Nel pomeriggio dunque andai in piscina con la bella slava. Giulia era
formosa e venusta in qualunque modo fosse vestita; in costume da bagno però era
una specie di Afrodite serba: alta e snella senza essere secca né mascolina,
con una piccola testa folta di capelli biondi che le incorniciavano un viso
ovale, minuto e illuminato da due grandi occhi cerulei. Inoltre era giovane
molto.
“Eh sì, eh - disse Fulvio una volta - la donna deve essere giovane!”
Stavamo fantasticando al buio nella stanza dello studio tra le camere del
collegio.
Quindi l’amico accese un fiammifero, si illuminò il volto, poi con sguardo
ironico e malizioso aggiunse: “l’uomo no!”
Ricordarlo me lo fa sentire ancora vicino. Ora devo metterci una citazione
antica per non cadere nel soggettivo e per ribadire che i classici parlano di
noi, delle nostre esperienze e ce le chiariscono. Al contrario i cattivi
scrittori confondono, complicano, imbrogliano. Perché non capiscono e non amano
la vita. Proprio come le persone cattive.
Ecco dunque la citazione tratta dall’Oreste di Euripide
tradotto da me parola per parola, con rispetto e con amore. Perché anche gli
autori sui quali ci siamo impegnati, ci diventano cari quanto gli amici.
Euripide e Fulvio, magnifica coppia. L’aedo anche vecchio continuerà a
ricordarli, a citarli, a cantarli.
Oreste dunque dice queste parole riferendosi a Pilade che gli ha offerto il
proprio aiuto
“Questo è quel precetto famoso: procuratevi degli amici, non solo la
parentela/,
poiché un uomo che nel carattere si è fuso insieme, anche se è un
estraneo,/
è migliore di diecimila consanguinei ad aversi quale amico per un uomo”
(804 - 806).
La fusione delle anime è la quintessenza anche dell’amore.
Ebbene la Venere di Novi Sad non aveva ancora compiuto venti anni.
Se ci fosse stato Fulvio mi avrebbe esortato ad acciuffarla come si deve
fare con il kairov", il momento opportuno, l’occasione che è
calva di dietro.
Calvo e bastonato invero rischiavo di rimanere io continuando a soffrire
per una lettera che non arrivava e pur se fosse arrivata sarebbe stata
imbrattata da parole false.
Ma Fulvio purtroppo non c’era e io, desolato com’ero e mentalmente
imprigionato da Ifigenia, pensavo che ci fosse il massimo di forza e di vita
nella sua epidermide bruna, nei capelli violacei, negli occhi neri come prugne,
nella bocca rossa, ridente e fresca come i lamponi che coglievo e succhiavo nei
boschi di Moena da bambino.
Di quella giovane donna allora ricordavo solo i momenti migliori: quando
tendeva le braccia verso di me come una rosa in boccio si stende sul proprio
stelo ai soffi fecondatori dell’aria già tiepida.
Nella bionda di Novi Sad non trovavo una fonte di vita altrettanto sapida e
deliziosa per il mio gusto che le finlandesi avevano raffinato con i loro
sapori forti e delicati.
Poi loro tre sono sparite fisicamente e Ifigenia dopo Debrecen non mi
appariva più come un miracolo: non mi piaceva più.
gianni
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