giovedì 16 marzo 2023

Osare rischi e trasgressioni


 

Osare il rischio dell’estremo pericolo

 

Quando Alessandro Magno si apprestava a fondare Alessandria  jEscavth, l’ultima, sul fiume Tanai, gli Sciti d’Asia al di là del fiume lanciavano insolenze barbariche “barbarikw`~ ejqrasuvnanto[1] contro il comandante macedone per offenderlo, gridando che non avrebbe osato attaccarli. Quindi  Alessandro ordinò dei sacrifici che però non venivano bene; li fece ripetere e l’indovino Aristandro spiegò che essi indicavano un pericolo per  lui. Il condottiero macedone allora disse che era meglio affrontare l’estremo pericolo (krei'sson e[fh ej" e[scaton kinduvnon ejlqei'n)  piuttosto che, dopo avere sottomesso quasi tutta l’Asia, gevlwta ei\nai Skuvqai~  (4, 4, 3),  essere oggetto di riso per gli Sciti, come era stato una volta Dario, il padre di Serse[2]. Questi re persiani sono dei contromodelli per Alessandro

 

Il maestro che spinge alle imprese pericolose è Pindaro la cui casa venne risparmiata da Alessandro Magno quando (335 a. C.) distrusse Tebe che si era ribellata.

Nell’Olimpica VI   si legge :“ ajkivndunoi d  j ajretaiv-ou[te par j ajndravsin ou[t j ejn nausi; koivlai"-tivmiai” ( vv. 9-11), virtù senza pericolo non hanno onore tra gli uomini, né sulle concave navi.

 

Secondo Nietzsche Plutarco insegna a osare l’eroismo

Un ajntifavrmako" , un ottimo contravveleno dell’ impotenza, può essere Plutarco:"Se  rivivrete in voi la storia dei grandi uomini, imparerete da essa il supremo comandamento di diventare maturi e di sfuggire al fascino paralizzante dell'educazione del tempo, che vede la sua utilità nel non lasciarvi maturare  per dominare e sfruttare voi, gli immaturi. E se desiderate biografie, allora che non siano quelle col ritornello "Il signor Taldeitali e il suo tempo". Saziate le vostre anime con Plutarco ed osate credere in voi stessi, credendo ai suoi eroi. Con un centinaio di uomini educati in tal modo non moderno, ossia divenuti maturi e abituati all'eroico, si può oggi ridurre all'eterno silenzio tutta la chiassosa pseudocultura di questo tempo"[3]. 

 

 

Osare l’annientamento dei sentimenti più forti per salvare la disciplina

 

Un fanatico della disciplina è Creonte che spinge al suicidio la nipote e il figlio in nome della peiqarciva che dovrebbe salvare le vite.

 Alla fine del dramma comprende di avere sbagliato.

Nell’Antigone di Sofocle il re di Tebe dice: “Non c'è male più grande dell'anarchia./Essa manda in rovina le città, questa ribalta/le famiglie, questa nella battaglia spezza/  le schiere dell'esercito in fuga; invece le molte vite/di quelli che vincono, le salva la disciplina” (tw`n d  j ojrqoumevnwn- sw/zei ta; polla; swvmaq j hJ peiqarciva) vv. 672-675).

 

 

Il console Tito Manlio Torquato durante la guerra contro i Latini (340-338 a. C.) condannò a morte il figlio che aveva osato combattere contro il suo ordine, di capo e di padre.

 Le parole dell’accusa sono queste:"tu, T. Manli, neque imperium consulare neque maiestatem patriam veritus, adversus edictum nostrum extra ordinem in hostem pugnasti, et,

quantum in te fuit, disciplinam militarem, qua stetit ad hanc diem Romana res,  solvisti " (VIII, 7) tu, Tito Manlio, senza riguardo per il comando dei consoli e per l'autorità paterna, hai combattuto il nemico contro le nostre disposizioni, fuori dallo schieramento, e, per quanto è dipeso da te, hai dissolto la disciplina militare, sulla quale sino ad ora si è fondata la potenza romana.

 

A proposito della disciplina che tiene in piedi la potenza romana, ricordo anche il discorso che  il genero di Vespasiano Ceriale tenne nel 70 d. C. ai Trèviri e ai Lìngoni  riuniti ad ascoltarlo.

C’è la tesi politica della giusta dominazione dell’Urbe signora del mondo.

“Octingentorum annorum fortunā disciplināque compages haec coaluit: quae convelli sine exitio convellentium non potest” (Tacito, Hist. IV, 74). questa mole  consolidata con la fortuna e la disciplina di ottocento anni non può essere abbattuta senza rovina di chi la abbatte.

 

Bologna 16 marzo 2023 ore 11, 40 giovanni ghiselli

p. s

Il catalogo è questo

Sempre1334261

 

 



[1] Arriano,  Anabasi di Alessandro, 4, 4, 2.

[2] Erodoto nel IV libro racconta che gli Sciti schierati davanti ai Persiani si misero a inseguire una lepre. Allora Dario capì che quegli uomini lo disprezzavano e comprese il significato del dono simbolico che aveva ricevuto : un uccello, un topo, una rana e cinque frecce. Era giusta l’interpretazione di Gobria: se diventati uccelli non volerete in cielo, o topi non andrete sotto terra, o rane non salterete nelle paludi, sarete trafitti da queste frecce(4, 132). Gobria, sentito della lepre, disse che vedeva che quegli uomini si prendevano gioco dei Persiani: “oJrw'n ejmpaivzonta" hJmi'n” (4, 134, 3).

  

[3] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, II, capitolo 6.

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errata corrige

Me lo facciano sapere.