XI
Argomenti
L’originalità
impossibile degli epigoni. Il genere letterario più poetico e nobile è quello
lirico. La filosofia nasce dal brutto aspetto di Socrate.
Eschilo[1] diceva che le sue tragedie
erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}"
ta;" auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou
megavlwn deivpnwn"[2]); e Callimaco[3] afferma: "ajmavrturon
oujde;n ajeivdw"[4], non canto nulla che non sia
testimoniato.
Leopardi
afferma (Zibaldone , 40) che solo i primi poeti, ossia gli inventori
dei generi, poterono essere davvero originali:" Così Omero scrivendo
i suoi poemi, vagava liberamente per li campi immaginabili, e sceglieva quello
che gli pareva giacché tutto gli era presente effettivamente, non avendoci
esempi anteriori che glieli circoscrivessero e gliene chiudessero la
vista."
Il
detto di Eschilo in ateneo viene contraddetto da Leopardi "inventando ora
una ora un'altra tragedia senza forme senza usi stabiliti, e seguendo la sua
natura, variava naturalmente a ogni composizione".
Ma il genere
preferito è quello lirico e il poeta lirico può sempre essere originale
Chi non sa
quali altissime verità sia capace di scoprire e manifestare il vero poeta
lirico, vale a dire l’uomo infiammato del più pazzo fuoco, l’uomo la cui anima
è in totale disordine, l’uomo posto in uno stato di vigor febbrile, e
straordinario (principalmente, anzi quasi indispensabilm. Corporale), e quasi
di ubbriachezza? Pindaro ne può essere un esempio: ed anche alcuni
lirici tedeschi ed inglesi abbandonati veram. Che di rado avviene, all’impeto
di una viva fantasia e sentimento” (Zibaldone, 1856).
Socrate era brutto. La filosofia nasce da quella
bruttezza.
Abbiamo già ricordato che per Leopardi il valore
predominante è la bellezza è Cfr. L’ultimo canto di Saffo citato
sopra.
Nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri viene
ricordato il brutto aspetto di Socrate: “La sua forma ingrata e ridicola gli
sarebbe stata di non piccolo pregiudizio appresso un popolo che, eziandio nella
lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello[5], e oltre di ciò deditissimo
a motteggiare”. Socrate si trovava “impedito di aver parte, per dir così, nella
vita”.
La celebrità che si venne guadagnando consolò il
suo amor proprio e la sua ironia “non fu sdegnosa e acerba, ma riposata e
dolce. Così la filosofia per la prima volta, secondo il famoso detto di
Cicerone[6], fatta scendere dal cielo, fu introdotta da Socrate nelle città e nelle
case; e rimossa dalla speculazione delle cose occulte, nella quale era stata
occupata insino a quel tempo, fu rivolta a considerare i costumi e la vita
degli uomini, e a disputare delle virtù e dei vizi, delle cose buone ed utili, e
delle contrarie”.
Del resto Socrate “professò apertamente di non sapere
cosa alcuna; e non si propose altro che d’intrattenersi favellando dei casi
altrui (…) non si volgeva al discorrere, se non per le difficoltà che
gl’impedivano l’operare. E nei discorsi sempre si esercitò colle persone
giovani e belle più volentieri che cogli altri; quasi ingannando il desiderio,
e compiacendosi d’essere stimato da coloro da cui molto maggiormente avrebbe
voluto essere amato. E perciocché tutte le scuole dei filosofi greci da indi in
poi, derivarono dalla socratica, concludeva l’Ottonieri, che l’origine di quasi
tutta la filosofia greca, dalla quale nacque la moderna, fu il naso rincagnato,
e il viso da satiro” .
Cfr. il Simposio dove Alcibiade del
resto elogia Socrate per immagini (di' eijkovnwn, 215 a): lo paragona ai Sileni esposti nelle
botteghe, sia per l'aspetto, sia per il fatto che all'interno contengono
l'immagine del dio. Inoltre lo assimila a Marsia: come il satiro incantava con
i flauti, così Socrate, l'uomo erotico, affascina con le nude parole.
XII
ArgomentiLeopardi svaluta il dramma. Socrate come sofista (Leopardi). Socrate quale nemico dell’istinto, padre della decadenza e antigreco. Altrettale il suo discepolo e profeta Platone. (Nietzsche)
G. Leopardi
sostiene che il genere drammatico, rispetto alla poesia lirica e a quella epica,
“è ultimo dei tre generi, di tempo e di nobiltà. Esso non è un'ispirazione, ma
un'invenzione; figlio della civiltà, non della natura; poesia per
convenzione e per volontà degli autori suoi, più ch per la essenza sua… Il
dramma non è proprio delle nazioni incolte. Esso è uno spettacolo, un
figlio della civiltà e dell'ozio, un trovato di persone oziose, che vogliono
passare il tempo, in somma un trattenimento dell’ozio, inventato, come tanti e
tanti altri, nel seno della civiltà, dall’ingegno dell’uomo, non ispirato
dalla natura, ma diretto a procacciare sollazzo a se e agli altri, e onor
sociale e utilità a se medesimo. Trattenimento liberale bensì e degno; ma
non prodotto della natura vergine e pura, come è la lirica, che è sua legittima
figlia, e l'epica, che è sua vera nepote"(Zibaldone, 4235 - 4236).
Ancora:
“Essa[8] è cosa prosaica: i versi vi
sono di forma, non di essenza, né le danno natura poetica. Il poeta è spinto a
poetare dall’intimo sentim. Suo proprio, non dagli altrui. Il fingere di avere
una passione, un caratt. Ch’ei non ha (cosa necess. al drammat.) è cosa alienis
dal poeta…Quanto più un uomo è di genio, quanto più è poeta, tanto più avrà de’
sentimenti suoi propri da esporre, tanto più sdegnerà di vestire un altro
personaggio, di parlare in persona d’altrui, d’imitare, tanto più dipingerà se
stesso e ne avrà il bisogno, tanto più sarà lirico, tanto meno drammatico”
(4357).
E più
avanti: “Il romanzo, la novella ec. sono all’uomo di genio assai meno alieni
che il dramma, il quale gli è più alieno di tutti i generi di letteratura,
perché è quello che esige la maggior prossimità d’imitazione, la maggior
trasformazione dell’autore in altri individui, la più intera rinunzia e il più
intero spoglio della propria individualità, alla quale l’uomo di genio tiene
più fortemente che alcun altro” (4367).
Mi sembra un
grave difetto d’incomprensione del pur grande e caro Recanatese.
Così si
limita il valore anche dell’epica e del romanzo e pure l’elegia, e insomma
tutte le opere letterarie che hanno parti mimetiche (dialoghi) oltre le
diegetiche (narrative).
Platone nel
III libro della Repubblica fa dire a Socrate che c’è una
poesia la quale si svolge διὰ μιμήσεως, per
via mimetica. Questa è la poesia drammatica, ossia la tragedia e la
commedia; poi c’è la semplice narrazione senza mimesi (ἄνευ μιήσεως ἁπλῆ διήγησις) (394a - b) attraverso il racconto
del poeta stesso, e si tratta dei ditirambi[9]; quindi l’epica che ha
entrambi gli aspetti (δι᾽ ἀμφοτέρων) (394c).
Su Socrate
vicino ai sofisti non tace Leopardi: “E Socrate stesso, l'amico del vero,
il bello e casto parlatore, l'odiator de' calamistri[10] e de' fuchi[11] e d'ogni ornamento ascitizio[12] e d'ogni affettazione, che
altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente meno di quelli da lui
derisi?” (Zibaldone, 3474).
Nietzsche
Socrate padre della decadenza, antigreco
“Socrate e
Platone come sintomi di decadimento, come strumenti della dissoluzione greca,
come pseudogreci, antigreci ”[13]
Socrate è
visto da Nietzsche come il nemico dell’istinto, o come un individuo
dall’istinto rovesciato: “Mentre in tutti gli uomini produttivi l’istinto è
proprio la forza creativa e affermativa, e la coscienza si comporta in maniera
critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma in un critico, la
coscienza in una creatrice - una vera mostruosità per defectum! Più
precisamente noi scorgiamo qui un mostruoso defectus di
ogni disposizione mistica, sicché Socrate sarebbe da definire come l’individuo
specificamente non mistico, in cui la natura logica, per una
superfetazione, è sviluppata in modo tanto eccessivo quanto lo è quella
sapienza istintiva nel mistico”[14]. Quest’idea non verrà rinnegata più
avanti da Nietzsche come altri aspetti[15] di questo scritto giovanile.
In Ecce
homo[16] il filosofo ne rivendica le due “ innovazioni decisive: intanto la
comprensione del fenomeno dionisiaco fra i Greci - il libro ne
dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice una di tutta l’arte greca.
L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento della
disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent.
“Razionalità” contro istinto. La “razionalità” a ogni costo
come violenza pericolosa che mina la vita!”[17].
[2] Ateneo (II - III sec. d.
C.) I Deipnosofisti, VIII, 39.
[5] cfr. kalokajgaqov" e Zib. 64 - 65, 112, 2486 - 2487 (21 giugno 1822, con un rinvio
a Senofonte). Vd. Anche Pensieri XIX).
[6] Tusculanae, V, 4 e Academica I,
4.
[7] Crepuscolo degli idoli,
Il problema di Socrate, 3.
[8] La poesia drammatica.
[9] Che possono corrispondere alla
lirica di Leopardi
[10] Da calamistrum,
“ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[11] Da fucus, “tintura
rossa” (ndr).
[12] Da ascisco, “annetto” (ndr).
[13] Crepuscolo degli idoli,
p. 12.
[15] Hegeliani e schopenhaueriani
[16] Del 1888.
[17] F. Nietzsche, Ecce
homo, La nascita della tragedia, p. 49.
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