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Serpente di cui usano gli psilli
Tre teste d'Arabi
Teste di negozianti della Mecca
Il popolo degli Psylli immune dal
veleno aiuta i Romani. Salvano molte vite succhiando le ferite.
Cesare va sull’Ellesponto per vedere
quanto rimane di Troia e onorare le tombe degli eroi morti nella grande guerra
di tanti secoli prima. Della città caduta però - etiam periere ruinae - 969
sono morte anche le rovine. Salvatore Settis sostiene al contrario che “le
rovine sono la cosa più viva della storia”.
I soldati dicono questo mentre
Catone dà l’esempio: “qui fusus harena - excubat atque omni Fortunam
provocat hora” 882 - 883, sfida continuamente la fortuna mentre fa il turno
di guardia steso sulla sabbia. Aiutò chi lo chiamava e portò una cosa più
grande della salvezza: le forze per affrontare la morte, maiusque
salute contulit, in letum vires,.
Puduitque gementem –illo teste
mori 886 - 887,
ci si vergognò di morire piangendo mentre Catone osservava.
Docet magnos nil posse
dolores (889) insegna che nulla possono i grandi dolori. Infine
la Fortuna lassata tanto periclo, stanca di avere fatto
affrontare pericoli così grandi serum auxilium dedit miseris (891)
. Vengono incontro Marmaridae Psylli, gli Psilli della Mamarica.
Questi sono immuni al veleno dei serpenti pur mescolati tra loro, immunes
mixtis serpentibus 896
Quando nasce un bambino la prova che
è davvero figlio di uno Psillo è che non ha paura dei serpenti, ma ci gioca.
Come Iovis volucer, l’uccello di Giove, fa sopravvivere tra i figli
solo tra quelli che rivolti a oriente
qui potuere pati radios et
lumine recto - sustinuere diem (904 - 905).
Questi caeli servantur in
usus (905) sono allevati per fare uso del cielo.
Qui Phoebo cessere iacent (906), quelli che si sono
ritirati davanti a Febo muoiono abbandonati. Febo è il sole e pure la bellezza.
Mi vengono in mente gli obesi
pallidi che sudano, odiano il sole e stanno nell’ombra resa più fredda
dall’aria condizionata dando una mano al virus.
Il bambino nato tra gli Psilli
viene riconosciuto si tactos non horruit angues (907) si
quis donatis lusit serpentibus infans. Il bambino davvero Psillo gioca con
i serpenti
Lo Psillo aiuta altri popoli contro
i mostri nocivi. Lo fecero anche con i romani: purificano le sabbie cantu
verbisque fugantibus angues (914)
Gli Psylli sono anche capaci di
curare magicamente i romani colpiti dai serpenti: c’è una ingens pugna
Psyllorum et rapti veneni, una grande lotta degli Psilli contro i veleni
estratti. Leccano la ferita poi con la lingua che schiuma - spumanti lingua 927
- cantano formule magiche in un mormorio continuo siccome la morte incalza
nec dat suspiria cursus vulneris. Saepe pestis excantata
fugit 931 , spesso la peste per effetto dell’incantesimo fugge via.
Se il veleno tarda a uscire, lo
Psillo ore venena trahens expuit extractam mortem. Lo Psillo
riconosce il veleno dal gusto.
I Romani, liberati dai serpenti,
vagano per due mesi, finché il deserto comincia a lasciare spazio a fronde di
alberi e a leoni che quei disgraziati videro con gioia quali segni di una terra
migliore. Passarono il resto dell’inverno a Leptis minor sulla costa tunisina.
Cesare satiatus clade dopo
Farsalo si diede a inseguire il genero. Va nell’Ellesponto amore
notatum aequor (954 - 955), l’acqua famosa per l’amore di Ero e
Leandro, il braccio di mare che prese il nome da Elle, la figlia di Nefele che
vi cadde. Suo fratello Frisso invece arrivò nella Colchide sum montone dal
vello d’oro.
Non è così stretto il braccio che
separa Bisanzio da (in Bitinia) , il Bosforo.
Cesare ammira la fama di quei luoghi
- famae mirator - e visita il litorale Sigeo (sulla costa dell’Egeo
davanti a Troia) con la tomba di Achille, le acque del Simoenta e il litorale
Reteo (nell’Ellesponto) con la tomba di Aiace e cerca debentis vatibus
umbras (963) le ombre degli eroi che devono molto ai poeti.
Circumit exustae nomen memorabile Troiae (964) , fa
il giro intorno alla rinomanza memorabile di Troia bruciata.
Ma oramai “tota teguntur - Pergama
dumetis: etiam periere ruinae” (968 - 969), Troia è tutta coperta da
cespugli, sono morte anche le rovine.
Invece Salvatore Settis: le rovine
sono la cosa più viva della storia
Alla fine di The Waste Land [1] Eliot afferma: "These
fragments I have shored against my ruins" (v. 430), con questi
frammenti ho puntellato le mie rovine.
Le quali non significano solo
decadenza: "Le rovine sono la cosa più viva della storia, perché vive
storicamente soltanto ciò che è sopravvissuto alla sua distruzione, ciò che è
rimasto sotto forma di rovine"[2]. Secondo Salvatore Settis nella
nostra civiltà domina "il pathos delle rovine, di una frattura
irreparabile che è necessario sanare: rinascere, insomma, come condizione
indispensabile della tradizione e della memoria"[3].
Infatti: Nullum est sine
nomine saxum (Pharsalia IX, 973) non c’è sasso che non
abbia un nome famoso
[1] La
terra desolata, del 1922.
[2] M.
Zambrano, L'uomo e il divino, p. 228.
[3] Salvatore Settis, Futuro del
'classico', p. 91.
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