lunedì 7 settembre 2020

Leopardi e i classici 8. Conferenza di Cento (12 settembre ore 17)

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Argomenti
L’egoismo e la misantropia. Letteratura e filosofia. Il risorgimento della letteratura greca nel III secolo a. C.
Il circuito delle cose umane, comprese le Costituzioni
Mutazione del ruolo dei re

Per quanto riguarda l’egoismo, Leopardi scrive che l’egoismo universale causa l’egoismo individuale: “ cioè non solo per l’esempio, ma pel disinganno che cagiona in un uomo virtuoso, la trista esperienza della inutilità, anzi nocevolezza della virtù e de’ sacrifici magnanimi: e per la misantropia che ispira il veder tutti occupati per se stessi, e non curanti del vostro vantaggio, non grati ai vostri benefizi, e pronti a danneggiarvi o beneficati o no. La qual cosa cambia il carattere delle persone, e introduce non solo materialmente, ma radicalmente l’egoismo, anche negli animi più ben fatti. Anzi principalmente in questi, perché l’egoismo non vi entra come passione bassa e vile, ma come alta e magnanima, cioè come passione di vendetta, e odio de’ malvagi e degl’ingrati. Si nocentem innocentemque idem exitus maneat, acrioris viri esse, merito perire: diceva Ottone Imp. Appresso Tacito Hist. 1. I.c. 21” (Zibaldone 464 - 465), se la medesima fine attende l’innocente e il colpevole, è segno di umanità più gagliarda morire con merito.
Le parole precedenti nel pensiero di Ottone sono: “Mortem omnibus ex natura aequalem, oblivione apud posteros vel gloria distingui” (Historiae, I, 21), la morte uguale per tutti secondo natura, si differenzia presso i posteri per l’oblio o per la gloria.

Il Dyskolos di Menandro è diventato misantropo vedendo l’egoismo e l’avidità del prossimo
 Cnemone dopo essere stato salvato da Gorgia dichiara che cosa ha imparato dalla disgrazia (713 - 735):
"In una cosa probabilmente ho sbagliato, io che credevo
di essere un autosufficiente (aujtavrkh") e di non avere bisogno di nessuno.
Ma ora che ho visto la fine della vita, rapida,
imprevedibile, ho scoperto che non capivo bene allora.
Infatti deve sempre esserci, ed essere vicino uno che ti possa aiutare.
Ma per Efesto sono stato così guastato io
vedendo il modo di vivere di ciascuno e i loro calcoli (tou;" logismouv")
e l'attenzione che hanno per il profitto (pro;" to; kerdaivnein). Non avrei pensato
che ci fosse tra tutti uno che fosse benevolo a un altro. Questo mi inceppava il cammino. Il solo Gorgia con fatica
mi ha dato una prova compiendo un'azione da uomo nobilissimo: infatti ha salvato me che non lo lasciavo
nemmeno avvicinare alla porta, né lo aiutavo mai in alcun modo,
né gli rivolgevo la parola, né rispondevo con gentilezza.
Un altro avrebbe detto: "non mi lasci avvicinare?
io non ci vengo; tu non mi hai mai fatto un piacere?
neanche io a te". Che c'è ragazzo? Se io
muoio ora - e lo credo tanto sto male -
e pure se sopravvivo, ti adotto come figlio, e quello che ho,
consideralo tutto tuo. Questa ragazza la affido a te:
procurale un marito. Io anche se fossi del tutto sano
non potrei trovarglielo: infatti nessuno mi piacerebbe mai.
Quanto a me, se vivo, lasciate che viva come voglio (zh'n eja'q j wJ" bouvlomai)".

 Letteratura e filosofia

Tacito e Plutarco filosofi e politici ma sono lontani dal bello letterario di Arriano
“Tacito fu alquanto anteriore[1], e nella perfezione della lingua non si potrebbe ragguagliar troppo bene ad Arriano: forse neanche nelle doti dello storico appartenenti al bello letterario, sebben egli l’avanza di molto in quelle che spettano alla filosofia, politica ec. Ma quel che mantiene la lingua, è la bella letteratura, non la filosofia né le altre scienze, che piuttosto contribuiscono a corromperla, come fece lo stile di Seneca. E però Plutarco[2] contemporaneo di Tacito, e com’esso, alquanto più vecchio d’Arriano, non si può recar per modello né di lingua né di stile, essendo però stato forse più filosofo di tutti i filosofi greci, molti de’ quali sono esempi di perfettissimo scrivere. Ma non erano così sottili come Plutarco, siccome Cicerone non lo era quanto Seneca, questi corrottissimo nello scrivere, e quegli perfettissimo (2410).

Il risorgimento della letteratura greca nel III secolo a. C.

Dopo Alessandro Magno la letteratura greca risorge con Teocrito, Callimaco, Apollonio Rodio. Quindi Polibio.
 Nella letteratura greca c’è una forav, una messe di imitatori che sono quasi creatori. Dopo Alessandro Magno con il quale i Greci persero la libertà, la letteratura greca cominciò a degenerare ma dopo “pochissimo intervallo risorge in Sicilia e in Egitto, e ancor quasi in stato di creatrice. Teocrito, Callimaco, Apollonio Rodio ec”. Quindi Polibio e tutta una forav di imitatori che è comunque una forav creatrice.

Poi “si arricchisce d’un Arriano, d’un Plutarco[3], d’un Luciano, ec. che quantunque imitatori, pur sanno così bene scrivere, e maneggiar lo stile e la lingua antica o moderna, che quasi in parte le rendono la facoltà creatrice. Aggiungi che in tal tempo la Grecia, colla sua letteratura e lingua incorrotta, era serva, e l’Italia signora colla sua letteratura e lingua imbastardita e impoverita” (Zibaldone, 2591).

La “perfetta filosofia” danneggia lo stile dunque e danneggia l’amor patrio. La mezza filosofia ivece lascia sopravvivere l’amor patrio.
“Del resto la mezza filosofia, non già la perfetta filosofia, cagionava o lasciava sussistere l’amor patrio e le azioni che ne derivano, in Catone, in Cic. In Tacito, Lucano, Trasea Peto, Elvidio Prisco, e negli altri antichi filosofi e patrioti nello stesso tempo” (Zibaldone, 522). La mezza filosofia lascia sopravvivere le illusioni e in questo si contrappone alla “perfetta filosofia”.

Bontà del “primitivo governo monarchico”

Leopardi individua “negli antichi Germani, de’ quali Tacito ed altri” (Zibaldone 554) una “effettiva e realizzata corrispondenza del primitivo governo monarchico col pubblico bene”. La tirannia è invece “è stato direttamente contrario alla natura di tutti i viventi d’ogni specie, e quindi certa sorgente d’infelicità” (552).

Più avanti il Recanatese afferma che la monarchia è il governo sia della società primitiva sia di quella "pienamente corrotta", mentre "una società capace di repubblica durevole, non può essere che leggermente o mezzanamente corrotta (come la moderna)". Così "apparentemente, si avvicinano i due estremi, di società primitiva, di cui non è proprio altro stato che la monarchia; e di società totalmente guasta, di cui non è propria che l'assoluta monarchia". Apparentemente, poiché la società primitiva non ammette la monarchia dispotica; in quella guasta "non può durar che una monarchia assoluta cioè dispotica"(3517).

La considerazione successiva ci porta nell'ambito semantico e filosofico dell' ajnakuvklwsi" di Polibio (VI, 9, 10), dell'orbis di Tacito [4] , del "cerchio" di Machiavelli[5], dell'"eterno ritorno" di Nietzsche[6].

Il circuito delle cose umane, comprese le costituzioni

Leopardi lo chiama "circuito" mutuandolo dal circuitus di Cicerone[7].. Leggiamo dunque lo Zibaldone (3517 - 3518):"Del resto s'egli è proprio carattere sì della società primitiva come della più corrotta l'essere ambedue per natura monarchiche di governo, non è questo il solo capo in cui si veda che le cose umane ritornano dopo lungo circuito e dopo diversissimo errore ai loro principii, e giunte (come or pare che siano) al termine di lor carriera, o tanto più quanto a questo termine più s'avvicinano, si trovano di nuovo in gran parte cogli effetti medesimi, e nel medesimo luogo, stato ed essere che nel cominciar d'essa carriera".

Mutazione del ruolo dei re

“I re da principio erano più che altro i condottieri degli eserciti. La persona del generale si è divisa da quella del principe, e i re hanno lasciato di essere guerrieri, e non si sono vergognati di non saper comandare alle proprie armate, né diriggere e adoperar la forza del proprio regno, non tutto ad un tratto, ma appoco appoco, e in proporzione che il mondo e le cose umane hanno perduto il loro vigore ed energia naturale, e che l’apparenza ha preso il luogo della sostanza” (Zibaldone, pp. 1911 - 1912).

Sui re e le loro mutazioni sentiamo anche Lucrezio
I re si diedero a fondare città e fortezze
Et pecus atque agros divisere atque dedere
Pro facie cuiusque et viribus ingenioque;
nam facies multum valuit viresque vigebant.
Posterius res inventast aurumque repertum
Quod facile et validis et pulchris dempsit honorem ( De rerum natura, V, 1110 - 1114).
Anche i belli infatti di solito seguono la fazione del ricco
Divitioris enim sectam plerumque sequuntur (1115). Questi versi possono stare pure nella rubrica relative all’aspetto

Se invece uno governasse la vita vera ratione,
divitiae grandes homini sunt vivere parce
aequo animo; neque enim est umquam penuria parvi (1118 - 9).

Pesaro, 7 settembre 2020, ore 17, 27 giovanni ghiselli

p. s
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[1] Ad Arriano (95 - 175).
[2] 45 - 120 d. C.
[3] Nota la contraddizione con p. 2410.
[4]Annales , III, 55.
[5]Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio , I, 2.
[6]Crepuscolo degli idoli , p. 128. Inoltre : “L’eterno orologio a polvere dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolto - e tu con esso, granello di polvere dalla polvere venuto!” (La gaia scienza, n. 341)
[7] De republica (del 51 a. C.) , I, 45.

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