venerdì 4 settembre 2020

Debrecen 1979. 35

Passai la domenica aspettando e agognando la posta di lunedì. Arrivò quel giorno, 6 agosto 1979, senza alcun segno. “Niuna nuova, mala nuova - pensai - quella è diversamente impegnata”.
Mi aggiravo nel bosco, cupo in volto. Verso l’una anche la “grande foresta” si rabbuiò, poi si alzò un vento forte e iniziò a piovere. Tornai di corsa nel collegio. I rami ancora fronzuti degli alberi scossi dalla bufera sfregavano i vetri delle finestre chiuse in fretta.
Si andava davvero verso l’autunno. Tante foglie strappate dal vento cadevano nei rigagnoli che scorrevano rapidi e le trascinavano via, chissà dove, forse nel laghetto sotto il ponticello di legno. Così prematuramente terminava la vita di quelle fronde e la bella stagione. Finiva così anche la mia bella stagione amorosa. Probabilmente in seguito a una tempesta di libidine scatenata da qualche drudo marittimo nell’animo incostante di quella.
Avevo voglia di piangere ma non dovevo lasciarmi abbattere dalle bufere. “La notte sarà piena di stelle”, pensai. Anche i temporali vengono da Dio e devono portare  qualche cosa di buono.
Il vento calò, la pioggia si mitigò. Aprìi una finestra. Odore di terra bagnata, di fresco: profumo di rinnovamento. Un’altra donna più fine, più buona. A un tratto sentìi un suono armonioso che saliva da un piano inferiore. Scesi le scale per cercarne la fonte. Nell’atrio c’era uno studente bruno, carino, che suonava un flauto. La musica era di Mozart: “La K 550” disse il ragazzo. “Mi piace: è un inno alla vita. Sei bravo”, gli feci.
Mentre continuavo ad ascoltare, pensavo a possibili corrispondenze tra la musica di Mozart e le miei gioie: serie, conquistate con tensione di tutte le forze dell’anima e del corpo, sorridenti sopra le lacrime.
Intanto anche il cielo si rasserenava. Uscìi dal collegio. Il sole era ancora estivo ma rinnovato: caldo, però non afoso e scintillante come non lo vedevo da maggio. Le foglie rimaste sui rami e ondeggianti nel cielo ancora leggermente ventoso brillavano asciugandosi ai raggi del dio che nutre la vita.
Mi vennero in mente le mutande delle mie amanti. E  l’artista giovane di Joyce: “la molle biancheria segreta dove la carne gocciava profumo e rugiada”[1]. Helena mi aveva insegnato a riporle sotto il cuscino per ritrovarle quando era d’uopo sbrigarsi. Provavo un senso di benessere. Andai a sedermi su una panchina al margine della radura con il laghetto varcato dal ponticello di legno. La stessa dove mi ero seduto con lei otto anni prima. La sera di piena estate e di luna grande, splendente quando mi disse “sto imparando ad amarti”. Io non l’ho mai disimparato.

Pesaro 4 settembre 2020, ore 11, 53 giovanni ghiselli

p. s.
Visualizzazioni di pagine: oggi
155

Visualizzazioni di pagine: ieri
573

Visualizzazioni di pagine: ultimo mese
13.297

Visualizzazioni di pagine: tutta la cronologia
1.027.528
  


[1] Dedalus, p. 285, Adelphi, 1976


Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLIX. Il sogno angoscioso e la sua interpretazione.

  La notte tra l’11 e il 12 agosto feci un sogno angoscioso. Mi vedevo a Pesaro nella casa delle zie, mentre studiavo e aspettavo un...