saccheggio |
Cesare consente il saccheggio ai suoi soldati avidi di bottino. I morti ammucchiati nella putredine. Cesare non seppellisce i morti: più spietato di Annibale, di Creonte nell’Antigone e di Odisseo nell’Aiace di Sofocle.
Comunque attende tutti il rogo che mescolerà le ossa agli astri: rogus ossibus astra - mixturus (VII - 814 - 815). Osceni cani e ingorde gru fanno scempio di cadaveri -
Cesare risparmiò i pompeiani superstiti considerandoli di scarso valore iam ratus ut viles animas e schiere dalla morte inutile perituraque frustra agmina (730 - 731). Il duce vincitore del resto permette ai suoi di saccheggiare il campo pompeiano: impulit amentes aurique cupidine caecos – ire super gladios supraque cadavera patrum - (747 - 748). “Scire ruunt quanta fuerint mercede nocentes” (751), si precipitano a sapere per quanto grande mercede siano stati criminali.
Prendono tutto l’oro che trovano e questo è tanto, ma penseranno che il loro crimine sia stato venduto a questo basso prezzo. Questa impia plebes spera di saccheggiare anche Roma però rimarraà delusi. La terra di Tessaglia e l’aria tutta sono state infettate dai morti. I sonni di questi assassini fratricidi e parricidi sono agitati omnes in Caesare manes - 776 - tutti i morti sono dentro Cesare.
Oreste, Penteo e Agàve soffrirono visioni del genere; mostri infernali flagellano Cesare - hunc infera monstra flagellant (783)
Il giorno dopo il duce vede meglio lo scempio: mucchi di cadaveri alti come colline: aequantia colles - corpora (790 - 791) ammassi ammucchiati nella putredine - sidentis in tabem spectat acervos - Ma lui ne è contento.
Vittorio Alfieri nel 1770 tornò a Berlino e andò a vedere il luogo dove si svolse una battaglia della guerra dei sette anni (1756 - 1763): "Passando per Zorendorff, visitai il campo di battaglia tra’ russi e prussiani, dove tante migliaia dell’uno e dell’altro armento rimasero liberate dal loro giogo lasciandovi l’ossa. Le fosse sepolcrali vastissime, vi erano manifestamente accennate dalla folta e verdissima bellezza del grano, il quale nel rimanente terreno arido per sé stesso ed ingrato vi era cresciuto misero e rado. Dovei fare allora una trista, ma pur troppo certa riflessione; che gli schiavi son veramente nati a far concio (Vita, 3, 9).
Cesare dunque vede nel sangue la Fortuna e gli dèi a lui favorevoli - Fortunam superosque suos in sanguine cernit (796)
Ne perdat laeta spectacula scelerum il duce furens invidet igne rogi miseris, non concede ai disgraziati il fuoco del rogo (797).
Annibale fu humator consulis (Paolo Emilio dopo Canne) gli diede sepoltura e i Cartaginesi arsero i cadaveri dei romani uccisi.
Nell’Aiace di Sofocle, Odisseo sconsiglia Agamennone dal lasciare il suicida spietatamente insepolto (v. 1333), poiché così facendo distruggerebbe le leggi degli dèi (vv. 1343 - 1344). Infatti, se è stato nobile odiare ("misei'n kalovn" v.1347) Aiace nel pieno della sua forza, sarebbe vile oltraggiare il cadavere di un uomo che è stato un nemico (" ejcqrov"") sì, però valoroso ("gennai'o"", 1355).
Nello stesso modo del resto si era già espresso Ulisse nell'Odissea quando la sua nutrice Euriclea aveva urlato di gioia per la morte dei proci. Le aveva ordinato di non esultare poiché non è pietà ("oujc oJsivh") far festa sugli uomini uccisi (XXII, 411 - 412).
Di questa empietà si macchia pure Enea, il presunto antenato di Augusto, prima che si concluda il poema nel cui proemio Virgilio presentava l'eroe quale insignem pietate virum (v. 10).
Durante la battaglia successiva alla morte di Pallante il duce troiano commette atti di vera e propria disumanità: prima cattura otto giovani vivi: "inferias quos immŏlet umbris/captivoque rogi perfundat sanguine flammas"[2], per sacrificarli come offerte infernali alle ombre e irrorare le fiamme del rogo con il sangue dei prigionieri; quindi abbatte Tarquito, gli taglia la testa che stava supplicandolo, e assicura il moribondo che la madre non lo seppellirà:"alitibus linquēre feris aut gurgite mersum/unda feret piscesque impasti volnera lambent" (Eneide, X, 559 - 560), sarai abbandonato agli alati rapaci oppure l'onda ti porterà sommerso nel gorgo e i pesci digiuni leccheranno le tue ferite.
La cultura che pure aveva non spinge Cesare hominum ritus ut servet in hoste (801). La sua ira è nondum satiata caedibus mentre meminit cives esse suos (802 - 803).
Ma questa ira empia non cambia la Natura che riprende tutto nel suo placido seno: placido natura receptat - cuncta sinu (810 - 811).
Il rogo comunque rimane per tutti e mescolerà le ossa agli astri: “Communis mundo superest rogus ossibus astra - mixturus” (814 - 815) - kovsmou ejkpuvrwsi".
Cesare deve fuggire da Farsalo per il puzzo dei cadaveri e sono queste genti putrefatte - tabentes populi - che gli sottraggono la scena della battaglia tibi Pharsalica rura - eripiunt camposque tenent victore fugato (824 - 825), sono i morti insomma che tengono il campo.
Accorrono le bestie per mangiare i cadaveri: lupi, leones, obscaeni canes, cani immondi e altri animali nare sagaci , dalle narici sagaci, poi uccelli, gru vos, quae Nilo mutare soletis - Threicias hiemes (832 - 833), vi siete mosse serius più tardi ad mollem Austrum incontro al caldo Austro.
Le stesse unghie degli occelli si stancavano e facevano cadere pezzi di cadavere lassis unguibus (840).
La Thessalia infelix è schiacciata da tanti delitti. Lucano domanda “quae seges infecta surget non decolor herba” (851), quale messe spunterà non scolorita dall’erba infettata? Con quale aratro non violerai i morti romani?
Ci sarà un’altra battaglia (Filippi) sui tuoi campi non ancora asciutti del sangue romano. I denti delle zappe dei tuoi contadini continueranno a ferire le ossa dei romani morti. Ma ci saranno altre stragi provocate dalla guerra civile: a Munda (45 in Spagna), lo scontro navale di Nauloco ( contro Sesto Pompeo, 36 a. C.), Modena (43), Leucade (Azio) attenuano le colpe della Tessaglia.
[1] Cfr. Alfieri, Antigone, V, 2, v. 76.
[2] Eneide, X, 519 - 520.
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