Conversation between Syrus, Demea, Aeschinus and Micio |
Eschino non si lascia intimorire e difende la libertà di scelta della ragazza: alla sua età non era più tenuta ad aspettare che un parente venisse a portarla lontano. Questo padre devi capire e avresti dovuto dire.
Micione mette alla prova il nipote ancora una volta per convincersi dell’amore e dell’onestà di lui: avrei dovuto parlare contro chi mi ha chiamato come consulente?. Tutto questo poi non ci riguarda: “quid nobis cum illis?” (678)
A volte tali parole si dicono sulle persone più care e perfino alle più care: cfr. per esempio: “Et deficiente vino, dicit mater Iesu ad eum: “vinum non habent”. Et dicit ei Iesus: Quid tibi et mihi, mulier? N. T. Giovanni, 2, 3.
Si tratta comunque di provocazioni.
Micione dunque conclude “abeamus”, andiamocene.
Ma vede che il nipote amato più di un figlio piange: “Quid est? Quid lacrimas?
Eschino che ama Micione più di un padre lo supplica di ascoltarlo
“Pater, obsecro, ausculta”.
A questo punto anche lo zio si toglie la maschera e dice di avere già ascoltato la loro storia e di conoscerla: “audivi omnia -et scio; nam te amo ; quo magis quae agìs curae sunt mihi” (679-680).
Pure Eschino si scioglie d’amore per il suo più che babbo: “ita velim me promerentem ames, dum vivas, mi pater, ut me hoc delictum admisisse in me, id mihi vehementer dolet,- et me tui pudet”, vorrei meritarmi it tuo amore per tutta la tua vita, padre, così come mi dolgo profondamente di avere dato fatto entrare in me questa colpa e mi vergogno davanti a te.
Lo zio lo sgrida ma con tanto amore, e gli rinfaccia gli erori perché non li ripeta: ti credo perché conosco il tuo animo nobile “credo, hercle; nam ingenium novi tuum liberale” (683)
Si pensi che ora i “liberali” sono quelli “a cui nulla per l’oro sconviene” come dice Rigoletto dei cortigiani, vil razza dannata.
Micione teme però che il ragazzo sia indiligens un po’ sventato.
Non si rende conto nemmeno di vivere in una città civile.
Infatti si è comportato incivilmente: “virginem vitiasti, quam te non ius fuerat tangere” (686), hai violato una vergine che non avevi il diritto di toccare.
Iam id peccatum primum magnum, magnum, at humanum tamen (687), però poi attenua l’accusa: tale colpa è già grande, tuttavia umana.
Cfr. Parini: “umano sei, non giusto” Ode, La caduta, v. 84
Micione seguita dicendo che quel peccato dovuto alla passione “fecere alii saepe item boni” 688, lo hanno commesso non poche volte altri galantuomini.
Ma, dopo, avresti dovuto considerare attentamente le circostanze. Non ti sei mai occupato di prevedere il da farsi, né di farmelo sapere in qualche modo, se ti vergognavi di parlarmene.
Mentre esitavi, sono passati nove mesi nei quali hai esposto al pericolo te stesso, quella poveretta e il bambino, per quanto è stato in te-Prodidisti et te et illam miseram et gnatum, quod quidem in te fuit (692)
Credevi che gli dei avrebbero sistemato questi imbrogli in tuo favore mentre dormivi e che la ragazza ti sarebbe stata portata in camera senza che tu facessi niente?
Ma alla fine della tirata educativa c’è l’assoluzione: “Bono animo es, duces uxorem (696).
Lo zio vuole educare il ragazzo scuotendolo dalla sua pigrizia, però ha sistema tutto lui, quindi forse Demea non aveva tutti i torti accusando il fratello di viziare il nipote.
Echione si è comportato davvero da persona viziata.
Si sente talmente in colpa che teme di essere preso in giro dopo quello che ha combinato : nunc ludis tu me?
Desidera che la promessa di Micione sia vera e teme che non lo sia.
Però lo zio si comporta da persona seria che quando dice una cosa poi non si smentisce: abi domum ac deos comprecare ut uxorem accersas: abi (699) vai a casa e prega gli dèi di poter far venire la moglie. Il ragazzo scoppia dalla gioia e manifesta gratitudine a Micione dicendo che lo ama più dei suoi occhi magis te quam oculos nunc ego amo meos (701) .
Lo zio domanda scherzosamente: “Quid? Quam illam? Più che lei?
E il nipote Aeque come lei
Al che Micione fa Perbenigne! Troppo buono!
La scherzosa graduatoria finita con un ex aequo ha ripristinato il grande affetto di sempre tra zio e nipote.
Eppure il ragazzo ha ancora un dubbio e domanda “Ille ubi est Milesius?” In effetti quando si chiarifica bisogna rendere chiaro tutto, altrimenti si continua a rimuginare.
Micione risponde facendo capire che non c’è mai stato il Milesio, come si fa quando due amanti si riconciliano dopo le scappatelle: Periit, abiit, navem escendit (704)
Il nipote replica all’invito a pregare dicendo che deve essere lo zio a supplicare gli dèi perché è più buono e i numi daranno retta a lui che è l’uomo migliore tra loro due quo vir melior multo es quam ego (705)
Però Micione vuole che Echione gli dia retta: “tu fac ut dixi, si sapis”. Quindi entra in casa.
Il ragazzo rimasto solo dice che Micione gli è più vicino e lo asseconda più di un padre, di un fratello o di un amico: “si frater aut sodalis esset , qui magis morem gereret?”
Quindi enuncia una regola sull’educazione: sua commoditate, con la sua indulgenza magnam mihi iniecit curam mi ha ha istillato una grande attenzione ne imprudens forte faciam quod nolit: sciens cavebo (710- 711) per non fare senza accorgermene e agendo a caso quello che lui non vuole, ora ho capito e me ne guarderò.
Anche qui si annida il tw'/ pavqei mavqo" dell’Agamennone di Eschilo.
Personalmente, per mia esperienza, non sono sicuro che l’indulgenza estrema sia estremamente educativa.
Echione dunque si fa fretta per affrettare le nozze poi entra in casa pure lui.
Il chiarimento tra zio e nipote c’è stato, però con la ragazza e Sostrata tale delucidazione è avvenuta da parte dello zio dell’amante, non dell’amante stesso
Bologna 2 gennaio 2022 ore 9, 57
giovanni ghiselli
p. s.
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