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Aristofane
I Cavalieri
XVIII
Sviluppo
senza progresso
L’educazione
attraverso gli esempi. La repressione di Mitilene e altre alleate ribelli.
Aristofane,
Tucidide, Isocrate,
Paflagone
risponde che alla città lui ha reso più servizi di Temistocle.
Salsicciaio
reagisce con un elogio di Temistocle che garantì l’acqua la città.
Era
sovrintendente alle acque del demanio (uJdavtwn ejpistavth") e impose
grosse multe a chi rubava l’acqua (Plutarco, Vita, 31)
Inoltre
le aggiunse il Pireo per colazione. Cioè fece fortificare il Pireo e volle fare
degli Ateniesi un popolo di marinai per accrescere la loro potenza (Tuc. I, 93,
3 - 4).
Platone
nega che Atene sia stata resa grande dall'azione dei politici Ateniesi,
Temistocle, Cimone, Pericle. Si dice che costoro abbiano reso grande la città,
e non si accorgono che essa, proprio a causa di questi uomini del passato,
invece è gonfia e ulcerosa nel suo interno: “kaiv fasi megavlhn th;n povlin pepoihkevnai
aujtouvς : o{ti de; oijdei' kai; u{poulov~ ejstin dij ejkeivnouς tou;ς palaiouvς, oujk aijsqavnontai (Gorgia, 518e).
Essi, senza preoccuparsi della temperanza e
della giustizia ( a[neu ga;r swfrosuvnh~ kai; dikaiosuvnh~, 519a),
hanno riempito la città di porti, di arsenali, di mura, di tributi e di altre
sciocchezze del genere (kai; toiuvtwn fluariw̃n).
Quando
la malattia esploderà, verranno accusati i consiglieri presenti; Qemistokleva de; kai;
Kivmwna kai; Perikleva ejgkwmiavsousin, tou;ς aijtivouς tw̃n kakw̃n, mentre continueranno a elogiare
Temistocle e anche Cimone e Pericle, i responsabili dei mali.
E’
lo sviluppo senza progresso denunciato da Pasolini:" E' in corso nel nostro paese… una
sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i
mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non
sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d'accordo che
potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale; ma finora
sono stati, così come li hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di
sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno
degli italiani"[1].
Il genocidio
culturale parte sempre dall’impoverimento e imbarbarimento della lingua. La
fiducia nel progresso della vita è fiducia nella lingua.
“Concepito
in modo solo tecnico - economico, lo sviluppo a breve termine è insostenibile.
Abbiamo bisogno di un concetto più ricco e complesso dello sviluppo, che sia
nello stesso tempo materiale, intellettuale, affettivo, morale (…) Il XX secolo
non è uscito dall’età del ferro planetaria, vi è sprofondato”[2].
Salsicciaio continua a elogiare Temistocle il
quale, senza togliere alla città niente di quello che mangiava prima, ijcqu'"
kainou;"
parevqhken
(816)
le offrì pesci nuovi.
Paflagone
invece di unificare Atene con le lunghe mura, di impastarla con il Pireo ha
mortificato i cittadini diatecivzwn kai; crhsmw/dw'n
dividendoli con muri e cantando oracoli (818). Temistocle fu mandato in esilio feuvgei th;n gh'n (fu
condannato all’esilio per tradimento, Tucidide, I, 138, 6), mentre tu,
Paflagone, ti asciughi le dita con mollica di pane scelto.
Demo
comincia a sospettare di Cleone.
Salsicciaio
seguita a denunciare i furti di denaro pubblico pepetrati da Paflagone: pesca a
piene mani nel denaro pubblico (827). Lo accusa di avere preso 40 mine da
quelli di Mitilene.
Nel 427 Cleone, battuto da Diodoto, ritirò la
sua proposta di ammazzare tutti gli abitanti dell’isola.
Nel 428 le città dell'isola di
Lesbo, tranne Metimna, si ribellarono; Mitilene capeggiò la rivolta ed entrò
nella lega peloponnesiaca. Gli Ateniesi reagirono con forza, assediarono la
città per terra e per mare, finché questa nel 427 si arrese. Gli aiuti spartani
furono inefficaci e tardivi.
Dopo la resa, Cleone propose di uccidere tutti
i Mitilenesi e gli Ateniesi in un primo momento lo approvarono.
Però
poi si pentirono di avere accolto la proposta di sterminio, e Cleone parlò
contro tale metavnoia .
Disse in sostanza che l'impero ateniese è una
tirannide ("turannivda e[cete th;n ajrchvn", III, 37, 2) la quale per
reggersi deve usare la forza e bandire la compassione.
Il
sistema capitalistico è la tirannide della finanza e del mercato che impone il
consumo sconsiderato attraverso le favole mentite della pubblicità
Cleone
rimproverò gli Ateniesi accusandoli di estetismo: si lasciano vincere dalle
parole belle dei sofisti e non badano alla visione concreta dei fatti.
Mazzarino
nota che "Con Cleone tutto cambia. Egli è il primo uomo del popolo, che assuma
direttamente la condotta del movimento democratico...Tucidide gli aveva
attribuito, appunto, un'aperta ostilità contro l'eloquenza forbita.
"Affascinati da questa eloquenza, sembrate cercare qualcosa di diverso dal
mondo in cui viviamo; e finite con l'assomigliare a gente seduta per uno
spettacolo di gara tra sofisti, anziché ad un'assemblea deliberante".
L'antipatia personale di Tucidide non gli impedisce, dunque, di caratterizzare
questa eloquenza di Cleone, e di riconoscere che egli era personalità allora
dominante in Atene"[3].
“In
ogni caso questo discorso mostra che Cleone non era affatto un adulatore del
popolo, nell’accezione comune del termine e nel senso che Aristofane vorrebbe
accreditare; le sue parole contro il popolo sono dure e veementi, i rimproveri
più amari sono fin troppo giustificati”[4].
“Il discorso
riferito da Tucidide ci ha fatto vedere che Cleone era solito parlare al popolo
con molta severità; al contrario i suoi avversari cercavano di confondere il
giudizio della massa con parole dolci e con adulazioni di ogni genere”[5].
I
Mitilenesi, continua Cleone, hanno fatto un gravissimo torto agli Ateniesi che
li avevano onorati al di sopra degli altri, sbagliando del resto: l'uomo per
natura è portato a disprezzare chi lo rispetta e ad ammirare chi non
cede:"pevfuke
ga;r kai; a[llw" a[nqrwpo" to; me;n qerapeu'on uJperfronei'n, to; de;
mh; uJpei'kon qaumavzein"(Tucidide, III, 39, 5).
Questa
invero è la regola dei rapporti sadomasochisti, praticati da uomini
spiritualmente distorti, da quanti, come lamenta Teognide, si ingannano a
vicenda, deridendosi a vicenda (Silloge , v. 59).
La
conclusione del sanguinario demagogo è che bisogna punire con la morte questi
ribelli e dare un esempio chiaro (paravdeigma safev", III 40, 7) agli altri alleati.
L'educazione
richiede gli esempi dopo le regole: in questo caso è richiesto un paradigma di
atrocità per insegnare ai sudditi che non devono ribellarsi.
Platone
nella Repubblica afferma che non sono
diversi dai ciechi coloro che non hanno nell’anima nessun esemplare
chiaro:"mhde;n
ejnarge;" ejn th'/ yuch'/ e[conte" paravdeigma"
(484c).
Seneca sostiene che
la via per la saggezza è breve ed efficace attraverso gli esempi, mentre è
lungo il cammino che passa per i precetti:"longum iter est per praecepta,
breve et efficax per exempla (Epist. , 6, 5).
A
tale proposta segue quella più moderata di Diodoto il quale consiglia di punire
solo i colpevoli: così i sostenitori di Atene sarebbero stati incoraggiati. Il
partito di Diodoto vinse:"ejkravthse de; hJ tou' Diodovtou"
(III, 49, 1) e Mitilene scampò alla distruzione. Comunque un poco più di mille
("ojlivgw/
pleivou" cilivwn", III, 50, 1) ribelli furono uccisi, le mura di
Mitilene vennero abbattute, le navi portate via e il territorio dell'isola (tranne
quello di Metimna) diviso in lotti per i cleruchi ateniesi.
Con
questo episodio secondo Jaeger, Tucidide "coglie l'occasione di fare
svolgere i rispettivi criteri alle correnti energica e moderata della politica
attica verso i confederati nel duello oratorio tra Cleone e Diodoto
nell'assemblea popolare d'Atene, e dimostrare le immense difficoltà che
presentava, appunto durante la guerra, il problema del giusto trattamento dei
confederati"[6].
Il
Coro elogia e invidia la facondia di Salsicciaio (zhlw' se th'" eujglwttiva", 837). Continuando
così diventerà mevgisto"
JEllhvnwn
(838) il più grande degli Elleni. Non deve mollare il rivale visto che gli ha
dato la presa - ejpeidhv
soi labh;n devdwken (841). Avrà successo facilmente con tali fianchi - katergavsei ga;r rJa/diw"
pleura;" e[cwn toiauvta" - 842 Sembra una presa di tipo
omosessuale
Paflagone
replica che lui potrà mettere un bavaglio ai suoi nemici - tou;" ejmou;
ejcqrou;" ejpistomivzein - 845 finché rimarrà qualche cosa degli
scudi presi a Pilo (846).
Pausania
(II sec. d. C.) scrive che nel portico (stoav) al tempo suo si vedevano ancora gli
scudi di bronzo ejntau'qa
aspivde" kei'ntai calkai' tolti agli Scionei e ai loro alleati.
Quelli tolti agli Spartani nell’isola di Sfacteria erano spalmati di pece perché
non venissero sciupati dalla ruggine (Viaggio
in Grecia, I, 15, 4).
Scione
si trova nella Calcidica (Pallene) a sud di Potidea. Venne punita per la
ribellione pesantemente nel 422 da Nicia che guidò una spedizione di 50 triremi
e 1000 opliti
Nel Panegirico Isocrate ricorda come
moderata la punizione subita dai Meli, al pari di quella degli abitanti di
Scione, nella Calcidica, avvenuta qualche anno prima. Infatti altri popoli
dominatori non si sono comportati più mitemente ("pra/ovteron", 102) di loro, degli Ateniesi, che
dunque devono essere giustamente lodati ("divkaiovn ejstin hJma'" ejpainei'n") poiché hanno tenuto a lungo il potere
trattando con durezza solo pochissimi ribelli ("ejlacivstoi"
calephvsante"").
“Nel Panegirico ( del
Isocrate però cambia idea nel tempo.
"Venticinque
anni dopo, nel discorso Sulla Pace (
L'ultimo Isocrate,
infine, che nell'estrema vecchiezza scrive il Panatenaico [10],
concede ormai che la repressione di Melo, Scione, Torone...furono
"errori" da parte di Atene (63, 70), e riconosce, dinanzi alla
ricorrente rievocazione “delle sofferenze dei Melii" , di “non potere né
voler rispondere a tutto quanto possa a buon diritto dirsi a carico della
nostra città” (64). Dunque non importa più se fossero ejxamartavnonte~ i puniti, certo fu aJmavrthma il punirli così duramente” [11].
Salsicciaio
nota che Cleone ha fatto appendere gli scudi con le imbracciature toi'" povrpaxin (849) in
modo che, qualora sentisse odore di ostracismo, i mercanti di miele e di
formaggio che lo appoggiano melitopw'lai kai; turwpw'lai (854)
oltre naturalmente i bursopw'lai i cuoiai, potranno correre a imbracciarli per
difenderlo.
Gli
Spartiati toglievano l’imbracciatura agli scudi quando non li usavano per
timore che li prendesseto gli iloti (Crizia, 88 B, 37 D. K.)
Demo
se ne risente con Paflagone. Si sta convincendo che lo ingannava
Paflagone
gli risponde che è stato lui solo a fermare i congiurati antidemocratici e[pausa tou;"
xunwmovta"
(862)
Nulla
mi è mai sfuggito di quanto si trama in città, anzi mi sono messo subito a
gridare - ajll
j eujqevw" kekraga - 863 -
Aristofane
I Cavalieri
XIX
Le
anguille e l’Eliea: il tribunale dove si trulla
Salsicciaio paragona Paflagone ai pescatori di
anguille. quelli oiJ ta;" ejgcevlei" qhrwvmenoi (864).
Quando hJ livmnh lo stagno è calmo, lambavnousin oujdevn (865),
mentre le prendono aijrou'si, se rimestano il fango sopra e sotto eja;n d j a[nw te kai;
kavtw to;n bovrboron kukw'sin (866) kai; su; lambavnei", h}n th;n povlin
taravtth/" (867) anche tu peschi se crei turbolenza nella città.
Nella parabasi delle Nuvole, Aristofane scriverà che tutti si accaniscono contro
Iperbolo imitando le mie immagini delle anguille: ta;" eijkou;"
tw'n ejgcevlewn ta;" ejma;" mimouvmenoi (559). In effetti è un’immagine
efficace presentata due volte nei Cavalieri.
Salsicciaio
poi regala un paio di scarpe a Demo facendogli notare che Paflagone skuvth tosau'ta pwlw'n che
vende pelli tanto numerose e grandi, non gli ha mai dato del cuoio per
rattoppare scarpe.
Demo
apprezza
Paflagone
contrattacca ricordando a Demo che lui ha fatto di meglio: e[pausa tou;" kinoumevnou" ho
fermato l’ascesa dei cinedi cancellando Gritto dalla lista dei cittadini (877)
.
Salsicciaio
replica chiedendo se non sia terribile che lui si metta a controllare i culi (se deino;n ejsti
prwktothrei'n
(878) per tenere a bada quelli che si fanno sbattere. Li ha fermati per invidia
temendo che diventassero oratori.
Eschine
poporrà che i prostituti non possano parlare in assemblea in quanto chi fa
vergognoso mercato del proprio corpo, venderà facilmente gli interessi della
città (Eschine, Contro Timarco, 1).
Quindi
Salsicciaio si fa amare da Demo regalandogli la propria tunica citwvn. Nemmeno
Temistocle l’aveva fatto mai, nota il gerovntion. Il Pireo era una
bella trovata ma non mi pareva più grande del mantello - ouj mei`zon ei\nai
faivnet j ejxeuvrhma tou` citw`no" 886
Paflagone
definisce le lusinghe del rivale piqhkismoiv, astuzie da scimmia (887).
Sono
frequenti tali raggiri da parte delle propagande. Si pensi al fatto che mentre
i contagi e i ricoveri aumentano con il rischio di nuove chiusure di negozi,
scuole e biblioteche, clausure che riguarderebbero milioni di persone, la
notizia spacciata come la più importante ogni giorno è quella degli italiani
che vincono le medaglie. Non li ho contati ma credo che tutti insieme non
superino i contagiati di un giorno né i deceduti di 4 giorni.
Salsicciaio
risponde che il suo maestro di demagogia è poprio Paflagone.
Paflagone
ribatte atteggiandosi ad allievo di Salsicciaio e dà il poprio mantello a Demo
ma il vecchio lo manda alla malora - ej" kovraka" 892 ai
corvi - per il buvrsh"
kavkiston o[zon,
la pessima puzza di cuoio.
Salsicciaio
prende la palla al balzo dicendo che Paflagone lo ha fatto apposta per
soffocare Demo i{na
s j ajpopnivxh/
(893).
Poi Agoracrito aggiunge che una volta il suo
rivale fece crollare il prezzo del silfio perché tutti lo mangiassero e i giudici
nell’Eliea si asfissiassero a vicenda bdevonte" scoreggiando (898)
Il
tribunale popolare era diventato il luogo dove molto si trulla.
Aristofane
I Cavalieri
XX
Tutti
diventarono rossi in quanto tou'to Purravndrou to; mhcavnhma (Cavalieri, 901) è una trovata del rosso.
Un
colore di capelli he nelle Rane viene
attribuito a Iperbolo, il demagogo succeduto a Cleone e trattato con
altrettanto disprezzo. Erano considerati tipicamente rossi, i Taci, gli
schiavi, e i farmakoiv.
Il corifeo delle Rane dice con rammarico: “ noi
disprezziamo (prouselou'men) i cittadini educati, i galantuomini
allevati nelle palestre e nei cori ossia con ginnastica e musica, trafevntaς ejn palaistraiς kai; coroi'ς , mentre ci serviamo per ogni uso di queste
facce di rame, stranieri rossi di pelo, farabutti discendenti da farabutti,
ultimi arrivati che prima la città non avrebbe usato nemmeno come farmakoiv.
Ora dunque
ravvedetevi e avvaletevi quindi di persone valide crh`sqe toi`"
crhstoi`sin au\qi" ( vv.727
- 735).
Continua
la gara nella millanteria - ajlazoneiva/ (903)
Paflagone
promette a Demo di offrirgli una coppa di salario da sorbire - misqou` truvblion rJofh`sai (905)
senza che faccia nulla per averla.
E’
la solita critica di Aristofane allo stato assistenziale del tempo della
democrazia radicale
Secondo
Aristotele a partire da Cleofonte oj luropoiov" il fabbricante di lire ereditarono
(quasi per successione) la demagogia quelli che soprattutto volevano operare sfrontatamente
- oiJ
mavlista boulovmenoi qrasuvnesqai - e compiacere la massa - kai; carivzesqai
toi`" polloi`", guardando solo all’interesse del momento
- pro;"
ta; parautivka blevponte" (Costituzione
degli Ateniesi, 28).
Cleofonte
fu capo del partito popolare dal 410, come venne ristabilita la democrazia dopo
il fallimento del tentativo oligarchico del 411, al 404 quando venne messo a
morte.
Aristotele
afferma pure che Iperbolo introdusse per primo la diwbelivan il sussidio
di due oboli probabilmente estendendolo a tutti i bisognosi quale “reddito di
cittadinanza”.
I
filosofo di Stagira dunque non segnala Cleone come il peggiore dei demagoghi.
Salsicciaio
promette a Demo un farmaco contro le ulcere nelle gambe.
Paflagone
invece dicw che lo farà ringiovanire strappandogli i capelli bianchi. jegw; de; ta;"
polia;" gev sou ejklevgwn nevon poihvsw - (908).
La
pubblicità si è appropriata di tutto: anche di Aristofane: pensate a quante
promesse ci fanno sul conto dell’età da far credere.
Properzio
viceversa si consola del fatto di essere stato rifiutato e respinto dalla sua domina con la previsione e il
rinfacciamento dell'invecchiare di lei :"At te celatis aetas gravis urgeat annis,/et veniat formae ruga sinistra
tuae./Vellere tum cupias albos a stirpe capillos/ah speculo rugas increpitante
tibi,/ exclusa inque vicem fastus patiare superbos,/ et quae fecisti facta
queraris anus./ Has tibi fatalis cecinit mea pagina diras./Eventum formae disce
timere tuae " (III, 25, 11 - 18), ma l'età greve incomba sugli anni
dissimulati e vengano rughe sinistre sulla tua immagine bella. Che allora tu
voglia strappare dalla radice i capelli bianchi, quando lo specchio ti
rinfaccerà le rughe, e a tua volta respinta possa tu sopportare la sprezzante
alterigia, e lamentarti ormai vecchia del male che hai fatto. La mia pagina ti
ha cantato questo tremendo destino. Impara a temere l’esito della tua bellezza
Salsicciaio
offre a Demo una coda di lepre devcou kevrkon lagwv (909) per tergersi gli occhiuzzi ,
e Paflagone la propria testa dove Demo possa pulirsi le mani dopo averci
soffiato il naso sopra ajpomuxavmeno" (ajpomuvssomai,
mi
soffio il naso)
kai; mou pro;" th;n kefalh;n ajpoyw' (910, imp. medio da ajpoyavw)
Salsicciaio
tende anche il proprio capo in guesta ignobile gara di servilismo.
Mi
fanno un’ impressione di questo genere certi conduttori di trasmissioni
televisive quando ripetono i luoghi comuni che si devono dire per fare piacere
al pubblico invece di aiutarlo criticando le mode contrarie al buon gusto, alla
ragione, alla verità e alla vita.
Aristofane
I Cavalieri
XXI
Ginnastica
e Musica
Paflagone
minaccia Salsicciaio di farlo nominare trierarco cioè armatore e finanziatore
di una trireme, una prestazione molto gravosa che veniva assegnata ai cittadini
ricchi i quali in genere non gradivano mentre ne era contento il popolo.
La
trierarchia era la liturgia, il contributo pubblico, più gravoso.
Il
trierarca doveva fare riparare la nave se si rovinava: farò in modo che tu ne
prenda una trireme dalla vela fradicia aggiunge Paflagone o{pw" iJstivon
sapro;n lavbh/" (917)
Le
imposizioni gravose pesavano sui ricchi mentre ora le tasse le pagano fino in
fondo solo i lavoratori a reddito fisso: questi - quorum ego - con la ripresa
economica, se ci sarà, riceveranno altra oppressione dall’inflazione.
Paflagone
dunque paflavzei (919) ,
ribolle, e bisogna togliergli i tizzoni da sotto.
Una
metafora che dà un’immagine molto concreta. Lo scrittore bravo rimane realista,
collegato alla realtà delle cose anche quando usa le metafore. Le parole
scritte devono mostrare immagini di cose e persone reali.
Altrimenti
leggerle significa perdere tempo.
Paflagone
torna a minacciare: mi pagherai il fio ijpouvmeno" tai'" eijsforai'"
(924)
oppresso dalle tasse (ijpovw, i\po"= peso e pressa) mi adopererò perché tu sia
recensito tra i ricchi - ejgw; ga;r eij" tou;" plousivou" - speuvsw
s j o{pw" a]n eggrafh`" 925 - 926.
Significa
sobbarcarsi l’imposizione di doveri fiscali piuttosto pesanti.
Salsicciaio
manifesta questo auspicio - eu[comai dev soi tadiv - 928 che Paflagone abbia messo a
friggere sul fuoco una padella di calamari - to; me;n tavhnon teuqivdwn (929)
poi gli sia venuto in mente di fare una proposta in assemblea in favore dei
Milesi che gli hanno promesso un talento, quindi per arrivare in tempo si sia
messo a ingollare in fretta quella prelibatezza, e, mentre si abbuffa, arrivi
uno a chiamarlo, e lui volendo arraffare quel talento si strozzi. Hoc est in
votis.
Demo
comincia a convincersi: dice a Paflagone: “mentre affermavi di amarmi mi hai
nutrito di aglio, cioè mi hai esasperato. Quindi gli chiede la restituzione
dell’anello kai;
nu'n ajpovdo" to;n daktuvlion : tanto non sarai più il mio
amministratore wJ"
oujkevti tamieuvsei" (947)
Paflagone
restituisce il simbolo ma avverte che qualcuno si rivelerà più canaglia panourgovtero"
(950).
Demo
nota che l’anello però non ha il sigillo (shmei'on) che dovrebbe avere impresso per
essere il suo: un involtino di grasso bovino arrostito.
C’è un gioco di parole: tra dhmov" “grasso”
e dh'mo"
“popolo”
Un
involtino populista.
Il
sigillo presente invece è un lavro" un gabbiano che a bocca aperta arringa il
popolo da uno scoglio.
Viene
in mente Love’s Labour’ s lost[12], dove Ferdinando re di Navarra definisce il
tempo il cormorano che divora “cormorant
devouring Time” (I, 1)
Demo non vuole quell’anello non suo ma dell’ingordo
Cleonimo. un grassone vorace e dissoluto già menzionato da Aristofane negli Acarnesi (88, 844) .
Demo
dunque dà l’incarico di amministratore a Salsicciaio.
Ma
il vinto non cede e riprendono le promesse e le minacce da parte di entrambi.
Paflagone
avverte Demo che dando retta ad Agoracrito salsicciaio jAgoravkrito" ajllantopwvlh" - questo
lo farà diventare un otre floscio - j ajll j eja;n toutw/ pivqh/ - molgo;n genevsqai
dei` se -
Una
prospettiva terrificante per ogni essere umano che rispetti se stesso. Tale
minaccia andrebbe rivolta a tutti quelli che fanno strame del proprio corpo.
Ginnastica
e Musica - breve excursus
Platone nella Repubblica ripartisce l’educazione in
ginnastica e musica (376e : hJ me;n ejpi; swvmasi gumnastikhv, hJ d j ejpi; yuch'
mousikhv). La musica non è solo
una questione di suono e di ritmo ma comprende anche il logos.
La ginnastica è
l’altra metà della paideia (403c)
L’anima pregevole
giova al perfezionamento del corpo (403d): una buona anima (yuch; ajgaqhv) con la sua virtù rende il corpo quanto più
è possibile ottimo (wJς oi|ovn te bevltiston). Quindi si deve formare prima il lato
spirituale. Il modello della forza fisica è l’atleta e i guerrieri sono gli
atleti del più grande agone. La ginnastica deve essere semplice aJplh' gumnastikh', sorella della semplice la musica.
La semplicità hJ aJplovthς della musica genera saggezza nelle anime,
quella della ginnastica salute nei corpi.
Cfr. Amiamo il bello
con semplicità detto dal Pericle di Tucidide:"filokalou'mevn te ga;r
met j eujteleiva"[13]
kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) in
effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
Quando abbondano
sfrenatezza (ajkolasiva) e malattie (novsoi) si aprono molti tribunali e ospedali dikasthvriav te kai; ijatrei'a polla; ajnoivgetai
(405)
Tribunali e ospedali
sono sintomi di una paideia malsana
Aristotele nella Politica sostiene che musica e ritmo
hanno un contenuto di ethos e ne deduce l’importanza per l’educazione (VIII,
5).
Lo scopo della
ginnastica è la formazione del coraggio. Anche questa forma l’anima. coloro che
usano solo ginnastica però sono ajgriwvteroi tou' devontoς; quelli che praticano solo la musica sono malakovteroi ( Repubblica,
410 d).
La sola musica
rammollisce quello non irascibile e rende l’irascibile eccitabile e iracondo.
Diventano irritabili e iracondi invece che coraggiosi akravcoloi kai;
ojrgivloi anti; qumoeidou'ς (411c). L’elemento irascibile educato
diviene coraggioso
Chi fa solo ginnastica del resto diventa misovlogoς kai; a[mousoς, odiatore del logos e estraneo alle muse (cfr. il borghese di
Schopenhauer) , non fa più uso della persuasione che si ottiene con il parlare
(kai;
peiqoi' me;n dia; lovgwn oujde;n e[ti crh'tai) ma agisce in ogni cosa con violenza e selvatichezza (biva/ de; kai;
ajgriovthti), come una bestia (w{sper qhrivon) e vive nell’ignoranza e nella goffaggine (ejn ajmaqiva/ kai; skaiovthti), con mancanza di ritmo e di grazia (meta; ajrruqmivaς
te kai; acaristivaς zh'/). 411d - e
Musica e ginnastica
dunque costituiscono l’unità inscindibile dell’educazione. Sono le due forze
formatrici della natura umana.
Alcuni
elogi della semplicità che gli ignoranti invece disprezzano
Tucidide : "filokalou'mevn te ga;r
met j eujteleiva" kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie,
II, 40, 1) Amiamo il bello con semplicità e la cultura senza mollezza
Leopardi“E’ curioso
vedere, che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che
sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito. (Firenze, 31
Maggio 1831)”[14].
La semplicità è
naturalezza, mancanza di affettazione.
“La semplicità è quasi sempre bellezza sia
nelle arti, sia nello stile, sia nel portamento, negli abiti ec. ec. ec. Il
buon gusto ama il semplice…La semplicità è bella perché spessissimo non è altro
che naturalezza; cioè si chiama semplice una cosa, non perch’ella sia
astrattamente e per se medesima semplice, ma solo perché è naturale, non
affettata, non artifiziata, semplice in quanto agli uomini, non a se stessa, e
alla natura”[15].
Marco Lodoli: la
semplicità è complessità risolta, non facilità[16].
Gončarov: la semplicità
significa intelligenza ed è differente dall’astuzia (Oblomov)
Ezra Pound e l’America.
The thought of what America would be like/if the Classics had a wide
circulation/troubles my sleep "[17], il pensiero di come sarebbe l'America, se i Classici
circolassero di più, mi turba il sonno. Ci sarebbe, se non altro, meno cattivo
gusto.
Dopo il poeta
“fascista” sentiamo Brecht che fa l’elogio del comunismo e della semplicità:“
E’ ragionevole, chiunque lo capisce. E’ facile…Non è il caos ma/l’ordine,
invece./E’ la semplicità/che è difficile a farsi”[18]
. La semplicità non è difficile: ci si arriva con la naturalezza, il buon gusto
e l’onestà.
Plutarco: Solone e
la meschinità di Creso. Plutarco nella Vita
di Solone racconta che il saggio legislatore ateniese disprezzava la ajpeirokaliva, l'ignoranza del bello e la mikroprevpeia ( 27, 20), la meschinità del re di Lidia che
si era presentato coperto di gioielli e d'oro.
Luciano
in Come si deve scrivere la storia [19] fa questa osservazione:" Vi sono
alcuni che trascurano completamente, o appena sfiorano, fatti grandi (ta; megavla) e
invece, per rozzezza (uJpo; de; ijdiwteiva"), mancanza di gusto (ajpeirokaliva"), e
ignoranza (kai;
ajgnoiva")
di quello che va detto o quello che va taciuto, si attardano a descrivere nei
minimi dettagli le cose più trascurabili (ta; mikrovtata, 27).
Vedi Nigrino e il cattivo gusto degli
arricchiti romani che sfoggiano porpore e anelli. Vedi anche Trimalchione nel Satyricon.
Euripide: Nelle Fenicie[20]
di Euripide, Polinice afferma la parentela della semplicità con la giustizia e
con la verità:"aJplou'" oJ mu'qo" th'" ajlhqeiva"[21]
e[fu, - kouj poikivlwn[22]
dei' ta[ndic' eJrmhneuavtwn" (vv. 469 - 470), il discorso della
verità è semplice, e quanto è conforme a giustizia non ha bisogno di
interpretazioni ricamate. Invece l' a[diko" lovgo" , il discorso ingiusto, siccome è malato
dentro, ha bisogno di rimedi artificiosi:"nosw'n ejn auJtw'/ farmavkwn dei'tai sofw'n" (v. 472).
Achille nell’ Ifigenia in Aulide di Euripide. Chirone, dikaiovtato" Kentauvrwn[23], il più
giusto dei Centauri, "nodrì Achille"[24]
insegnandogli quella naturalezza e semplicità di costumi che è la quintessenza
dell'educazione nobile. Il figlio di Peleo nell'Ifigenia in Aulide riconosce
tale alta paideia all'uomo piissimo che l'ha allevato insegnandogli ad avere
semplici i costumi:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou
trafei;" - Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'"
e[cein"
(vv. 926 - 927).
Winckelmann: la
nobile semplicità e la quieta grandezza dei capolavori greci.
Winckelmann
predicava dell'arte greca la edle Einfalt und stille Grösse, di fatto
trascriveva un topos già corrente in Francia; ma la noble simplicité
e la grandeur sereine dei Greci celebrate da Fénelon, Du Bos, Mariette,
dal giovane Voltaire non avevano mai avuto sui loro lettori un effetto
comparabile"[25].
E'
pure degna di menzione la polemica di Schopenhauer contro la filosofia (hegeliana) delle
università, fatta di "ghirigori che non dicono nulla, e offuscano con la
loro verbosità perfino le verità più comuni e più comprensibili"[26].
Lucrezio: gli stolidi che ammirano le parole contorte:"omnia enim stolidi magis admirantur
amantque/inversis quae sub verbis latitantia cernunt "( De rerum natura, I, 641 - 642), gli stolti
ammirano e amano di più tutto ciò che scorgono nascosto sotto parole contorte.
Cicerone: quae
sunt recta et simplicia laudantur"[27],
ricevono lode gli aspetti schietti e semplici.
Orazio: Pirra è simplex
munditiis, semplice nell'eleganza (Orazio, Ode[28]
I, 5, 5).
Marziale: prudens simplicitas. (10, 47, 7), una semplicità competente.
Il Nuovo Testamento:"Ecce
ego mitto vos sicut oves in medio luporum; estote ergo prudentes sicut
serpentes et simplices sicut columbae" (Matteo, 10, 16), ecco
io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti
e semplici come le colombe.
Tucidide: indica la
semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata dalle
guerre civili: a causa di queste ("dia; ta;" stavsei""), fu sancito ogni genere di malizia
nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà
partecipa:"kai;
to; eu[hqe", ou| to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n
hjfanivsqh" (III, 83, 1).
In questo contesto
la semplicità è “bontà di carattere, bontà d’animo” (eu\ h\qo~).
La semplicità è
ancora inattuale: Nietzsche avrebbe desiderato "come educatore un vero
filosofo, che…insegnasse di nuovo ad essere, nel pensiero e nella vita, semplice
e schietto, quindi inattuale nel senso più profondo della parola; infatti
gli uomini oggi sono diventati così molteplici e complicati che debbono
diventare insinceri tutte le volte che parlano, sostengono delle opinioni e
secondo esse vogliono agire"[29].
Agoracrito
salsicciaio ribatte che se Demo presterà fede a Paflagone diventerà circonciso
fino alla base del glande.
Secondo
Freud la pratica della ciconcisione venne agli Ebrei dagli Egiziani attraverso
Mosè, un seguace del faraone Amenofi III , che avebbe portato anche il
monoteismo tra gli Ebrei (L’uomo Mosè e
la religione monoteista)
Paflagone
menziona i suoi oracoli i quali dicono che Demo con una veste di porpora - aJlouvrgida - e[cwn (967 - 968)
e coronato di rose farà causa a un uomo - donna Smicita e al suo patrono, dato
che le donne non avevano capacità giuridica.
Non
si dimentichi che la porpora dal tappeto dell’Agamennone di Eschilo, alle vele della nave di Cleopatra, al
mantello di Cristo ecce homo a quello
di Giuliano Augusto preannuncia la morte.
I
due nemici vanno a prendere gli oracoli.
Aristofane
I Cavalieri
XXII
L’imbestiamento
generale
Il
Coro prevede che dolcissima sarà la luce del giorno - h[diston favo"
hJmevra" - e[stai (973 - 974) sia per i presenti sia per
quelli che devono arrivare, una volta spacciato Cleone.
Eppure alcuni tra gli anziani, i più fastidiosi,
durante i processi hanno sostenuto che il predominio di Cleone ha portato ad
Atene skeuvh
duvo crhsivmw
due arnesi utili: doi'dux, il pestello e il mestolo (toruvnh, 983).
Nella
Pace del 421 Cleone e Brasida vengono
presentati come i due pestelli della Grecia: ajletrivbano" (
Pace,
269)
è Cleone il pestello perduto dagli Ateniesi (morto nel 422)
Ed
è morto anche il pestello degli Spartani (Pace,
282).
Il
mestolo o ramaiolo serve a mescolare e rimescolare gli intrugli, la confusione
funzionale agli imbrogli di Cleone.
Paflagone
ha ricevuto una educazione da porco (ujomusiva, 986). A scuola accordava la lira
solo nell’armonia dorica (le altre erano la ionica, la frigia e la lidia) e il
maestro però la chiamava donica - dwrodokostiv, 996 per la sua tendenza al corrompere ed
essere corrotto.
Dalla
casa di Demo escono i due pretendenti con gli oracoli (lovgia)
Quelli
di Paflagone trattano di Atene, di Pilo e di politica.
Quelli
di Salsicciaio di Atene, peri; fakh'", di passato di lenticchie, di
Spartani, peri;
skovmbrwn nevwn
(1008) di sgombri freschi, e di chi froda sul peso della farina al mercato.
Indicando
Paflagone, Agoracrito conclude:
“To; pevo" oujtosi;
davkoi”
- 1010 - e costui si morda il cazzo.
Demo
vuole sentire l’oracolo wj" ejn nefevlh/sin aijeto;" genhvsomai
(1013), per
diventare aquila tra le nubi.
Cleone
il cane
Il
cane: bestia dai significati vari. Alcuni sbranano donne, uomini, bambini e
altri animali, eppure sono tutti reputati amici degli uomini i quali quando
vengono uccisi ne hanno ogni colpa.
Ieri
dei cani hanno ucciso una povera vecchia a Sassuolo. Il telegiornale regionale
ha ricordato questo fatto orrendo col dire che la smemorata si stava avviando
in un giardino dove giocava una bambina e il cane ha dovuto difenderla,
Cleone
aveva proposto di ridurre in schiavitù fanciulli e donne di Mitilene
(cfr.Tucidide III, 36, 2).
La
tendenza a schiavizzare i vinti comunque rimase anche dopo la morte di Cleone
Andocide
nell’orazione Contro Alcibiade, forse
non autentica, scrive che Alcibiade propose di ridurre in schiavitù tutti gli
abitanti di Melo, quindi comprò una prigioniera ed ebbe un figlio da lei. La
nascita di questo bambino è mostruosa più di quella quella di Egisto (nato da
Tieste e da sua figlia Pelopia) perché il figlio di Alcibiade nacque da due
nemici. La spregiudicatezza (tovlma) di Alcibiade è senza limiti: fece un
figlio con questa donna, le uccise il padre, le distrusse la città, e rese il
figlio nemico implacabile a sé e ad Atene. Tali situazioni voi le considerate deinav quando
le vedete nelle tragedie, mentre vi lasciano indifferenti quando sono crimini
reali (22, 23)
Plutarco
nella Vita di Alcibiade scrive che il
concubinaggio con
Per quanto riguarda
l’identificazione di un personaggio pessimo con il cane, nel Riccardo III di Shakespeare, L’ex regina
Margherita parla in un delirio simile a quello di Cassandra nelle tragedie Agamennone di Eschilo e Agamennone di Seneca.
Si scaglia prima
contro la madre di Riccardo: “dalla tana del tuo ventre - le dice - è sortito
un cagnaccio infernale che dà a noi tutti una caccia mortale (IV, 4, 46 - 47)
un cane che prima degli occhi ebbe i denti to
worry lambs, and lap their gentle blood (50) per azzannare gli agnelli e
lappare il loro dolce sangue.
Quando
prendi il tuo pasto, continua Agoracrito parlando a Demo, questo cane
scodinzola, kevrkw/
saivnwn s j
oJpovtan
deipnh/"
(1030), ma quando tu guardi altrove a bocca aperta, divora la tua pietanza, e
con il fare dei cani di notte traffica in cucina furtivo leccando piatti e
isole ta;" lopavda" kai;
nhvsou" dialeivcwn (1034).
Cleone
il cane. Una bestia evidentemente poco apprezzata da Aristofane.
giovanni
ghiselli
Ambiguità
del cane e della cagna
Ambiguità
del cane e della cagna. Difensore e fedele guardiano oppure una bestiaccia assassina
e dissoluta ?
Nei
Cavalieri di Aristofane, Paflagone
recita un
oracolo che ordina a Demo - Popolo di salvare il sacro cane dalle aguzze zanne
–ijero;n
kuvna karcarovdonta - che difende Popolo a bocca aperta, ferocemente latrando
deina;
kekragwv"
: esso ti procurerà il salario soi; misqo;n poriei' (1019) aggiunge l’oracolo a Demo.
Se non lo aiuti soccomberà poiché per odio (mivsei) gli gracchiano contro sfe katakrwvzousi molte
cornacchie polloi;
koloioiv (1020).
Agoracrito,
il Salsicciaio, replica che questo cane qui rosicchia invece gli oracoli come
fossero la tua porta.
Quindi
tira fuori un altro oracolo riguardo a questa bestia simnoleggiata da Paflagone
- Cleone.
Demo
deve stare in guardia da quel Cerbero, cane schiavista –kuvna Kevrberon ajndrapodisthvn (1030).
Demo
dice di non capire e Paflagone chiarisce: io sono il cane e abbaio in tua
difesa : pro;
sou'
ga;r
ajpuvw
(1023) e Febo ti ordina di custodire me, il cane.
La parola kuvwn (hJ)
“cagna” con la quale Clitennestra si definisce nell’Agamennone di Eschilo è un esempio di ambiguità tragica. Può
significare fedeltà, o lascivia, o anche rabbia delle Erinni e di Ecate.
Clitennestra “afferma che il re ritrova in lei
gunai'ka
pisthvn, dwmavtwn kuvna vv. 606
- 607, essa dice in realtà il contrario di ciò che sembra…Come nota lo
scoliaste, kuvwn (la cagna) significa una donna che ha più di
un uomo"[30].
Clitennestra dunque si
presenta come la sposa fedele, cagna della casa.
Kuvwn è una parola chiave nei drammi di Clitennestra :
nelle Coefore la moglie adultera e
assassina per dissuadere il figlio dall'ammazzarla gli dice: guardati dalle
cagne rabbiose (ejgkovtou"
kuvna" , Coefore, v. 924)
della madre!
Nellla medesima
tragedia Elettra di Eschilo dice di essere stata scacciata in un angolo come una
cagna dannosa (Coefore, v. 446).
Nell'Elettra di
Sofocle la figlia che odia la madre afferma che costei latra (uJlaktei' , v. 299) stimolata dall'imbelle (a[nalki" , v. 301) Egisto, l'effemminato che fa le sue
battaglie con le femmine:"oJ su;n gunaixi; ta;" mavca" poiouvmeno" , v. 302).
Nel Riccardo III di Shakespeare, l’ex regina
Margherita si scaglia contro la madre del Plantageneto assassino : “dalla tana
del tuo ventre - le dice - è sortito un cagnaccio infernale che dà a noi tutti
una caccia mortale (IV, 4, 46 - 47) un cane che prima degli occhi ebbe i denti to worry lambs, and lap their gentle blood
(50) per azzannare gli agnelli e lappare il loro dolce sangue.
Quando
prendi il tuo pasto, continua Agoracrito parlando a Demo, questo cane scodinzola,
kevrkw/
saivnwn s j
oJpovtan
deipnh/"
(1030), ma quando tu guardi altrove a bocca aperta, divora la tua pietanza, e
con il fare dei cani di notte traffica in cucina furtivo leccando piatti e
isole ta;" lopavda" kai;
nhvsou" dialeivcwn (1034).
Paflagone
replica appropriandosi di storie antiche e altrui: una donna nella sacra Atene
partorirà un leone - e[sti gunh; - tevxei de; levonq j iJerai'" ejn j Aqhvnai" (1037).
Erodoto
racconta che Agariste, incinta di Pericle, sognò di partorire un leone (VI, 131,
2).
Plutarco racconterà
che Filippo, il padre di Alessandro Magno, sognò di avere impresso sul ventre
della moglie la figura di un leone. L’indovino Aristandro disse che Olimpiade
era incinta e aveva in grembo pai'da qumoeidh' kai; leontwvdh th;n fuvsin (Vita
di Alessandro, 2, 6) un bambino focoso e di natura leonina.
Questo
leone combatterà per il popolo contro molte zanzare o}" peri; tou'
dhvmou polloi'" kwvnwyi macei'tai (1038).
Le
zanzare possono essere i politici succhiasangue.
Devi
costruire un muro di legno (xuvlinon tei'co") e torri di ferro per custodire il leone.
Nel
480 ad Atene girava un oracolo delfico secondo il quale molte città sarebbero
cadute ma sarebbe restato inviolato il muro di legno. Temistocle lo interpretò
come la flotta.
Paflagone
spiega che lui farà la parte del leone per Demo. Insomma farà le veci di Temistocle
e di Pericle.
Salsicciaio
invece interpreta il muro di legno come metafora della gogna dove si dovrà
mettere il rivale infilando gli arti e il collo in quel legno a 5 fori - ejn pentesuriggw/
xuvlw/
(1049).
Paflagone
replica che sono fqonerai; korw'nai, cornacchie invidiose a gracchiare; il
popolo deve amare lo sparviero iJevraka fivlei (1052) che ha portato ad Atene in
catene i giovani corvi spartani.
Salsicciaio
ribatte che Paflagone compì l’impresa mequsqeiv", da ubriaco.
Poi
cita un verso della Piccola Iliade:
anche una donna (incinta) sa portare un peso se un uomo glielo mette addosso, ma
non è in grado di combattere. Insomma l’impresa di Pilo va ascritta a merito di
Demostene.
Salsicciaio poi suggerisce a Demo di guardarsi
dal cane volpe fravssai
kunalwvpeka
(1066) che non lo inganni, perfido, rapido, ingannevole, astuto.
Poi
spiega che con kunalwvpex
intende
le navi veloci che Paflagone chiede di continuo per raccogliere le imposte.
I cani sono veloci come le navi e i soldati
come le volpi mangiano i grappoli - bovtru" trwvgousin - nelle
campagne.
Secondo
un altro oracolo, Demo deve guardarsi da Cillene (Kullhvnh il monte più alto dell’Arcadia) ma
c’è un gioco di parole con kullhv - ceivr , la mano contratta di chi chiede
l’elemosina. Infatti Paflagone dice e[mbale kullh'/ (1083, versa nella mia mano
concava)
Paflagone
ribatte che Febo allude alla mano di Diopite, un interprete di oracoli che
attaccava atei e astronomi, in particolare Anassagora e indirettamente pure
Pericle.
I
due poi tirano fuori oracoli impossibili a favore di Demo che regnerà su tutta
la terra (1088). Quindi gareggiano di nuovo in promesse di cibo come farina, focaccine
e manicaretti vari.
Demo
promette le redini della Pnice a quello dei due che l’avrà trattato meglio ojpovtero" a]n
sfw`/n eu\ me ma`llon a]n poih`/ - touvtw/ paradwvsw th`" pukno;"
ta;" hJniva" (1108 - 1109)
Davvero
nihil novi sub sole.
Aristofane
I Cavalieri
XXIII
Il
popolo è un tiranno e un finto sciocco.
Il
popolo di Atene è un tiranno come la loro città.
I
Cavalieri fanno notare a Demo che ha un grande potere dal momento che tutti gli
uomini lo temono al pari di un tiranno “pante" a[nqrwpoi dedivasiv s j w{sper a[ndra
tuvrannon”
(1113 - 1115)
Cfr.
Tucidide "turannivda
e[cete th;n ajrchvn", (La
guerra del Peloponneso, III 37, 2) avete un impero che è una tirannide dice
il Cleone in un discorso agli Ateniesi.
Nell’ultimo
discorso di Pericle già lo stratego più apprezzato e confermato aveva detto ai
cittadini di Atene che non possono tirarsi indietro dal comando: wJ" turannivda
ga;r h[dh e[cete aujth;n (ajrchv supra) h}n labei'n me;n
a[dikon dokei' ei\nai, afei'nai de; ejpikivndunon (Tucidide, II, 63, 2), poiché
avete già un impero che è tirannide che avere preso può sembrare ingiusto, ma
abbandonarlo pericoloso.
I
nemici Corinzi nell’assemblea peloponnesiaca del 432 avevano detto che era
vergognoso per il Peloponneso lasciare che una città divenisse tiranna della
Grecia (Tucidide I, 122, 3).
Poco più avanti (Tucidide I, 124, 3) i Corinzi
concludono il loro discorso sostenendo che gli alleati peloponnesiaci devono
domare la povlin
tuvrannon
che è una minaccia per tutti in quanto alcuni Greci li ha già sottomessi e con
molti altri vuole farlo.
Eppure,
continuano i coreuti, eujparavgwgo" ei\ (Cavalieri,
115), sei uno facile da abbindolare. Ti piace essere adulato e ingannato qwpeuvomenov" te
caivrei" kajxapatwvmeno", e stai sempre a bocca aperta a sentire
chi parla - pro;" tovn te legovnt j ajei; kevchna" , e la
tua mente, pur essendoci, va lontano oJ nou`" dev sou - parw;n ajpodhmei` - .
Ma
Demo ribatte ai cavalieri che sotto le chiome non hanno nou'" se
credono che lui non capisca: ejgw; d j eJkw;n tau't j hjliqiavzw (1123),
a bella posta io faccio lo scemo.
Il falso sciocco. Bruto
e Amleto, gli ossimori viventi.
Bruto, per salvarsi,
aveva stabilito di non lasciare al re nulla da temere dall'animo suo, nulla da
desiderare nella sua fortuna, e di trovare sicurezza nell'essere
disprezzato:"Ergo ex industria
factus ad imitationem stultitiae, cum se suaque praedae esse regi sineret,
Bruti quoque haud abnuit cognomen " (I, 56, 8) pertanto fingendosi
stolto apposta, lasciando se stesso e i suoi beni al re, non rifiutò neppure il
soprannome di Bruto. “Perché non vi è nulla di più pericoloso di un uomo che
rifiuta di sottomettersi alla tirannia”[31].
Ma quella che sembrava
pazzia agli stupidi era invece genio. Quando l'oracolo delfico infatti
preconizzò che avrebbe avuto il sommo potere a Roma quello che per primo avesse
baciato la madre, Bruto, avendo capito, "velut si prolapsus cecidisset, terram osculo contigit, scilicet quod ea
communis mater omnium mortalium esset " I, 56, 12, come se fosse
caduto per una scivolata, diede un bacio alla terra, evidentemente poiché
quella era la madre comune di tutti i mortali.
Livio racconta pure
che Bruto aveva portato in dono ad Apollo una verga d'oro inclusa in un bastone
di corniolo con un incavo fatto a questo scopo, recando immagine enigmatica del
suo carattere:"aureum baculum inclusum cornĕo cavato ad id baculo
tulisse donum Apollini dicitur, per ambagem effigiem ingenii sui"[32].
L'oggetto è ossimorico
proprio come ossimorico è il falso sciocco, con la sua sapiens insipientia.
Diciamo meglio. Il falso sciocco è l'ossimoro per eccellenza, visto che
il significato proprio di questa espressione greca, ojxuvmwron, è proprio quella di "sciocco acuto"…Forse
non avevamo pensato che Bruto, come Amelethus, e tutti gli altri falsi
sciocchi, erano in realtà delle figure retoriche, degli ossimori: anche in
senso assolutamente letterale"[33]
.
Amelethus è Amleto nei Gesta
Danorum di Saxo Grammaticus (1140 ca - 1210 ca).
Vediamo un aspetto
della sua pazzia con altre considerazioni di Bettini:"L'eroe ha appena
fatto all'amore con la futura Ofelia shakespeariana, e gli viene chiesto: su
quale cuscino? E lui:" Su uno zoccolo di giumenta, una cresta di gallo e
le travi del tetto"[34].
Ma il falso stolto deve anche farne, di sciocchezze, oltre che dirne. Odisseo a
Itaca, davanti a Menelao e Agamennone, aggioga all'aratro un bue e un cavallo e
se ne va in giro con in capo il berretto (pileus) dello stolto[35].
Peccato che non possiamo più vedere un celebre dipinto di Eufranore che stava a
Efeso, forse nel santuario di Artemide. Plinio lo descriveva così:"Ulisse,
fintosi pazzo, aggioga un bue insieme con un cavallo: vi sono anche uomini
pensosi vestiti col pallio, e un comandante che rinfodera la spada"[36].
Ecco che le plateali insensatezze del (falso) sciocco suscitano il dubbio e lo
sconcerto dei cogitantes, i personaggi "pensosi" che lo
osservano. Solone, per parte sua, se ne uscì invece in pubblico "deformis
habitu more vecordium" (tutto malvestito alla maniera dei pazzi),
ovvero con in testa il famoso berretto[37].
David, alla corte di Achis, contraffaceva il volto, si lasciava cadere,
inciampava nei battenti della porta, e la saliva gli correva lungo la barba[38].
Ancora Amelethus, alla corte di Fengo, giace per terra sporco di cenere,
intento a indurire nel fuoco dei bastoncini ricurvi[39];
poi lo vediamo salire su un cavallo a rovescio, reggendo naturalmente la coda
al posto delle redini"[40].
Cfr.
i finti sciocchi: Bruto e Amleto, ossimori viventi .
Me
la godo a fare bry ogni giorno h{domai bruvllwn to;
kaq j hJmevran.
Come
fanno i bambini quando chiedono da bere.
Cfr.
Nuvole 1382: “se dicevi bry - eij mevn bru`n
ei[poi" - io
correvo e ti davo da bere” ricorda Strepsiade all’ingrato figlio Fidippide che
l’ha picchiato perché il vecchio disprezza Euripide che secondo il giovane è un
genio.
Demo dunque dice di essere lui
stesso a voler nutrire un
ministro ladro - klevptontav te bouvlomai - trevfein e{na prostavthn , poi
quando è pieno lo prendo e lo concio.
Il
Coro lo approva: fai bene se allevi costoro di proposito w{sper dhmosivou" (1136)
come vittime pubbliche, e quando ti trovi senza cibo ti imbandisci per cena
quello che sia pacuv" (1139)
grasso.
I
grassi non sono temibili siccome intronati dal vizio del cibo, una vera droga
per alcuni.
Cfr.
il Giulio Cesare di Shakespeare che dice ad Antonio: “Let me have men about
me that are fat/sleek - headed men, and such as sleep a - nights. - Yond
Cassius - has a lean and hungry look;/he thinks too much; such men are
dangerous”, intorno a me ci siano uomini grassi con la testa curata e che
dormano la notte ( Giulio Cesare, I, 2, 191 - 194), quel Cassio ha
l’aria dello snello affamato; pensa troppo; uomini del genere sono pericolosi.
Quindi Cesare aggiunge: Would he were fatter” (I, 2), vorrei
che fosse più grasso. Legge molto, è un grande osservatore, sa scrutare. Non lo
temo ma se il mio animo fosse soggetto al timore, non conosco uomo che eviterei
più prontamente di quell’asciutto Cassio as that spǎre Cassius. Tra l’altro he loves no plays, as tou dost,
Antony; he hears no music (I, 2, 197 sgg.)
Demo
dunque dice sofw'"
aujtou;" perievrcomai, li raggiro con astuzia (1142). Li lascio
fare finché mi va, poi li costringo a vomitare (e[peit j ajnagkavzw pavlin ejxemei'n, 1148)
quanto hanno rubato - a{tt j a]n keklovfwsiv mou (1149) . Uso come sonda il
coperchio munito di fessura dell’urna dei voti. La sonda si poteva usare per
provocare il vomito. Quindi con un processo condannare a restituire il
maltolto.
Aristofane
I Cavalieri
XXIV
Il
cibo. Atene sembra una città di affamati
Anteprima:
il festival rossiniano e la prevenzione del virus truccata
Paflagone
e Salsicciaio escono dalla casa di Demo insultandosi a vicenda e offrendo
servigi a Popolo che però dice bdeluvttomaiv sfw kai; propalaipalaivpalai, mi fate
schifo tutti e due da molto molto molto tempo (1156).
Salsicciaio
chiede a Demo di farli scattare dalla linea di partenza in una gara ejx i[sou - alla
pari a[fe"
ajpo; balbivdwn ejmev te kai; toutoniv (1159)
Le
gare sono truccate molto spesso. Ora è truccata anche la prevenzione anticovid.
Ieri,
come vi dicevo, sono andato a vedere il melodramma di Rossini sulla regina
Elisabetta I d’Inghilterra.
Il
musicista pesarese è molto bravo anche se politicamente sempre troppo legittimista.
Ma
ora voglio dire altro. Nel palasport, che ospita la scena e il pubblico, i
posti occupati erano uno su tre con riduzione di due terzi dei posti.
Questa
è una cautela accettabile. Però tale prevenzione è stata azzerata dal ritorno
in pullman al centro di Pesaro distante 5 o
Mi
dicono che siffatta è la situazione di quasi tutti i trasporti
L’arte
e la cultura vengono penalizzate indegnamente.
Tutto
questo fa schifo come i due demagoghi Paflagone e Agoracrito a Demo
Torniamo
ai Cavalieri di Aristofane.
Demo
dà il via qevoit
j a[n,
si può correre (1161).
I
due si precipitano verso la casa del padrone.
Poi ne escono con vari oggetti che
presentano a Popolo: una sedia, una tavola, Paflagone naturalmente offre una
focaccina mazivskhn
impastata memagmevnhn con
l’orzo di Pilo (1166 - 1167).
Per
quanto riguarda memagmevnhn
- da mavssw. “impasto” - Cfr.
Archiloco : ejn
dori; mevn moi ma'za memsgmevnh, ejn dori; d j oi\no" - ijsmarikov",
pivnw d j ejn dori; kaklimevno" , fr. 2D., distico elegiaco "Nella lancia ho la pagnotta impastata, nella
lancia il vino.
ismarico, bevo
appoggiato sulla lancia".
Se
è vera l'affermazione di Robert Musil secondo la quale c'è come" una
catena di plagi che lega l'una all'altra" le figure del mondo artistico,
Archiloco è già un anello di quella catena poiché nel frammento 2D. tradotto
sopra troviamo un aggettivo, "ismarico", che rende letterario il vino
del poeta - soldato; infatti era di Ismaro (in Tracia) la dolce, pura, divina
bevanda (Odissea , IX, 205) usata da
Ulisse per ubriacare Polifemo.
Importante è, come afferma il poeta classicista T. S. Eliot, che la
parola presa a prestito funzioni nel nuovo ingranaggio spirituale
Salsicciaio
offre a Demo crostini di pane fatti dalla dea con la sua mano d’avorio.
Paflagone
rilancia : ejgw;
de; e[tno" pivsinon eu[crwn kai; kalovn (1171) io un purè di piselli di
bel colore e buono: l’ha passato Pallade stessa hJ Pulaimavco" ( combattente alla porta puvlh, e pure
a Pilo Puvlo").
Salsicciaio
allunga a Demo una marmitta piena di brodo - cuvtran zwmou` plevan 1174 - Il
brodo da bere, poi la marmitta può fare da scudo o da elmo. Il dono
provvidenziale viene da Pallade.
Paflagone
presenta del tevmaco", una
fetta di pesce in salamoia (1177) come dono della dea Atena Fobesistravth che
spaventa l’esercito nemico.
Ricorderete
che tevmaco" faceva
parte degli scherzi di Cleopatra ad Antonio nella Vita di Plutarco utilizzata in più parti da Shakespeare nell’Antonio e Cleopatra.
Salsicciaio
arriva a citare Omero, Esiodo e Solone: “La figlia di padre potente - hJ de; j Obrimopavtra - ti
regala questa carne cotta nel brodo, e della trippa (1178 - 1179)
Cito
soltanto i primi versi dell’elegia di Solone detta Buon governo (fr. 3 D.)
"La
nostra città non andrà mai in rovina per destino
di
Zeus e volontà dei beati dèi immortali:
infatti tale custode magnanima, figlia di
padre potente ojbrimopavtrh
Pallade
Atena le tiene sopra le mani (vv. 1 - 4).
Paflagone
porge un altro dono della dea: una focaccia (ejlathvr 1182 che significa anche
rematore), così potremo spingere le navi.
Cfr.
Acarnesi 246 dove la figlia di
Diceopoli chiede alla madre un ramaiolo per versare il passato di legumi su una
focaccia.
Salsicciaio
offre da bere, un dono che proviene sempre dalla dea: acqua e vino in rapporto
di tre a due - e[ce
kai; piei`n kekramevnon triva kai; duvo (1187), tieni da bere questa
miscela - keravnnumi - di tre
(acqua) e due (vino).
Paflagone
presenta una fetta di torta grassa plakou'nto" pivono" tovmon (1190).
Leggendo
Aristofane ci si può fare l’idea che gli Ateniesi fossero degli affamati.
Salsicciaio
rilancia con la torta intera o{lon plakou'nta .
Paflagone
passa a un cibo meno grasso: però non hai una lepre da offrirgli (lagw/' , 1192jj). Lui
invece la tira fuori.
Chiedo
scusa agli animalisti ma lo stomaco può tirare un sospiro di sollievo come il
mio qui a Pesaro dove mangio il pesce e non vedo mai nei piatti quel pastone
gonfia viscere che sono le lasagne. Il ragù sulla pasta con tanto di burro non
è da meno. Bologna è ottima per tutto tranne che per la presenza di quel cibo e
per l’assenza del mare. Quando mangio fuori di sera vado in un ristorante greco
di fianco al teatro comunale. E’ frequentato da studenti e professori dell’alma
mater come la mensa dell’Università di Debrecen. Mi ci sento a mio agio.
Aristofane
I Cavalieri
XXV
Il
trionfo dell’impudenza. Arcana imperii.
In
appendice: la pedalata perigliosa.
Agoracrito
distrae il rivale, gli sottrae il piatto con la lepre e lo offre a Demo, poi
domanda w\
Dhmivdion, oJra'/" ta; lagw'/ j a[ soi fevrw ; - 1199, o Populuccio, vedi la
lepre che ti porto?
Paflagone
si lamenta: l’ho cucinata io! ejgw; d j w[pthsa (1204) - ojptavw -
Lo
accusa di furto e Salsicciaio gli rinfaccia i prigionieri di Pilo rubati a
Demostene.
I
ladri cadono quando non si sostengono più a vicenda.
Come
i vari raccomandati, profittatori che abbiamo qui in Italia.
Demo ringrazia solo chi ha servito il piatto
Paflagone
teme di venire superato nel campo dell’impudenza. uJperanaideuqhvsomai (1206).
L’impudenza
- ajnaivdeia - è una
delle armi con le quali chi tiene il potere rivendica meriti che non ha o non
hanno i suoi protetti. La vediamo praticata ogni giorno da cosiddetti scienziati
che hanno fatto analisi e previsioni sbagliate sul virus e ancora non chiudono
le bocche dei loro infiniti vaniloqui. Ora il Massimo Galli il maximus expertus è indagato per avere
truccato dei concorsi.
Credo che in pochi oramai diano retta a costoro.
Agoracrito
propone una gara di benemerenza verso il popolo che al potere gli apra la via.
Basterà controllare il contenuto delle sporte. Mostra al pappivdion - nonnino
- la sua kivsthn
vuota
kenhvn (1215).
Lui ha consegnato tutto.
Il
vecchio elogia quella sporta che ta; tou` dhvmou fronei` (1216) pensa agli affari del
popolo
Quindi Demo guarda quella di Paflagone e la
trova tw'n
ajgaqw'n pleva
(1218) piena di cose buone. Cleone si è tenuto il pezzo più grosso della torta
e a Demo ha dato solo una fettina.
E’
il banchetto di chi sta al potere e getta gli avanzi ai suoi sostenitori, gli
idioti utili.
Agoracrito
svela questo arcanum imperii
dall’eterna presenza.
Paflagone
si è sempre comportato in questa maniera: “ di quanto prendeva riservava a
Popolo una piccola parte - mikro;n w|n ejlavmbanen (1222) mentre a se stesso
imbandiva una parte più grossa - aujto;" d j eJautw`/ paretivqei ta; meivzona 1223,
denuncia il rivale.
Nelle Vespe, Bdelicleone, che odia il
demagogo, esorta il padre Filocleone, che invece lo ama, a calcolare qual è il
tributo (to;n
fovron) che Atene riceve dalle
città alleate poi tutte le altre rendite (tevlh,
imposte indirette miniere mevtall j,
mercati, porti, confische 649). Le entrate assommano a duemila talenti.
Gli stipendi dei
6000 eliasti arrivano a 150 talenti (un talento equivalgono a 6000 dracme a 36
mila oboli)
Il vecchio ci rimane
male: nemmeno la decima parte?
E gli altri
quattrini?
Il figlio risponde
che vanno ai demagoghi i quali adulano la folla e prendono cinquanta talenti
alla volta dagli alleati terrorizzandoli prima, poi vendendo ad altro prezzo
una riduzione delle pene minacciate.
Tu ti accontenti di
rosicchiare i rimasugli del tuo potere (672) dice il giovane al suo vecchio
genitor.
A questo proposito
sentiamo P. P. Pasolini: “Il lettore non abituato a queste discussioni per
intendere il rapporto società - cultura, immagini una specie di banchetto, in
cui la borghesia mangia a quattro palmenti, invitando al suo tavolo i cuochi
(gli intellettuali) e gettando qualche osso ai cani ed ai mendicanti (i
proletari); quell’osso sarebbe poi, per dare un esempio, l’anticomunismo ed il
clericalismo. Finché durerà questo banchetto, i proletari dovranno
accontentarsi dei rimasugli delle pietanze, e gli intellettuali, per mangiare
le loro pietanze, dovranno essere i cuochi dei capitalisti. L’esempio è un po’
strambo, ma dà all’incirca l’idea di come stanno le cose”[41].
Demo dunque accusa
Paflagone di essere un ladro, e lui risponde: “ejgw; d j e[klepton ejp j ajgaqw'/ ge th'/ povlei ” (1226), ma io rubavo per il bene della
città.
Questa scusa è stata
usata diverse volte nel mattatoio della storia anche per giustificare genocidi,
bombe – atomiche comprese - sui civili e tanti altri crimini.
Da bambino credevo a
queste menzogne. Chi è rimasto bambino o simula di esserlo ci crede ancora o
finge di crederci.
p. s.
Una nota personale.
Potete saltarla, lettori miei, se non vi interessa.
Ieri verso il
tramonto sono arrivato in bicicletta a Montegridolfo sulla tomba dei nonni e
bisnonni di mia nonna Margherita che mi ha lasciato la terra.
Ero stato invitato a
cena da mia sorella che ha fatto ristrutturare la villa padronale dove da
bambino andavo con le zie a seguire battiture e vendemmie dei mezzadri. Ho
fatto il ritorno dopo le 23, sempre in bicicletta, con un buio pesto. Non ho
accettato l’invito a dormire dove passai diverse notti da fanciullo
affacciandomi alle finestre e contemplando le stelle che scintillavano sopra di
me.
Ho sentito il dovere
di correre il rischio della pedalata notturna di
Ero sicuro che i miei cari che hanno giù
compiuto la vita mi avrebbero protetto dal cielo nel ritorno periglioso. Poco
dopo mezzanotte ero a Pesaro sul molo, a contemplare di nuovo le stelle e a
ringraziare i miei angeli.
Non ne ho vsto
cadere nessun astro. Perché i miei desideri di quando ero bambino si sono
realizzati. Tutti quelli che era bene si realizzassero. Soprattutto amori,
affetti e lavoro. Ora devo concepirne déi nuovi.
Nella giornata di
ieri ho percorso
Aristofane
I Cavalieri
XXVI
La buona cura
promessa al popolo ateniese da Agoracrito e a noi Italiani dai Media profeti
del potere
Metti giù la corona
intimano insieme Agoracrito e Demo a Paflagone.
Poi entrambi i
contendenti che lottano per il potere menzionano un oracolo
Salsicciaio sostiene
che il designato a comandare è lui.
Dice di essere stato
educato a forza botte dove si arrostisce il maiale ejn tai'si eu[strai" (1235) (eu[w, uro, arrostisco). I pugni lo riempivano di
protuberanze - konduvloi", a pugni - anche protuberanze -
Dal maestro di
ginnastica ha imparato a spergiurare rubando e guardando fisso negli occhi klevptwn ejpiorkei'n
kai; blevpein ejnantivon (1239).
Paflagone allora
ricorda un verso di Sofocle quando Edipo dice: "O Zeus, che cosa hai deciso
di fare riguardo a me?" Edipo re, 738).
E
Paflagone: “ O Apollo Licio che cosa mai mi farai? (1240)
Anche
nelTelefo di Euripide si trova un
verso simile (fr. 700 N.).
Paflagone
domanda comunque a Salsicciaio cosa facesse da adulto e Agoracrito, vantandosi,
risponde: “hjllantopwvloun
kai; ti kai; bineskovmhn” vendevo salsicce e lo prendevo nel culo
(1242).
Paflagone
seguita a disperare: non ce la fa contro Salsicciaio che è una forza della
natura.
Oltretutto
Agoracrito le salsicce nemmeno nel mercato centrale dell’Agorà le vendeva ma
davanti alle porte dove si compra to; tavrico", il pesce in salamoia (1247).
La
disperazione di Paflagone è completa: cede la corona parodiando l’addio di
Alcesti al letto nuziale
Dice
il demagogo sconfitto: addio corona, vai, contro voglia ti lascio w\ stevfane, caivrwn
a[piqi, kai; s j a[kwn ejgw; - leivpw, un altro ti avrà, klevpth" me;n oujk
a]n ma'llon, eujtuch;" d ji[sw" (1252), non più ladro, forse però
più fortunato.
L’
Alcesti euripidea dice addio al letto nuziale con queste parole: “se; d j a[llh ti"
gunh; kekthvsetai , swvfrwn me;n oujk ma'llon, eutuh;" d’ i[sws" (Alcesti, 181 - 182), un'altra donna ti avrà, non più
casta, ma probabilmente più fortunata.
Salsicciaio
esulta e Servo I lo saluta w\ cai're kallivnike (1254), salve glorioso vincitore!
Demo
gli chiede quale sia il suo nome e Salsicciaio risponde jAgoravkrito" poiché
fui nutrito nelle dispute dell’Agorà.
Agoracrito
promette a Demo che si prenderà buona cura di lui. ejgwv sj w\ dh`me,
qerapeuvsw kalw`" (1261) e il gerovntion dovrà ammettere di non avere visto
nessuno migliore th`/ Kechnaivwn povlei, nella città dei Boccaperti. Non so se
allude alla pratica della delazione o ad altro tipo di spalancamento orale
(cfr. cavskw, “sto a
bocca aperta” ) .
Facciamo
capolino nell’attualità: ci siamo vaccinati in tanti milioni, ogni giorno il
popolo dei vaccinati aumenta, però il virus non arretra, piuttosto avanza.
Viene il sospetto, anche ai meno sospettosi che il vaccino non immunizzi. Un
anno fa di questi tempi i vaccinati erano molti di meno e i contagiati pure.
Questi sono i dati ed è sempre più difficile credere alle menzogne o alle
reticenze quotidiane dei media che li contaddicono o li tacciono. Si parla già
di una terza dose quando le prime due non sono servite a renderci meno timorosi
dell’infezione.
Non
me ne intendo punto e mi limito a rilevare i dati che non mi incoraggiano
Auguro
comunque salute fisica e mentale a me e a tutti voi che mi leggete
Saluti.
Aristofane
I Cavalieri
XXVII
Parabasi
II (vv.1264 - 1315)
Avverto
i miei lettori che in questo pezzo non mancano parolacce né bordelli.
Aristofane è fatto anche di questo.
Se
temete di vergognarvi, saltatelo. Vi chiedo di non farmi una colpa del fatto
che non censuro gli autori con pudiche aposiopesi come facevano alcuni
insegnanti molto più puri di me, e anche assai più degni del sottoscritto che
ha insegnato indegnamente per 35 anni nei licei classici come ordinario, dieci
nell’alma mater a contratto e da più di 20 anni fa conferenze, sempre
indegnamente.
Il coro
Non
è il caso di prendersela con i poveracci come Lisistrato e Teomantis to;n ajnevstion , il
senza focolare (1268) sempre affamato e attaccato alla faretra di Apollo in
Pilo divina mh;
kakw`" pevnesqai (1273) per sfuggire alla mala miseria.
Invece
loidorh'sai
tou;" ponhrouv", insultare i malvagi non è cosa odiosa,
ma è un onore che si rende alla gente perbene (timh; toi'" crhstoi'", 1275)
per chi ragiona bene.
Segue
un attacco al ponhro;"
j Arifravdh" (1280), l’infame Arifrade
jArifravdhς ponhrovς , anzi non solo ponhro;" , ma pampovnhro", uno
scelleratissimo che ha fatto
anche una certa invenzione - ajlla; kai; prosexeuvrekev ti (1283) :
“th;n ga;r auJtou'
glw'ttan aijscrai'ς hJdonai'ς lumaivnetai
ejn kasaureivoisi leivcwn th;n
ajpovptuston drovson
Kai; moluvnwn th;n uJphvnhn kai;
kukw'n ta;ς ejscavraς (1283 - 1286)
Inquina la propria
lingua in turpi voluttà.
Leccando nei
bordelli il liquido sputato fuori
Imbrattando la barba e turbando le fiche (1283
- 1286).
Forse era un altro
commediografo, o un democratico discepolo di Anassagora.
Arifrade dunque è il
Prometeo, il prw`to"
eujrethv" del cunnilingus.
Arifrade famigerato viene
sfottuto anche nella II parabasi delle Vespe
(del 422) come quello che, con suo bell’ingegno, ha imparato da solo a lavorare
di lingua glwttopoiei'n
ogni volta che entra nei
bordelli ( eijς ta; pornei' j eijsiovnq j eJkastovte, 1283)
Nella Pace (del 421) Arifrade chiede di
portargli Teoria. La ragazza è ben lavata, con il sedere in ordine, un culo da
festa quinquennale. Mancava ancora solo il bischero.
Ma Trigeo, il
contadino bramoso di pace, avverte che Arifrade si getterà su di lei e le
tracannerà tutto il brodo: “to;n zwmo;n aujth̃ς
porospesw;n ejklavyetai (ejklavptw , v. 885).
Zwmovς era
anche il brodo nero degli Spartani.
Eppure noi da goliardi,
prima del 1968 quando morì la goliardia, si cantava: “Iddio perdona chi lecca
la Mona - chi lecca
Il corifeo dei
Cavalieri conclude il discorso su Arifrade dicendo che mai berrà nella propria
coppa chi non schifa davvero tale uomo ( toiu`ton a[ndra mh; sfodra bdeluvttetai (1288). Cfr. Bdeluklevwn Schifacleone nelle Vespe.
Segue un attacco al
vorace Cleonimo (già nominato al v. 958) . Il coro si domanda dove trovi
facilmente - /fauvlw" - da mangiare (1293)
Dicono che una volta
divorando la roba degli abbienti - ejreptovmenon ta; tw`n ejcovntwn ajnevrwn (1294 - 1295) non potesse più uscire dalla
dispensa.
Cfr. il mito di Erisittone nell’Inno a Demetra
di Callimaco
Si pensi agli obesi.
Ne vedo molti al mare. Sembrano donne incinte di cinque gemelli. Mi dicono che
alcuni quando vanno a casa si stendono ne letto e simulano la covata assistiti dalle mogli che li
tirano su con altro cibo.
Il Corifeo poi
attacca ojxivnhn
JUpevrbolon (1303), l’acido
Iperbolo.
Quest’altro capopolo
succederà a Cleone nel 422. Viene attaccato da Eupoli nel Maricante dove rappresenta la madre di Iperbolo come una vecchia
ubriaca che balla il trescone. Ci furono accuse reciproche di plagio tra i due
commediografi (cfr. Nuvole 553 - 555).
Iperbolo verrà
ostracizzato nel 417 e si ritirò a Samo dove venne ucciso nel 411 durante un
tentativo di golpe oligarchico.
Il suo ostracismo da
Atene fu causato da un accordo tra Alcibiade e Nicia che individuarono in lui
la vittima politica da eliminare.
Il Corifeo dei
Cavalieri dunque riferisce che la nave più anziana disse che Iperbolo chiese
100 navi per fare una spedizione contro Cartagine. Anche lui un cattivo
cittadino.
Una nave vergine
elevò una preghiera apotropaica: piuttosto che subire quel comando, preferiva
invecchiare e marcire piena di tarli. Un’altra nave, Naufante, propose di
andare a rifugiarsi nel Qhsei'on
(1312) il tempio di Teseo dove erano sepolte le ossa del mitico eroe attico
riportate da Cimone in patria, per volontà dell’oracolo delfico. Teseo infatti
era stato ammazzato a tradimento da Licomede a Sciro.
Nel tempio di Teseo
trovavano rifugio i perseguitati.
Nelle Supplici di Euripide, Teseo quale re di
Atene, città ospitale, aiuta le madri dei caduti a Tebe sconfiggendo Creonte
che voleva negarne la sepoltura.
Plutarco
nella Vita di Teseo (18) racconta che
l'eroe ateniese , dopo l’estrazione a sorte dei giovani da portare a Creta
"andò al Delfinio dove offrì ad Apollo il simbolo dei supplici,
consistente in un ramo dell'olivo sacro avvolto di lana bianca (h\n de; klavdo~ ajpo;
th`~ ijera`~ ejlaiva~ ejrivw/ leukw`/ katestemmevno~), per
impetrare l'aiuto del dio".
L’altro rifugio
ricordato dalla nave Naufante è il tempio delle dèe Venerande ejpi; tw'n semnw'n
qew'n (1312). Sono le Erinni
diventate Eumenidi.
Iperbolo dunque, il
mercante di lucerne, salpi da solo, se vuole, mettendo in mare le ceste dove
disponeva le lucerne (luvcnou") per
venderle.
Questa seconda
parabasi attacca alcune esistenze deformi di cittadini indegni di esserlo.
Le navi non vogliono
ripetere l’errore della campagna degli anni 459 - 454
Nell'Agamennone[42] Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d
j [Arh" swmavtwn"
(v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e
arricchisce gli speculatori:"invece di uomini/ urne e cenere giungono/alla casa di
ciascuno"(434 - 436).
Secondo Gaetano De
Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli
Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano,
anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La
lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori
tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459 - 454) in cui fu
impegnato il fiore delle forze ateniesi"[43].
Gli Ateniesi cercarono di sostenere la rivolta contro i Persiani del ribelle
Inaro. Ma la squadra ateniese fu battuta, la ribellione venne domata e Inaro fu
giustiziato.
Aristofane
I Cavalieri
XXVIII
Il rinsavimento di
Demo.
Esodo 1316 - 1408.
pima parte
Entra in scena
Agoracrito esultante. Il teatro deve paiwnivzein (1318) intonare un peana per le recenti fortune.
Il corifeo saluta il
Salsicciaio vincente come tai'" nhvsoi" ejpivkoure, protettore delle isole (vessate invece da
Paflagone) e gli domanda con quale buona novella sia giunto - tin j e[cwn fhvmhm
ajgaqh;n h[kei" (1320)
Agoracrito risponde
che avendo bollito - ajfevyhsa" - Demo
lo ha reso bello da brutto che era ( kalo;n ejx aijscrou` pepoivhka, 1321). Lo ha ringiovanito con una magica
cottura, un motivo mitologico antico presente nella storia di Pelia, il padre
di Alcesti. Le altre figlie - tranne la più bella e buona di loro, appunto
Alcesti - fecero morire in questo modo suggerito da Medea.
Ora, chiarisce
Agoracrito, Demo abita nell’antica Atene coronata di viole ejn tai'sin
ijostefavnoi" oijkei' tai'" ajrcaivaisin jAqhvnai" (1323)
Ora è tornato a
essere com’era quando sedeva a tavola con Aristide e Milziade.
Il coro esulta e
vuole vederlo.
Appare Demo con
cicale d’oro nei capelli[44]
tettigofovro" , ed è splendido nell’antico costume tajrcaivw/ schvmati
lamprov" 1331, non puzza di
processi ouj
coirinw'n o[zwn (coirivnh è la conchiglia usata per votare assoluzione
o condanna) ma odora di pace e di mirra. Il Corifeo lo incoraggia a compiere
gesta degne del trofeo di Maratona.
Demo ringrazia
Agoracrito per la cottura che lo ha ringiovanito.
Il Salsicciaio gli
ricorda com’era prima, sensibile alle lusinghe più sperticate e false. Ti
lasciavi ingannare, poi ajnwrtavlize" , sbattevi le ali cioè ti ringalluzzivi,
kajkeroutiva" e ti
davi delle arie (1344)
Demo apriva e
chiudeva le orecchie w{sper skiavdeion (1348),
come fossero state ombrelli.
In assemblea
prevaleva sempre l’oratore che proponeva di spendere somme in salari piuttosto
che per costruire le navi.
Cfr. il dilemma
attuale tra il reddito di cittadinanza e le riforme strutturali.
Erodoto (VII, 144)
racconta che Temistocle volle usare i proventi delle miniere del Laurio per
costruire 200 navi invece di dare 10 dracme a ogni cittadino come era stato proposto.
Lo storiografo commenta che il pericolo della guerra contro Egina fece prendere
questa risoluzione e salvò
Le
navi poi salvarono la libertà dei Greci a Salamina.
Lo
pseudosenofonte vede in questa conversione al mare di Atene l’origine della
democrazia e del trionfo della canaglia.
Nella Costituzione degli Ateniesi
pseudosenefontea il dialogante A biasima la democrazia come prepotenza del
popolo, e sostiene che essa è la conseguenza dell’impero marittimo: la canaglia ha preso il potere e ha reso
forte la città o{ti
oJ dh'mo;~ ejstin oJ ejlauvnwn ta;~ nau'~ (1, 2), in quanto è il popolo che fa andare le navi.
Demo dice aijscuvnomai toi tai'" provteron
ajmartivai" (1355), mi
vergogno degli errori di prima.
Agoracrito domanda:
se un pagliaccio di avvocato pubblico che rappresenta lo Stato bwmolovco" xunhvgoro" (1358) ti chiedesse di comminare una condanna in cambio di farina, che
cosa faresti?
Dopo averlo
sollevato in aria lo getterò nel burrone - eij" to; bavraqron ejmbalw` - 1363 con Iperbolo appeso al collo risponde
Demo.
Dunque verrà
eliminata la corruzione.
To; bavraqron era il burrone dove venivano gettati i condannati a morte per un
crimine contro lo Stato. Venivano aggravati da un peso per rendere più rovinosa
la caduta.
Senofonte nelle Elleniche I, 7, 20, scrive che questo
tipo di esecuzione risale a un decreto del tempo di Clistene. Rimase in vigore
fino al primo decennio del IV secolo.
Demo poi dice che ai
rematori delle navi da guerra verrà pagato l’intero salario appena saranno
tornati in porto.
Tucidide VIII, 45, 2
scrive che i marinai venivano pagati solo a missione compiuta.
Agoracrito: farai
cosa gradita a molte natiche esili. Non so se per fame o per il logoramento.
I giovani iscritti
nelle liste di leva tra gli opliti non potranno brigare per avere un
trasferimento.
Contro
l’impreparazione e la velleitaria improvvisazione dei giovani.
Aristofane e
Petronio
Demo ringiovanito e
rinsavito espone alcuni punti del suo programma.
“Nessuno che sia
sbarbatello potrà concionare in piazza£ - oujd j ajgoravsei g j ajgevneio" oujdei;"
ejn ajgora`/ (Cavalieri 1373).
Si pensi al tono pretenzioso di alcuni capetti
delle sardine, al bla bla bla di Greta e così via.
Del resto i giovani
imitano gli adulti a partire dai genitori
Nel Satyricon di Ptetronio il retore
Agamennone biasima i genitori che, resi troppo frettolosi dall'ambitio,
non concedono agli studi dei figli i lunghi tempi necessari alla formazione di una
buona cultura e di buoni oratori:"primum enim sic ut omnia, spes quoque
suas ambitioni donant. deinde cum ad vota properant, cruda adhuc
studia in forum impellunt et eloquentiam, qua nihil esse maius confitentur,
pueris induunt adhuc nascentibus. quod si paterentur laborum gradus
fieri, ut studiosi iuvenes lectione severa irrigarentur, ut sapientiae
praeceptis animos componerent, ut verba atroci stilo effoderent, ut quod
vellent imitari diu audirent, <ut persuaderent> sibi nihil esse
magnificum, quod pueris placeret: iam illa grandis oratio haberet maiestatis
suae pondus" (4, 2 - 3),
Per prima cosa
infatti sacrificano all'ambizione, come ogni altra cosa, anche le proprie
speranze. Poi, siccome si affrettano verso i desideri, spingono nel foro
talenti ancora acerbi e fanno indossare a ragazzini nemmeno nati del tutto
l'eloquenza, di cui pure riconoscono che non c'è nulla di più grande. Se
lasciassero, dico, che venissero scalati i gradini della fatica, in modo che i
giovani desiderosi di cultura si annaffiassero di letture serie, e ordinassero
le menti con le regole della sapienza, e cavassero le parole con penna
inesorabile, e ascoltassero a lungo quello che vogliono imitare, e si
convincessero che niente di ciò che piace ai ragazzi è magnifico: allora quella
grande oratoria avrebbe il peso della sua maestà.
Salsicciaio nomina
una coppia di cinedi - Clistene e Stratone nominati insieme negli Acarnesi (119 e 122), poi nelle Ecclesiazuse 1374 ss.
Proprio così
conferma Demo: ragazzotti - ta; meiravkia - che stanno a cianciare nelle profumerie o a magnificare i loro
modelli come Feace.
Uno che fu mandato
come ambasciatore in Sicilia a raccogliere adesioni contro Siracusa (Tucidide,
V, 4, 5).
Questo loro idolo
viene elogiato con una sequela di aggettivi in kov", tipo loquacico (lalhtikov") un modo di parlare arbitrario e scorretto che era di moda in quel
momento, come ora si dice metodologia per metodo o “piuttosto” per “anche”. Piuttosto
significa “invece”, non “anche”
Bologna
15 agosto 2021 ore 10, 32
Aristofane
I Cavalieri
XXIX
Demo promette che
costringerà tutti questi giovani chiacchieroni perdigiorno a darsi alla caccia
- ajnagkavsw
kunhgetei`n ejgw; - touvtou" a[panta" (1382 - 1383)
Excursus La caccia I
parte
Di questa attività
si occupa il trattato Cinegetico (Kunhgetikov" scil. lovgo~), di Senofonte, invero di non sicura autenticità, dove la caccia è
raccomandata come il miglior allenamento per la guerra.
Tale esercizio del
resto viene proposto come ottimo pure in altri scritti sicuramente autentici.
"In questo
pregio dato al nobile esercizio della caccia - commenta Jaeger[45]
- Senofonte vede un particolar segno di sanità del sistema persiano. Egli vanta
la virtù fortificante della caccia e la considera, qui come nella Costituzione degli Spartani [46]
e nel Cinegetico , parte essenziale
di una buona paideia".
Il discorso sulla
caccia parte dall’affermazione che caccia e cani sono un’invenzione divina, di
Apollo e Artemide: “ To; me;n eu{rhma qew`n, jApovllwno~ kai; jArtevmido~” ( Cinegetico, I, 1). Questi dèi poi ne
fecero dono a Chirone per onorarne la rettitudine.
Il
più giusto dei Centauri ebbe tanti discepoli, da Asclepio ad Achille e pure
Enea, tutti uomini di grande levatura e prodi guerrieri: “ejgw; me;n ou\n parainw` toi`~ nevoi~ mh katafronei`n kunhgesivwn mhde;
th`~ a[llh~ paideiva~: ejk touvtwn ga;r givgnontai ta; eij~ to;n povlemon
ajgaqoi; ei[~ te ta; a[lla, ejx w|n ajnavgkh kalw`~ noei`n kai; levgein kai;
pravttein”
(I, 18), io dunque consiglio ai
giovani di non disprezzare la caccia né altre forme di educazione: da queste
infatti si formano i prodi in guerra e nelle altre attività dalle quali deriva
necessariamente il pensare, il parlare e l’agire con distinzione.
Più avanti l’autore
afferma che la caccia offre al corpo numerosi vantaggi: la salute: “kai; oJra`n kai;
ajkouvein ma`llon, ghvraskein de; h|tton” il vederci e l’udire meglio, l’invecchiare meno ed è la migliore
educazione alla guerra (XII, 1).
Nella Ciropedia ( che tratta l'educazione di
Ciro il Vecchio) Senofonte racconta che la caccia tra i Persiani si svolge a
cura dello Stato e che in essa il re guida i suoi uomini come in
battaglia:"o{ti
ajlhqestavth aujtoi'" dokei' ei\nai au{th hJ melevth tw'n pro;" to;n
povlemon" (I, 2, 10),
poiché a loro sembra che questo sia l'esercizio più idoneo per la guerra.
In effetti il primo
di tutti i guerrieri, Achille, sterminava leoni e cinghiali portandone i corpi
al Centauro, e uccideva i cervi senza cani né inganno di reti ma li batteva
nella corsa (Pindaro, Nemea III ,
44ss.).
Così nell’Achilleide di Stazio, Chirone, il torvus magister, (I, 39), il precettore
spietato non permetteva al trux puer (I,
302) al discepolo feroce imbelles… damnas
sectari…aut timidas…cuspide lyncas sternere di inseguire imbelli daini o di
abbattere con l’asta linci paurose (II, 121 - 123); Achille doveva stanare orsi
feroci e cinghiali fulminei (“sed tristes
turbare cubilibus ursos/fulmineosque sues”, 123 - 124) e, se le trovava,
un’enorme tigre o una leonessa che si era sgravata da poco in una spelonca tra
i monti.
Torniamo al Cinegetico: la caccia rende anche
equilibrati e giusti in quanto si tratta di un’educazione nella realtà: “dia; to; ejn th`/
ajlhqeiva/ paideuvesqai” (XII, 8). Inoltre l’esercizio venatorio
abitua alla fatica, il che significa preparazione al sacrificio per la salvezza
della patria. Gli uomini migliori sono oiJ qevlonte~ ponei`n (XI, 18), quelli che hanno voglia di
affrontare fatiche.
“Tutto l’opuscolo è
percorso da un capo all’altro dall’esaltazione del ponos, della fatica, e dello sforzo, senza di che nessun uomo si
educa veramente. In questo elemento gli storici della filosofia hanno visto
l’influenza di Antistene, che interpretò in tal senso il messaggio socratico.
Ma anche per natura sua Senofonte fu amico di natura e travaglio…Se c’è un
punto in cui egli parli per convinzione è questo. Il ponos, la fatica, è nella caccia l’elemento educativo; su di esse
si era fondata l’alta areté di quegli eroi antichi, gli alunni di Chirone”[47].
Nei
Memorabili (II, 1, 21 - 34),
Senofonte riferisce, attraverso Socrate, la favola esemplare di Eracle al bivio
attribuita a uno scritto (Stagioni ) del sofista Prodico di Ceo[48].
Ebbene delle due donne che l'eroe giovinetto incontra, quella virtuosa,
Il
Cinegetico procede biasimando i
sofisti i quali non insegnano la virtù, bensì il male. L’autore dichiara di
servirsi delle parole in modo non sofisticato (toi'~ men ojnovmasin ouj sesofismevnw~ levgw, 13, 5)
siccome vuole insegnare la virtù in maniera diretta. Sono infatti le massime
morali gnw'mai, se
buone, a educare, non le parole.
“Gli
scritti coi quali i Sofisti pretendono d’introdurre i giovani “alla virtù” sono
privi di contenuto vero (gnw'mai) e li abituano solo a una vana
dilettazione”[49]. I sofisti parlano per
ingannare e scrivono in vista del proprio tornaconto (oiJ sofistai; d j ejpi;
tw'/ ejxapata'n levgousi kai; gravfousin ejpi; tw'/ eJautw'n kevrdei, 13, 8).
Antiche
tradizioni (lovgoi
ga;r palaioiv,
XIII, 17) ricordano che gli dèi stessi hanno praticato con diletto la caccia.
Anche le donne cui gli dèi concessero questo dono, Atalanta[50], Procri
e altre, sono diventate valorose (XIII, 18).
Alla
salute corporea Senofonte attribuisce grande importanza anche nei Memorabili: la buona condizione fisica è
necessaria in guerra e in ogni genere di competizione, ed è certamente utile in
ogni attività della vita: “pro;~ pavnta ga;r o{sa pravttousin a[nqrwpoi crhvsimon
to; sw'ma ejstin”
(III, 12, 6).
Anche “il povero Leopardi”
dalla “vita strozzata”[51]
attribuisce grande importanza alla salute e alla forza del corpo: “ E il corpo
è l’uomo. Perché… tutto ciò che fa nobile e viva la vita, dipende dal vigore
del corpo, e senza quello non ha luogo. Uno che sia debole di corpo, non è
uomo, ma bambino; anzi peggio; perché la sua sorte è di stare a vedere gli
altri che vivono, ed esso al più chiacchierare, ma la vita non è per lui. E
però anticamente la debolezza del corpo fu ignominiosa, anche nei secoli più
civili. Ma tra noi già da lunghissimo tempo l’educazione non si degna di
pensare al corpo, cosa troppo bassa e abbietta: pensa allo spirito; e appunto
volendo coltivare lo spirito, rovina il corpo, senza avvedersi, che rovinando
questo, rovina a vicenda anche lo spirito”[52].
Excursus
la caccia
La caccia in altri
autori
Su questo tema vale
la pena fare qualche riferimento ad altri autori.
Platone alla fine
del VII libro delle Leggi prende in
considerazione la caccia "come una forma legittima di paideia...affermando
l'alto valore di questa attività per la formazione del carattere"[53].
Il filosofo del resto fa delle distinzioni nell' ampio ambito semantico
indicato dalla parola qhvra. E' positiva e
degna di lode (e[paino~) solo la caccia che rende migliori le anime
dei giovani (823d), mentre merita biasimo (yovgo~) quella che agisce in modo contrario.
Dunque non va
approvata la caccia in mare, né la pesca con l’amo, né l’ oziosa caccia con le
reti (kuvrtoi~
ajrgo;n qhvran), da svegli o da
addormentati.
Qualsiasi forma di qhvra in mare, compresa la pirateria, che rende
gli uomini qhreuta;~
wjmou;~ kai; ajnovmou~ (823e)
cacciatori crudeli e fuorilegge viene disapprovata. La caccia agli uccelli non
è del tutto degna di un uomo libero.
La cattura di un
animale deve essere la vittoria di un'anima che ama la fatica: allora rimane,
migliore e unica, la caccia diurna ai quadrupedi, con i cavalli, con i cani,
con le proprie forze fisiche, sui quali hanno la meglio quanti si prendono cura
del divino coraggio, cacciando di propria mano, con corse, colpi e lanci.
Quindi la legge, conclude l’Ateniese, non impedisca
a questi che sono davvero cacciatori sacri di andare a caccia dove e come
vogliono, ma non permetta mai e in nessun luogo di cacciare al cacciatore
notturno che confida nei lacci e nelle reti; al cacciatore di uccelli non si
impedisca di cacciare nei campi incolti e sui monti, ma non deve farlo nei
campi coltivati[54]
e sacri; il pescatore infine può pescare ovunque tranne che nei porti, nei
fiumi, negli stagni e nei laghi sacri, ma non deve servirsi di misture torbide
di succhi vegetali (824). Le quali, ovviamente, avvelenavano i pesci.
Si può immaginare come Platone considererebbe
il cacciatore armato di fucile!
"Nel vietare
l'uso di reti e trappole il codice di caccia platonico va anche al di là di
quello di Senofonte"[55].
Platone in definitiva considera la caccia un
mezzo per temprare il carattere e anche per curare la bellezza naturale che,
leggiamo nel Gorgia , si ottiene solo
attraverso la ginnastica, mentre è falsa la bellezza cercata con la cosmesi la
quale è malvagia e pure fallace e ignobile e servile "kakou'rgov" te
kai; ajpathlh; kai; ajgennh;" kai; ajneleuvqero""(465 b) , poiché inganna attraverso
l'apparenza, i colori, gli unguenti i vestiti.
Isocrate nell'Areopagitico (44) ricorda che gli
abbienti del buon tempo antico si dedicavano alla cinegetica oltre che
all'ippica, alla ginnastica e alla filosofia, mentre I più
poveri venivano indirizzati all'agricoltura e al commercio, in una concezione della paideia come gioco
elevato espressa pure da Callicle nel Gorgia
di Platone. Menandro nella comedia L'arbitrato
pone il cacciare i leoni ("qhra'n levonta"", v. 148) tra le imprese degne di un uomo libero e nobile,
insieme con il portare le armi ("o{pla bastavzein") e correre negli agoni ("trevcein - ejn ajgw'si", vv. 149 - 150).
Un autore nostro che
raccomanda la caccia come "esercizio della guerra" è Machiavelli:"E
quanto alle opere, oltre al tenere bene ordinati et esercitati li sua, debbe
stare sempre in sulle caccie, e mediante quelle assuefare el corpo a'
disagi". Il che non toglie niente all'esercizio intellettuale:"Ma,
quanto allo esercizio della mente, debbe el principe leggere le istorie, et in
quelle considerare le azioni delli uomini eccellenti"[56].
Molti sono stati i
prìncipi dediti alla caccia: Sallustio racconta che Giugurta non imputridiva
nell’ozio , ma cavalcava, si addestrava con l’arco, gareggiava nelle corse con
i coetanei “ad hoc, pleraque tempora in
venando agere, leonem atque alias feras primus aut in primis ferire, plurimum
facere, minimum ipse de se loqui” (Bellum
Iugurthinum, 6, 1), inoltre passava la maggior parte del tempo nella
caccia, colpiva per primo o tra i primi i leoni o altre fiere, agiva
moltissimo, parlava pochissimo di sé.
A favore della
caccia per altre ragioni, evidentemente legate a Eros, è anche Ovidio, il poeta
mulierosus . Questa attività viene
consigliata, in tutte le sue branche, tra i Remedia
amoris , sulla linea di Teofrasto che considerava l'amore "pavqo" yuch'"
scolazouvzh""[57],
un'affezione dell'animo disoccupato:"...Venus otia amat; qui finem quaeris amoris,/cedit amor rebus; res age:
tutus eris "[58],
Venere ama il tempo libero; tu che cerchi la fine di un amore, datti a delle
attività e sarai sicuro: l'amore si ritira davanti alle attività. Tra quelle
raccomandate c'è anche la caccia:"Vel
tu venandi studium cole; saepe recessit/turpiter a Phoebi victa sorore Venus
"[59],
oppure tu coltiva la passione per la caccia; spesso si è ritirata con vergogna
Venere vinta dalla sorella di Febo[60].
Del resto già nell'Ecloga X di Virgilio, Cornelio Gallo[61]
cerca di sfuggire alla sofferenza amorosa, che Licoride gli infligge, col
proposito di percorrere le montagne dell'Arcadia a caccia di aspri cinghiali
mescolato alle Ninfe :"Interea
mixtis lustrabo Maenala Nymphis,/aut acris[62] venabor apros "(vv. 55 - 56).
Excursus
La caccia e conclusione
dei Cavalieri di Aristofane
Contro la caccia
Ora vediamo alcune
testimonianze contro qualsiasi tipo di caccia. Troviamo un'appassionata
apologia della vita degli animali in Il
fondamento della morale[63]
di Schopenhauer che giunge a deplorare pure la pesca:"Bisogna avere
tutti i sensi ottusi...per non vedere che nell'animale e nell'uomo l'essenza
principale è la stessa e ciò che li distingue non è nel primario, nel
principio, nell'archaios ,
nell'intima essenza, nel nocciolo dei due fenomeni, che nell'uno come nell'altro
è la volontà dell'individuo, bensì soltanto nel secondario, nell'intelletto,
nel grado di facoltà conoscitiva che nell'uomo, aggiungendosi la facoltà di
conoscenza astratta, chiamata ragione, è più alto, ma, come è provato, soltanto
in virtù di un maggiore sviluppo cerebrale, cioè della diversità somatica di
un'unica parte, del cervello, e specialmente della sua quantità. Per contro le
parti uguali tra animali e uomo sono, sia nella psiche sia nel corpo,
incomparabilmente più numerose. A questi occidentali e giudaizzanti spregiatori
degli animali e idolatri della ragione bisogna rammentare che, come essi sono
stati allattati dalla loro madre, anche il cane lo è stato dalla sua...Che la
morale del cristianesimo non tenga conto degli animali è un suo difetto...garbato
simbolo del difetto testé deplorato nella morale cristiana, nonostante la
rimanente grande concordanza con quella indiana, potrebbe essere il fatto che
Giovanni il Battista si presenta esattamente come un saniassi indiano,
ma...vestito di pelli d'animale! che sarebbe, è noto, un orrore per ogni
indù...Un simile caratteristico contrasto è offerto dalla storia evangelica
della retata di Pietro che il Redentore favorì al punto di sovraccaricare di
pesci le barche fino a farle affondare ( Luca
, 5[64]),
con la storia di Pitagora, iniziato alla sapienza egizia, il quale acquista dai
pescatori tutta la retata, mentre la rete è ancora sotto acqua, per donare poi
la libertà a tutti i pesci catturati (Apuleio, De magia , 31[65]).
La pietà verso gli animali è talmente legata alla bontà del carattere da
consentire di affermare fiduciosamente che l'uomo crudele con gli animali non
può essere buono"[66].
In Guerra
e pace di Tolstoj c'è la lunga descrizione di una caccia compiuta da
"centotrenta cani e venti cacciatori a cavallo"(p. 744) prima contro
un solo lupo che, catturato, "sussultando con le zampe legate, guardava
tutti con espressione selvaggia e al tempo stesso ingenua."(p. 755); poi
questo piccolo esercito se la prende con" una strana volpe, bassa e rossa
che correva frettolosa sui campi agitando la coda"(p. 756). Questa viene
uccisa. Infine viene catturata una lepre, e uno dei cacciatori "tagliò
dalla bestia una delle zampe posteriori, per i cani."(p. 762), così
preziosi che per uno di loro un proprietario terriero "l'anno prima aveva
ceduto a un vicino tre famiglie di servi"(p. 759). In questa storia, come
si vede, c'è un bel campionario di vizi umani, a cominciare dal più grave di
tutti che è il disprezzo per la vita.
L’assassinio
di Cristo.
Wilhelm Reich vede nell'uccisione di un cervo uno dei tanti aspetti dell’
assassinio di Cristo , il delitto che l'uomo emotivamente appestato,
sessualmente represso, e impotente, compie contro la vita bella, radiosa,
aperta, curiosa di persone come Gesù o Socrate, Giordano Bruno o
Gandhi:"Cristo non sa nulla dell'odio strutturale nell'uomo, conseguenza
della sua frustrazione[67]
…Uccideranno Gesù Cristo per un delitto che essi
stessi gli hanno imputato, che essi stessi
hanno inventato, che essi hanno
commesso migliaia di volte; un delitto che Cristo non si era mai sognato di
commettere...Se essi stessi sono abitualmente delle spie, uccideranno Cristo
per spionaggio (p. 128)...E gli sputeranno in viso, e lo frusteranno e faranno
a pezzi il suo onore, e lo lasceranno soffrire agonie per distruggere il suo
amore per il popolo e l'amore del popolo per lui (p. 129)...L'assassino
appestato...uccide semplicemente perché non riesce a sopportare il fatto che
esistano persone come Bruno, o Cristo, o Gandhi, o Lincoln (p. 159)...Gesù
Cristo, giovane, bello, attraente, vivo, venne ucciso perché le donne lo
amavano come nessuno scriba avrebbe mai potuto essere amato; venne ucciso
perché era fatto e viveva in un modo che nessun sacerdote talmudista avrebbe
mai sopportato di vedere (p. 225). Tuttavia "
Reich
in Ascolta, Piccolo Uomo , ribadisce
l'idea che la caccia, e la pesca, sono, come bastonare i bambini, azioni da
frustrati e sadici i quali odiano la vita:"Non bastono i bambini, non
pesco e non do la caccia a cervi e caprioli"(p. 25).
Fine
excursus sulla caccia
Conclusione
dei Cavalieri
Ma concludiamo lo
studio dei Cavalieri di Aristofane
Agoratrico fa una
battuta oscena: offre a Demo uno sgabello kai; pai'd j ejnovrchn (1384) e un ragazzo con i coglioni che lo porti,
e se ti va puoi usare lui come sgabello (1385 - 6)
Sicché Demo può
tornare ai suoi vecchi costumi.
Agoracrito gli offre
una Tregua trentennale aiJ Spondaiv
che poi è una bella ragazza (1389)
Demo domanda se si
può trentennarla e[xestin aujtw'n katatriakontoutivsai; (1391), forse sbatterla 30 volte.
Paflagone la teneva
reclusa ma ora viene affidata a Demo.
Il farabutto
Paflagone andrà a fare il mestiere di Agoracrito: venderà salsicce davanti alle
porte ejpi;
tai'" puvlai" ajllantopwlhvsei movno" (1398) mescolando pezzi di cane con pezzi d’
asino - ta;
kuvneia maignu;" toi'" ojneivoi" pravgmasin, e ubriaco insulterà le puttane mequvwn te tai'"
povrnaisi loidorhvsetai (1400)
Demo ribadisce che Paflagone
è davvero degno di gareggiare in schiamazzi con puttane e bagnini a[xio" - povrnaisi
kai; balaneu'si diakekragevnai
(1403).
Demo dà ad
Agoracrito un posto nel Pritaneo, un posto che era indegnamente e indebitamente
occupato dal farmakov" (1405).
Farmakoiv erano due disgraziati poveri e brutti che
venivano cacciati da Atene nel primo giorno della festa delle Qarghvlia (tav)
festa in onore di Apollo e Artemide nel mese Qarghliwvn (aprile - maggio). Nel secondo giorno di festa c’era una processione.
Demo dà ad
Agoracrito th;n
batracivda una veste verde rana
da indossare, l’abito della festa (1406)
Cleone deve essere
trascinato nel suo turpe mestiere perché lo vedano i forestieri che egli
maltrattava - i{n
j i[dwsin aujtovn, oi|" ejlwba`q ,j oiJ xevnoi ( 1408).
[1]
Scritti corsari, p. 286.
[2]
E. Morin, I sette saperi, p. 70.
[3]Mazzarino,
op. cit., pp. 251 e 252. La parte tradotta corrisponde alle ultime righe di
III, 38, 7.
[4] Droysen, Aristofane, (del 1838), trad. it. p. 170.
[5]
Droysen, Aristofane, p. 172.
[6]Paideia , I vol., p. 668.
[7]Canfora
- Corcella, La letteratura politica e la storiografia in Lo spazio letterario della Grecia antica, I, 1,, p. 468.
[8]
I colpevoli (ndr).
[9]
Contro chi non ci aveva mai recato offese (ndr).
[10]
Del
[11]Canfora
- Corcella, op. cit., pp. 468 - 469.
[12]
Del 1594 - 1595.
[13]
eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai
veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano
volgarmente oggetti costosi.
Augusto
dava
un esempio di frugalità mangiando secundarium
panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides
( Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a
mano, e fichi freschi.
Giorgio Bocca commentò tale abitudine
dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di
Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli
uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a
scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi.
L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di
cicoria, da vero padrone del mondo” G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali.
Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11
Senza risalire al 14 d. C., penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire, ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo da loro più e meglio che a scuola. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me".
[14]
Zibaldone, p. 4523.
[15]
Zibaldone, 1411 - 1412.
[16] I miei ragazzi insidiati dal
demone della Facilità, Marco Lodoli, in
[17]
Cantico del sole da Quia pauper amavi (1919).
[18]
B. Brecht, Lode del comunismo (del
1933) vv. 1 e 11 - 14. Il soggetto è il comunismo.
[19]Scritto
tra il 163 e il 165 d. C.
[20]
Composte intorno al
[21]
Seneca cita questo verso traducendolo così: “ut ait ille tragicus ‘veritatis simplex oratio est’, ideoque illam
implicari non oportet” (Ep. 49,
12), come dice quel famoso poeta tragico “il linguaggio della verità è
semplice”, e perciò non deve essere complicata.
[22]
Si ricordi quanto si è detto a proposito della poikiliva
(21. 3).
[23]
Iliade, XI, 832.
[24]
Dante, Inferno, XII, 71.
[25]
S. Settis, Futuro del 'classico' , p. 48.
[26]
Parerga
e paralipomena p.210, vol.I
[27]
Cicerone, De officiis, I, 130.
[28]
Il metro di questa ode è la strofe asclepiadea quarta.
[29]F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, Schopenhauer come educatore , p. 173
[30] J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito e tragedia nell'antica Grecia, n. 9 p. 91
[31]
S. Màrai, La recita di Bolzano, p.
20.
[32]
Livio, I, 56.
[33]
M. Bettini, Le orecchie di Hermes, Einaudi, Torino, 2000, p. 86.
[34]
Saxo, 3, 6, 11.
[35]
Igino, Fabulae, 95.
[36]
Plinio, Naturalis historia, 35, 129.
[37]
Giustino, 2, 7; Plutarco, Vita di Solone, 8, 1, sg.
[38]
Il libro dei Re, 21, 11 (=Il libro di Samuele, 21, 11 - 13).
[39]
Saxo, 3, 6, 6.
[40]
M. Bettini, op. cit., p. 59.
[41]
P. P. Pasolini, Un intervento rimandato
(marzo 1949), in Pasolini Saggi sulla politica e sulla società, p. 83.
[42]
Del
[43] Storia dei
Greci , II vol., p.91
[44]
Era una moda dei benestani quella di portare nei capelli fermagli a forma di
cicala (cfr.Ticidide, I, 6, 3)
[45]Paideia, , p. 286.
[46]IV,
7 e VI, 3 - 4.
[47]
W. Jaeger, Paideia, 3, p. 313.
[48]
Nato poco prima di Socrate.
[49]
W. Jaeger, Paideia, 3, p. 314
[50] Atalanta era una fanciulla del Menalo, monte
dell’Arcadia, nota..cursu (Stazio, Tebaide, VI, 563), famosa per la corsa.
Erano note le sue qualità eccezionali e il fatto che nessuno dei suoi
pretendenti era in grado di seguirne le falcate: “quis Maenaliae Atalantes/nesciat egregium decus et vestigia cunctis
indeprensa procis?” (563 - 565).
[51]
B. Croce, La letteratura italiana,
vol III, p. 73.
[52]
G. Leopardi, Operette morali, Dialogo di
Tristano e di un amico.
[53]Jaeger,
Op. cit., pp. 308 - 309
[54]
Cfr. Cinegetico: “Quando si va a
caccia in luoghi coltivati, ci si tenga lontano dai frutti delle stagioni (V,
34)
[55]Jaeger, Op. cit., p. 309.
[56]Il
Principe , cap. XIV.
[57]In Stob. 4, 20, 66.
[58]Ovidio, Remedia amoris , vv. 143 - 144.
[59]Ovidio, Op. cit., vv. 199 - 200.
[60]
Diana.
[61]
E' il primo elegiaco del canone di Quintiliano che attribuisce grande credito a
questi poeti:"elegia quoque Graecos provocamus"( Institutio
oratoria, X, 10, 93), anche nell'elegia sfidiamo i Greci. Noi lo conosciamo
attraverso la mediazione di Virgilio e per pochi versi che contengono già le
parole chiave dell'elegia latina: domina, servitium amoris, nequitia.
[62]
=acres.
[63]
Saggio del 1840 pubblicato nel
[64]Luca,
5, 4 - 6:"Ut cessavit autem loqui,
dixit ad Simonem:"Duc in altum et laxate retia vestra in capturam". Et
respondens Simon dixit:"Praeceptor, per totam noctem laborantes nihil
cepimus; in verbo autem tuo laxabo retia". Et cum hoc fecissent,
concluserunt piscium multitudinem copiosam; rumpebantur autem retia eorum
", poi, quando ebbe finito di parlare, disse a Simone:"Vai al largo e
calate le vostre reti per la pesca". E Simone disse in
risposta:"Maestro, faticando tutta la notte, non abbiamo preso niente; ma
sulla tua parola getterò le reti". E avendo fatto questo, presero una
quantità enorme di pesci e le reti si rompevano addirittura.
[65]"memoriae prodiderunt, cum animadvertisset
proxime Metapontum in litore Italiae suae, quam subsicivam Graeciam fecerat, a
quibusdam piscatoribus everriculum trahi, fortunam iactus eius emisse et pretio
dato iussisse ilico piscis eos, qui capti tenebantur, solvi retibus et reddi
profundo ", si tramanda che avendo notato, presso Metaponto, sul
litorale della sua Italia, di cui aveva fatto una seconda Grecia, che da alcuni
pescatori veniva tratta una rete, comprò la retata fortunata e sborsato il
denaro ordinò che subito venissero liberati i pesci catturati e restituiti al
fondo del mare.
[66]Il fondamento della morale , pp. 248 - 249.
[67]
( L’Assassinio di Cristo, p. 103 )
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