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Già Eschilo nell'Orestea proclama che che il nero sangue di un uomo, una volta caduto sulla terra, nessuno può chiamarlo indietro con incantesimi (Agamennone vv.1019-1021), che vana è la fatica di spargere tutti i libami per una goccia sola di sangue ( Coefore vv.520-521) e che il sangue versato al suolo non si raccatta né si riscatta ( Eumenidi vv.260 e sgg.).
Sulla stessa linea si trova il Manzoni quando, nelle Osservazioni sulla morale cattolica (cap. VII) scrive:" Il sangue di un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra".
Guerre e naufràgi con i naufraghi lasciati senza soccorso: fanno venire in mente “gli scogli sporchi di strage” nella sintesi che Tacito premette alla Storia che sta per narrare: “ Pollutae caerimoniae, magna adulteria, plenum exiliis mare, infecti caedibus scopuli " (Historiae, I, 2)-
La Tebe contaminata nel prologo dell’ Edipo re di Sofocle viene presentata con queste parole dal Sacerdote : "la città di fatto, come anche tu stesso vedi, troppo/già fluttua e di sollevare il capo /dai gorghi del vortice insanguinato non è più capace e si consuma nei calici infruttuosi della terra,/si consuma nelle mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti/senza figli delle donne; e intanto, il dio portatore di fuoco,/scagliatosi,si avventa sulla città, peste odiosissima,/dalla quale è vuotata la casa di Cadmo,e il nero/Ades si arricchisce di gemiti e lamenti" vv. 22-30
Scorre sangue dunque invece dell’acqua
Nell’Oedipus di Seneca lo stesso Edipo evidenzia l'aridità la siccità e lo scolorimento che significano sterilità e morte:"Deseruit amnes humor atque herbas color,/aretque Dirces; tenuis Ismēnos fluit,/et tingit inǒpi nuda vix undā vada "(Oedipus, vv.41-43), l'acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata Dirce; l'Ismeno scorre vuoto, e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi.
Dirce è una fonte di Tebe
Mancano acqua e colore.
Il primo Coro dell'Oedipus descrive la peste :"longus ad manes properatur ordo/agminis moesti; seriesque tristis/haeret, et turbae tumulos petenti/non satis septem patuere portae./ Stat gravis strages premiturque iuncto/funere funus. " (127-132), la lunga fila della lugubre schiera si affretta verso gli inferi; poi il tetro corteo si ingorga, e le sette porte non hanno aperture sufficienti per la folla avviata alla tomba. Si ammucchiano gravi cataste di cadaveri e il lutto è incalzato dal lutto contiguo.
Il male ha infettato anche i pascoli: l'erba, oltre essere scolorita, ha un sapore cattivo, aggiunge il coro dei Tebani :"laniger pingues male carpsit herbas " (v. 134), gli animali lanuti sentono un cattivo gusto nell'erba folta.
Abbonda la cenere[1], che rimanda alla polvere compagna del caos: nella tempesta finale del Prometeo incatenato i turbini fanno girare la polvere (strovmboi kovnin-eiJlivssousi v. 1083-1084).
T. S. Eliot ripropone questa situazione in The Waste land: "Qui non c'è acqua ma soltanto roccia/Roccia e non acqua e la strada di sabbia/La strada che serpeggia lassù fra le montagne/Che sono montagne di roccia senz'acqua (331-334)...
Vi fosse almeno acqua fra la roccia (338)...
Non c'è neppure silenzio fra i monti/Ma secco sterile tuono senza pioggia/Non c'è neppur solitudine fra i monti (341-343)...
Ma non c'è acqua (358)".
Insomma:"I will shaw you fear in a handful of dust" (T. S. Eliot, The Waste Land, v.30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.
Bologna 24 marzo 2022
giovanni ghiselli
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[1] “Ille, ille dirus callidi monstri cinis/in nos rebellat; illa nunc Thebas lues/perempta perdit " (vv. 106-108), proprio quella cenere tremenda del mostro scaltro riprende la guerra contro di noi, ora quella peste ammazzata uccide Tebe.
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