Giulia, Isabella e Ifigenia
Eppure mentre scendevo le scale
volgevo in testa, e pure nel corpo, pensieri di odio e di morte: “Numquam
omine laeto revertor. Tu me, scelerata, peremisti”.
Nell’atrio c’era Giulia che avevo
invitato a venire con me in piscina.
Nel dolore in cui mi gettava la
lettera ogni giorno invano sperata e attesa, l’idea di un successo con la bella
giovane slava mi compensava in qualche misura, e il pensiero che avrei potuto
contraccambiare il probabile tradimento dell’amante infedele con una non tanto
meno bella di lei, era un balsamo che attenuava il dolore della bastonata
terribile che ogni giorni mi percuoteva più volte la persona tribolata dal
prolungato e doloroso silenzio epistolare.
Arzigogoli e calcoli che si fanno,
ora comprendo, quando si vive un amore malato. Dopo due ore di piscina, piene
di parole insignificanti e tetri pensieri, andai nello stadio per correre i
5000 metri che mi facevano bene, mi curavano l’anima. Isabella gentilmente mi
accompagnò per prendermi il tempo. Era molto carina umanamente ma la tuta non
le donava, anzi accentuava i suoi difetti somatici mentre la sua parte più
bella: i lunghi capelli castani e luminosi, raccolti e stretti dietro la
cuticagna non facevano la solita bella figura. Per contrasto mi venne in mente
Ifigenia: di lei la veste ginnica - un ossimoro quasi voluto - metteva in
risalto la venustà delle forme: le gambe lunghe, tornite e snelle, le natiche
alte e sode, il petto superbo, il collo eretto, il piccolo viso ovale
incorniciato da capelli nerissimi. Della bellezza sono stato bramoso e
mendicante da sempre, ma dopo averla assaggiata in certi corpi ne sono
diventato ghiottissimo e il mio insatiabilis rictus, la fauce
insaziabile degenerata spesso in grugno ingordo non si stancava mai di tale
sapore.
giovanni ghiselli.
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