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Eziologia falsa e vera. La fabula ficta della Gorgone Medusa. La realtà dei serpenti della Libia. Sofferenza e morte di molti soldati.
Mi sono soffermato su questa
descrizione di Lucano perché il virus dei serpenti prefigura l’attuale
pestifero Covid e anche perché Dante ha sfidato Lucano nella descrizione dei
ladri e dei serpenti della settima bolgia (VIII cerchio dell’inferno)
“Taccia Lucano omai là dove tocca
Del misero Sabello e di Nassidio
E attenda a udir quel ch’ora si
scocca” (Inferno, XXV, 94 - 96).
Vulgata per orbem - fabula pro verā decepit
saecula causā. 622 - 623, un racconto mitico diffuso per il mondo
come causa vera ha ingannato le generazioni
Al confine estremo della Libia
secondo questo racconto c’erano i campi incolti della Forcide Medusa “squalebant
late Phorcynidos arva Medusae (…) non mollia suco - sed
dominae vultu conspectis aspera saxis - (626 - 628) non morbidi di succhi
ma aspri per i sassi osservati dagli sguardi della signora.
Primum natura nocens,
la natura per la prima volta nociva in questo corpo, trasse fuori da quelle
fauci flagelli crudeli: serpenti con lingue vibratili mandarono fuori striduli
sibili - angues - stridula fuderunt vibratis sibila linguis (630 - 631)
e questi more comae per terga soluti 632, sciolti sulle spalle
come capelli, flagellavano proprio il collo di Medusa che ne gioiva - ipsa
flagellabant gaudentis colla Medusae (633).
Vipereumque fluit depexo
crine venenum (635), il veleno cola dai capelli quando li pettina. Le
fauci e il ghigno del mostro rictus oraque monstri non hanno
lasciato a nessuno il tempo di avere paura: praevenit metus (640):
pietrifica chi la vede.
Cerbero è stato domato da Orfeo,
l’Idra vinta da Eracle, mentre questo mostro - hoc monstrum - ha
spaventato il padre Forco, la madre Ceto, persino le Gorgoni sue sorelle
(Steno, Euriale).
Gli uccelli cadderono giù dal
cielo oppressi da un peso improvviso - e caelo volucres subito cum pondere
lapsae 649, in scopulis haesere ferae (650), le
fiere rimasero attaccate agli scogli -
Perfino i suoi serpenti
evitavano la faccia della Gorgone che impietrava ogni creatura vivente. Perseo
figlio di Giove e di Danae ebbe da Mercurio sandali alati e la spada falcata
che già aveva amzzato Argo, il custode della giovenca amata da Giove “a Iove
dilectae fuso custode iuvencae” (664). Minerva aiutò il fratello che
le aveva promesso la testa di Medusa. Lo istruì: doveva volare con la testa
volta all’indietro e guardare il volto del mostro solo riflesso in uno scudo di
bronzo fulvo. Minerva guida la spada ma neppure lei poté guardare quegli occhi.
Perseo poi vola sopra la Libia.
Premit orbita solis - exuritque
solum 691 - 692,
le sta addosso l’orbita del sole e ne brucia il suolo.
Quella terra sterilw, sterilis
tellus fecundaque nulli arva, quei campi che non producono nulla assorbono
però il veleno di Medusa che stilla putredine virus stillantis tabe
Medusae concipiunt (697 - 698) e le tremende rugiade del suo sangue
crudele - dirosque fero de sanguine rores, che il calore fece fermentare
dentro la sabbia. Quella putredine fece drizzare l’aspide, un serpente caloris egens che
si muove nel deserto solo fino al Nilo, eppure noi Romani ne importiamo il
veleno et fecimus aspida mercem (707) e dell’aspide abbiamo fatto
una merce. La ingens haemorrhois –un serpente il cui morso
produce emorragie - dispiega le sue spire squamose: non tollererà che agli
infelici resti il loro sangue –at non stare suum miseris passura cruorem
- , poi chersydros , incerto tra terra e mare, un serpente
anfibio, e i chelìdri chelydri 711 - tracti via fumante che
si trascinano lasciando del fumo - un serpente acquatico, et semper
recto lapsurus limite cenchris (712) il cencro che striscia sempre in
linea retta e ha il ventre variegato con piccole macchie più numerose che quelle
dell’ofite un marmo screziato di Tebe egizia.
Poi hammodytes “concolor
exustis atque indiscretus harenis” 715 che ha lo stesso colore e non si
distingue dalle sabbie bruciate, le ceraste che si muovono con la spina dorsale
tortile, e lo scìtale l’unico che cambia pelle quando c’è ancora la brina et
torrida dipsas, la dipsade ardente, et gravis amphisbena in geminum
vergens caput che si volge nella duplice testa.
Et natrix violator aquae, la natrice avvelenatrice
dell’acqua, iaculique volucres, gli iaculi serpenti volanti, et
contentus iter cauda sulcare parias (721) il parias pago di
solcare con la coda il percorso,
prester oraque distendens avidus
fumantia, il prester che
spalanca avido la bocca fumante, il seps tabificus che fa
imputridire ossaque dissolvens cum corpore e con il corpo
scioglie anche le ossa, poi il basiliscus - basivlisko", reuccio - sibila effundens
cunctas terrentia pestes (724) che emette sibili che atterriscono
tutti gli altri flagelli, ante venena nocens (725) che nuoce
ancora prima del veleno, late sibi summovet omne - vulgus et in vacua
regnat harena (727) allontana da sé per largo tratto ogni folla e
regna sulla sabbia desolata.
L’Africa ardente poduce draghi
latori di morte Ardens Africa facit letiferos dacones: con le spire
e la coda usata come frusta rumpitis ingentes tauros, rompete
grossi tori “nec tutus spatio est elephans: datis omnia leto” (732),
nemmeno l’elefante è garantito dalla grandezza, consegnate tutto alla morte. Vi
basta abbracciare con le spire.
Voi non avete bisogno di veleno per
ammazzare: non vobis opus est ad noxia fata veneno (733).
Catone vede tante morti
insolite insolitasque videns parvo cum vulnere mortes,
provocate da una piccola ferita (736); “signiferum iuvenem tyrrheni
sanguinis Aulum - torta caput retro dipsas calcata momordit” (737 - 738),
il dipsade calpestato volse indietro la testa e morse il giovane Aulo
portabandiera di sangue etrusco.
Catone vide l’uomo in preda a
bruciori - ardentem virum - Il portabandiera lasciò cadere le
insegne furens, impazzito, e si mise a correre cercando l’acqua ma
non sarebbero bastati il Tanai il Rodano e il Po “arderet Nilumque bibens
per rura vagantem 752, brucerebbe anche bevendo il Nilo che vaga per i
campi. Prova a bere anche l’acqua del mare sed non et sufficit, non
gli basta. Infine si tagliò le vene e riempì la bocca con il proprio sangue.
Ma una mors tristior erat
ante oculos (762 - 763). Una piccola Sepse si attaccò a una gamba di
Sabello. L’uomo la strappò via e la inchiodò sulla sabbia con un giavellotto,
ma la ferita divenne una caverna: la pelle si ritirò, si scoprirono le ossa e
rimase sine corpore vulnus ( 769) una ferita senza il corpo.
Il veleno crudele fonde le membra: saevum sed membra venenum –decoquit (775
- 776) . Anche le ossa si sciolgono ossa quoque discedunt (785)
Tibi palma nocendi est (787) –alla sepse spetta la palma del
male: eripiunt omnes animas, tu sola cadaver (788), tutti
portano via la vita, tu sola il cadavere (cfr. Creonte nell’Antigone di
Sofocle e nella Tebaide di Stazio)
Nasidio, un Marsico, viene colpito
dal serpente prester : illi rubor igneus ora - succendit (791
- 792) un colore rosso fuoco gli incendia la faccia, un tumor miscens
cuncta tendit cutem pereunte figura un gonfiore che tutto confonde gli
tende la pelle, mentre il suo aspetto scompare, e l’uomo sparisce nel profondo
immerso nel corpo ammassato.
Cfr. un obeso che si abbuffa.
L’haemorrois impresse i
denti in Tullo. Le sue membra mandarono fuori veleno rosso invece che sangue: “omnia
membra - emisere simul rutilum pro sanguine virus” 810. Di sangue
invece erano le lacrime, sudor rubet (813), rosso è il
sudore. Totum est pro vulnere corpus 814 tutto il corpo è
rappresentato da una ferita.
Il serpente del Nilo, l’aspide fa
condensare il sangue e il fixus cruor il sangue
condensatio praecordia pressit ha compresso il cuore e il
soldato Levo che ha ricevuto il morso, ne muore avvolto subita caligine da
improvvisa caligine e nel sonno scende alle ombre dei compagni - mortem accipis
et socias somno descendis ad umbras (817 - 818).
Un altro saevus serpens un
feroce serpente che l’Africa chiama giavellotto - iaculum vocat Africa -
si scagliò dal legno sterile di un tronco e penetrò nella la testa di Paolo e
guizzò via attraverso le tempie perforate - perque caput Pauli transactaque
tempora fugit (824).
Nil ibi virus agit: rapuit cum
vulnere fatum: il veleno
qui non fa niente: il fato se lo portò via con la ferita (825)
Murro trafigge un basilisco con la
lancia ma il veleno risale lungo l’arma invaditque manum 830.
Il soldato la taglia poi la guarda morire staccata dal braccio. Oltre i
serpenti c’erano scorpioni e la salpuga una formica velenosa.
Non potevano mai riposarsi; “Sic nec clara dies nec nox dabat
atra quietem - suspecta miseris in qua tellure iacebant” (839 - 840)
ai disgraziati era sospetta anche la terra dove stavano sdraiati
I soldati non avevano giacigli
nemmeno di foglie o di paglia sed corpora fatis - expositi volvuntur
humo (842 - 843), i corpi esposti alla morte si rivoltano
sulla terra, calidoque vapore - alliciunt gelidas nocturno frigore pestes (843
- 844) e con il tepore del fiato attirano i velenosi serpenti raggelati dal
freddo.
I soldati rimpiangono Farsalo
siccome peferirebbero morire in battaglia: reddite Thessaliam” 849
chiedono agli dèi restituiteci la Tessaglia.
“Noi, schiera che ha prestato
giuramento sulle spade in gladios iurata manus, patimur cur segnia
fata?, peché sopportiamo destini da ignavi? 849 - 850. Sono i serpenti
a concludere la guerra civile. Tu Natura avevi relegato i serpenti in luoghi
privi di vite umane: atque homines voluisti desse venenis hai
voluto che ai veleni mancasse la presenza degli uomini.
Noi siamo venuti nella terra
riservata ai serpenti: ora accipe poenas, - tu quisquis superum prenditi
il fio che paghiamo chiunque tu sia tra gli dèi che avevi isolato i serpenti
859 - 860. Ora noi ci inoltriamo e ci attendono prodigi forse ancora più
grandi: forsan maiora supersunt: coeunt ignes stridentibus undis (866),
i fuochi del cielo si uniscono alle onde che ne stridono. Forse rimpiangeremo
questa terra: vivit adhuc aliquid 871 dove c’è ancora qualcosa
di vivo. Andiamo verso il rovescio del nostro mondo”.
giovanni ghiselli
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