Nell' Ars Amatoria [1] Ovidio afferma che è proprio l'eleganza a fargli preferire l'età moderna all'antica, presunta aurea:"prisca iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor: haec aetas moribus apta meis" (III, 121-122), i tempi antichi piacciano ad altri, io mi rallegro di essere nato ora, dopo tutto: questa è l'età adatta ai miei gusti, non perché, continua il Sulmonese, terre mari e monti sono stati domati dall'uomo,"sed quia cultus adest nec nostros mansit in annos/rusticitas priscis illa superstes avis " Ars, III, 127-128), ma perché c'è eleganza e non è rimasta fino ai nostri anni quella rozzezza sopravvissuta negli avi antichi.
"Ordior a cultu[2]. Così Ovidio inizia, dopo il lungo proemio, la precettistica riservata alle donne nel terzo libro dell'Ars .
Cultus , riferito come qui alla vita della donna, indica più o meno la "cura della persona" e quindi la "raffinatezza"[3].
Il cultus rende le donne più attraenti e seduttive ed è una di quelle parole che possono prendere significati differenti dando luogo a comportamenti contrastanti.
Qualora ci si voglia liberare dai lacci delle donne e trovare rimedi all'amore converrà vederle al naturale arrivando all'improvviso di mattina:"Auferimur cultu: gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui " (Remedia Amoris vv. 343-344), siamo sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono coperti dalle gemme e dall'oro; la donna in sé, è una parte minima di sé.
Infatti, prosegue Ovidio, "Saepe, ubi sit quod ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives Amor " (vv. 345-346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove sia ciò che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.
"E' in Ovidio che troviamo l'irrisione aperta della rusticitas , è Ovidio che della negazione della rusticitas fa un aspetto essenziale del suo mondo galante. In alcuni casi egli ci presenta la negazione in modo ambiguo", attribuendola a personaggi poco attendibili. "Per esempio, una contrapposizione fra le formosae audaci di oggi e le sporche sabine delle origini di Roma è elaborata da una lena[4] nel suo discorso esortativo (Am. I 8. 39 sgg.):"Forsitan inmundae Tatio regnante Sabinae/noluerint habiles pluribus esse viris;/nunc Mars externis animos exercet in armis,/at Venus Aeneae regnat in urbe sui./Ludunt formosae: casta est quam nemo rogavit;/aut si rusticitas non vetat, ipsa rogat "[5], forse le sporche Sabine sotto il regno di Tazio non avranno voluto essere disponibili per più uomini; ora Marte tiene occupati gli animi in guerre straniere, ma è Venere che regna nella città del suo Enea. Le belle si divertono: è casta quella cui nessuno ha fatto proposte; oppure se non lo impedisce la selvatichezza, è lei che fa le proposte.
E ovviamente non sono sempre proposte decenti.
Concludo con i costi della vanità estrema
Lo stesso Ovidio sconsiglia vesti sfacciatamente lussuose vengono sconsigliate alle donne eleganti (Ars III 169 sgg.): Quid de veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec quae de Tyrio murice, lana, rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/ quis furor est census corpore ferre suos? " , che devo dire della veste? Io non chiedo le frange d'oro, né te, lana, che rosseggi per la porpora di Tiro. Dal momento che sono venuti fuori tanti colori a prezzo più basso, che pazzia è portare sul corpo il proprio patrimonio?
Aggiungo Lucrezio:
"Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat " (Lucrezio, De rerum natura, vv. 1124-1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e tenuta in esercizio beve sudore di Venere.
La volontà volgare di esibire il lusso invero non manca negli uomini
L'esibizione che puzza di soldi è il furor tipico dell’ex schiavo arricchito scandalosamente, come Trimalchione, il " signore tre volte potente" il quale viene descritto al suo ingresso nella sala del banchetto con indosso un pallio scarlatto e un fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al collo con frange pendenti da una parte e dall'altra.
" Habebat etiam in minimo digito sinistrae manus anulum grandem subauratum " (Satyricon , 32), inoltre portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello indorato, da cavaliere; nell'ultima falange del dito seguente un altro anello tutto d'oro ma cosparso come da stelline di ferro "et ne has ostenderet tantum divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo ", e per non mettere in mostra soltanto queste ricchezze, denudò il braccio destro ornato da un braccialetto d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina brillante, "deinde pinna argentea dentes perfōdit " (33), quindi si stuzzicò i denti con una stecca d'argento.
Si possono confrontare queste testimonianze con quelle di Tacito sui Germani.
Bologna 24 novembre 21021 ore 19, 59
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] L'Ars amatoria (in distici elegiaci) costituisce una precettistica erotica in tre libri: nei primi due il poeta fa il maestro d'amore agli uomini, nel terzo alle donne. Questa raccolta a sfondo didascalico fu completata nell'1 o nel 2 d. C, come i Remedia amoris e i Medicamina faciei femineae. Ovidio, nato a Sulmona, e morto in esilio a Tomi sul Mar Nero, visse tra il 43 a. C. e il 17/18 d. C.
[2] Ars amatoria , III, 101.
[3]Conte-Pianezzola, Il libro della letteratura latina, Edizione Modulare, 8 , p. 513.
[4] Una mezzana, illa monebat/ talia (Amores, I, 8, 21-22), lei dava tali consigli.
[5] A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana, p. 186.
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