ArgomentiMichelangelo, Cleopatra
Cleopatra malfamata da Lucano e Orazio che pure le riconosce coraggio e dignità nella morte. La fine della libertà sessuale delle donne viene fatta risalire da Engels all’istituzione della proprietà privata e al desiderio del maschio di avere figli di paternità indiscussa cui lasciare il patrimonio. Discutibile è l’interpretazione di Engels sulla posizione della donna nei poemi omerici. Cleopatra si acconcia per piacere a Cesare: simulatum compta dolorem - qua decuit (X, 83 - 84) adorna di un dolore simulato fin dove le dona
Lucano
Tolomeo rex e puer (Pharsalia,
X, 54), populi sedaverat iras dandosi come ostaggio a Cesare.
Ma a questo punto Cleopatra parva biremi si portò nel
palazzo corrupto custode (57) donna dedecus Aegypti,
vergogna dell’Egitto, Latii feralis Erinys (59) Romano
non casta malo, impudica per il male di Roma.
Quantum Spartana facie
nocenti Elena con il suo aspetto dannoso sconvolse Argo e Troia, tantum
Cleopatra auxit Hesperios furores (62) altrettanto Cleopatra accrebbe
le follie dell’Italia.
Con il suo sistro atterrì il Campidoglio Terruit
illa suo sistro Capitolia (63)
Cfr. fatale monstrum di Orazio
Ode I, 37
Ora bisogna bere, ora
con piede libero
pestare la terra, era
già tempo
di ornare il cuscino
degli dèi
on vivande degne dei
Salii, compagni;
prima di questo era
un’empietà tirare fuori il Cècubo
dalle cantine degli avi,
finché una regina preparava
folli rovine al
Campidoglio e morte all’impero
col suo gregge appestato
di uomini
ripugnanti e malati,
sfrenata nello sperare
qualsiasi cosa e ubriacata
dalla fortuna favorevole;
ma ridusse la follia
una sola nave a stento
superstite dall’incendio
e la mente resa furente
dal vino mareotico
fece tornare alla paura
della realtà
Cesare, incalzandola a
colpi di remo
mentre volava via
dall’Italia,
come il falco le tenere
colombe
oppure il cacciatore
veloce la lepre
nei campi della nevosa
Tessaglia,
per consegnare alle
catene
il mostro fatale fatale
monstrum; ella che
cercando di morire più
nobilmente
non ebbe una paura da
donna della spada
né con la veloce flotta
riparò in spiagge nascoste,
anzi osò osservare con
sguardo sereno
la reggia prostràta, e
coraggiosa maneggiare gli scabrosi serpenti
per assorbire con
tutto il corpo il nero veleno
più indomita dopo avere
deciso la morte:
naturalmente rifiutando
alle crudeli navi liburniche
di essere trascinata,
come una donna qualsiasi,
nel superbo trionfo, lei
donna di rango non basso.
Cleopatra, seguita
Lucano, sperò di sconfiggere Ottaviano. Ad Azio (Leucadio sub gurgite 66) fuit
dubius casus - “an mundus ne nostra quidem matrona teneret” (67).
Tanta forza le
diede la notte che unì incestam Ptolemaida ducibus nostris (69),
l’incestuosa Tolomeide ai nostri comandanti (Cesare e Antonio).
Perfino il durum
pectus Caesaris venne cosumato da quel fuoco.
Il dux in
mezzo alla rabbia in media rabie (72) nella reggia ancora
abitata dall’ombra di Pompeo et Pompeianis habitata manibus aula (73) sanguine
Thessalicae cladis perfusus adulter, l’adultero ancora intriso del sangue
della strage di Tessaglia, admisit Venerem curis, accolse Venere
tra le preoccupazioni et miscuit armis - illicitosque toros et non ex
coniuge partos (75 - 76) talami illeciti e parti non della
sposa. Pro pudor oblitus Magni, tibi Iulia, fratres
–obscaena de matre dedit (77 - 78)Vergogna! dimentico di Magno, a te Gilia,
diede fratelli nati da madre immonda e, turpe com’è, spende il tempo per un
amore sul Nilo “tempora Niliaco turpis dependit amori, turpis”
(80).
Secondo Friedrich Engels
la famiglia monogamica “si fonda sul dominio dell’uomo, con lo scopo manifesto di
generare figli di paternità indiscussa, paternità richiesta in quanto questi
figli possano, in qualità di eredi naturali, entrare in possesso del patrimonio
paterno (…) La nuova forma familiare ci si presenta in tutta la sua severità tra
i Greci. Mentre, come osserva Marx, il posto delle dèe nella mitologia ci
riporta a un periodo precedente, in cui le donne avevano ancora una posizione
di maggiore libertà e rispetto, nell’epoca eroica vediamo la donna già avvilita
dal predominio dell’uomo e dalla concorrenza delle schiave. Si legga nell’Odissea,
in quale maniera Telemaco richiami la madre al silenzio. In Omero, le giovani
donne fatte prigioniere sottostanno alle voglie sessuali dei vincitori; i
comandanti si scelgono, secondo il rango e l’ordine gerarchico, le più belle;
l’intera Iliade , come si sa, verte intorno alla lite tra
Achille e Agamennone dovuta ad una tale schiava (…) Queste ragazze vengono
anche portate con sé in patria e nella casa coniugale, come, in eschilo,
Cassandra da Agamennone (…) Dalla moglie si pretende che sopporti tutto, ma che
essa stessa osservi rigidamente la castità e fedeltà coniugale (…) Sono
l’esistenza della monogamia, la presenza di giovani belle schiave, che sono
proprietà dell’uomo con tutto quello che hanno, ad imprimere alla
monogamia, fin dall’inizio, il suo carattere specifico, di essere cioè
monogamia solo per la donna, ma non per l’uomo. E questo carattere lo conserva
ancora oggi[1]”
Queste osservazioni di
Engels, che pure mi piace, sono confutabili almenno per quanto riguarda l’Odissea dove
la moglie del re come Anticlea e Arete godono di rispetto e di una condozione
di parità con il marito. Arete anzi, la regina dei Feaci è decisiva nelle
scelte rispetto al marito Alcinoo come rivela Nausicaa a Odisseo suggerendogli
di chiedere aiuto alla madre ignorando il padre (Odissea, VI, 310).
Chiarirò meglio la
posizione della donna nei poemi omerici durante il corso che terrò alla Primo
Levi dal prossimo 13 ottobre.
Engels poco più avanti
scrive: “Per quanto riguarda i greci di un’epoca più tarda, si deve distinguere
tra dori e ioni. I primi, il cui esempio classico è Sparta, hanno per diversi
riguardi relazioni coniugali ancora più arcaiche di quelle mostrate dallo
stesso Omero (…) Le donne spartane e la èlite delle etere ateniesi sono le
uniche donne greche che gli antichi menzionano con rispetto, e le cui opinioni
ritengano degne di venir tramandate” (p. 88)
Gorgò, la moglie del re spartano Leonida, a una
straniera che le aveva detto: solo voi donne spartane comandate sugli uomini,
Gorgò rispose: “movnai ga;r tivktomen a[ndraς (Plutarco, Vita
di Licurgo, 14), infatti solo noi partoriamo degli uomini.
Gorgò da bambina diede ordini perfino al padre, al re
Cleomene. Lo dissuase dall’ accettare il denaro (50 talenti) che Aristagora di
Mileto gli offriva in cambio di un aiuto militare (Erodoto, V, 52, 2).
Per le etère che vivevano ad Atene si pensi ad Aspasia,
l’amante di Pericle.
Secondo Platone sarebbe
stata Aspasia a comporre il logos epitafios pronunciato da Pericle.
Sentiamo un paio di
passaggi: “La nostra democrazia di fatto è un’aristocrazia con il consenso
della massa. Noi abbiamo sempre avuto dei re. (Il secondo arconte che
presiedeva al culto, aveva il titolo di re). Anche la costituzione ateniese è
in qualce modo mikthv.
Il popolo assegna
cariche e potere a chi gli sembra essere il migliore: nessuno è stato escluso (ajphlevlatai
oujdeivς) per debolezza, povertà, oscurità dei padri, né per motivi opposti (oujde;
toĩς ejnantivoiς) è stato onorato. C’è un solo limite (ei|ς o{roς): ha il potere e le
cariche (krateĩ kai; a[rcei) chi ha la reputazione
di uomo saggio o buono (oJ dovxaς sofo;ς h}
ajgaqo;ς ei\nai (Menesseno , 238d).
La versione completa che
abbiamo è quella redatta da Tucidide (La guerra del Peloponneso, II, 35
- 46),
Ma torniamo Cleopatra nel poema di Lucano
La giovane principessa formae
confisa suae confidando nella propria bellezza va da lui adit
tristis sine ullis lacrimis, triste ma senza lacrime, acconciata di un
finto dolore simulatum compta dolorem (83) quā
decuit (84 )fin dove le stava bene veluti laceros dispersa
capillos, sparsi i capelli, come strappati.
Continua
giovanni ghiselli
[1]” (Engels, L’origine della famiglia,
della proprietà privata e dello Stato, IV edizione del
1891, trad italiana Newton compton, Roma, 1974, pp. 86 - 87)
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