venerdì 18 settembre 2020

Debrecen 1979. 41. Giulia, Isabella e Ifigenia


Giulia, Isabella e Ifigenia

 

Eppure mentre scendevo le scale volgevo in testa, e pure nel corpo, pensieri di odio e di morte: “Numquam omine laeto revertor. Tu me, scelerata, peremisti”.

Nell’atrio c’era Giulia che avevo invitato a venire con me in piscina.

Nel dolore in cui mi gettava la lettera ogni giorno invano sperata e attesa, l’idea di un successo con la bella giovane slava mi compensava in qualche misura, e il pensiero che avrei potuto contraccambiare il probabile tradimento dell’amante infedele con una non tanto meno bella di lei, era un balsamo che attenuava il dolore della bastonata terribile che ogni giorni mi percuoteva più volte la persona tribolata dal prolungato e doloroso silenzio epistolare.

Arzigogoli e calcoli che si fanno, ora comprendo, quando si vive un amore malato. Dopo due ore di piscina, piene di parole insignificanti e tetri pensieri, andai nello stadio per correre i 5000 metri che mi facevano bene, mi curavano l’anima. Isabella gentilmente mi accompagnò per prendermi il tempo. Era molto carina umanamente ma la tuta non le donava, anzi accentuava i suoi difetti somatici mentre la sua parte più bella: i lunghi capelli castani e luminosi, raccolti e stretti dietro la cuticagna non facevano la solita bella figura. Per contrasto mi venne in mente Ifigenia: di lei la veste ginnica - un ossimoro quasi voluto - metteva in risalto la venustà delle forme: le gambe lunghe, tornite e snelle, le natiche alte e sode, il petto superbo, il collo eretto, il piccolo viso ovale incorniciato da capelli nerissimi. Della bellezza sono stato bramoso e mendicante da sempre, ma dopo averla assaggiata in certi corpi ne sono diventato ghiottissimo e il mio insatiabilis rictus, la fauce insaziabile degenerata spesso in grugno ingordo non si stancava mai di tale sapore.

 

giovanni ghiselli.

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