Gli arzigogoli inconcludenti. La venusta Sirmio, le mutande di Ifigenia e l’ombelico del mondo
Rimuginavo: “Aspetta il mio espresso”, aveva telegrafato. Poi qualcuno le
ha fatto cambiare proposito. Chissà quale rozzo bagnino l’ha stuzzicata, o quale
borghesuccio l’ha manipolata dopo essersi spacciato da gran signore”.
“Faccia il tuo grande signore, gran signora pure te”, canticchiavo
simulando noncuranza. Invero era il lugubre qrh`no", il canto funebre
dell’amore morto male... Poi tornavo a fare ipotesi più o meno balorde:
“Oppure, perversa com’è, magari si è data da fare con il collega di religione,
quello cui sfacciatamente faceva vedere le mutande celesti tra le coscione
brune durante la gita scolastica sul lago di Garda, a Sirmione. Salve o
venusta, le aveva detto il monsignore non so quanto turbato, ma forse era
un sant’uomo e probabilmente più che a lei si rivolgeva a Sirmione”.
Tali erano gli arzigogoli del mio cervello
arido e inconcludente mentre calzavo le scarpe di gomma, rosse e non poco
fetide, le stesse che le avrei prestato due anni più tardi quando andammo
sull’ombelico del mondo a pregare Apollo, il signore di Delfi, perché ci
concedesse felices in cetera cursus, corsi ricchi di successi in
quanto restava da fare a me e a lei. Ma i nostri corsi erano già volti in
direzioni diverse. Eravamo contenti.
Quel 9 agosto invece mi allacciavo le
scarpe puzzolenti per correre e liberarmi dalle tossine dell’odio. Feci un
tempo mediocre: superiore ai venti minuti. La pena mi appesantiva l’anima e il
corpo.
Pesaro
26 settembre ore 19, 35
giovanni ghiselli
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