Un poco di metodologia dell’insegnamento del greco e del latino
Nelle Ecclesiazuse di Aristofane il coro delle donne chiede innovazioni:
misou'si ga;r h]n ta; palaia; pollavki" qew'ntai (580)
prova odio infatti la gente se vede spesso le cose vecchie.
La corifea invita a tacuvnein (582), fare presto, cosa gradita agli spettatori.
Prassagora teme che molti non approvino le novità.
“Il bruto è il più tenace servo dell’assuefazione” afferma Leopardi (Zibaldone, 1762)
Ma Cremete incoraggia la prima donna a non temere di aprire vie nuove- peri; tou' kainotomei'n mh; deivsh/" (586): è un buon principio non curarsi delle cose antiche- tw'n d’ ajrcaivwn ajmelh'sai (587).
Su questo Aristofane non è d’accordo. Né io.
Credo però che le cose antiche vadano capite e valorizzate avvalendosene per comprendere il proprio tempo e agire sul presente, come fa Machiavelli con la storia dei Romani e dei Greci. A me e a molti dei miei studenti, ne sono certo, lo studio della letteratura antica è servito a vivere meglio, a capire e amare di più.
Lo studio del greco e del latino purtroppo è stato condotto male per decenni da tanti umbratici doctores, troppi.
Lo fece notare Giovanni Pascoli molto tempo fa
"Invitato a stendere una relazione sulle cause dello scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale, così si esprimeva:"Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei licei, in qualche liceo per lo meno, la grammatica si stende come un'ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de' quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio"[1].
Inoltre: "I più volenterosi si svogliano, si annoiano, s'intorpidiscono…;…e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso"[2].
"Lo studio del greco e del latino si caratterizza soprattutto come uno studio linguistico di impronta grammaticale chiuso in se stesso e funzionale solo in minima parte alla lettura dei testi. In queste condizioni la realtà difficilmente può ripagare gli studenti degli sforzi fatti"[3].
La grammatica serve a leggere i testi, la metrica aiuta a memorizzarli.
Non si devono leggere dei versi dell'Odissea senza commentarli e non è possibile commentarli bene se non si conoscono bene almeno i poemi omerici.
I testi degli ottimi autori greci e latini abituano a pensare e non possono essere ridotti a raccolte di formule o di ricette:“ ‘Qua leggiamo Omero’ riprese, in tono beffardo, ‘come se l’Odissea fosse un libro di cucina. Due versi all’ora, che vengono sminuzzati e rimasticati parola per parola, fino alla nausea. Ma alla fine di ogni lezione ci dicono: vedete come il poeta ha saputo esprimere questo? Avete potuto intuire il mistero della creazione poetica! Così ci inzuccherano prefissi e aoristi, tanto per farceli ingoiare senza restare strozzati. In questo modo mi rubano tutto Omero’ ”[4]
Secondo il criterio del filologo Aristarco di Samotracia[5] bisogna spiegare Omero con Omero:“ {Omhron ejx JJOmhvrou safhnivzein"[6].
Poi, aggiungo, vanno considerati i commenti fatti dagli ottimi autori successivi agli autori precedenti. L'Anonimo Sul sublime, Hegel e Leopardi che commentano Omero, per esempio.
Bologna 10 novembre 2021
giovanni ghiselli
p. s.
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