lunedì 27 marzo 2023

Prometeo fra Goethe e Camus. Di Giuseppe Moscatt. Parte 1

Prometeo fra Goethe e Camus
di Giuseppe Moscatt
Parte 1
 
Il 1769 è l'anno più importante per la formazione neoclassica di Goethe. Riprese a Strasburgo gli studi di diritto dopo una lunga pausa per una malattia contratta a Lipsia - forse una forma lieve di sifilide tipica di un giovane esuberante come Lui - qui fa amicizia con Herder, altro giovane poeta che nella cerchia di amici ogni sera al caffè intendono rivedere la storia passata della Germania, ma alla luce del rifiuto del presente fin troppo aristocratico, aderendo alla poesia popolare e al teatro shakespeariano che due altri letterati dell'epoca già maturi e noti - Lessing e Wieland - avevano importato in Germania dopo la guerra europea dei 7 anni, evento prodromico alla Grande Rivoluzione del 1789.
 
Nel 1771, in un discorso celebrativo del Bardo, Goethe guarda all'umanità generale e naturale rappresentate nelle tragedie e getta le basi di un movimento letterario e culturale che trascinerà il Paese intero nell'orbita rivoluzionaria al di là del Reno e che prelude al movimento romantico antinapoleonico, libertario e fautore dell'unità di quelle terre frantumate in una miriade di staterelli satelliti dell'Austria e della Francia, ma già tesi ad essere assorbiti dell'astro nascente di lingua alemanna, la Prussia di quel Federico Hohenzollern che proprio nella guerra dei 7 anni aveva anticipato il modello unitario imperiale del futuro secolo. Soggetto del movimento nazionale che quei giovani pretendevano di suscitare: lo Sturm und Drang. E' il Genio la sua forza aggregante, cioè l'uomo - Prometeo, creatore e innovatore, il borghese capitalista prossimo venturo, titolare del su destino e padre della Nuova Umanità, dotato di ragione e sentimento. Ma è anche un uomo votato alla creazione, al confronto e alla rottura di ogni limite religioso e sociale, un uomo che altro non è che un Kraftkerl, un eroe che si sacrifica per migliorare la società e renderla più libera dai lacci e laccioli che il feudalesimo aveva intrecciato con il consenso di sacerdoti e filosofi di parte. Il poeta diventa così l'eroe assoluto che vive la realtà in armonia con la spontaneità dell'essere. L'Io di Fichte, lo spirito assoluto di Hegel, l'autocoscienza della classe operaia, di Marx e Engels sembrano trasparire da questo ideal-tipo.
 
Non è mancato chi ha letto in questo proclama di vita e di pensiero, la fortissima anticipazione degli anni romantici di Heidelberg e del nazionalismo conservatore dei fratelli Schlegel padri del primo romanticismo, non a caso eredi del furore etico di Schiller, il caro amico e sodale del Goethe di Weimar di fine '700. Certamente, il giovane Goethe fu l'alfiere della identificazione fra Stato assoluto e borghese che già il Pufendorf aveva ripreso più di un secolo prima dallo Spinoza del Deus sive natura e che si differenziava dal pessimismo luterano sul destino dell'uomo. Piuttosto gli studi del giovane Wolfgang tendevano di già a conciliare, se non a ridurre al minimo, la fede pietista tutta casa e chiesa per aderire a un ottimismo teologico rivolto a sminuire l'Assolutismo politico a vantaggio del singolo individuo, dotato di coscienza e volontà. La ricerca del benessere, della libertà e della felicità, di stampo illuminista, convivono in Goethe nella legge di un nuovo insieme di uomini guidato da un Primus inter pares, cioè quel principe illuminato che fu Federico il grande, ma anche il Re Sole francese, perfino il Principe di Weimar che cominciava a guardare nella sua ascesa al trono di un minuscolo feudo locale. Ma la rivoluzione culturale di Herder e soci lo affascinava anche dal lato economico, perché il libero mercato del porto di Amburgo, narratogli, dall'amico Herder vissuto da quelle parti che gli spiegava la democrazia parlamentare inglese. Mentre il rigetto dell'accademismo lipsiano e l'estetica franco-renana, lo spingevano ad un altrove, a strappare la maschera di nobili di corte corrotti in privato e pubblici devoti al Dio delle cerimonie e del Potere.
 
Il sentimento di riforma morale che lo riguardava nella difesa del genio incompreso, nasceva proprio alle origini dell'attività professionale di avocato e lo portava invece ad una poetica più sincera, ad un teatro più autentico, a una lingua più pura. Una politica riformatrice alternativa agli interessi delle dinastie e sempre più lontana dagli interessi di produttori e consumatori delle prime imprese industriali, quando già la rivoluzione delle macchine preludeva chiaramente al Capitalismo descritto da Smith e Franklin alle soglie della Rivoluzione Americana. Ma se gli ideali di amicizia e di amore per il vero, il buono e il bello, venivano costantemente disattesi dall'uomo moderno, gonfio di orgoglio, veramente solo Dio poteva essere capace di consolare gli afflitti nell'altro mondo, come cantavano Milton e Klopstock? Ovvero, poteva come quegli intellettuali rassegnarsi al mondo, vivere come ragazzotti ignoranti e subire ogni genere di male... No! E dunque ecco l'amico Herder che gli parla delle stesse pene di un Archiloco o di una Saffo... Di ditirambi, di bacchiche, di commedie e di tragedie greche e latine. Solo che il materiale offerto era già noto al giovane Herder perché lo aveva già divorato da studente. E per sollevare lo spirito fantastico, anticamera per sfidare il quotidiano, occorreva ritornare a Omero e a Dante, che Wolfgang aveva già letto a Lipsia col metro della Ragione. Herder gli sussurra quello che un mago della poesia delle sue parti, tale Hamann, gli ha bisbigliato, il sentimento da dare alla realtà. Quindi esporre in forme antiche un contenuto eterno, ivi compreso quel reale, quel moderno che il massimo poeta loro contemporaneo - Klopstock appunto - invocava con animo nobile nella preghiera di aiuto a Dio, senza però una forte razionalità da cui ambedue non riuscivano a sfuggire. Goethe, ben più di Herder, conosce il Genio e solo Wolfgang ha l'ardire di autostimarsi tale.

Di qui, il passo che il compagno di letture classiche non riesce a disegnare: cos'è il Genio se non realizzare in natura l'unità di vita e poesia? Dominare la verità è dell'uomo, vivo e vitale, quell'uomo vitruviano che già Leonardo aveva conseguito nelle arti e nelle scienze in pieno Rinascimento. Ecco il nuovo Prometeo, l'unico che vince il mondo e che vuole spezzare le catene del Destino. E via allora all'Ode del 1773, il Prometeo, frammento di un'opera tragica mai completata, come neppure la completò Eschilo nel 467 a.C., visto che delle due segnalate dalla Patristica - il Prometeo Liberato e il Prometeo portatore del fuoco - si erano presto perdute le tracce. Mentre il buon amico Friedrich Jacobi riuscì a trascrivere il testo solo dopo che Goethe lo avesse autorizzato - e così fu solo nel 1789 - nel decennio successivo Goethe comporrà alcune parti della tragedia incompleta che oggi possediamo, ma di tenore comico aristofanesco, sul modello della commedia Dei, eroi e Wieland, satira dello stesso anno, nonché ulteriori, Vermischte Gedichte, anche se il tono drammatico sfumerà lentamente, come la Canzone di Maometto, All'auriga Cronos e il parallelo Ganimede.

Continua

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