NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 10 settembre 2020

Leopardi e i classici 11 e 12. Conferenza di Cento (12 settembre ore 17)

Socrate
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XI
Argomenti
L’originalità impossibile degli epigoni. Il genere letterario più poetico e nobile è quello lirico. La filosofia nasce dal brutto aspetto di Socrate.

Eschilo[1] diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[2]); e Callimaco[3] afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"[4], non canto nulla che non sia testimoniato.

 Leopardi afferma (Zibaldone , 40) che solo i primi poeti, ossia gli inventori dei generi, poterono essere davvero originali:" Così Omero scrivendo i suoi poemi, vagava liberamente per li campi immaginabili, e sceglieva quello che gli pareva giacché tutto gli era presente effettivamente, non avendoci esempi anteriori che glieli circoscrivessero e gliene chiudessero la vista."
 Il detto di Eschilo in ateneo viene contraddetto da Leopardi "inventando ora una ora un'altra tragedia senza forme senza usi stabiliti, e seguendo la sua natura, variava naturalmente a ogni composizione".

Ma il genere preferito è quello lirico e il poeta lirico può sempre essere originale
Chi non sa quali altissime verità sia capace di scoprire e manifestare il vero poeta lirico, vale a dire l’uomo infiammato del più pazzo fuoco, l’uomo la cui anima è in totale disordine, l’uomo posto in uno stato di vigor febbrile, e straordinario (principalmente, anzi quasi indispensabilm. Corporale), e quasi di ubbriachezza? Pindaro ne può essere un esempio: ed anche alcuni lirici tedeschi ed inglesi abbandonati veram. Che di rado avviene, all’impeto di una viva fantasia e sentimento” (Zibaldone, 1856).

Socrate era brutto. La filosofia nasce da quella bruttezza.
Abbiamo già ricordato che per Leopardi il valore predominante è la bellezza è Cfr. L’ultimo canto di Saffo citato sopra.

Nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri viene ricordato il brutto aspetto di Socrate: “La sua forma ingrata e ridicola gli sarebbe stata di non piccolo pregiudizio appresso un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello[5], e oltre di ciò deditissimo a motteggiare”. Socrate si trovava “impedito di aver parte, per dir così, nella vita”.
 La celebrità che si venne guadagnando consolò il suo amor proprio e la sua ironia “non fu sdegnosa e acerba, ma riposata e dolce. Così la filosofia per la prima volta, secondo il famoso detto di Cicerone[6], fatta scendere dal cielo, fu introdotta da Socrate nelle città e nelle case; e rimossa dalla speculazione delle cose occulte, nella quale era stata occupata insino a quel tempo, fu rivolta a considerare i costumi e la vita degli uomini, e a disputare delle virtù e dei vizi, delle cose buone ed utili, e delle contrarie”.
Del resto Socrate “professò apertamente di non sapere cosa alcuna; e non si propose altro che d’intrattenersi favellando dei casi altrui (…) non si volgeva al discorrere, se non per le difficoltà che gl’impedivano l’operare. E nei discorsi sempre si esercitò colle persone giovani e belle più volentieri che cogli altri; quasi ingannando il desiderio, e compiacendosi d’essere stimato da coloro da cui molto maggiormente avrebbe voluto essere amato. E perciocché tutte le scuole dei filosofi greci da indi in poi, derivarono dalla socratica, concludeva l’Ottonieri, che l’origine di quasi tutta la filosofia greca, dalla quale nacque la moderna, fu il naso rincagnato, e il viso da satiro” .
Cfr. il Simposio dove Alcibiade del resto elogia Socrate per immagini (dieijkovnwn, 215 a): lo paragona ai Sileni esposti nelle botteghe, sia per l'aspetto, sia per il fatto che all'interno contengono l'immagine del dio. Inoltre lo assimila a Marsia: come il satiro incantava con i flauti, così Socrate, l'uomo erotico, affascina con le nude parole.
Socrate “era plebaglia. Si sa, lo si vede ancora quanto fosse brutto”[7].


XII
Argomenti
Leopardi svaluta il dramma. Socrate come sofista (Leopardi). Socrate quale nemico dell’istinto, padre della decadenza e antigreco. Altrettale il suo discepolo e profeta Platone. (Nietzsche)

 G. Leopardi sostiene che il genere drammatico, rispetto alla poesia lirica e a quella epica, “è ultimo dei tre generi, di tempo e di nobiltà. Esso non è un'ispirazione, ma un'invenzione; figlio della civiltà, non della natura; poesia per convenzione e per volontà degli autori suoi, più ch per la essenza sua… Il dramma non è proprio delle nazioni incolte. Esso è uno spettacolo, un figlio della civiltà e dell'ozio, un trovato di persone oziose, che vogliono passare il tempo, in somma un trattenimento dell’ozio, inventato, come tanti e tanti altri, nel seno della civiltà, dall’ingegno dell’uomo, non ispirato dalla natura, ma diretto a procacciare sollazzo a se e agli altri, e onor sociale e utilità a se medesimo. Trattenimento liberale bensì e degno; ma non prodotto della natura vergine e pura, come è la lirica, che è sua legittima figlia, e l'epica, che è sua vera nepote"(Zibaldone, 4235 - 4236).
Ancora: “Essa[8] è cosa prosaica: i versi vi sono di forma, non di essenza, né le danno natura poetica. Il poeta è spinto a poetare dall’intimo sentim. Suo proprio, non dagli altrui. Il fingere di avere una passione, un caratt. Ch’ei non ha (cosa necess. al drammat.) è cosa alienis dal poeta…Quanto più un uomo è di genio, quanto più è poeta, tanto più avrà de’ sentimenti suoi propri da esporre, tanto più sdegnerà di vestire un altro personaggio, di parlare in persona d’altrui, d’imitare, tanto più dipingerà se stesso e ne avrà il bisogno, tanto più sarà lirico, tanto meno drammatico” (4357). 
E più avanti: “Il romanzo, la novella ec. sono all’uomo di genio assai meno alieni che il dramma, il quale gli è più alieno di tutti i generi di letteratura, perché è quello che esige la maggior prossimità d’imitazione, la maggior trasformazione dell’autore in altri individui, la più intera rinunzia e il più intero spoglio della propria individualità, alla quale l’uomo di genio tiene più fortemente che alcun altro” (4367).
Mi sembra un grave difetto d’incomprensione del pur grande e caro Recanatese.

Così si limita il valore anche dell’epica e del romanzo e pure l’elegia, e insomma tutte le opere letterarie che hanno parti mimetiche (dialoghi) oltre le diegetiche (narrative).

Platone nel III libro della Repubblica fa dire a Socrate che c’è una poesia la quale si svolge διὰ μιμήσεως, per via mimetica. Questa è la poesia drammatica, ossia la tragedia e la commedia; poi c’è la semplice narrazione senza mimesi (ἄνευ μιήσεως ἁπλῆ διήγησις) (394a - b) attraverso il racconto del poeta stesso, e si tratta dei ditirambi[9]; quindi l’epica che ha entrambi gli aspetti (δι᾽ ἀμφοτέρων) (394c).

Su Socrate vicino ai sofisti non tace Leopardi: “E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri[10] e de' fuchi[11] e d'ogni ornamento ascitizio[12] e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone, 3474).

Nietzsche Socrate padre della decadenza, antigreco
“Socrate e Platone come sintomi di decadimento, come strumenti della dissoluzione greca, come pseudogreci, antigreci ”[13]
Socrate è visto da Nietzsche come il nemico dell’istinto, o come un individuo dall’istinto rovesciato: “Mentre in tutti gli uomini produttivi l’istinto è proprio la forza creativa e affermativa, e la coscienza si comporta in maniera critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma in un critico, la coscienza in una creatrice - una vera mostruosità per defectum! Più precisamente noi scorgiamo qui un mostruoso defectus di ogni disposizione mistica, sicché Socrate sarebbe da definire come l’individuo specificamente non mistico, in cui la natura logica, per una superfetazione, è sviluppata in modo tanto eccessivo quanto lo è quella sapienza istintiva nel mistico”[14]. Quest’idea non verrà rinnegata più avanti da Nietzsche come altri aspetti[15] di questo scritto giovanile.
 In Ecce homo[16] il filosofo ne rivendica le due “ innovazioni decisive: intanto la comprensione del fenomeno dionisiaco fra i Greci - il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di tutta l’arte greca. L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent. “Razionalità” contro istinto. La “razionalità” a ogni costo come violenza pericolosa che mina la vita!”[17].



[1] 525 - 455 a. C.
[2] Ateneo (II - III sec. d. C.) I Deipnosofisti, VIII, 39.
[3]305 ca - 240ca a. C.
[4] Fr. 612 Pfeiffer.
[5] cfr. kalokajgaqov" Zib. 64 - 65, 112, 2486 - 2487 (21 giugno 1822, con un rinvio a Senofonte). Vd. Anche Pensieri XIX).
[6] Tusculanae, V, 4 e Academica I, 4.
[7] Crepuscolo degli idoli, Il problema di Socrate, 3.
[8] La poesia drammatica.
[9] Che possono corrispondere alla lirica di Leopardi
[10] Da calamistrum, “ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[11] Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[12] Da ascisco, “annetto” (ndr).
[13] Crepuscolo degli idoli, p. 12.
[14] La nascita della tragedia , p. 92.
[15] Hegeliani e schopenhaueriani
[16] Del 1888.
[17] F. Nietzsche, Ecce homo, La nascita della tragedia, p. 49.

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