Antigone non vuole obbedire al decreto di Creonte che vieta di rendere onori funebri a Polinice e non cede alle obiezione dettate dal buon senso di Ismene, anzi replica :" io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nella bellezza" (w{ste mh; ouj kalw'" qanei'n, Sofocle, Antigone, vv. 96-97).
Antigone osa contrapporsi non solo al tiranno Creonte ma perfino alla democrazia poiché nega la validità di ogni legge scritta dagli uomini.
Infatti le uniche leggi valide secondo lei sono quelle della propria coscienza religiosa, i diritti che provengono dagli dèi. Quando Creonte le domanda:"E allora osavi trasgredire queste leggi?" (v. 449), la ragazza risponde: “:"Sì, infatti secondo me non è stato per niente Zeus il banditore di questo editto/né Giustizia che convive con gli dei di sotterra/determinò tali leggi tra gli uomini,/né pensavo che i tuoi bandi avessero tanta/forza che tu, essendo mortale, potessi oltrepassare/i diritti degli dei, non scritti e non vacillanti. Infatti non solo oggi né ieri, ma sempre/ sono vivi questi, e nessuno sa da quando apparvero".
(vv. 450-457)
Questo osa dire Antigone pur sapendo che le costerà la vita:" Io non potevo, per paura della volontà di nessun uomo/pagare il fio della trasgressione di questi diritti davanti agli dei;/che devo morire infatti lo sapevo bene, come no?/anche se tu non avessi promulgato il tuo bando. E se morrò/prima del tempo , questo lo chiamo un guadagno" (vv. vv. 458-462).
Un confronto con versi analoghi presenti nell’Edipo re, cantati per giunta dal Coro portavoce dell’Autore, ci dicono che Sofocle rifiuta tutte le leggi scritte: nel secondo Stasimo dell'Edipo re i vecchi Tebani cantano"Oh, mi accompagni sempre la sorte di portare/ la sacra purezza delle parole/e delle opere tutte, davanti alle quali sono stabilite leggi/sublimi, procreate/attraverso l'etere celeste di cui Olimpo è padre da solo né le/generava natura mortale di uomini/né mai dimenticanza/potrà addormentarle:/grande c'è un dio in loro e non invecchia" (vv. 863-872).
Ebbene con queste parole dell’Edipo re contro ogni legge scritta Sofocle ha osato contrapporsi a un aspetto della democrazia. Può essere un indizio della datazione bassa di questa tragedia composta secondo Carlo Diano dopo la spedizione in Sicilia (415-413) finita con il disastro dell’Assinaro, quando si preparava il colpo di Stato oligarchico con la partecipazione di Sofocle. Ma già nell’Antigone del 442 c’è un annuncio di questo rifiuto.
In seguito al successo di questa tragedia comunque l’autore fu eletto stratego.
Euripide afferma il contrario nelle Supplici del 422 dove Teseo esalta il sistema democratico.
Il re democratico degli Ateniesi replica alle accuse dell'araldo del despota tebano Creonte, mettendo in rilievo questo aspetto distintivo della democrazia: mentre nella città governata da un tiranno la legge è del tutto arbitraria, in un regime democratico (Eur. Suppl. 433-437) dove le leggi sono scritte (gegrammevnwn tw'n novmwn), la giustizia è uguale per il debole e per il ricco.
Teseo dunque propugna la democrazia e dice all’araldo di Creonte che quando c’è un tiranno non esistono più leggi comuni (novmoi- koinoiv, vv. 430-431). E procede: “gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t jajsqenh;~-oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ” (vv. 433-434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno gli stessi diritti.
E’ quanto dice il Pericle di Tucidide nel logos epitafios: “
In effetti ci avvaliamo di una costituzione che non cerca di emulare le leggi dei vicini, ma siamo noi di esempio a qualcuno piuttosto che imitare gli altri. E di nome, per il fatto di essere amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è chiamata democrazia, però secondo le leggi, riguardo alle controversie private, c’è una condizione di uguaglianza per tutti, mentre secondo la reputazione, per come ciascuno viene stimato in qualche campo, non per il partito di provenienza più che per il suo valore, viene preferito alle cariche pubbliche, né, d’altra parte secondo il criterio della povertà, se uno può fare qualche cosa di buono per la città, non ne è mai stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale (Tucidide, II, 37, 1)
La nostra cultura politica e anche la nostra Costituzione vengono chiarite e rese più comprensibili dalla lettura di quanto ha detto Pericle in questo secondo discorso riferito da Tucidide nelle sue Storie (II, 35-46).
Vediamo in particolare l’Articolo 3, della Costituzione della Repubblica Italiana
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di condizioni personali e sociali
E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
Bologna 2 marzo 2023 ore 9, 45 giovanni ghiselli
Sempre1328709
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