Massimo Cacciari Il lavoro dello spirito, Adelphi, Milano, 2020
(I capitolo, pagine 26-28)
Argomenti
La
fratellanza non facile. L’ipocrisia di chi detiene il potere e del Politico in
genere.
“Uguaglianza
e libertà formano sul piano mondano una contraddizione insuperabile - contraddizione
che soltanto attraverso il termine di ‘fratellanza’, di una cristiana fratellanza,
può trovare conciliazione” (p. 27).
Perfino la
stessa fratellanza familiare del resto non esclude l’odio come si può leggere
nel Riccardo III di Shakespeare o nel Tieste di
Seneca e come non è impossibile constatare nei fatti reali.
“Ma ‘fratellanza’
non può assumere alcun significato nell’ordine immanente dello spazio politico,
sia in senso machiavellico che hobbesiano”.
In effetti
il Riccardo III di Shakespeare è “il principe
che ha letto Il Principe. La politica è per lui pura pratica,
un’arte il cui fine è governare. Un’arte amorale come quella di costruire i
ponti o come una lezione di scherma. Le passioni umane sono argilla, e anche
gli uomini sono un’argilla di cui si può fare quel che si vuole.”[1]
Lo spazio politico include spesso la famiglia, quello economico la include
sempre, e questi ambiti tolgono molto, se non tutto, alla fratellanza
cristiana.
“Tuttavia, non è concepibile alcun ordine, alcuna gerarchia nel mondo
contemporaneo che non riconosca tali idee e che non venga creduta perseguirle”.
Tale credito si regge anche sull’eterna ipocrisia del potere, cioè di chi
lo detiene. Ancora Machiavelli e Shakespeare con l’aggiunta di Plutarco.
Nel XVIII
capitolo di Il Principe, Machiavelli ricorda "come
Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a
Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:
"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno
mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra
natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe
necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il
lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da'
lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire
e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne
intendano. Non può, per tanto, uno
signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni
contro e che sono spente le cagioni che la feciono
promettere".
Riccardo viene aizzato dai suoi alleati a vendicarsi dei suoi nemici:
“ But then I sigh, and, with a piece of Scripture, - Tell them that God
bids us do good for evil: - And thus I clothe my naked villainy - With
odd old ends stol’n forth of Holy Writ - And seem a saint, when most I play the
devil” (Riccardo III, I, 3), ma allora io sospiro, e, con un brano
della Scrittura, dico loro che Dio ci ordina di rendere bene per male: e così
rivesto la mia nuda scelleratezza con occasionali vecchi scampoli della Sacra
Scrittura, e sembro un santo quando più faccio il diavolo.
Lisandro, il
comandante spartano che concluse la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli
Ateniesi, se la rideva di quanti stimavano che i discendenti di Eracle
dovessero sdegnare di vincere con il tradimento e raccomandava
sempre:" o{pou ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon
ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove
di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della
volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6).
Torno a
Cacciari: “Illusorio pensare di governare le masse poste al lavoro semplicemente
con re, generali, papi e gesuiti, attraverso programmi informati a una logica
puramente mondana. Impossibile un Politico che si presenti nella forma
del padrone - figura, questa, che anche il capitalista appunto
vuole - deve sempre allontanare da sé” (p. 28).
Come fece
Giulio Cesare quando alla festa dei Lupercalia, il 15 febbraio del 44, rifiutò
il diadema che Antonio gli porse più di una volta. Il popolo lo approvò ma i
senatori un mese dopo lo uccisero nella curia.
In effetti
quel rifiuto del simbolo regale era stata una manifestazione dell’ipocrisia del
potere: infatti, a detta di Cicerone, Cesare ripeteva spesso due versi
delle Fenicie di Euripide tradotti in latino.
Nella
tragedia greca Eteocle considera la tirannide la divinità più
grande (“th;n qew'n megivsthn w{st j e[cein Turannivda” v. 506), e, pur di averla, egli
sarebbe disposto anche a salire sugli astri e a scendere sotto terra. Sicché
egli non cederà mai questo bene supremo: sarebbe un atto di viltà (ajnandriva, v. 509). Non solo: il figlio di
Giocasta conclude la sua celebrazione del potere dicendo alla madre che poi lo
contraddice: "ei[per ga;r ajdikei'n crhv, turannivdo" pevri - kavlliston
ajdikei'n, ta[lla d eujsebei'n crewvn", vv. 524 - 525, se davvero è necessario
commettere ingiustizia, è bellissimo farlo per il potere assoluto, altrimenti
bisogna essere pio.
Cicerone
dunque considera questo Eteocle, o addirittura Euripide, meritevole di pena di
morte (Capitalis Eteocles vel potius Euripides ) che fece eccezione
proprio per quell'unico caso che era il più scellerato di tutti. Questi versi
delle Fenicie li aveva sempre in bocca l'ambizioso Cesare:"Nam
si violandum est ius, regnandi gratia/violandum est; aliis rebus pietatem colas ",
(De Officiis , III, 82).
Nemmeno
nelle famiglie il potere assoluto viene tollerato da molti figli
L’Elettra di
Sofocle dice alla madre: “io ti considero padrona non meno che madre nei miei
confronti (kai; s j e[gwge despovtin - h] mhtevr j oujk e[lasson
eij" hJma'" nevmw, Elettra , 597 - 598), io che conduco una vita misera.
Durante la scena del matricidio, Clitennestra colpita da Oreste grida “w\moi pevplhvgmai (Elettra, 1415) e la
ragazza, che era stata maltrattata dalla madre, urla in antilabé con la donna
ferita:” pai'son, eij sqevnei", diplh'n " (v. 1415), colpisci
ancora, se ce la fai. [2]
Sentiamo la
conclusione di Cacciari con una conferma dell’ipocrisia del Politico, la sua
necessità di recitare.
“Anzi:
il Politico vale, cioè detiene effettivo potere, proprio realizzando l’idea
che nel sistema non si dia alcun padrone, che esso funzioni davvero eliminando
ogni disuguaglianza. Fine affatto impossibile, e tuttavia indispensabile affermarlo,
non solo per giustificare l’esistenza del Politico, bensì per determinarne la
stessa efficacia” (p. 28).
Pesaro 1
settembre 2020, or 17,12
giovanni
ghiselli
[2] Quella di Hugo Von Hofmannstal grida "come un demone: Colpisci!
Un'altra volta!" (Elektra del 1904).
Nessun commento:
Posta un commento