venerdì 26 novembre 2021

Il persiano Otane nobile di nome e di fatto.


 

Nel dibattito costituzionale raccontato da Erodoto, Otane  dice che gli sembra opportuno che nessuno divenga più nostro monarca- ejmoi, dokevei e[na me;n hJmevwn mouvnarcon mhkevti genevsqai (III, 80, 2). 

 Questo mouvnarco"  di fatto è un tiranno. A costui l’u{briς deriva dai beni presenti, mentre l’invidia gli è connaturata dall’origine: fqovnoς de; ajrch̃qen  ejmfuvetai ajnqrwvpw/  (Storie, III, 80, 3)

 Il re ha ogni malvagità (e[cei pa'san kakovthta, 80, 4)  che   compie  per arroganza e invidia

Eppure il sovrano non dovrebbe essere invidioso poiché ha tutti i beni.

Invece invidia i cittadini migliori, si compiace dei peggiori (caivrei de; toi'si kakivstoisi tw'n astw'n) ed è ottimo ad accogliere le calunnie ( diabola;ς de; a[ristoς ejndevkesqai, Erodoto,  III, 80, 4).

Quanto allo fqovno", Tacito attribuisce più di una volta l'invidia ai suoi Cesari: Tiberio (14-37) temeva dai migliori un pericolo per sè, dai peggiori disonore per lo stato (ex optimis periculum sibi, a pessimis dedĕcus publicum metuebat , Annales , I, 80).

 

Ma torniamo a Otane di Erodoto (III, 80, 6)

La cosa più grave è questa: "novmaiav te kinevei pavtria kai; bia'tai gunai'ka" kteivnei te ajkrivtou"" (III, 80, 5) sovverte le patrie usanze, violenta le donne e manda a morte senza giudizio. "Così il persiano Otane riassume ciò che è in sostanza il motivo comune fra i Greci per l'opposizione alla tirannide"[1]. 

 

 Nelle tragedie il tiranno è il paradigma mitico di questo principio ( Serse nei Persiani di Eschilo, Creonte di Sofocle e di Euripide nelle Supplici).

 

Invece il governo del popolo ha il nome più bello, l’uguaglianza davanti alla legge: “plh̃qoς de; a[rcon prw̃ta me;n ou[noma pavntwn kavlliston e[cei, ijsonomivhn (6), poi esercita a sorte le magistrature (pavlw/ me;n ajrca;ς a[rcei ) e ha un potere soggetto a controllo (uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei) e presenta tutte le deliberazioni del consiglio all’assemblea pubblica (bouleuvmata de; pavnta ejς to; koino;n ajnafevrei).

 I bouvleumata non sono khruvgmata, ordinanze, editti.

 

Otane dunque propone la democrazia, perché nella massa deve stare ogni potere.

 

Megabizo invece parlò in favore dell’oligarchia ( Erodoto, III, 81).  

Questo altro nobile accetta la critica alla tirannide ma non l’elogio del popolo. Infatti dice non c’è niente di più stupido (oujdevn ejsti ajxunetwvteron, cfr. sunivhmi), né più prepotente ( uJbristovteron) di una moltitudine buona a nulla (oJmivlou ajcrhivou).

Il monarca è caratterizzato dall’ybris, il dh̃moς è sfrenato (ajkovlastoς)

La moltitudine non ha imparato niente da altri e non conosce da sé nulla di buono, e sconvolge lo Stato scagliandosi a[neu novou simile a un fiume invernale (ceimavrrw/ potamw̃/  i[keloς, 81, 2).

 

Per ultimo parlò Dario. Approva Megabizo sulla democrazia, lo confuta sull’oligarchia.

Secondo lui il sistema migliore è la monarchia anche se tw̃/ lovgw/, a parole sono ottime tutte e tre.

Non c’è niente di meglio di un uomo ottimo il quale con il suo senno (gnwvmh/, III, 82, 2) guida tutto il popolo ed è irreprensibile ajmwvmhtoς. Nell’oligarchia invece gli oligarchi giungono a grandi inimicizie, da cui nascono stragi, quindi si passa alla monarchia che così si rivela il regime migliore. Quando invece comanda il dh̃moς (dhvmou te au\ a[rcontoς, III, 82, 4)  è impossibile che non sopravvenga la malvagità (ajduvnata mh; ouj kakovthta ejggivnesqai) e i malvagi instaurano tra loro filivai ijscuraiv, salde amicizie, poiché danneggiano gli interessi comuni cospirando tra loro.

Questo avviene finché li fa cessare uno che viene proclamato monarca. E ancora una volta si vede wJς hJ mounarcivh kravtiston.

Del resto per farla breve: a noi la libertà chi l’ha data?.

-kovqen hJmi'n hJ ejleuqerivh ejgevneto kai; teu' dovnto" ; (III, 82, 5) Non il popolo né l’oligarchia ma un monarca.

Cfr. il rispetto di Erodoto per le culture diverse

 

 Manteniamo dunque la monarchia concluse Dario (III, 82, 5). Vennero dati questi 3 pareri e gli altri quattro nobili aderirono all’ultimo.

Otane che voleva dare ai Persiani l’isonomia, sconfitto, non volle entrare in lizza per diventare re siccome non voleva comandare né essere comandato: “ejgw; me;n nun uJmĩn oujk enagwnieũmai: ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw” (III, 83, 2).

 

Ricordo di nuovo Bertolt Brecht  che dopo Tiberio Gracco, nipote di Scipione l’Africano,  e Friedrich Engels, figlio di un facoltoso industriale,  ha raccolto questo messaggio di vera nobiltà

Infine sentiamo  Bertolt Brecht:

“Io son cresciuto figlio

di benestanti. I miei genitori mi hanno

messo un colletto, e mi hanno educato

nelle abitudini di chi è servito

e istruito nell’arte di dare ordini. Però

quando fui adulto e mi guardai intorno

non mi piacque la gente della mia classe,

né dare ordini né essere servito.

E io lasciai la mia classe e feci lega

Con la gente del basso ceto”[2].

 

Bologna 27 novembre 2021 ore 19, 59

giovanni ghiselli

p. s.

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[1]C. M. Bowra, Mito E Modernità Della Letteratura Greca  , p. 170.

[2] Scacciato per buone ragioni in Poesie di Svendborg del 1939.

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