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Micio Aeschinus
Micione si congeda da Sostrata assicurandola che parlerà con Eschino mettendo tutto a posto.
Giunto davanti all’uscio sente bussare.
E’ Eschino che vedendo lo zio che gli fa da padre si sente perduto.
Micione gli domanda: “tunc has pepulisti fores?” (637), poi tra sé dice che vuole prenderlo in giro dal momento che non gli ha confidato quanto ha fatto.
Eschino si vergogna e non vorrebbe parlare. Lo zio nota che è arrossito e gli pare un buon segno: “Erubuit salva res est”
Il pudor era una valore forte per i latini
Dalla mia metodologia
22.1. Il pudor nella cultura latina ha forza anche maggiore dell’ aijdwv" dei Greci.
"Pudor è il senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò che nega i valori morali e religiosi. E' affine all' aijdwv" dei Greci, ma ha vitalità molto maggiore: la Pudicitia era una divinità oggetto di un culto importante; al culto della Pudicitia patricia la plebe aveva affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia "[1].
Valerio Massimo[2] nel proemio del VI libro invoca la Pudicitia:"virorum pariter ac feminarum praecipuum firmamentum ", solido fondamento nello stesso tempo per donne e uomini. Ella appunto è stata onorata come una dea:"Tu enim prisca religione consecratos Vestae focos incolis, tu Capitolinae Iunonis pulvinaribus incubas…[3]", tu infatti abiti i focolari consacrati a Vesta dall'antico culto, tu giaci sui cuscini di Giunone Capitolina.
Micione dice di essere stato condotto lì da un amico come consulente.
Continua a canzonare il nipote spiegandogli che lì abitano quaedam mulieres pauperculae che Eschino non può conoscere perché non è molto tempo che abitano in quella zona.
Virgo est cum matre (650) c’è una ragazza con la madre.
Eschino gli chiede di continuare: “perge”. Vuole sapere quanto ne sa Micione il quale dice che la ragazza è orfana di padre e l’amico che l’ha inviato là è il suo parente più stretto, sicché le leggi lo obbligano a sposarla: “huic leges cogunt pubere hanc” (651). Era una legge ateniese che risaliva a Solone. La commedia dunque è ambientata in Atene
Se non ricordo male un tempo ci insegnavano che lo sposare dell’uomo in latino è uxorem ducere mentre il nubere è il velarsi della donna quando si sposa: il maritarsi che vuole il dativo.
La grammatica è sempre parziale, ossia basata su alcuni testi nell’ignoranza di tanti altri.
Eschino mormora perii, e Micione fa quid est? , fingendo di non sapere
Eschino replica fingendo a sua volta: “nihil recte, perge”. I due sembrano giocare a nascondino con le parole.
Micione dice che quel suo amico è venuto lì per portare la ragazza a Mileto
A Eschino sfugge un “animo malest” (655) mi si stringe il cuore.
Lo zio aggiunge altre notizie del resto ben note a Eschino: la madre gli ha detto che la figlia ha partorito un bambino figlio di un altro uomo che dunque ha la precedenza e non c’è bisogno di darla a quello di Mileto: priorem esse illum, non oportere huic dari (659)
Però poi Micione appone il proprio parere contrario ai desideri del nipote: “quid illam non abducat?” (662) perché non dovrebbe portarla via? E’ una provocazione al nipote che continua a chiamarlo pater, tuttavia risponde con un’altra provocazione. Il vostro modo di fare, dice il ragazzo, è factum a vobis duriter, immisericorditerque atque etiam inliberaliter (662-663) è un comportamento duro, spietato, volgare.
Micione domanda quam ob rem ? e il nipote comincia acoprirsi alludendo a se stesso: l’infelice padre innamorato soffrirà nella desolazione se gli porteranno via l’amata con il figlio: facinus indignum, pater! (669), conclude, è un delitto infame, padre!
Ma lo zio continua nella finzione perché il nipote si scopra del tutto: chi gliel’ha promessa, chi gliel’ha data, Auctor his rebus quis est? (671) , chi è l’autore di questa roba?
giovanni ghiselli
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[1]A. La Penna-C. Grassi (a cura di) Virgilio, Le Opere, Antologia , p. 373.
[2] Vissuto nella prima metà del I secolo d. C.
[3]
Factorum et dictorum memorabilium libri , VI, 1.
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