sabato 26 settembre 2020

Lucano LIV. Pharsalia IX (882- 973)

Vivant Denon,
Serpente di cui usano gli psilli
Tre teste d'Arabi
Teste di negozianti della Mecca
Argomenti

Il popolo degli Psylli immune dal veleno aiuta i Romani. Salvano molte vite succhiando le ferite.

Cesare va sull’Ellesponto per vedere quanto rimane di Troia e onorare le tombe degli eroi morti nella grande guerra di tanti secoli prima. Della città caduta però - etiam periere ruinae - 969 sono morte anche le rovine. Salvatore Settis sostiene al contrario che “le rovine sono la cosa più viva della storia”.

 

I soldati dicono questo mentre Catone dà l’esempio: “qui fusus harena - excubat atque omni Fortunam provocat hora” 882 - 883, sfida continuamente la fortuna mentre fa il turno di guardia steso sulla sabbia. Aiutò chi lo chiamava e portò una cosa più grande della salvezza: le forze per affrontare la morte, maiusque salute contulit, in letum vires,.

Puduitque gementem –illo teste mori 886 - 887, ci si vergognò di morire piangendo mentre Catone osservava.

 Docet magnos nil posse dolores (889) insegna che nulla possono i grandi dolori. Infine la Fortuna lassata tanto periclo, stanca di avere fatto affrontare pericoli così grandi serum auxilium dedit miseris (891) . Vengono incontro Marmaridae Psylli, gli Psilli della Mamarica. Questi sono immuni al veleno dei serpenti pur mescolati tra loro, immunes mixtis serpentibus 896

Quando nasce un bambino la prova che è davvero figlio di uno Psillo è che non ha paura dei serpenti, ma ci gioca. Come Iovis volucer, l’uccello di Giove, fa sopravvivere tra i figli solo tra quelli che rivolti a oriente

 qui potuere pati radios et lumine recto - sustinuere diem (904 - 905).

Questi caeli servantur in usus (905) sono allevati per fare uso del cielo.

 

Qui Phoebo cessere iacent (906), quelli che si sono ritirati davanti a Febo muoiono abbandonati. Febo è il sole e pure la bellezza.

 

Mi vengono in mente gli obesi pallidi che sudano, odiano il sole e stanno nell’ombra resa più fredda dall’aria condizionata dando una mano al virus.

 

 Il bambino nato tra gli Psilli viene riconosciuto si tactos non horruit angues (907) si quis donatis lusit serpentibus infans. Il bambino davvero Psillo gioca con i serpenti

Lo Psillo aiuta altri popoli contro i mostri nocivi. Lo fecero anche con i romani: purificano le sabbie cantu verbisque fugantibus angues (914)

Gli Psylli sono anche capaci di curare magicamente i romani colpiti dai serpenti: c’è una ingens pugna Psyllorum et rapti veneni, una grande lotta degli Psilli contro i veleni estratti. Leccano la ferita poi con la lingua che schiuma - spumanti lingua 927 - cantano formule magiche in un mormorio continuo siccome la morte incalza nec dat suspiria cursus vulnerisSaepe pestis excantata fugit 931 , spesso la peste per effetto dell’incantesimo fugge via.

Se il veleno tarda a uscire, lo Psillo ore venena trahens expuit extractam mortem. Lo Psillo riconosce il veleno dal gusto.

 

I Romani, liberati dai serpenti, vagano per due mesi, finché il deserto comincia a lasciare spazio a fronde di alberi e a leoni che quei disgraziati videro con gioia quali segni di una terra migliore. Passarono il resto dell’inverno a Leptis minor sulla costa tunisina.

 

Cesare satiatus clade dopo Farsalo si diede a inseguire il genero. Va nell’Ellesponto amore notatum aequor (954 - 955), l’acqua famosa per l’amore di Ero e Leandro, il braccio di mare che prese il nome da Elle, la figlia di Nefele che vi cadde. Suo fratello Frisso invece arrivò nella Colchide sum montone dal vello d’oro.

Non è così stretto il braccio che separa Bisanzio da (in Bitinia) , il Bosforo.

 

Cesare ammira la fama di quei luoghi - famae mirator - e visita il litorale Sigeo (sulla costa dell’Egeo davanti a Troia) con la tomba di Achille, le acque del Simoenta e il litorale Reteo (nell’Ellesponto) con la tomba di Aiace e cerca debentis vatibus umbras (963) le ombre degli eroi che devono molto ai poeti.

Circumit exustae nomen memorabile Troiae (964) , fa il giro intorno alla rinomanza memorabile di Troia bruciata.

Ma oramai “tota teguntur - Pergama dumetis: etiam periere ruinae” (968 - 969), Troia è tutta coperta da cespugli, sono morte anche le rovine.

 

Invece Salvatore Settis: le rovine sono la cosa più viva della storia

Alla fine di The Waste Land [1] Eliot afferma: "These fragments I have shored against my ruins" (v. 430), con questi frammenti ho puntellato le mie rovine.

Le quali non significano solo decadenza: "Le rovine sono la cosa più viva della storia, perché vive storicamente soltanto ciò che è sopravvissuto alla sua distruzione, ciò che è rimasto sotto forma di rovine"[2]. Secondo Salvatore Settis nella nostra civiltà domina "il pathos delle rovine, di una frattura irreparabile che è necessario sanare: rinascere, insomma, come condizione indispensabile della tradizione e della memoria"[3].

Infatti: Nullum est sine nomine saxum (Pharsalia IX, 973) non c’è sasso che non abbia un nome famoso

 



[1] La terra desolata, del 1922.

[2] M. Zambrano, L'uomo e il divino, p. 228.

[3] Salvatore Settis, Futuro del 'classico', p. 91.

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