare il prezzo del silfio perché tutti lo mangiassero e i giudici nell’Eliea si asfissiassero a vicenda bdevonte" scoreggiando (898)

Il tribunale popolare era diventato il luogo dove molto si trulla.

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XX

 

Tutti diventarono rossi in quanto tou'to Purravndrou to; mhcavnhma (Cavalieri, 901) è una trovata del rosso.

Un colore di capelli he nelle Rane viene attribuito a Iperbolo, il demagogo succeduto a Cleone e trattato con altrettanto disprezzo. Erano considerati tipicamente rossi, i Taci, gli schiavi, e i farmakoiv.

 

Il corifeo delle Rane dice con rammarico: “ noi disprezziamo (prouselou'men) i cittadini educati, i galantuomini allevati nelle palestre e nei cori ossia con ginnastica e musica, trafevntaς ejn palaistraiς kai; coroi'ς , mentre ci serviamo per ogni uso di queste facce di rame, stranieri rossi di pelo, farabutti discendenti da farabutti, ultimi arrivati che prima la città non avrebbe usato nemmeno come farmakoiv.

Ora dunque ravvedetevi e avvaletevi quindi di persone valide crh`sqe toi`" crhstoi`sin au\qi" ( vv.727 - 735).

 

Continua la gara nella millanteria - ajlazoneiva/ (903)

Paflagone promette a Demo di offrirgli una coppa di salario da sorbire - misqou` truvblion rJofh`sai (905) senza che faccia nulla per averla.

E’ la solita critica di Aristofane allo stato assistenziale del tempo della democrazia radicale

 

Secondo Aristotele a partire da Cleofonte oj luropoiov" il fabbricante di lire ereditarono (quasi per successione) la demagogia quelli che soprattutto volevano operare sfrontatamente - oiJ mavlista boulovmenoi qrasuvnesqai - e compiacere la massa - kai; carivzesqai toi`" polloi`", guardando solo all’interesse del momento - pro;" ta; parautivka blevponte" (Costituzione degli Ateniesi, 28).

Cleofonte fu capo del partito popolare dal 410, come venne ristabilita la democrazia dopo il fallimento del tentativo oligarchico del 411, al 404 quando venne messo a morte.

Aristotele afferma pure che Iperbolo introdusse per primo la diwbelivan il sussidio di due oboli probabilmente estendendolo a tutti i bisognosi quale “reddito di cittadinanza”.

I filosofo di Stagira dunque non segnala Cleone come il peggiore dei demagoghi.

 

Salsicciaio promette a Demo un farmaco contro le ulcere nelle gambe.

Paflagone invece dicw che lo farà ringiovanire strappandogli i capelli bianchi. jegw; de; ta;" polia;" gev sou ejklevgwn nevon poihvsw - (908).

La pubblicità si è appropriata di tutto: anche di Aristofane: pensate a quante promesse ci fanno sul conto dell’età da far credere.

 

Properzio viceversa si consola del fatto di essere stato rifiutato e respinto dalla sua domina con la previsione e il rinfacciamento dell'invecchiare di lei :"At te celatis aetas gravis urgeat annis,/et veniat formae ruga sinistra tuae./Vellere tum cupias albos a stirpe capillos/ah speculo rugas increpitante tibi,/ exclusa inque vicem fastus patiare superbos,/ et quae fecisti facta queraris anus./ Has tibi fatalis cecinit mea pagina diras./Eventum formae disce timere tuae " (III, 25, 11 - 18), ma l'età greve incomba sugli anni dissimulati e vengano rughe sinistre sulla tua immagine bella. Che allora tu voglia strappare dalla radice i capelli bianchi, quando lo specchio ti rinfaccerà le rughe, e a tua volta respinta possa tu sopportare la sprezzante alterigia, e lamentarti ormai vecchia del male che hai fatto. La mia pagina ti ha cantato questo tremendo destino. Impara a temere l’esito della tua bellezza

 

Salsicciaio offre a Demo una coda di lepre devcou kevrkon lagwv (909) per tergersi gli occhiuzzi , e Paflagone la propria testa dove Demo possa pulirsi le mani dopo averci soffiato il naso sopra ajpomuxavmeno" (ajpomuvssomai, mi soffio il naso) kai; mou pro;" th;n kefalh;n ajpoyw' (910, imp. medio da ajpoyavw)

 

Salsicciaio tende anche il proprio capo in guesta ignobile gara di servilismo.

 

Mi fanno un’ impressione di questo genere certi conduttori di trasmissioni televisive quando ripetono i luoghi comuni che si devono dire per fare piacere al pubblico invece di aiutarlo criticando le mode contrarie al buon gusto, alla ragione, alla verità e alla vita.

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXI

 

Ginnastica e Musica

 

Paflagone minaccia Salsicciaio di farlo nominare trierarco cioè armatore e finanziatore di una trireme, una prestazione molto gravosa che veniva assegnata ai cittadini ricchi i quali in genere non gradivano mentre ne era contento il popolo.

La trierarchia era la liturgia, il contributo pubblico, più gravoso.

Il trierarca doveva fare riparare la nave se si rovinava: farò in modo che tu ne prenda una trireme dalla vela fradicia aggiunge Paflagone o{pw" iJstivon sapro;n lavbh/" (917)

 

Le imposizioni gravose pesavano sui ricchi mentre ora le tasse le pagano fino in fondo solo i lavoratori a reddito fisso: questi - quorum ego - con la ripresa economica, se ci sarà, riceveranno altra oppressione dall’inflazione.

 

Paflagone dunque paflavzei (919) , ribolle, e bisogna togliergli i tizzoni da sotto.

Una metafora che dà un’immagine molto concreta. Lo scrittore bravo rimane realista, collegato alla realtà delle cose anche quando usa le metafore. Le parole scritte devono mostrare immagini di cose e persone reali.

Altrimenti leggerle significa perdere tempo.

Paflagone torna a minacciare: mi pagherai il fio ijpouvmeno" tai'" eijsforai'" (924) oppresso dalle tasse (ijpovw, i\po"= peso e pressa) mi adopererò perché tu sia recensito tra i ricchi - ejgw; ga;r eij" tou;" plousivou" - speuvsw s j o{pw" a]n eggrafh`" 925 - 926.

Significa sobbarcarsi l’imposizione di doveri fiscali piuttosto pesanti.

Salsicciaio manifesta questo auspicio - eu[comai dev soi tadiv - 928 che Paflagone abbia messo a friggere sul fuoco una padella di calamari - to; me;n tavhnon teuqivdwn (929) poi gli sia venuto in mente di fare una proposta in assemblea in favore dei Milesi che gli hanno promesso un talento, quindi per arrivare in tempo si sia messo a ingollare in fretta quella prelibatezza, e, mentre si abbuffa, arrivi uno a chiamarlo, e lui volendo arraffare quel talento si strozzi. Hoc est in votis.

 

Demo comincia a convincersi: dice a Paflagone: “mentre affermavi di amarmi mi hai nutrito di aglio, cioè mi hai esasperato. Quindi gli chiede la restituzione dell’anello kai; nu'n ajpovdo" to;n daktuvlion : tanto non sarai più il mio amministratore wJ" oujkevti tamieuvsei" (947)

Paflagone restituisce il simbolo ma avverte che qualcuno si rivelerà più canaglia panourgovtero" (950).

Demo nota che l’anello però non ha il sigillo (shmei'on) che dovrebbe avere impresso per essere il suo: un involtino di grasso bovino arrostito.

 C’è un gioco di parole: tra dhmov" “grasso” e dh'mo" “popolo”

Un involtino populista.

Il sigillo presente invece è un lavro" un gabbiano che a bocca aperta arringa il popolo da uno scoglio.

Viene in mente Love’s Labour’ s lost[12], dove Ferdinando re di Navarra definisce il tempo il cormorano che divora “cormorant devouring Time” (I, 1)

 

 Demo non vuole quell’anello non suo ma dell’ingordo Cleonimo. un grassone vorace e dissoluto già menzionato da Aristofane negli Acarnesi (88, 844) .

 

Demo dunque dà l’incarico di amministratore a Salsicciaio.

Ma il vinto non cede e riprendono le promesse e le minacce da parte di entrambi.

Paflagone avverte Demo che dando retta ad Agoracrito salsicciaio jAgoravkrito" ajllantopwvlh" - questo lo farà diventare un otre floscio - j ajll j eja;n toutw/ pivqh/ - molgo;n genevsqai dei` se -

Una prospettiva terrificante per ogni essere umano che rispetti se stesso. Tale minaccia andrebbe rivolta a tutti quelli che fanno strame del proprio corpo.

 

Ginnastica e Musica - breve excursus

Platone nella Repubblica ripartisce l’educazione in ginnastica e musica (376e : hJ me;n ejpi; swvmasi gumnastikhv, hJ d j ejpi; yuch' mousikhv). La musica non è solo una questione di suono e di ritmo ma comprende anche il logos.

La ginnastica è l’altra metà della paideia (403c)

L’anima pregevole giova al perfezionamento del corpo (403d): una buona anima (yuch; ajgaqhv) con la sua virtù rende il corpo quanto più è possibile ottimo (wJς oi|ovn te bevltiston). Quindi si deve formare prima il lato spirituale. Il modello della forza fisica è l’atleta e i guerrieri sono gli atleti del più grande agone. La ginnastica deve essere semplice aJplh' gumnastikh', sorella della semplice la musica.

La semplicità hJ aJplovthς della musica genera saggezza nelle anime, quella della ginnastica salute nei corpi.

Cfr. Amiamo il bello con semplicità detto dal Pericle di Tucidide:"filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva"[13] kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.

Quando abbondano sfrenatezza (ajkolasiva) e malattie (novsoi) si aprono molti tribunali e ospedali dikasthvriav te kai; ijatrei'a polla; ajnoivgetai (405)

Tribunali e ospedali sono sintomi di una paideia malsana

Aristotele nella Politica sostiene che musica e ritmo hanno un contenuto di ethos e ne deduce l’importanza per l’educazione (VIII, 5).

Lo scopo della ginnastica è la formazione del coraggio. Anche questa forma l’anima. coloro che usano solo ginnastica però sono ajgriwvteroi tou' devontoς; quelli che praticano solo la musica sono malakovteroi ( Repubblica, 410 d).

La sola musica rammollisce quello non irascibile e rende l’irascibile eccitabile e iracondo. Diventano irritabili e iracondi invece che coraggiosi akravcoloi kai; ojrgivloi anti; qumoeidou'ς (411c). L’elemento irascibile educato diviene coraggioso

 Chi fa solo ginnastica del resto diventa misovlogoς kai; a[mousoς, odiatore del logos e estraneo alle muse (cfr. il borghese di Schopenhauer) , non fa più uso della persuasione che si ottiene con il parlare (kai; peiqoi' me;n dia; lovgwn oujde;n e[ti crh'tai) ma agisce in ogni cosa con violenza e selvatichezza (biva/ de; kai; ajgriovthti), come una bestia (w{sper qhrivon) e vive nell’ignoranza e nella goffaggine (ejn ajmaqiva/ kai; skaiovthti), con mancanza di ritmo e di grazia (meta; ajrruqmivaς te kai; acaristivaς zh'/). 411d - e

Musica e ginnastica dunque costituiscono l’unità inscindibile dell’educazione. Sono le due forze formatrici della natura umana.

 

Alcuni elogi della semplicità che gli ignoranti invece disprezzano

Tucidide : "filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva" kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) Amiamo il bello con semplicità e la cultura senza mollezza

 

Leopardi“E’ curioso vedere, che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito. (Firenze, 31 Maggio 1831)”[14].

La semplicità è naturalezza, mancanza di affettazione.

 “La semplicità è quasi sempre bellezza sia nelle arti, sia nello stile, sia nel portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il buon gusto ama il semplice…La semplicità è bella perché spessissimo non è altro che naturalezza; cioè si chiama semplice una cosa, non perch’ella sia astrattamente e per se medesima semplice, ma solo perché è naturale, non affettata, non artifiziata, semplice in quanto agli uomini, non a se stessa, e alla natura”[15].

 

Marco Lodoli: la semplicità è complessità risolta, non facilità[16].

 

Gončarov: la semplicità significa intelligenza ed è differente dall’astuzia (Oblomov)

 

Ezra Pound e l’America. The thought of what America would be like/if the Classics had a wide circulation/troubles my sleep "[17], il pensiero di come sarebbe l'America, se i Classici circolassero di più, mi turba il sonno. Ci sarebbe, se non altro, meno cattivo gusto.

 

Dopo il poeta “fascista” sentiamo Brecht che fa l’elogio del comunismo e della semplicità:“ E’ ragionevole, chiunque lo capisce. E’ facile…Non è il caos ma/l’ordine, invece./E’ la semplicità/che è difficile a farsi”[18] . La semplicità non è difficile: ci si arriva con la naturalezza, il buon gusto e l’onestà.

 

Plutarco: Solone e la meschinità di Creso. Plutarco nella Vita di Solone racconta che il saggio legislatore ateniese disprezzava la ajpeirokaliva, l'ignoranza del bello e la mikroprevpeia ( 27, 20), la meschinità del re di Lidia che si era presentato coperto di gioielli e d'oro.

 

Luciano in Come si deve scrivere la storia [19] fa questa osservazione:" Vi sono alcuni che trascurano completamente, o appena sfiorano, fatti grandi (ta; megavla) e invece, per rozzezza (uJpo; de; ijdiwteiva"), mancanza di gusto (ajpeirokaliva"), e ignoranza (kai; ajgnoiva") di quello che va detto o quello che va taciuto, si attardano a descrivere nei minimi dettagli le cose più trascurabili (ta; mikrovtata, 27).

 

Vedi Nigrino e il cattivo gusto degli arricchiti romani che sfoggiano porpore e anelli. Vedi anche Trimalchione nel Satyricon.

 

Euripide: Nelle Fenicie[20] di Euripide, Polinice afferma la parentela della semplicità con la giustizia e con la verità:"aJplou'" oJ mu'qo" th'" ajlhqeiva"[21] e[fu, - kouj poikivlwn[22] dei' ta[ndic' eJrmhneuavtwn" (vv. 469 - 470), il discorso della verità è semplice, e quanto è conforme a giustizia non ha bisogno di interpretazioni ricamate. Invece l' a[diko" lovgo" , il discorso ingiusto, siccome è malato dentro, ha bisogno di rimedi artificiosi:"nosw'n ejn auJtw'/ farmavkwn dei'tai sofw'n" (v. 472).

 

 Achille nell’ Ifigenia in Aulide di Euripide. Chirone, dikaiovtato" Kentauvrwn[23], il più giusto dei Centauri, "nodrì Achille"[24] insegnandogli quella naturalezza e semplicità di costumi che è la quintessenza dell'educazione nobile. Il figlio di Peleo nell'Ifigenia in Aulide riconosce tale alta paideia all'uomo piissimo che l'ha allevato insegnandogli ad avere semplici i costumi:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou trafei;" - Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'" e[cein" (vv. 926 - 927).

 

Winckelmann: la nobile semplicità e la quieta grandezza dei capolavori greci.

Winckelmann predicava dell'arte greca la edle Einfalt und stille Grösse, di fatto trascriveva un topos già corrente in Francia; ma la noble simplicité e la grandeur sereine dei Greci celebrate da Fénelon, Du Bos, Mariette, dal giovane Voltaire non avevano mai avuto sui loro lettori un effetto comparabile"[25].

 

E' pure degna di menzione la polemica di Schopenhauer contro la filosofia (hegeliana) delle università, fatta di "ghirigori che non dicono nulla, e offuscano con la loro verbosità perfino le verità più comuni e più comprensibili"[26].

 

Lucrezio: gli stolidi che ammirano le parole contorte:"omnia enim stolidi magis admirantur amantque/inversis quae sub verbis latitantia cernunt "( De rerum natura, I, 641 - 642), gli stolti ammirano e amano di più tutto ciò che scorgono nascosto sotto parole contorte.

 

Cicerone: quae sunt recta et simplicia laudantur"[27], ricevono lode gli aspetti schietti e semplici.

 

Orazio: Pirra è simplex munditiis, semplice nell'eleganza (Orazio, Ode[28] I, 5, 5).

Marziale: prudens simplicitas. (10, 47, 7), una semplicità competente.

 

Il Nuovo Testamento:"Ecce ego mitto vos sicut oves in medio luporum; estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae" (Matteo, 10, 16), ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.

 

Tucidide: indica la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata dalle guerre civili: a causa di queste ("dia; ta;" stavsei""), fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà partecipa:"kai; to; eu[hqe", ou| to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh" (III, 83, 1).

In questo contesto la semplicità è “bontà di carattere, bontà d’animo” (eu\ h\qo~).

La semplicità è ancora inattuale: Nietzsche avrebbe desiderato "come educatore un vero filosofo, che…insegnasse di nuovo ad essere, nel pensiero e nella vita, semplice e schietto, quindi inattuale nel senso più profondo della parola; infatti gli uomini oggi sono diventati così molteplici e complicati che debbono diventare insinceri tutte le volte che parlano, sostengono delle opinioni e secondo esse vogliono agire"[29].

 

Agoracrito salsicciaio ribatte che se Demo presterà fede a Paflagone diventerà circonciso fino alla base del glande.

 

Secondo Freud la pratica della ciconcisione venne agli Ebrei dagli Egiziani attraverso Mosè, un seguace del faraone Amenofi III , che avebbe portato anche il monoteismo tra gli Ebrei (L’uomo Mosè e la religione monoteista)

 

Paflagone menziona i suoi oracoli i quali dicono che Demo con una veste di porpora - aJlouvrgida - e[cwn (967 - 968) e coronato di rose farà causa a un uomo - donna Smicita e al suo patrono, dato che le donne non avevano capacità giuridica.

 

Non si dimentichi che la porpora dal tappeto dell’Agamennone di Eschilo, alle vele della nave di Cleopatra, al mantello di Cristo ecce homo a quello di Giuliano Augusto preannuncia la morte.

 

I due nemici vanno a prendere gli oracoli.

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXII

 

L’imbestiamento generale

 

Il Coro prevede che dolcissima sarà la luce del giorno - h[diston favo" hJmevra" - e[stai (973 - 974) sia per i presenti sia per quelli che devono arrivare, una volta spacciato Cleone.

 Eppure alcuni tra gli anziani, i più fastidiosi, durante i processi hanno sostenuto che il predominio di Cleone ha portato ad Atene skeuvh duvo crhsivmw due arnesi utili: doi'dux, il pestello e il mestolo (toruvnh, 983).

 

Nella Pace del 421 Cleone e Brasida vengono presentati come i due pestelli della Grecia: ajletrivbano" ( Pace, 269) è Cleone il pestello perduto dagli Ateniesi (morto nel 422)

Ed è morto anche il pestello degli Spartani (Pace, 282).

 

Il mestolo o ramaiolo serve a mescolare e rimescolare gli intrugli, la confusione funzionale agli imbrogli di Cleone.

Paflagone ha ricevuto una educazione da porco (ujomusiva, 986). A scuola accordava la lira solo nell’armonia dorica (le altre erano la ionica, la frigia e la lidia) e il maestro però la chiamava donica - dwrodokostiv, 996 per la sua tendenza al corrompere ed essere corrotto.

 

Dalla casa di Demo escono i due pretendenti con gli oracoli (lovgia)

Quelli di Paflagone trattano di Atene, di Pilo e di politica.

Quelli di Salsicciaio di Atene, peri; fakh'", di passato di lenticchie, di Spartani, peri; skovmbrwn nevwn (1008) di sgombri freschi, e di chi froda sul peso della farina al mercato.

Indicando Paflagone, Agoracrito conclude:

To; pevo" oujtosi; davkoi” - 1010 - e costui si morda il cazzo.

 

Demo vuole sentire l’oracolo wj" ejn nefevlh/sin aijeto;" genhvsomai (1013), per diventare aquila tra le nubi.

 

Cleone il cane

Il cane: bestia dai significati vari. Alcuni sbranano donne, uomini, bambini e altri animali, eppure sono tutti reputati amici degli uomini i quali quando vengono uccisi ne hanno ogni colpa.

 

Ieri dei cani hanno ucciso una povera vecchia a Sassuolo. Il telegiornale regionale ha ricordato questo fatto orrendo col dire che la smemorata si stava avviando in un giardino dove giocava una bambina e il cane ha dovuto difenderla,

 

Cleone aveva proposto di ridurre in schiavitù fanciulli e donne di Mitilene (cfr.Tucidide III, 36, 2).

La tendenza a schiavizzare i vinti comunque rimase anche dopo la morte di Cleone

Andocide nell’orazione Contro Alcibiade, forse non autentica, scrive che Alcibiade propose di ridurre in schiavitù tutti gli abitanti di Melo, quindi comprò una prigioniera ed ebbe un figlio da lei. La nascita di questo bambino è mostruosa più di quella quella di Egisto (nato da Tieste e da sua figlia Pelopia) perché il figlio di Alcibiade nacque da due nemici. La spregiudicatezza (tovlma) di Alcibiade è senza limiti: fece un figlio con questa donna, le uccise il padre, le distrusse la città, e rese il figlio nemico implacabile a sé e ad Atene. Tali situazioni voi le considerate deinav quando le vedete nelle tragedie, mentre vi lasciano indifferenti quando sono crimini reali (22, 23)

Plutarco nella Vita di Alcibiade scrive che il concubinaggio con la Melia e il fatto che allevò il figlio avuto da lei venne considerato dagli Ateniesi un gesto di filantropia, anche se fu proprio Alcibiade il principale responsabile del massacro, in quanto appoggiò la proposta ufficiale dell’eccidio (16, 6)

 

Per quanto riguarda l’identificazione di un personaggio pessimo con il cane, nel Riccardo III di Shakespeare, L’ex regina Margherita parla in un delirio simile a quello di Cassandra nelle tragedie Agamennone di Eschilo e Agamennone di Seneca.

Si scaglia prima contro la madre di Riccardo: “dalla tana del tuo ventre - le dice - è sortito un cagnaccio infernale che dà a noi tutti una caccia mortale (IV, 4, 46 - 47) un cane che prima degli occhi ebbe i denti to worry lambs, and lap their gentle blood (50) per azzannare gli agnelli e lappare il loro dolce sangue.

 

Quando prendi il tuo pasto, continua Agoracrito parlando a Demo, questo cane scodinzola, kevrkw/ saivnwn s j oJpovtan deipnh/" (1030), ma quando tu guardi altrove a bocca aperta, divora la tua pietanza, e con il fare dei cani di notte traffica in cucina furtivo leccando piatti e isole ta;" lopavda" kai; nhvsou" dialeivcwn (1034).

 

Cleone il cane. Una bestia evidentemente poco apprezzata da Aristofane.

giovanni ghiselli

 

Ambiguità del cane e della cagna

Ambiguità del cane e della cagna. Difensore e fedele guardiano oppure una bestiaccia assassina e dissoluta ?

 

Nei Cavalieri di Aristofane, Paflagone recita un oracolo che ordina a Demo - Popolo di salvare il sacro cane dalle aguzze zanne –ijero;n kuvna karcarovdonta - che difende Popolo a bocca aperta, ferocemente latrando deina; kekragwv" : esso ti procurerà il salario soi; misqo;n poriei' (1019) aggiunge l’oracolo a Demo. Se non lo aiuti soccomberà poiché per odio (mivsei) gli gracchiano contro sfe katakrwvzousi molte cornacchie polloi; koloioiv (1020).

 

Agoracrito, il Salsicciaio, replica che questo cane qui rosicchia invece gli oracoli come fossero la tua porta.

Quindi tira fuori un altro oracolo riguardo a questa bestia simnoleggiata da Paflagone - Cleone.

Demo deve stare in guardia da quel Cerbero, cane schiavista –kuvna Kevrberon ajndrapodisthvn (1030).

 

Demo dice di non capire e Paflagone chiarisce: io sono il cane e abbaio in tua difesa : pro; sou' ga;r ajpuvw (1023) e Febo ti ordina di custodire me, il cane.

 

La parola kuvwn (hJ) “cagna” con la quale Clitennestra si definisce nell’Agamennone di Eschilo è un esempio di ambiguità tragica. Può significare fedeltà, o lascivia, o anche rabbia delle Erinni e di Ecate.

 Clitennestra “afferma che il re ritrova in lei gunai'ka pisthvn, dwmavtwn kuvna vv. 606 - 607, essa dice in realtà il contrario di ciò che sembra…Come nota lo scoliaste, kuvwn (la cagna) significa una donna che ha più di un uomo"[30].

 

Clitennestra dunque si presenta come la sposa fedele, cagna della casa.

Kuvwn è una parola chiave nei drammi di Clitennestra : nelle Coefore la moglie adultera e assassina per dissuadere il figlio dall'ammazzarla gli dice: guardati dalle cagne rabbiose (ejgkovtou" kuvna" , Coefore, v. 924) della madre!

Nellla medesima tragedia Elettra di Eschilo dice di essere stata scacciata in un angolo come una cagna dannosa (Coefore, v. 446).

Nell'Elettra di Sofocle la figlia che odia la madre afferma che costei latra (uJlaktei' , v. 299) stimolata dall'imbelle (a[nalki" , v. 301) Egisto, l'effemminato che fa le sue battaglie con le femmine:"oJ su;n gunaixi; ta;" mavca" poiouvmeno" , v. 302).

 

Nel Riccardo III di Shakespeare, l’ex regina Margherita si scaglia contro la madre del Plantageneto assassino : “dalla tana del tuo ventre - le dice - è sortito un cagnaccio infernale che dà a noi tutti una caccia mortale (IV, 4, 46 - 47) un cane che prima degli occhi ebbe i denti to worry lambs, and lap their gentle blood (50) per azzannare gli agnelli e lappare il loro dolce sangue.

 

Quando prendi il tuo pasto, continua Agoracrito parlando a Demo, questo cane scodinzola, kevrkw/ saivnwn s j oJpovtan deipnh/" (1030), ma quando tu guardi altrove a bocca aperta, divora la tua pietanza, e con il fare dei cani di notte traffica in cucina furtivo leccando piatti e isole ta;" lopavda" kai; nhvsou" dialeivcwn (1034).

 

Paflagone replica appropriandosi di storie antiche e altrui: una donna nella sacra Atene partorirà un leone - e[sti gunh; - tevxei de; levonq j iJerai'" ejn j Aqhvnai" (1037).

 

Erodoto racconta che Agariste, incinta di Pericle, sognò di partorire un leone (VI, 131, 2).

Plutarco racconterà che Filippo, il padre di Alessandro Magno, sognò di avere impresso sul ventre della moglie la figura di un leone. L’indovino Aristandro disse che Olimpiade era incinta e aveva in grembo pai'da qumoeidh' kai; leontwvdh th;n fuvsin (Vita di Alessandro, 2, 6) un bambino focoso e di natura leonina.

 

Questo leone combatterà per il popolo contro molte zanzare o}" peri; tou' dhvmou polloi'" kwvnwyi macei'tai (1038).

Le zanzare possono essere i politici succhiasangue.

Devi costruire un muro di legno (xuvlinon tei'co") e torri di ferro per custodire il leone.

 

Nel 480 ad Atene girava un oracolo delfico secondo il quale molte città sarebbero cadute ma sarebbe restato inviolato il muro di legno. Temistocle lo interpretò come la flotta.

 

Paflagone spiega che lui farà la parte del leone per Demo. Insomma farà le veci di Temistocle e di Pericle.

 

Salsicciaio invece interpreta il muro di legno come metafora della gogna dove si dovrà mettere il rivale infilando gli arti e il collo in quel legno a 5 fori - ejn pentesuriggw/ xuvlw/ (1049).

 

Paflagone replica che sono fqonerai; korw'nai, cornacchie invidiose a gracchiare; il popolo deve amare lo sparviero iJevraka fivlei (1052) che ha portato ad Atene in catene i giovani corvi spartani.

 

Salsicciaio ribatte che Paflagone compì l’impresa mequsqeiv", da ubriaco.

Poi cita un verso della Piccola Iliade: anche una donna (incinta) sa portare un peso se un uomo glielo mette addosso, ma non è in grado di combattere. Insomma l’impresa di Pilo va ascritta a merito di Demostene.

 Salsicciaio poi suggerisce a Demo di guardarsi dal cane volpe fravssai kunalwvpeka (1066) che non lo inganni, perfido, rapido, ingannevole, astuto.

Poi spiega che con kunalwvpex intende le navi veloci che Paflagone chiede di continuo per raccogliere le imposte.

 I cani sono veloci come le navi e i soldati come le volpi mangiano i grappoli - bovtru" trwvgousin - nelle campagne.

Secondo un altro oracolo, Demo deve guardarsi da Cillene (Kullhvnh il monte più alto dell’Arcadia) ma c’è un gioco di parole con kullhv - ceivr , la mano contratta di chi chiede l’elemosina. Infatti Paflagone dice e[mbale kullh'/ (1083, versa nella mia mano concava)

 

Paflagone ribatte che Febo allude alla mano di Diopite, un interprete di oracoli che attaccava atei e astronomi, in particolare Anassagora e indirettamente pure Pericle.

I due poi tirano fuori oracoli impossibili a favore di Demo che regnerà su tutta la terra (1088). Quindi gareggiano di nuovo in promesse di cibo come farina, focaccine e manicaretti vari.

 

Demo promette le redini della Pnice a quello dei due che l’avrà trattato meglio ojpovtero" a]n sfw`/n eu\ me ma`llon a]n poih`/ - touvtw/ paradwvsw th`" pukno;" ta;" hJniva" (1108 - 1109)

Davvero nihil novi sub sole.

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXIII

 

Il popolo è un tiranno e un finto sciocco.

 

Il popolo di Atene è un tiranno come la loro città.

 

I Cavalieri fanno notare a Demo che ha un grande potere dal momento che tutti gli uomini lo temono al pari di un tiranno “pante" a[nqrwpoi dedivasiv s j w{sper a[ndra tuvrannon” (1113 - 1115)

Cfr. Tucidide "turannivda e[cete th;n ajrchvn", (La guerra del Peloponneso, III 37, 2) avete un impero che è una tirannide dice il Cleone in un discorso agli Ateniesi.

Nell’ultimo discorso di Pericle già lo stratego più apprezzato e confermato aveva detto ai cittadini di Atene che non possono tirarsi indietro dal comando: wJ" turannivda ga;r h[dh e[cete aujth;n (ajrchv supra) h}n labei'n me;n a[dikon dokei' ei\nai, afei'nai de; ejpikivndunon (Tucidide, II, 63, 2), poiché avete già un impero che è tirannide che avere preso può sembrare ingiusto, ma abbandonarlo pericoloso.

 

I nemici Corinzi nell’assemblea peloponnesiaca del 432 avevano detto che era vergognoso per il Peloponneso lasciare che una città divenisse tiranna della Grecia (Tucidide I, 122, 3).

 Poco più avanti (Tucidide I, 124, 3) i Corinzi concludono il loro discorso sostenendo che gli alleati peloponnesiaci devono domare la povlin tuvrannon che è una minaccia per tutti in quanto alcuni Greci li ha già sottomessi e con molti altri vuole farlo.

 

Eppure, continuano i coreuti, eujparavgwgo" ei\ (Cavalieri, 115), sei uno facile da abbindolare. Ti piace essere adulato e ingannato qwpeuvomenov" te caivrei" kajxapatwvmeno", e stai sempre a bocca aperta a sentire chi parla - pro;" tovn te legovnt j ajei; kevchna" , e la tua mente, pur essendoci, va lontano oJ nou`" dev sou - parw;n ajpodhmei` - .

 

Ma Demo ribatte ai cavalieri che sotto le chiome non hanno nou'" se credono che lui non capisca: ejgw; d j eJkw;n tau't j hjliqiavzw (1123), a bella posta io faccio lo scemo.

Il falso sciocco. Bruto e Amleto, gli ossimori viventi.

Bruto, per salvarsi, aveva stabilito di non lasciare al re nulla da temere dall'animo suo, nulla da desiderare nella sua fortuna, e di trovare sicurezza nell'essere disprezzato:"Ergo ex industria factus ad imitationem stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret, Bruti quoque haud abnuit cognomen " (I, 56, 8) pertanto fingendosi stolto apposta, lasciando se stesso e i suoi beni al re, non rifiutò neppure il soprannome di Bruto. “Perché non vi è nulla di più pericoloso di un uomo che rifiuta di sottomettersi alla tirannia”[31].

Ma quella che sembrava pazzia agli stupidi era invece genio. Quando l'oracolo delfico infatti preconizzò che avrebbe avuto il sommo potere a Roma quello che per primo avesse baciato la madre, Bruto, avendo capito, "velut si prolapsus cecidisset, terram osculo contigit, scilicet quod ea communis mater omnium mortalium esset " I, 56, 12, come se fosse caduto per una scivolata, diede un bacio alla terra, evidentemente poiché quella era la madre comune di tutti i mortali.

Livio racconta pure che Bruto aveva portato in dono ad Apollo una verga d'oro inclusa in un bastone di corniolo con un incavo fatto a questo scopo, recando immagine enigmatica del suo carattere:"aureum baculum inclusum cornĕo cavato ad id baculo tulisse donum Apollini dicitur, per ambagem effigiem ingenii sui"[32].

L'oggetto è ossimorico proprio come ossimorico è il falso sciocco, con la sua sapiens insipientia. Diciamo meglio. Il falso sciocco è l'ossimoro per eccellenza, visto che il significato proprio di questa espressione greca, ojxuvmwron, è proprio quella di "sciocco acuto"…Forse non avevamo pensato che Bruto, come Amelethus, e tutti gli altri falsi sciocchi, erano in realtà delle figure retoriche, degli ossimori: anche in senso assolutamente letterale"[33] .

Amelethus è Amleto nei Gesta Danorum di Saxo Grammaticus (1140 ca - 1210 ca).

Vediamo un aspetto della sua pazzia con altre considerazioni di Bettini:"L'eroe ha appena fatto all'amore con la futura Ofelia shakespeariana, e gli viene chiesto: su quale cuscino? E lui:" Su uno zoccolo di giumenta, una cresta di gallo e le travi del tetto"[34]. Ma il falso stolto deve anche farne, di sciocchezze, oltre che dirne. Odisseo a Itaca, davanti a Menelao e Agamennone, aggioga all'aratro un bue e un cavallo e se ne va in giro con in capo il berretto (pileus) dello stolto[35]. Peccato che non possiamo più vedere un celebre dipinto di Eufranore che stava a Efeso, forse nel santuario di Artemide. Plinio lo descriveva così:"Ulisse, fintosi pazzo, aggioga un bue insieme con un cavallo: vi sono anche uomini pensosi vestiti col pallio, e un comandante che rinfodera la spada"[36]. Ecco che le plateali insensatezze del (falso) sciocco suscitano il dubbio e lo sconcerto dei cogitantes, i personaggi "pensosi" che lo osservano. Solone, per parte sua, se ne uscì invece in pubblico "deformis habitu more vecordium" (tutto malvestito alla maniera dei pazzi), ovvero con in testa il famoso berretto[37]. David, alla corte di Achis, contraffaceva il volto, si lasciava cadere, inciampava nei battenti della porta, e la saliva gli correva lungo la barba[38]. Ancora Amelethus, alla corte di Fengo, giace per terra sporco di cenere, intento a indurire nel fuoco dei bastoncini ricurvi[39]; poi lo vediamo salire su un cavallo a rovescio, reggendo naturalmente la coda al posto delle redini"[40].

Cfr. i finti sciocchi: Bruto e Amleto, ossimori viventi .

 

Me la godo a fare bry ogni giorno h{domai bruvllwn to; kaq j hJmevran.

 

Come fanno i bambini quando chiedono da bere.

Cfr. Nuvole 1382: “se dicevi bry - eij mevn bru`n ei[poi" - io correvo e ti davo da bere” ricorda Strepsiade all’ingrato figlio Fidippide che l’ha picchiato perché il vecchio disprezza Euripide che secondo il giovane è un genio.

Demo dunque dice di essere lui stesso a voler nutrire un ministro ladro - klevptontav te bouvlomai - trevfein e{na prostavthn , poi quando è pieno lo prendo e lo concio.

Il Coro lo approva: fai bene se allevi costoro di proposito w{sper dhmosivou" (1136) come vittime pubbliche, e quando ti trovi senza cibo ti imbandisci per cena quello che sia pacuv" (1139) grasso.

I grassi non sono temibili siccome intronati dal vizio del cibo, una vera droga per alcuni.

Cfr. il Giulio Cesare di Shakespeare che dice ad Antonio: “Let me have men about me that are fat/sleek - headed men, and such as sleep a - nights. - Yond Cassius - has a lean and hungry look;/he thinks too much; such men are dangerous”, intorno a me ci siano uomini grassi con la testa curata e che dormano la notte ( Giulio Cesare, I, 2, 191 - 194), quel Cassio ha l’aria dello snello affamato; pensa troppo; uomini del genere sono pericolosi.
 Quindi Cesare aggiunge: Would he were fatter” (I, 2), vorrei che fosse più grasso. Legge molto, è un grande osservatore, sa scrutare. Non lo temo ma se il mio animo fosse soggetto al timore, non conosco uomo che eviterei più prontamente di quell’asciutto Cassio as that spǎre Cassius. 
Tra l’altro he loves no plays, as tou dost, Antony; he hears no music (I, 2, 197 sgg.)
 

Demo dunque dice sofw'" aujtou;" perievrcomai, li raggiro con astuzia (1142). Li lascio fare finché mi va, poi li costringo a vomitare (e[peit j ajnagkavzw pavlin ejxemei'n, 1148) quanto hanno rubato - a{tt j a]n keklovfwsiv mou (1149) . Uso come sonda il coperchio munito di fessura dell’urna dei voti. La sonda si poteva usare per provocare il vomito. Quindi con un processo condannare a restituire il maltolto.

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXIV

 

Il cibo. Atene sembra una città di affamati

Anteprima: il festival rossiniano e la prevenzione del virus truccata

 

Paflagone e Salsicciaio escono dalla casa di Demo insultandosi a vicenda e offrendo servigi a Popolo che però dice bdeluvttomaiv sfw kai; propalaipalaivpalai, mi fate schifo tutti e due da molto molto molto tempo (1156).

Salsicciaio chiede a Demo di farli scattare dalla linea di partenza in una gara ejx i[sou - alla pari a[fe" ajpo; balbivdwn ejmev te kai; toutoniv (1159)

 

Le gare sono truccate molto spesso. Ora è truccata anche la prevenzione anticovid.

 

Ieri, come vi dicevo, sono andato a vedere il melodramma di Rossini sulla regina Elisabetta I d’Inghilterra.

Il musicista pesarese è molto bravo anche se politicamente sempre troppo legittimista.

Ma ora voglio dire altro. Nel palasport, che ospita la scena e il pubblico, i posti occupati erano uno su tre con riduzione di due terzi dei posti.

Questa è una cautela accettabile. Però tale prevenzione è stata azzerata dal ritorno in pullman al centro di Pesaro distante 5 o 6 chilometri. I posti erano tutti pieni e molti vecchi spettatori sono rimasti in piedi, ansimando. Tra i seduti parecchi sbuffavano. Insomma l’autobus era malsanamente gremito.

Mi dicono che siffatta è la situazione di quasi tutti i trasporti

L’arte e la cultura vengono penalizzate indegnamente.

Tutto questo fa schifo come i due demagoghi Paflagone e Agoracrito a Demo

 

Torniamo ai Cavalieri di Aristofane.

Demo dà il via qevoit j a[n, si può correre (1161).

I due si precipitano verso la casa del padrone.

Poi ne escono con vari oggetti che presentano a Popolo: una sedia, una tavola, Paflagone naturalmente offre una focaccina mazivskhn impastata memagmevnhn con l’orzo di Pilo (1166 - 1167).

 

Per quanto riguarda memagmevnhn - da mavssw. “impasto” - Cfr. Archiloco : ejn dori; mevn moi ma'za memsgmevnh, ejn dori; d j oi\no" - ijsmarikov", pivnw d j ejn dori; kaklimevno" , fr. 2D., distico elegiaco "Nella lancia ho la pagnotta impastata, nella lancia il vino.

ismarico, bevo appoggiato sulla lancia".

 Se è vera l'affermazione di Robert Musil secondo la quale c'è come" una catena di plagi che lega l'una all'altra" le figure del mondo artistico, Archiloco è già un anello di quella catena poiché nel frammento 2D. tradotto sopra troviamo un aggettivo, "ismarico", che rende letterario il vino del poeta - soldato; infatti era di Ismaro (in Tracia) la dolce, pura, divina bevanda (Odissea , IX, 205) usata da Ulisse per ubriacare Polifemo.

Importante è, come afferma il poeta classicista T. S. Eliot, che la parola presa a prestito funzioni nel nuovo ingranaggio spirituale

 

Salsicciaio offre a Demo crostini di pane fatti dalla dea con la sua mano d’avorio.

 

Paflagone rilancia : ejgw; de; e[tno" pivsinon eu[crwn kai; kalovn (1171) io un purè di piselli di bel colore e buono: l’ha passato Pallade stessa hJ Pulaimavco" ( combattente alla porta puvlh, e pure a Pilo Puvlo").

 

Salsicciaio allunga a Demo una marmitta piena di brodo - cuvtran zwmou` plevan 1174 - Il brodo da bere, poi la marmitta può fare da scudo o da elmo. Il dono provvidenziale viene da Pallade.

 

Paflagone presenta del tevmaco", una fetta di pesce in salamoia (1177) come dono della dea Atena Fobesistravth che spaventa l’esercito nemico.

 

Ricorderete che tevmaco" faceva parte degli scherzi di Cleopatra ad Antonio nella Vita di Plutarco utilizzata in più parti da Shakespeare nell’Antonio e Cleopatra.

 

Salsicciaio arriva a citare Omero, Esiodo e Solone: “La figlia di padre potente - hJ de; j Obrimopavtra - ti regala questa carne cotta nel brodo, e della trippa (1178 - 1179)

 

Cito soltanto i primi versi dell’elegia di Solone detta Buon governo (fr. 3 D.)

"La nostra città non andrà mai in rovina per destino

di Zeus e volontà dei beati dèi immortali:

 infatti tale custode magnanima, figlia di padre potente ojbrimopavtrh

Pallade Atena le tiene sopra le mani (vv. 1 - 4).

 

Paflagone porge un altro dono della dea: una focaccia (ejlathvr 1182 che significa anche rematore), così potremo spingere le navi.

Cfr. Acarnesi 246 dove la figlia di Diceopoli chiede alla madre un ramaiolo per versare il passato di legumi su una focaccia.

Salsicciaio offre da bere, un dono che proviene sempre dalla dea: acqua e vino in rapporto di tre a due - e[ce kai; piei`n kekramevnon triva kai; duvo (1187), tieni da bere questa miscela - keravnnumi - di tre (acqua) e due (vino).

 

Paflagone presenta una fetta di torta grassa plakou'nto" pivono" tovmon (1190).

Leggendo Aristofane ci si può fare l’idea che gli Ateniesi fossero degli affamati.

Salsicciaio rilancia con la torta intera o{lon plakou'nta .

Paflagone passa a un cibo meno grasso: però non hai una lepre da offrirgli (lagw/' , 1192jj). Lui invece la tira fuori.

 

Chiedo scusa agli animalisti ma lo stomaco può tirare un sospiro di sollievo come il mio qui a Pesaro dove mangio il pesce e non vedo mai nei piatti quel pastone gonfia viscere che sono le lasagne. Il ragù sulla pasta con tanto di burro non è da meno. Bologna è ottima per tutto tranne che per la presenza di quel cibo e per l’assenza del mare. Quando mangio fuori di sera vado in un ristorante greco di fianco al teatro comunale. E’ frequentato da studenti e professori dell’alma mater come la mensa dell’Università di Debrecen. Mi ci sento a mio agio.

 

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXV

 

Il trionfo dell’impudenza. Arcana imperii.

In appendice: la pedalata perigliosa.

 

Agoracrito distrae il rivale, gli sottrae il piatto con la lepre e lo offre a Demo, poi domanda w\ Dhmivdion, oJra'/" ta; lagw'/ j a[ soi fevrw ; - 1199, o Populuccio, vedi la lepre che ti porto?

Paflagone si lamenta: l’ho cucinata io! ejgw; d j w[pthsa (1204) - ojptavw -

Lo accusa di furto e Salsicciaio gli rinfaccia i prigionieri di Pilo rubati a Demostene.

 

I ladri cadono quando non si sostengono più a vicenda.

Come i vari raccomandati, profittatori che abbiamo qui in Italia.

 

 Demo ringrazia solo chi ha servito il piatto

Paflagone teme di venire superato nel campo dell’impudenza. uJperanaideuqhvsomai (1206).

 

L’impudenza - ajnaivdeia - è una delle armi con le quali chi tiene il potere rivendica meriti che non ha o non hanno i suoi protetti. La vediamo praticata ogni giorno da cosiddetti scienziati che hanno fatto analisi e previsioni sbagliate sul virus e ancora non chiudono le bocche dei loro infiniti vaniloqui. Ora il Massimo Galli il maximus expertus è indagato per avere truccato dei concorsi.

 Credo che in pochi oramai diano retta a costoro.

 

Agoracrito propone una gara di benemerenza verso il popolo che al potere gli apra la via. Basterà controllare il contenuto delle sporte. Mostra al pappivdion - nonnino - la sua kivsthn vuota kenhvn (1215). Lui ha consegnato tutto.

Il vecchio elogia quella sporta che ta; tou` dhvmou fronei` (1216) pensa agli affari del popolo

 Quindi Demo guarda quella di Paflagone e la trova tw'n ajgaqw'n pleva (1218) piena di cose buone. Cleone si è tenuto il pezzo più grosso della torta e a Demo ha dato solo una fettina.

E’ il banchetto di chi sta al potere e getta gli avanzi ai suoi sostenitori, gli idioti utili.

Agoracrito svela questo arcanum imperii dall’eterna presenza.

Paflagone si è sempre comportato in questa maniera: “ di quanto prendeva riservava a Popolo una piccola parte - mikro;n w|n ejlavmbanen (1222) mentre a se stesso imbandiva una parte più grossa - aujto;" d j eJautw`/ paretivqei ta; meivzona 1223, denuncia il rivale.

 

Nelle Vespe, Bdelicleone, che odia il demagogo, esorta il padre Filocleone, che invece lo ama, a calcolare qual è il tributo (to;n fovron) che Atene riceve dalle città alleate poi tutte le altre rendite (tevlh, imposte indirette miniere mevtall j, mercati, porti, confische 649). Le entrate assommano a duemila talenti.

Gli stipendi dei 6000 eliasti arrivano a 150 talenti (un talento equivalgono a 6000 dracme a 36 mila oboli)

Il vecchio ci rimane male: nemmeno la decima parte?

E gli altri quattrini?

Il figlio risponde che vanno ai demagoghi i quali adulano la folla e prendono cinquanta talenti alla volta dagli alleati terrorizzandoli prima, poi vendendo ad altro prezzo una riduzione delle pene minacciate.

Tu ti accontenti di rosicchiare i rimasugli del tuo potere (672) dice il giovane al suo vecchio genitor.

 

A questo proposito sentiamo P. P. Pasolini: “Il lettore non abituato a queste discussioni per intendere il rapporto società - cultura, immagini una specie di banchetto, in cui la borghesia mangia a quattro palmenti, invitando al suo tavolo i cuochi (gli intellettuali) e gettando qualche osso ai cani ed ai mendicanti (i proletari); quell’osso sarebbe poi, per dare un esempio, l’anticomunismo ed il clericalismo. Finché durerà questo banchetto, i proletari dovranno accontentarsi dei rimasugli delle pietanze, e gli intellettuali, per mangiare le loro pietanze, dovranno essere i cuochi dei capitalisti. L’esempio è un po’ strambo, ma dà all’incirca l’idea di come stanno le cose”[41].

 

Demo dunque accusa Paflagone di essere un ladro, e lui risponde: “ejgw; d j e[klepton ejp j ajgaqw'/ ge th'/ povlei ” (1226), ma io rubavo per il bene della città.

Questa scusa è stata usata diverse volte nel mattatoio della storia anche per giustificare genocidi, bombe – atomiche comprese - sui civili e tanti altri crimini.

Da bambino credevo a queste menzogne. Chi è rimasto bambino o simula di esserlo ci crede ancora o finge di crederci.

 

p. s.

Una nota personale. Potete saltarla, lettori miei, se non vi interessa.

Ieri verso il tramonto sono arrivato in bicicletta a Montegridolfo sulla tomba dei nonni e bisnonni di mia nonna Margherita che mi ha lasciato la terra.

Ero stato invitato a cena da mia sorella che ha fatto ristrutturare la villa padronale dove da bambino andavo con le zie a seguire battiture e vendemmie dei mezzadri. Ho fatto il ritorno dopo le 23, sempre in bicicletta, con un buio pesto. Non ho accettato l’invito a dormire dove passai diverse notti da fanciullo affacciandomi alle finestre e contemplando le stelle che scintillavano sopra di me.

Ho sentito il dovere di correre il rischio della pedalata notturna di 23 chilometri per onorare tutti in miei morti, i maggior miei consanguinei e gli amici, sopra tutti Antonia e Fulvio che mi hanno rivelato a me stesso e incoraggiato a essere me stesso.

 Ero sicuro che i miei cari che hanno giù compiuto la vita mi avrebbero protetto dal cielo nel ritorno periglioso. Poco dopo mezzanotte ero a Pesaro sul molo, a contemplare di nuovo le stelle e a ringraziare i miei angeli.

Non ne ho vsto cadere nessun astro. Perché i miei desideri di quando ero bambino si sono realizzati. Tutti quelli che era bene si realizzassero. Soprattutto amori, affetti e lavoro. Ora devo concepirne déi nuovi.

Nella giornata di ieri ho percorso 101 chilometri con tante salite pedalando per prepararmi alla gara da Pesaro a Sansepolcro. Vorrei tanto vincerla. Oggi studierò e scriverò di più. Lo devo a voi che mi leggete assidui.

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXVI

 

La buona cura promessa al popolo ateniese da Agoracrito e a noi Italiani dai Media profeti del potere

 

Metti giù la corona intimano insieme Agoracrito e Demo a Paflagone.

Poi entrambi i contendenti che lottano per il potere menzionano un oracolo

Salsicciaio sostiene che il designato a comandare è lui.

Dice di essere stato educato a forza botte dove si arrostisce il maiale ejn tai'si eu[strai" (1235) (eu[w, uro, arrostisco). I pugni lo riempivano di protuberanze - konduvloi", a pugni - anche protuberanze -

Dal maestro di ginnastica ha imparato a spergiurare rubando e guardando fisso negli occhi klevptwn ejpiorkei'n kai; blevpein ejnantivon (1239).

 

Paflagone allora ricorda un verso di Sofocle quando Edipo dice: "O Zeus, che cosa hai deciso di fare riguardo a me?" Edipo re, 738).

E Paflagone: “ O Apollo Licio che cosa mai mi farai? (1240)

Anche nelTelefo di Euripide si trova un verso simile (fr. 700 N.).

 

Paflagone domanda comunque a Salsicciaio cosa facesse da adulto e Agoracrito, vantandosi, risponde: “hjllantopwvloun kai; ti kai; bineskovmhn vendevo salsicce e lo prendevo nel culo (1242).

Paflagone seguita a disperare: non ce la fa contro Salsicciaio che è una forza della natura.

Oltretutto Agoracrito le salsicce nemmeno nel mercato centrale dell’Agorà le vendeva ma davanti alle porte dove si compra to; tavrico", il pesce in salamoia (1247).

La disperazione di Paflagone è completa: cede la corona parodiando l’addio di Alcesti al letto nuziale

Dice il demagogo sconfitto: addio corona, vai, contro voglia ti lascio w\ stevfane, caivrwn a[piqi, kai; s j a[kwn ejgw; - leivpw, un altro ti avrà, klevpth" me;n oujk a]n ma'llon, eujtuch;" d ji[sw" (1252), non più ladro, forse però più fortunato.

 

L’ Alcesti euripidea dice addio al letto nuziale con queste parole: “se; d j a[llh ti" gunh; kekthvsetai , swvfrwn me;n oujk ma'llon, eutuh;" d’ i[sws" (Alcesti, 181 - 182), un'altra donna ti avrà, non più casta, ma probabilmente più fortunata.

 

Salsicciaio esulta e Servo I lo saluta w\ cai're kallivnike (1254), salve glorioso vincitore!

Demo gli chiede quale sia il suo nome e Salsicciaio risponde jAgoravkrito" poiché fui nutrito nelle dispute dell’Agorà.

Agoracrito promette a Demo che si prenderà buona cura di lui. ejgwv sj w\ dh`me, qerapeuvsw kalw`" (1261) e il gerovntion dovrà ammettere di non avere visto nessuno migliore th`/ Kechnaivwn povlei, nella città dei Boccaperti. Non so se allude alla pratica della delazione o ad altro tipo di spalancamento orale (cfr. cavskw, “sto a bocca aperta” ) .

 

Facciamo capolino nell’attualità: ci siamo vaccinati in tanti milioni, ogni giorno il popolo dei vaccinati aumenta, però il virus non arretra, piuttosto avanza. Viene il sospetto, anche ai meno sospettosi che il vaccino non immunizzi. Un anno fa di questi tempi i vaccinati erano molti di meno e i contagiati pure. Questi sono i dati ed è sempre più difficile credere alle menzogne o alle reticenze quotidiane dei media che li contaddicono o li tacciono. Si parla già di una terza dose quando le prime due non sono servite a renderci meno timorosi dell’infezione.

Non me ne intendo punto e mi limito a rilevare i dati che non mi incoraggiano

Auguro comunque salute fisica e mentale a me e a tutti voi che mi leggete

Saluti.

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXVII

 

Parabasi II (vv.1264 - 1315)

 

Avverto i miei lettori che in questo pezzo non mancano parolacce né bordelli. Aristofane è fatto anche di questo.

Se temete di vergognarvi, saltatelo. Vi chiedo di non farmi una colpa del fatto che non censuro gli autori con pudiche aposiopesi come facevano alcuni insegnanti molto più puri di me, e anche assai più degni del sottoscritto che ha insegnato indegnamente per 35 anni nei licei classici come ordinario, dieci nell’alma mater a contratto e da più di 20 anni fa conferenze, sempre indegnamente.

 Il coro

Non è il caso di prendersela con i poveracci come Lisistrato e Teomantis to;n ajnevstion , il senza focolare (1268) sempre affamato e attaccato alla faretra di Apollo in Pilo divina mh; kakw`" pevnesqai (1273) per sfuggire alla mala miseria.

 

Invece loidorh'sai tou;" ponhrouv", insultare i malvagi non è cosa odiosa, ma è un onore che si rende alla gente perbene (timh; toi'" crhstoi'", 1275) per chi ragiona bene.

 

Segue un attacco al ponhro;" j Arifravdh" (1280), l’infame Arifrade

 jArifravdhς ponhrovς , anzi non solo ponhro;" , ma pampovnhro", uno scelleratissimo che ha fatto anche una certa invenzione - ajlla; kai; prosexeuvrekev ti (1283) :

th;n ga;r auJtou' glw'ttan aijscrai'ς hJdonai'ς lumaivnetai

ejn kasaureivoisi leivcwn th;n ajpovptuston drovson

Kai; moluvnwn th;n uJphvnhn kai; kukw'n ta;ς ejscavraς (1283 - 1286)

Inquina la propria lingua in turpi voluttà.

Leccando nei bordelli il liquido sputato fuori

 Imbrattando la barba e turbando le fiche (1283 - 1286).

 

Forse era un altro commediografo, o un democratico discepolo di Anassagora.

Arifrade dunque è il Prometeo, il prw`to" eujrethv" del cunnilingus.

Arifrade famigerato viene sfottuto anche nella II parabasi delle Vespe (del 422) come quello che, con suo bell’ingegno, ha imparato da solo a lavorare di lingua glwttopoiei'n ogni volta che entra nei bordelli ( eijς ta; pornei' j eijsiovnq j eJkastovte, 1283)

Nella Pace (del 421) Arifrade chiede di portargli Teoria. La ragazza è ben lavata, con il sedere in ordine, un culo da festa quinquennale. Mancava ancora solo il bischero.

Ma Trigeo, il contadino bramoso di pace, avverte che Arifrade si getterà su di lei e le tracannerà tutto il brodo: “to;n zwmo;n aujth̃ς porospesw;n ejklavyetai (ejklavptw , v. 885). Zwmovς era anche il brodo nero degli Spartani.

Eppure noi da goliardi, prima del 1968 quando morì la goliardia, si cantava: “Iddio perdona chi lecca la Mona - chi lecca la Mona vuol bene a Gesù”,

 

Il corifeo dei Cavalieri conclude il discorso su Arifrade dicendo che mai berrà nella propria coppa chi non schifa davvero tale uomo ( toiu`ton a[ndra mh; sfodra bdeluvttetai (1288). Cfr. Bdeluklevwn Schifacleone nelle Vespe.

 

Segue un attacco al vorace Cleonimo (già nominato al v. 958) . Il coro si domanda dove trovi facilmente - /fauvlw" - da mangiare (1293)

Dicono che una volta divorando la roba degli abbienti - ejreptovmenon ta; tw`n ejcovntwn ajnevrwn (1294 - 1295) non potesse più uscire dalla dispensa.

 Cfr. il mito di Erisittone nell’Inno a Demetra di Callimaco

Si pensi agli obesi. Ne vedo molti al mare. Sembrano donne incinte di cinque gemelli. Mi dicono che alcuni quando vanno a casa si stendono ne letto e simulano la covata assistiti dalle mogli che li tirano su con altro cibo.

 

Il Corifeo poi attacca ojxivnhn JUpevrbolon (1303), l’acido Iperbolo.

Quest’altro capopolo succederà a Cleone nel 422. Viene attaccato da Eupoli nel Maricante dove rappresenta la madre di Iperbolo come una vecchia ubriaca che balla il trescone. Ci furono accuse reciproche di plagio tra i due commediografi (cfr. Nuvole 553 - 555).

 

Iperbolo verrà ostracizzato nel 417 e si ritirò a Samo dove venne ucciso nel 411 durante un tentativo di golpe oligarchico.

Il suo ostracismo da Atene fu causato da un accordo tra Alcibiade e Nicia che individuarono in lui la vittima politica da eliminare.

 

Il Corifeo dei Cavalieri dunque riferisce che la nave più anziana disse che Iperbolo chiese 100 navi per fare una spedizione contro Cartagine. Anche lui un cattivo cittadino.

 

Una nave vergine elevò una preghiera apotropaica: piuttosto che subire quel comando, preferiva invecchiare e marcire piena di tarli. Un’altra nave, Naufante, propose di andare a rifugiarsi nel Qhsei'on (1312) il tempio di Teseo dove erano sepolte le ossa del mitico eroe attico riportate da Cimone in patria, per volontà dell’oracolo delfico. Teseo infatti era stato ammazzato a tradimento da Licomede a Sciro.

Nel tempio di Teseo trovavano rifugio i perseguitati.

 

Nelle Supplici di Euripide, Teseo quale re di Atene, città ospitale, aiuta le madri dei caduti a Tebe sconfiggendo Creonte che voleva negarne la sepoltura.

Plutarco nella Vita di Teseo (18) racconta che l'eroe ateniese , dopo l’estrazione a sorte dei giovani da portare a Creta "andò al Delfinio dove offrì ad Apollo il simbolo dei supplici, consistente in un ramo dell'olivo sacro avvolto di lana bianca (h\n de; klavdo~ ajpo; th`~ ijera`~ ejlaiva~ ejrivw/ leukw`/ katestemmevno~), per impetrare l'aiuto del dio".

 

L’altro rifugio ricordato dalla nave Naufante è il tempio delle dèe Venerande ejpi; tw'n semnw'n qew'n (1312). Sono le Erinni diventate Eumenidi.

 

Iperbolo dunque, il mercante di lucerne, salpi da solo, se vuole, mettendo in mare le ceste dove disponeva le lucerne (luvcnou") per venderle.

Questa seconda parabasi attacca alcune esistenze deformi di cittadini indegni di esserlo.

 

Le navi non vogliono ripetere l’errore della campagna degli anni 459 - 454

Nell'Agamennone[42] Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d j [Arh" swmavtwn" (v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori:"invece di uomini/ urne e cenere giungono/alla casa di ciascuno"(434 - 436).

Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459 - 454) in cui fu impegnato il fiore delle forze ateniesi"[43]. Gli Ateniesi cercarono di sostenere la rivolta contro i Persiani del ribelle Inaro. Ma la squadra ateniese fu battuta, la ribellione venne domata e Inaro fu giustiziato.

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXVIII

 

Il rinsavimento di Demo.

Esodo 1316 - 1408. pima parte

Entra in scena Agoracrito esultante. Il teatro deve paiwnivzein (1318) intonare un peana per le recenti fortune.

Il corifeo saluta il Salsicciaio vincente come tai'" nhvsoi" ejpivkoure, protettore delle isole (vessate invece da Paflagone) e gli domanda con quale buona novella sia giunto - tin j e[cwn fhvmhm ajgaqh;n h[kei" (1320)

Agoracrito risponde che avendo bollito - ajfevyhsa" - Demo lo ha reso bello da brutto che era ( kalo;n ejx aijscrou` pepoivhka, 1321). Lo ha ringiovanito con una magica cottura, un motivo mitologico antico presente nella storia di Pelia, il padre di Alcesti. Le altre figlie - tranne la più bella e buona di loro, appunto Alcesti - fecero morire in questo modo suggerito da Medea.

Ora, chiarisce Agoracrito, Demo abita nell’antica Atene coronata di viole ejn tai'sin ijostefavnoi" oijkei' tai'" ajrcaivaisin jAqhvnai" (1323)

Ora è tornato a essere com’era quando sedeva a tavola con Aristide e Milziade.

Il coro esulta e vuole vederlo.

Appare Demo con cicale d’oro nei capelli[44] tettigofovro" , ed è splendido nell’antico costume tajrcaivw/ schvmati lamprov" 1331, non puzza di processi ouj coirinw'n o[zwn (coirivnh è la conchiglia usata per votare assoluzione o condanna) ma odora di pace e di mirra. Il Corifeo lo incoraggia a compiere gesta degne del trofeo di Maratona.

Demo ringrazia Agoracrito per la cottura che lo ha ringiovanito.

Il Salsicciaio gli ricorda com’era prima, sensibile alle lusinghe più sperticate e false. Ti lasciavi ingannare, poi ajnwrtavlize" , sbattevi le ali cioè ti ringalluzzivi, kajkeroutiva" e ti davi delle arie (1344)

Demo apriva e chiudeva le orecchie w{sper skiavdeion (1348), come fossero state ombrelli.

In assemblea prevaleva sempre l’oratore che proponeva di spendere somme in salari piuttosto che per costruire le navi.

Cfr. il dilemma attuale tra il reddito di cittadinanza e le riforme strutturali.

 

Erodoto (VII, 144) racconta che Temistocle volle usare i proventi delle miniere del Laurio per costruire 200 navi invece di dare 10 dracme a ogni cittadino come era stato proposto. Lo storiografo commenta che il pericolo della guerra contro Egina fece prendere questa risoluzione e salvò la Grecia e[swse tovte th;n J Ellavda, ajnagkavsa" qalassivou" genevsqai j Aqhnaivou" costringendo gli Ateniesi a diventare marinai

Le navi poi salvarono la libertà dei Greci a Salamina.

 

Lo pseudosenofonte vede in questa conversione al mare di Atene l’origine della democrazia e del trionfo della canaglia.

Nella Costituzione degli Ateniesi pseudosenefontea il dialogante A biasima la democrazia come prepotenza del popolo, e sostiene che essa è la conseguenza dell’impero marittimo: la canaglia ha preso il potere e ha reso forte la città o{ti oJ dh'mo;~ ejstin oJ ejlauvnwn ta;~ nau'~ (1, 2), in quanto è il popolo che fa andare le navi.

 

 Demo dice aijscuvnomai toi tai'" provteron ajmartivai" (1355), mi vergogno degli errori di prima.

Agoracrito domanda: se un pagliaccio di avvocato pubblico che rappresenta lo Stato bwmolovco" xunhvgoro" (1358) ti chiedesse di comminare una condanna in cambio di farina, che cosa faresti?

Dopo averlo sollevato in aria lo getterò nel burrone - eij" to; bavraqron ejmbalw` - 1363 con Iperbolo appeso al collo risponde Demo.

Dunque verrà eliminata la corruzione.

 

 To; bavraqron era il burrone dove venivano gettati i condannati a morte per un crimine contro lo Stato. Venivano aggravati da un peso per rendere più rovinosa la caduta.

Senofonte nelle Elleniche I, 7, 20, scrive che questo tipo di esecuzione risale a un decreto del tempo di Clistene. Rimase in vigore fino al primo decennio del IV secolo.

 

Demo poi dice che ai rematori delle navi da guerra verrà pagato l’intero salario appena saranno tornati in porto.

Tucidide VIII, 45, 2 scrive che i marinai venivano pagati solo a missione compiuta.

Agoracrito: farai cosa gradita a molte natiche esili. Non so se per fame o per il logoramento.

I giovani iscritti nelle liste di leva tra gli opliti non potranno brigare per avere un trasferimento.

 

Contro l’impreparazione e la velleitaria improvvisazione dei giovani.

Aristofane e Petronio

 

Demo ringiovanito e rinsavito espone alcuni punti del suo programma.

“Nessuno che sia sbarbatello potrà concionare in piazza£ - oujd j ajgoravsei g j ajgevneio" oujdei;" ejn ajgora`/ (Cavalieri 1373).

 Si pensi al tono pretenzioso di alcuni capetti delle sardine, al bla bla bla di Greta e così via.

Del resto i giovani imitano gli adulti a partire dai genitori

 

Nel Satyricon di Ptetronio il retore Agamennone biasima i genitori che, resi troppo frettolosi dall'ambitio, non concedono agli studi dei figli i lunghi tempi necessari alla formazione di una buona cultura e di buoni oratori:"primum enim sic ut omnia, spes quoque suas ambitioni donant. deinde cum ad vota properant, cruda adhuc studia in forum impellunt et eloquentiam, qua nihil esse maius confitentur, pueris induunt adhuc nascentibus. quod si paterentur laborum gradus fieri, ut studiosi iuvenes lectione severa irrigarentur, ut sapientiae praeceptis animos componerent, ut verba atroci stilo effoderent, ut quod vellent imitari diu audirent, <ut persuaderent> sibi nihil esse magnificum, quod pueris placeret: iam illa grandis oratio haberet maiestatis suae pondus" (4, 2 - 3),

Per prima cosa infatti sacrificano all'ambizione, come ogni altra cosa, anche le proprie speranze. Poi, siccome si affrettano verso i desideri, spingono nel foro talenti ancora acerbi e fanno indossare a ragazzini nemmeno nati del tutto l'eloquenza, di cui pure riconoscono che non c'è nulla di più grande. Se lasciassero, dico, che venissero scalati i gradini della fatica, in modo che i giovani desiderosi di cultura si annaffiassero di letture serie, e ordinassero le menti con le regole della sapienza, e cavassero le parole con penna inesorabile, e ascoltassero a lungo quello che vogliono imitare, e si convincessero che niente di ciò che piace ai ragazzi è magnifico: allora quella grande oratoria avrebbe il peso della sua maestà.

 

Salsicciaio nomina una coppia di cinedi - Clistene e Stratone nominati insieme negli Acarnesi (119 e 122), poi nelle Ecclesiazuse 1374 ss.

 

Proprio così conferma Demo: ragazzotti - ta; meiravkia - che stanno a cianciare nelle profumerie o a magnificare i loro modelli come Feace.

Uno che fu mandato come ambasciatore in Sicilia a raccogliere adesioni contro Siracusa (Tucidide, V, 4, 5).

Questo loro idolo viene elogiato con una sequela di aggettivi in kov", tipo loquacico (lalhtikov") un modo di parlare arbitrario e scorretto che era di moda in quel momento, come ora si dice metodologia per metodo o “piuttosto” per “anche”. Piuttosto significa “invece”, non “anche”

Bologna 15 agosto 2021 ore 10, 32

 

 

Aristofane

I Cavalieri

XXIX

 

Demo promette che costringerà tutti questi giovani chiacchieroni perdigiorno a darsi alla caccia - ajnagkavsw kunhgetei`n ejgw; - touvtou" a[panta" (1382 - 1383)

 

Excursus La caccia I parte

Di questa attività si occupa il trattato Cinegetico (Kunhgetikov" scil. lovgo~), di Senofonte, invero di non sicura autenticità, dove la caccia è raccomandata come il miglior allenamento per la guerra.

Tale esercizio del resto viene proposto come ottimo pure in altri scritti sicuramente autentici.

"In questo pregio dato al nobile esercizio della caccia - commenta Jaeger[45] - Senofonte vede un particolar segno di sanità del sistema persiano. Egli vanta la virtù fortificante della caccia e la considera, qui come nella Costituzione degli Spartani [46] e nel Cinegetico , parte essenziale di una buona paideia".

 

Il discorso sulla caccia parte dall’affermazione che caccia e cani sono un’invenzione divina, di Apollo e Artemide: “ To; me;n eu{rhma qew`n, jApovllwno~ kai; jArtevmido~” ( Cinegetico, I, 1). Questi dèi poi ne fecero dono a Chirone per onorarne la rettitudine.

Il più giusto dei Centauri ebbe tanti discepoli, da Asclepio ad Achille e pure Enea, tutti uomini di grande levatura e prodi guerrieri:ejgw; me;n ou\n parainw` toi`~ nevoi~ mh katafronei`n kunhgesivwn mhde; th`~ a[llh~ paideiva~: ejk touvtwn ga;r givgnontai ta; eij~ to;n povlemon ajgaqoi; ei[~ te ta; a[lla, ejx w|n ajnavgkh kalw`~ noei`n kai; levgein kai; pravttein” (I, 18), io dunque consiglio ai giovani di non disprezzare la caccia né altre forme di educazione: da queste infatti si formano i prodi in guerra e nelle altre attività dalle quali deriva necessariamente il pensare, il parlare e l’agire con distinzione.

Più avanti l’autore afferma che la caccia offre al corpo numerosi vantaggi: la salute: “kai; oJra`n kai; ajkouvein ma`llon, ghvraskein de; h|tton” il vederci e l’udire meglio, l’invecchiare meno ed è la migliore educazione alla guerra (XII, 1).

Nella Ciropedia ( che tratta l'educazione di Ciro il Vecchio) Senofonte racconta che la caccia tra i Persiani si svolge a cura dello Stato e che in essa il re guida i suoi uomini come in battaglia:"o{ti ajlhqestavth aujtoi'" dokei' ei\nai au{th hJ melevth tw'n pro;" to;n povlemon" (I, 2, 10), poiché a loro sembra che questo sia l'esercizio più idoneo per la guerra.

 

In effetti il primo di tutti i guerrieri, Achille, sterminava leoni e cinghiali portandone i corpi al Centauro, e uccideva i cervi senza cani né inganno di reti ma li batteva nella corsa (Pindaro, Nemea III , 44ss.).

 

Così nell’Achilleide di Stazio, Chirone, il torvus magister, (I, 39), il precettore spietato non permetteva al trux puer (I, 302) al discepolo feroce imbelles… damnas sectari…aut timidas…cuspide lyncas sternere di inseguire imbelli daini o di abbattere con l’asta linci paurose (II, 121 - 123); Achille doveva stanare orsi feroci e cinghiali fulminei (“sed tristes turbare cubilibus ursos/fulmineosque sues”, 123 - 124) e, se le trovava, un’enorme tigre o una leonessa che si era sgravata da poco in una spelonca tra i monti.

 

Torniamo al Cinegetico: la caccia rende anche equilibrati e giusti in quanto si tratta di un’educazione nella realtà: “dia; to; ejn th`/ ajlhqeiva/ paideuvesqai” (XII, 8). Inoltre l’esercizio venatorio abitua alla fatica, il che significa preparazione al sacrificio per la salvezza della patria. Gli uomini migliori sono oiJ qevlonte~ ponei`n (XI, 18), quelli che hanno voglia di affrontare fatiche.

 

“Tutto l’opuscolo è percorso da un capo all’altro dall’esaltazione del ponos, della fatica, e dello sforzo, senza di che nessun uomo si educa veramente. In questo elemento gli storici della filosofia hanno visto l’influenza di Antistene, che interpretò in tal senso il messaggio socratico. Ma anche per natura sua Senofonte fu amico di natura e travaglio…Se c’è un punto in cui egli parli per convinzione è questo. Il ponos, la fatica, è nella caccia l’elemento educativo; su di esse si era fondata l’alta areté di quegli eroi antichi, gli alunni di Chirone”[47].

 

Nei Memorabili (II, 1, 21 - 34), Senofonte riferisce, attraverso Socrate, la favola esemplare di Eracle al bivio attribuita a uno scritto (Stagioni ) del sofista Prodico di Ceo[48]. Ebbene delle due donne che l'eroe giovinetto incontra, quella virtuosa, la Virtù personificata, lo avvisa che gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno:"tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n oujde;n a[neu povnou kai; ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi"" (II, 1, 28).

 

Il Cinegetico procede biasimando i sofisti i quali non insegnano la virtù, bensì il male. L’autore dichiara di servirsi delle parole in modo non sofisticato (toi'~ men ojnovmasin ouj sesofismevnw~ levgw, 13, 5) siccome vuole insegnare la virtù in maniera diretta. Sono infatti le massime morali gnw'mai, se buone, a educare, non le parole.

 

“Gli scritti coi quali i Sofisti pretendono d’introdurre i giovani “alla virtù” sono privi di contenuto vero (gnw'mai) e li abituano solo a una vana dilettazione”[49]. I sofisti parlano per ingannare e scrivono in vista del proprio tornaconto (oiJ sofistai; d j ejpi; tw'/ ejxapata'n levgousi kai; gravfousin ejpi; tw'/ eJautw'n kevrdei, 13, 8).

Antiche tradizioni (lovgoi ga;r palaioiv, XIII, 17) ricordano che gli dèi stessi hanno praticato con diletto la caccia. Anche le donne cui gli dèi concessero questo dono, Atalanta[50], Procri e altre, sono diventate valorose (XIII, 18).

 

Alla salute corporea Senofonte attribuisce grande importanza anche nei Memorabili: la buona condizione fisica è necessaria in guerra e in ogni genere di competizione, ed è certamente utile in ogni attività della vita: “pro;~ pavnta ga;r o{sa pravttousin a[nqrwpoi crhvsimon to; sw'ma ejstin” (III, 12, 6).

 

Anche “il povero Leopardi” dalla “vita strozzata”[51] attribuisce grande importanza alla salute e alla forza del corpo: “ E il corpo è l’uomo. Perché… tutto ciò che fa nobile e viva la vita, dipende dal vigore del corpo, e senza quello non ha luogo. Uno che sia debole di corpo, non è uomo, ma bambino; anzi peggio; perché la sua sorte è di stare a vedere gli altri che vivono, ed esso al più chiacchierare, ma la vita non è per lui. E però anticamente la debolezza del corpo fu ignominiosa, anche nei secoli più civili. Ma tra noi già da lunghissimo tempo l’educazione non si degna di pensare al corpo, cosa troppo bassa e abbietta: pensa allo spirito; e appunto volendo coltivare lo spirito, rovina il corpo, senza avvedersi, che rovinando questo, rovina a vicenda anche lo spirito”[52].

 

Excursus

la caccia

La caccia in altri autori

Su questo tema vale la pena fare qualche riferimento ad altri autori.

Platone alla fine del VII libro delle Leggi prende in considerazione la caccia "come una forma legittima di paideia...affermando l'alto valore di questa attività per la formazione del carattere"[53]. Il filosofo del resto fa delle distinzioni nell' ampio ambito semantico indicato dalla parola qhvra. E' positiva e degna di lode (e[paino~) solo la caccia che rende migliori le anime dei giovani (823d), mentre merita biasimo (yovgo~) quella che agisce in modo contrario.

Dunque non va approvata la caccia in mare, né la pesca con l’amo, né l’ oziosa caccia con le reti (kuvrtoi~ ajrgo;n qhvran), da svegli o da addormentati.

Qualsiasi forma di qhvra in mare, compresa la pirateria, che rende gli uomini qhreuta;~ wjmou;~ kai; ajnovmou~ (823e) cacciatori crudeli e fuorilegge viene disapprovata. La caccia agli uccelli non è del tutto degna di un uomo libero.

La cattura di un animale deve essere la vittoria di un'anima che ama la fatica: allora rimane, migliore e unica, la caccia diurna ai quadrupedi, con i cavalli, con i cani, con le proprie forze fisiche, sui quali hanno la meglio quanti si prendono cura del divino coraggio, cacciando di propria mano, con corse, colpi e lanci.

 Quindi la legge, conclude l’Ateniese, non impedisca a questi che sono davvero cacciatori sacri di andare a caccia dove e come vogliono, ma non permetta mai e in nessun luogo di cacciare al cacciatore notturno che confida nei lacci e nelle reti; al cacciatore di uccelli non si impedisca di cacciare nei campi incolti e sui monti, ma non deve farlo nei campi coltivati[54] e sacri; il pescatore infine può pescare ovunque tranne che nei porti, nei fiumi, negli stagni e nei laghi sacri, ma non deve servirsi di misture torbide di succhi vegetali (824). Le quali, ovviamente, avvelenavano i pesci.

 Si può immaginare come Platone considererebbe il cacciatore armato di fucile!

"Nel vietare l'uso di reti e trappole il codice di caccia platonico va anche al di là di quello di Senofonte"[55].

 Platone in definitiva considera la caccia un mezzo per temprare il carattere e anche per curare la bellezza naturale che, leggiamo nel Gorgia , si ottiene solo attraverso la ginnastica, mentre è falsa la bellezza cercata con la cosmesi la quale è malvagia e pure fallace e ignobile e servile "kakou'rgov" te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;" kai; ajneleuvqero""(465 b) , poiché inganna attraverso l'apparenza, i colori, gli unguenti i vestiti.

 

Isocrate nell'Areopagitico (44) ricorda che gli abbienti del buon tempo antico si dedicavano alla cinegetica oltre che all'ippica, alla ginnastica e alla filosofia, mentre I più poveri venivano indirizzati all'agricoltura e al commercio, in una concezione della paideia come gioco elevato espressa pure da Callicle nel Gorgia di Platone. Menandro nella comedia L'arbitrato pone il cacciare i leoni ("qhra'n levonta"", v. 148) tra le imprese degne di un uomo libero e nobile, insieme con il portare le armi ("o{pla bastavzein") e correre negli agoni ("trevcein - ejn ajgw'si", vv. 149 - 150).

 

Un autore nostro che raccomanda la caccia come "esercizio della guerra" è Machiavelli:"E quanto alle opere, oltre al tenere bene ordinati et esercitati li sua, debbe stare sempre in sulle caccie, e mediante quelle assuefare el corpo a' disagi". Il che non toglie niente all'esercizio intellettuale:"Ma, quanto allo esercizio della mente, debbe el principe leggere le istorie, et in quelle considerare le azioni delli uomini eccellenti"[56].

 

Molti sono stati i prìncipi dediti alla caccia: Sallustio racconta che Giugurta non imputridiva nell’ozio , ma cavalcava, si addestrava con l’arco, gareggiava nelle corse con i coetanei “ad hoc, pleraque tempora in venando agere, leonem atque alias feras primus aut in primis ferire, plurimum facere, minimum ipse de se loqui” (Bellum Iugurthinum, 6, 1), inoltre passava la maggior parte del tempo nella caccia, colpiva per primo o tra i primi i leoni o altre fiere, agiva moltissimo, parlava pochissimo di sé.

 

A favore della caccia per altre ragioni, evidentemente legate a Eros, è anche Ovidio, il poeta mulierosus . Questa attività viene consigliata, in tutte le sue branche, tra i Remedia amoris , sulla linea di Teofrasto che considerava l'amore "pavqo" yuch'" scolazouvzh""[57], un'affezione dell'animo disoccupato:"...Venus otia amat; qui finem quaeris amoris,/cedit amor rebus; res age: tutus eris "[58], Venere ama il tempo libero; tu che cerchi la fine di un amore, datti a delle attività e sarai sicuro: l'amore si ritira davanti alle attività. Tra quelle raccomandate c'è anche la caccia:"Vel tu venandi studium cole; saepe recessit/turpiter a Phoebi victa sorore Venus "[59], oppure tu coltiva la passione per la caccia; spesso si è ritirata con vergogna Venere vinta dalla sorella di Febo[60].

 

Del resto già nell'Ecloga X di Virgilio, Cornelio Gallo[61] cerca di sfuggire alla sofferenza amorosa, che Licoride gli infligge, col proposito di percorrere le montagne dell'Arcadia a caccia di aspri cinghiali mescolato alle Ninfe :"Interea mixtis lustrabo Maenala Nymphis,/aut acris[62] venabor apros "(vv. 55 - 56).

 

Excursus

La caccia e conclusione dei Cavalieri di Aristofane

 

Contro la caccia

Ora vediamo alcune testimonianze contro qualsiasi tipo di caccia. Troviamo un'appassionata apologia della vita degli animali in Il fondamento della morale[63] di Schopenhauer che giunge a deplorare pure la pesca:"Bisogna avere tutti i sensi ottusi...per non vedere che nell'animale e nell'uomo l'essenza principale è la stessa e ciò che li distingue non è nel primario, nel principio, nell'archaios , nell'intima essenza, nel nocciolo dei due fenomeni, che nell'uno come nell'altro è la volontà dell'individuo, bensì soltanto nel secondario, nell'intelletto, nel grado di facoltà conoscitiva che nell'uomo, aggiungendosi la facoltà di conoscenza astratta, chiamata ragione, è più alto, ma, come è provato, soltanto in virtù di un maggiore sviluppo cerebrale, cioè della diversità somatica di un'unica parte, del cervello, e specialmente della sua quantità. Per contro le parti uguali tra animali e uomo sono, sia nella psiche sia nel corpo, incomparabilmente più numerose. A questi occidentali e giudaizzanti spregiatori degli animali e idolatri della ragione bisogna rammentare che, come essi sono stati allattati dalla loro madre, anche il cane lo è stato dalla sua...Che la morale del cristianesimo non tenga conto degli animali è un suo difetto...garbato simbolo del difetto testé deplorato nella morale cristiana, nonostante la rimanente grande concordanza con quella indiana, potrebbe essere il fatto che Giovanni il Battista si presenta esattamente come un saniassi indiano, ma...vestito di pelli d'animale! che sarebbe, è noto, un orrore per ogni indù...Un simile caratteristico contrasto è offerto dalla storia evangelica della retata di Pietro che il Redentore favorì al punto di sovraccaricare di pesci le barche fino a farle affondare ( Luca , 5[64]), con la storia di Pitagora, iniziato alla sapienza egizia, il quale acquista dai pescatori tutta la retata, mentre la rete è ancora sotto acqua, per donare poi la libertà a tutti i pesci catturati (Apuleio, De magia , 31[65]). La pietà verso gli animali è talmente legata alla bontà del carattere da consentire di affermare fiduciosamente che l'uomo crudele con gli animali non può essere buono"[66].

 

 In Guerra e pace di Tolstoj c'è la lunga descrizione di una caccia compiuta da "centotrenta cani e venti cacciatori a cavallo"(p. 744) prima contro un solo lupo che, catturato, "sussultando con le zampe legate, guardava tutti con espressione selvaggia e al tempo stesso ingenua."(p. 755); poi questo piccolo esercito se la prende con" una strana volpe, bassa e rossa che correva frettolosa sui campi agitando la coda"(p. 756). Questa viene uccisa. Infine viene catturata una lepre, e uno dei cacciatori "tagliò dalla bestia una delle zampe posteriori, per i cani."(p. 762), così preziosi che per uno di loro un proprietario terriero "l'anno prima aveva ceduto a un vicino tre famiglie di servi"(p. 759). In questa storia, come si vede, c'è un bel campionario di vizi umani, a cominciare dal più grave di tutti che è il disprezzo per la vita.

 

L’assassinio di Cristo. Wilhelm Reich vede nell'uccisione di un cervo uno dei tanti aspetti dell’ assassinio di Cristo , il delitto che l'uomo emotivamente appestato, sessualmente represso, e impotente, compie contro la vita bella, radiosa, aperta, curiosa di persone come Gesù o Socrate, Giordano Bruno o Gandhi:"Cristo non sa nulla dell'odio strutturale nell'uomo, conseguenza della sua frustrazione[67] …Uccideranno Gesù Cristo per un delitto che essi stessi gli hanno imputato, che essi stessi hanno inventato, che essi hanno commesso migliaia di volte; un delitto che Cristo non si era mai sognato di commettere...Se essi stessi sono abitualmente delle spie, uccideranno Cristo per spionaggio (p. 128)...E gli sputeranno in viso, e lo frusteranno e faranno a pezzi il suo onore, e lo lasceranno soffrire agonie per distruggere il suo amore per il popolo e l'amore del popolo per lui (p. 129)...L'assassino appestato...uccide semplicemente perché non riesce a sopportare il fatto che esistano persone come Bruno, o Cristo, o Gandhi, o Lincoln (p. 159)...Gesù Cristo, giovane, bello, attraente, vivo, venne ucciso perché le donne lo amavano come nessuno scriba avrebbe mai potuto essere amato; venne ucciso perché era fatto e viveva in un modo che nessun sacerdote talmudista avrebbe mai sopportato di vedere (p. 225). Tuttavia "la Vita in realtà non poteva morire. La Vita non può venire uccisa, mai. Era appesa sulla croce e agonizzava perdendo sangue da molte ferite, ma in realtà essa è invincibile. Uscita da un corpo, certamente ritornerà in un altro. Sanguinerà ancora, per un tempo lunghissimo, nelle mani della vita distorta, indurita, corazzata che non avverte la dolcezza delle membra né sopporta di guardare un cervo che pascola in un prato al tramonto senza uccidere o accoltellare o soffocare chi le ricorda il suo paradiso perduto"(p. 233).

Reich in Ascolta, Piccolo Uomo , ribadisce l'idea che la caccia, e la pesca, sono, come bastonare i bambini, azioni da frustrati e sadici i quali odiano la vita:"Non bastono i bambini, non pesco e non do la caccia a cervi e caprioli"(p. 25).

Fine excursus sulla caccia

 

Conclusione dei Cavalieri

 

Ma concludiamo lo studio dei Cavalieri di Aristofane

Agoratrico fa una battuta oscena: offre a Demo uno sgabello kai; pai'd j ejnovrchn (1384) e un ragazzo con i coglioni che lo porti, e se ti va puoi usare lui come sgabello (1385 - 6)

Sicché Demo può tornare ai suoi vecchi costumi.

Agoracrito gli offre una Tregua trentennale aiJ Spondaiv che poi è una bella ragazza (1389)

Demo domanda se si può trentennarla e[xestin aujtw'n katatriakontoutivsai; (1391), forse sbatterla 30 volte.

Paflagone la teneva reclusa ma ora viene affidata a Demo.

Il farabutto Paflagone andrà a fare il mestiere di Agoracrito: venderà salsicce davanti alle porte ejpi; tai'" puvlai" ajllantopwlhvsei movno" (1398) mescolando pezzi di cane con pezzi d’ asino - ta; kuvneia maignu;" toi'" ojneivoi" pravgmasin, e ubriaco insulterà le puttane mequvwn te tai'" povrnaisi loidorhvsetai (1400)

Demo ribadisce che Paflagone è davvero degno di gareggiare in schiamazzi con puttane e bagnini a[xio" - povrnaisi kai; balaneu'si diakekragevnai (1403).

Demo dà ad Agoracrito un posto nel Pritaneo, un posto che era indegnamente e indebitamente occupato dal farmakov" (1405).

Farmakoiv erano due disgraziati poveri e brutti che venivano cacciati da Atene nel primo giorno della festa delle Qarghvlia (tav) festa in onore di Apollo e Artemide nel mese Qarghliwvn (aprile - maggio). Nel secondo giorno di festa c’era una processione.

 

Demo dà ad Agoracrito th;n batracivda una veste verde rana da indossare, l’abito della festa (1406)

Cleone deve essere trascinato nel suo turpe mestiere perché lo vedano i forestieri che egli maltrattava - i{n j i[dwsin aujtovn, oi|" ejlwba`q ,j oiJ xevnoi ( 1408).





[1] Scritti corsari, p. 286.

[2] E. Morin, I sette saperi, p. 70.

[3]Mazzarino, op. cit., pp. 251 e 252. La parte tradotta corrisponde alle ultime righe di III, 38, 7.

[4] Droysen, Aristofane, (del 1838), trad. it. p. 170.

[5] Droysen, Aristofane, p. 172.

[6]Paideia , I vol., p. 668.

[7]Canfora - Corcella, La letteratura politica e la storiografia in Lo spazio letterario della Grecia antica, I, 1,, p. 468.

[8] I colpevoli (ndr).

[9] Contro chi non ci aveva mai recato offese (ndr).

[10] Del 339 a. C. (ndr).

[11]Canfora - Corcella, op. cit., pp. 468 - 469.

[12] Del 1594 - 1595.

[13] eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi.

Augusto dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides ( Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.

 Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo” G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11

Senza risalire al 14 d. C., penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire, ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo da loro più e meglio che a scuola. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me". 

[14] Zibaldone, p. 4523.

[15] Zibaldone, 1411 - 1412.

[16] I miei ragazzi insidiati dal demone della Facilità, Marco Lodoli, in La Repubblica 6 novembre 2002, p. 14.

[17] Cantico del sole da Quia pauper amavi (1919).

[18] B. Brecht, Lode del comunismo (del 1933) vv. 1 e 11 - 14. Il soggetto è il comunismo.

[19]Scritto tra il 163 e il 165 d. C.

[20] Composte intorno al 410 a. C.

[21] Seneca cita questo verso traducendolo così: “ut ait ille tragicus ‘veritatis simplex oratio est’, ideoque illam implicari non oportet” (Ep. 49, 12), come dice quel famoso poeta tragico “il linguaggio della verità è semplice”, e perciò non deve essere complicata.

[22] Si ricordi quanto si è detto a proposito della poikiliva (21. 3).

[23] Iliade, XI, 832.

[24] Dante, Inferno, XII, 71.

[25] S. Settis, Futuro del 'classico' , p. 48.

[26] Parerga e paralipomena p.210, vol.I

[27] Cicerone, De officiis, I, 130.

[28] Il metro di questa ode è la strofe asclepiadea quarta.

[29]F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, Schopenhauer come educatore , p. 173 

[30] J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito e tragedia nell'antica Grecia, n. 9 p. 91 

[31] S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 20.

[32] Livio, I, 56.

[33] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi, Torino, 2000, p. 86.

[34] Saxo, 3, 6, 11.

[35] Igino, Fabulae, 95.

[36] Plinio, Naturalis historia, 35, 129.

[37] Giustino, 2, 7; Plutarco, Vita di Solone, 8, 1, sg.

[38] Il libro dei Re, 21, 11 (=Il libro di Samuele, 21, 11 - 13).

[39] Saxo, 3, 6, 6.

[40] M. Bettini, op. cit., p. 59.

[41] P. P. Pasolini, Un intervento rimandato (marzo 1949), in Pasolini Saggi sulla politica e sulla società, p. 83.

[42] Del 458 a. C.

[43] Storia dei Greci , II vol., p.91

[44] Era una moda dei benestani quella di portare nei capelli fermagli a forma di cicala (cfr.Ticidide, I, 6, 3)

[45]Paideia, , p. 286.

[46]IV, 7 e VI, 3 - 4.

[47] W. Jaeger, Paideia, 3, p. 313.

[48] Nato poco prima di Socrate.

[49] W. Jaeger, Paideia, 3, p. 314

[50] Atalanta era una fanciulla del Menalo, monte dell’Arcadia, nota..cursu (Stazio, Tebaide, VI, 563), famosa per la corsa. Erano note le sue qualità eccezionali e il fatto che nessuno dei suoi pretendenti era in grado di seguirne le falcate: “quis Maenaliae Atalantes/nesciat egregium decus et vestigia cunctis indeprensa procis?” (563 - 565).

[51] B. Croce, La letteratura italiana, vol III, p. 73.

[52] G. Leopardi, Operette morali, Dialogo di Tristano e di un amico.

[53]Jaeger, Op. cit., pp. 308 - 309

[54] Cfr. Cinegetico: “Quando si va a caccia in luoghi coltivati, ci si tenga lontano dai frutti delle stagioni (V, 34)

[55]Jaeger, Op. cit., p. 309.

[56]Il Principe , cap. XIV.

[57]In Stob. 4, 20, 66.

[58]Ovidio, Remedia amoris , vv. 143 - 144.

[59]Ovidio, Op. cit., vv. 199 - 200.

[60] Diana.

[61] E' il primo elegiaco del canone di Quintiliano che attribuisce grande credito a questi poeti:"elegia quoque Graecos provocamus"( Institutio oratoria, X, 10, 93), anche nell'elegia sfidiamo i Greci. Noi lo conosciamo attraverso la mediazione di Virgilio e per pochi versi che contengono già le parole chiave dell'elegia latina: domina, servitium amoris, nequitia.

[62] =acres.

[63] Saggio del 1840 pubblicato nel 1841 in un unico volume insieme a La libertà del volere umano con il titolo I due fondamentali problemi dell’etica.

[64]Luca, 5, 4 - 6:"Ut cessavit autem loqui, dixit ad Simonem:"Duc in altum et laxate retia vestra in capturam". Et respondens Simon dixit:"Praeceptor, per totam noctem laborantes nihil cepimus; in verbo autem tuo laxabo retia". Et cum hoc fecissent, concluserunt piscium multitudinem copiosam; rumpebantur autem retia eorum ", poi, quando ebbe finito di parlare, disse a Simone:"Vai al largo e calate le vostre reti per la pesca". E Simone disse in risposta:"Maestro, faticando tutta la notte, non abbiamo preso niente; ma sulla tua parola getterò le reti". E avendo fatto questo, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano addirittura.

[65]"memoriae prodiderunt, cum animadvertisset proxime Metapontum in litore Italiae suae, quam subsicivam Graeciam fecerat, a quibusdam piscatoribus everriculum trahi, fortunam iactus eius emisse et pretio dato iussisse ilico piscis eos, qui capti tenebantur, solvi retibus et reddi profundo ", si tramanda che avendo notato, presso Metaponto, sul litorale della sua Italia, di cui aveva fatto una seconda Grecia, che da alcuni pescatori veniva tratta una rete, comprò la retata fortunata e sborsato il denaro ordinò che subito venissero liberati i pesci catturati e restituiti al fondo del mare.

[66]Il fondamento della morale , pp. 248 - 249.

[67] ( L’Assassinio di Cristo, p. 103 )

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