martedì 16 novembre 2021

Aristofane Ecclesiazuse. Le tre vecchie, i due ragazzi, poi i cibi afrodisiaci.


 

   Continua il battibecco tra la vecchia vogliosa di sesso e il giovane svogliatissimo.

Il ragazzo, messo alle strette, domanda se queste richieste contengano una necessità- ajnavgkh di soddisfarle  (1028)

Questo quesito, che è pure una querimonia, smonterebbe anche un satiro ma la vecchia ricorre al mito dicendo che le sue soddisfazioni sono necessità Diomedèe Diomhvdeiav ge .

 

Diomede era un re di Trace che obbligava gli ospiti a  morire mangiati nelle greppie insanguinate dalle sue cavalle antropofaghe o, secondo un’interpretazione evemeristica, a soddisfare sessualmente le sue dissolute figliole fino a morirne.

 

L’espressione hj Diomedeiva legomevnh ajnagkh la necessità Diomedea si trova pure nella Repubblica di Platone (493d) e questa compresenza potrebbe dare ragione alla tesi di Canfora molto più della identificazione di Aristillo con Platone, ma siccome le Ecclesiazuse sono state rappresentate prima dell’uscita della Repubblica, la satira casomai viene fatta dal filosofo al commediografo, non viceversa come sostenuto dal professore emerito di Bari.

Canfora infatti sostiene che nella commedia è centrale un attacco a Platone, non meno aggressivo dell’attacco assiduo contro Socrate.

 

In Platone la necessità Diomedea è quella di compiacere il volgo quando un ajtovpo" paideuthv" un educatore  fuori posto, assurdo, rende la folla dei più-  tou;" pollouv"- arbitra del gusto.

E’ quello che fanno quasi tutti i conduttori televisivi sulla scia del pessimo maestro Fabio Fazio.

 

Il giovanotto suggerisce alla vecchia di acconciarsi come un cadavere e di stendersi sul letto di morte

Interviene la ragazza che domanda alla vecchia dove sta trascinando il ragazzo.

L’anziana risponde che lo porta dentro siccome è suo.

La giovinetta replica alla sua rivale che potrebbe essere la madre del giovane e se imporrete questa legge  riempirete di Edipi tutto il paese th;n gh'n a{pasan Oijdipovdwn ejmplhvsete (1042).

 

La vecchia dà dell’abomivevole invidiosa alla ragazza, poi esce.

 

Il ragazzo ringrazia la coetanea per la liberazione e la chiama w\ glukuvtaton (1046).

Al contrario di quanto succede alle monete, la corteggiatrice, l’amica o l’amante buona scaccia quella cattiva.

 Intanto il giovane ringrazia a parole la ragazza, quindi promette per la sera di renderle un atto di ringrazamento grande e grosso- megavlhn ajpodwvsw kai; paceiavn soi cavrin  (1048).

 

Entra però in scena una seconda vecchia e ripete le pretese della prima.

Il ragazzo è atterrito da questa nuova peste più tremenda della precedente. Sembra una variante del virus. Quindi chiede aiuto alla coetanea. Ma la vecchia tira fuori la legge: è questa che trascina il ragazzo, non lei- ajll j oujk ejgwv, ajll j oJ novmo" e{lkei se (1055) cfr. latino sulcus.

 

Il ragazzo dice che la vecchia è una specie di Empusa, uno spauracchio della mitologia popolare; succhiava il sangue. Nelle rane spaventa Dioniso.

La vecchia II sollecita il ragazzo che le chiede di poter prima andare al cesso

La vecchia spudorata insiste: qavrrei, bavdiz  j . e[ndon cesei' (1062), coraggio, cammina: cacherai dentro.

Quindi fa per trascinarlo in casa ma arriva una terza vecchia.

Il ragazzo spera che lo salvi da Vecchia II ma poi la guarda bene e vede una terza peste ancora più terribile. Gli sembra una scimmia piena di biacca- pivqhko" ajnavplew" yimuqivou (1072) o una vecchia tornata dal mondo dei più.

La vecchia III tuttavia lo trascina dicendogli oujk ajfhvsw s j oujdevpot j, non ti lascerò mai.

Ci si mette però di nuovo la vecchia II completando il verso 1075 con oujde; mh;n ejgwv e nemmeno io.

Il ragazzo tirato da due parti teme di venire fatto a pezzi- diaspavsesqev mj (1076) accidenti a voi.

Vecchia II e Vecchia III litigano per il ragazzo che quasi rassegnato dice: devo farmi in due, poi sfottere.

La vecchia III gli consiglia di ingoiare una pentola di cipolle –katafavgh/" bolbw'n cuvtran- (1092)

 

 

Cibi afrodisiaci

 

Nei Remedia amoris Ovidio sconsiglia  i cibi afrodisiaci accentuando la componente medica del resto sempre presente nel suo  poemetto:"Daunius an Libycis bulbus tibi missus ab oris/an veniat Megaris, noxius omnis erit " (Remedia amoris, vv.797-798), la cipolla della Daunia o mandata dalle coste libiche o importata da Megara sarà sempre nociva.

 In questa prospettiva, ribaltata rispetto a quella del viagra o alle pratiche cui si sottopone Encolpio contro l'impotenza, nocivo significa eccitante.

 Tale è anche la rucola:"Nec minus erucas aptum vitare salaces,/et quicquid Veneri corpora nostra parat " (799-800), e non è meno opportuno evitare la rucola afrodisiaca e tutto quanto dispone il nostro corpo a Venere.-salaces, da salax, connesso a salio, salto, significa propriamente "che fa saltare". "La radice deriva dall'indoeuropeo *sal- che ha dato come esito in greco aJl-, in latino sal-"[1]. Cfr. a{llomai.

 

Nell'Ars amatoria  che condivide l'impianto didascalico dei Remedia amoris, ma vuole insegnare il contrario, Ovidio consiglia gli stessi e altri cibi afrodisiaci a chi non deve risparmiare i lombi:"bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces" ( II, 422-424), si prenda la cipolla, e la rucola eccitante che viene dall'orto, le uova e si prenda il miele dell'Imetto e i pinoli che produce il pino dalle foglie aghiformi.

 La cipolla (bolbov" ) è con le conchiglie e le lumache, tra gli ingredienti principali anche del povto" aJduv" (v. 17), il magnifico banchetto che svela l'amore di Cinisca nel XIV idillio di Teocrito.  

 La cipolla e la rucola sono messi tra gli afrodisiaci anche da Marziale. Questi peraltro non aiutano Luperco abbandonato dalla mentula:"sed nihil erucae faciunt bulbique salaces" (III, 75, 3), niente ti fanno la rucola e le cipolle eccitanti. 

 

Veniamo quindi al vino:" Vina parant animum Veneri, nisi plurima sumas/ et stupeant multo corda sepulta mero./Nutritur vento, vento restinguitur ignis;/lenis alit flammas, grandior aura necat./Aut nulla ebrietas, aut tanta sit, ut tibi curas/eripiat; si qua est inter utrumque nocet " ( Remedia amoris, vv.805-808), il vino dispone l'animo a Venere, se non ne prendi troppo e non vengono intontiti i sensi sepolti dal molto vino. Viene nutrito dal vento, dal vento viene pure spento il fuoco; una lieve brezza alimenta le fiamme, un vento più grande la spenge. O non ci sia l'ebbrezza o sia così grande da portarti via gli affanni, se una si trova a metà, ti fa male.

 

Nell'Ars amatoria leggiamo:"Vina parant animos faciuntque caloribus aptos;/cura fugit multo diluitque mero./Tunc veniunt risus, tum pauper cornua sumit,/tum dolor et curae rugaque frontis abit./Tunc aperit mentes aevo rarissima nostro simplicitas,/ artes excutiente deo./Illic saepe animos iuvenum rapuere puellae,/et Venus in vinis ignis in igne fuit" (I, 237-244), il vino dispone gli animi e li rende pronti agli ardori; l'ansia fugge e si scioglie con molto vino. Allora nascono le risate, allora il povero prende coraggio, allora il dolore e le ansie e la ruga della fronte se ne vanno. Allora la semplicità, rarissima nel nostro tempo, rivela i pensieri, poiché il dio scuote via gli artifici. Lì spesso le ragazze conquistano i cuori dei giovani e Venere nel vino è fuoco nel fuoco.

 

Già Euripide nelle Baccanti aveva collegato Cipride al vino:"oi[nou de; mhkevt j o[nto" oujk e[stin Kuvpri"-oujd j a[llo terpno;n oujde;n ajnqrwvpoi" e[ti" (vv. 773-774), E quando non c'è più il vino, non c'è Cipride/né più alcun altro piacere per gli uomini

 Una riflessione sugli effetti erogeni del vino si trova nel romanzo L'asino d'oro di Apuleio. Il curiosus protagonista Lucio, preparandosi a un incontro amoroso con  l'ancella Fotide, ricevuta in dono un'anfora di prezioso vino invecchiato, vini cadum in aetate pretiosi,   invita l'amante a bere insieme il liquido di Bacco elogiandolo come il miglior  viatico per percorrere una lunga rotta sulla barca di Venere:"Ecce-inquam,-Veneris hortator et armĭger Liber advenit ultro! Vinum istud hodie sorbamus omne, quod nobis restinguat pudoris ignaviam et alăcrem vigorem libidinis incutiat. Hac enim sitarchĭa navigium Veneris indĭget sola, ut in nocte pervigili et oleo lucerna et vino calix abundet " (II, 11), ecco, dico, che stimolatore e armigero di Venere arriva Libero spontaneamente ! Beviamocelo tutto oggi questo vino che spenga in noi la viltà del pudore e susciti un vivace vigore di libidine. In effetti la barca di Venere ha bisogno soltanto di questo approvvigionamento in modo che,  durante la notte di veglia, la lucerna sia piena d'olio e la coppa di vino.

 

Il nesso vino-Venere viene ricordato controvoglia da Leonia, la vecchia ubriaca del Curculio di Plauto che deve offrire un goccio del suo tesoro liquido, com'è consuetudine, alla dea dell'amore:"Venus, de paullo paullulum hic tibi dabo hau lubenter./ Nam tibi amantes propitiantes vinum dant potantes/omnes…" (vv. 123-125), Venere, del poco che c'è qui darò un pochino a te non volentieri. Infatti tutti gli amanti facendo un brindisi ti offrono del vino per propiziarti.  

 

 

Bologna 16 novembre 2021 ore 11, 51. il tempo è orribile. Dovrò andare con l’autobus a fare lezione. Spero di trovare visi lieti che mi allietino

giovanni ghiselli

p. s

Sempre1182088

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Questo mese4729

Il mese scorso8104



[1] G. Ugolini, Lexis , p. 109.

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