Ultimo canto di Saffo |
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Il potere della bellezza. L'aspetto
L’amore.
Un autore non nasce classico né
educatore, ma lo diventa
La letteratura deve educare le
emozioni
Leopardi approva il patetico dei
classici in quanto ricco di naturalezza e sensibilità
L’aspetto
A proposito del rapporto tra
bellezza e genio, virili imprese, virtù, Leopardi afferma la
supremazia della prima nell'Ultimo canto di Saffo[1] dove
la poetessa, alter ego di Leopardi, constata che il potere è dei belli: "Alle
sembianze il Padre,/alle amene sembianze eterno regno/diè nelle genti; e
per virili imprese,/per dotta lira o canto,/virtù non luce in disadorno
ammanto," (vv. 50 - 54).
In definitiva, come scrive Simonide
citato da Adimanto, fratello di Platone nella Repubblica l'apparire
violenta anche la verità: "to; dokei'n... kai; ta;n ajlavqeian
bia'tai" (365c).
Isocrate (436 - 338 a. C.)
prende spunto dal magnifico aspetto di Elena per elogiare la bellezza come
"semnovtaton kai; timiwvtaton kai; qeiovtaton tw'n o[ntwn" (Elena, 54), la più
veneranda, la più preziosa e la più divina tra le cose esistenti. Essa si
incarna nelle persone belle verso le quali, appena le vediamo, siamo benevoli,
e non ci stanchiamo di venerarle, come se fossero dèi, anzi preferiamo
asservirci a loro che comandare gli altri (Elena , 56 - 57). Zeus
stesso, signore del tutto, non sdegna di farsi umile pur di accostarsi alla
bellezza ("pro;" to; kavllo" tapeino;"
genovmeno"", 59).
Infatti prese diversi aspetti, anche
di bestie e di cose, per unirsi a donne mortali.
Il terzo canto dell'Iliade propone
il contrasto tra apparenza e sostanza.
In testa all'esercito troiano si fa
vedere Paride con l'aspetto di un dio (qeoeidhv" , v. 16), con pelle di pantera
sopra le spalle, arco ricurvo e spada, e, per giunta, squassando due lance a
punta di bronzo il bellimbusto sfidava tutti i campioni degli Achei. Ma quando
Menelao, contento della preda, saltò a terra dal carro per affrontarlo, il
bellone sbigottì in cuore e si ritirò presso i compagni. Allora Ettore lo
assalì con parole infamanti: lo chiama Duvspari e gli dà del donnaiolo (gunaimanev") e seduttore (hjperopeutav v. 39), uomo di aspetto
splendiodo (ei\do" a[riste), smentito però da un cuore senza forza né valore
(45), in quanto era uomo capace di portare via le donne agli uomini bellicosi
ma non di affrontarli.
Allora Paride gli risponde di non
biasimarlo e non rinfacciargli i doni amabili dell'aurea Afrodite (mhv moi dw'r j
ejrata; provfere crusevh" jAfrodivth"", 64): nemmeno per te sono spregevoli i
magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, v. 65) che del resto nessuno può scegliersi.
Quindi si presta ad affrontare in
duello il rivale Menelao.
Archiloco , nel cantare la
guerra con spirito nuovo, usa il dialetto ionico di Omero e si avvale della sua
lezione formale, ma presenta una visione diversa dell'onore e della gloria
militare.
Per quanto riguarda l’aspetto del
soldato, vediamo il frammento 60D.:
"non amo lo stratego grande né
dall'incedere tronfio
né compiaciuto dei riccioli, né ben
rasato;
ma per me sia pur piccolo, e storto
di gambe
L’amore
Leopardi nella Storia del genere umano valuta l’amore come
un grande beneficio concesso da Amore, figliuolo di Venere Celeste. E
spiega:" Quando viene in sulla terra sceglie i cuori più teneri e più
gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio;
diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti nobili
e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa del tutto nuova
nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine.
Rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un
medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benché
pregatone con grandissima istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove[3] non gli consente di
compiacergli, trattone alcuni pochi; perché la felicità che nasce da tale
beneficio è di troppo breve intervallo superata dalla divina. A ogni modo,
l'essere pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata condizione
fosse in alcuno uomo ai migliori tempi".
Per quanto riguarda Venere celeste, cfr. il Simposio di Platone.
All’apertura di Fedro che è il path;r tou' lovgou (177 d 5), il padre del dibattito, segue
il discorso di Pausania (180 c 4 - 185 c 3) che fu un discepolo
del sofista Prodico e giustifica l'Eros pederastico.
Amore non è unico ma duplice
come Afrodite: c'è un Eros Uranio o Celeste, compagno di Afrodite Urania,
figlia del Cielo, quindi generata solo dal maschio; e c'è un Eros Pandemio,
Volgare, complice (sunergov", 180 e) di
Afrodite Pandemia figlia di Zeus e Dione.
Soltanto l'amore celeste deve essere
elogiato. Quello volgare infatti ama i corpi più delle anime e si volge tanto
ai fanciulli quanto alle donne; inoltre agisce a casaccio senza tendere al
bene. Chi segue Eros Celeste invece ama i maschi nei quali ammira la natura più
forte e l'intelligenza più viva, l'anima più che il corpo, e tende al
perfezionamento dell'amato. E' dunque buona cosa che l'amato conceda i propri
favori all'amante in vista della sapienza e della virtù.
Un autore non nasce classico né
educatore, ma lo diventa.
Che i classici rappresentino
qualcosa periculosum maxime è stato splendidamente ricordato
da Leopardi: "E' un curioso andamento degli studi umani, che i geni
più sublimi e irregolari, quando hanno acquistato fama stabile e universale,
diventino classici, cioè i loro scritti entrino nel numero dei
libri elementari, e si mettano in mano de' fanciulli, come i trattati più
secchi e regolari delle cognizioni esatte"[4].
Si può pensare allo stesso Leopardi oppure a Euripide.
La letteratura deve educare le
emozioni rappresentandole. Leopardi approva il patetico dei classici in
quanto ricco di naturalezza e sensibilità, al contrario “nei poeti romantici
abbonda un patetico che è spoglio in tutto di intima spontanea ritrosa
dolcissima sensibilità”
Telemaco, sentendo parlare affettuosamente del padre, non poté
resistere al desiderio di piangere e, per non farlo vedere, si alzava il
mantello di porpora davanti agli occhi (Odissea, IV, v. 115).
Un gesto simile farà Odisseo alla corte di Alcinoo sentendo Demodoco
cantare la lite che egli stesso fece con Achille Pelide (Odissea , VIII, vv. 75 e sgg.)
Leopardi nota la poeticità di questa situazione e di altre
simili " chi non sente come sia poetico quello scendere di
Penelope dalle sue stanze[5] solamente perch'ha udito il
canto di Femio, a pregarlo acciocché lasci quella canzone che racconta il
ritorno de' Greci da Troia, dicendo com'ella incessantemente l'affanna per la
rimembranza e il desiderio del marito, famoso in Grecia ed in Argo; e le
lagrime di Ulisse udendo a cantare i suoi casi, che volendole occultare,
si cuopre la faccia, e così va piangendo sotto il lembo della veste finattanto
ch'il cantore non fa pausa, e allora asciugandosi gli occhi, sempre che il
canto ricomincia, si ricuopre e ripiange; e cento altre cose di questa
fatta?"[6].
U. Galimberti ha scritto[7]:
"perché leggere Petrarca e Leopardi, Pirandello o Primo Levi? A
quell'età la letteratura o è educazione delle emozioni, o altrimenti
val la pena di gettarla, e piazzare tutti gli studenti davanti a un computer e
renderli efficienti in questa pratica visivo - manuale".
Senza l’educazione delle letture
infatti, invece delle emozioni e dei sentimenti, i giovani provano impulsi che
possono anche spingerli a fare, o a farsi, del male. Gli impulsi vanno educati,
non repressi: “Ogni impulso che tentiamo di soffocare, germoglia nella mente,
ci intossica”[8].
Il discorso sulla problematicità
dell'essere umano può essere annunciato dallo squillo iniziale del primo
Stasimo dell'Antigone: "polla; ta; deina; koujde;n ajn - qrwvpou
deinovteron pevlei" (vv.
332 - 333), molte sono le cose inquietanti e nessuna è più inquietante
dell'uomo.
I giovani spesso devono soffocare i
sentimenti per essere accettati.
Dobbiamo invece educarli,
incoraggiarli e istruirli a esprimere i loro affetti.
Ricorriamo al campo che è nostro, e
vediamo il caso della povera Ottavia, la giovinetta figlia di Claudio e
Messalina, moglie e vittima di Nerone, ragazzo manovrato dalla madre e dai
pedagoghi[9] in
un ambiente dove c'erano pugnali perfino nei sorrisi[10]:
"Octavia quoque, quamvis rudibus annis, dolorem caritatem omnes
adfectus abscondere didicerat" ( Annales, XIII, 16),
anche Ottavia, sebbene non scaltrita dall'età[11],
aveva imparato a nascondere la pena, l'amore e tutti i sentimenti.
Pesaro 6 settembre 2020 ore 10, 55
giovanni ghiselli
p. s.
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[2]Questa alta valutazione del cuore e del sentimento si ritroverà, com'è
noto, negli autori dello Sturm und drang e del romanticismo: Goethe
ne I dolori del giovane Werther scrive(9 maggio 1772): "egli
apprezza la mia intelligenza ed i miei talenti più del mio cuore, che è pure
l'unica cosa della quale sono superbo, che è pure la fonte di tutto, di ogni
forza, di ogni beatitudine e di ogni miseria. Ah, quello che io so, lo può
sapere chiunque - ma il mio cuore lo possiedo io solo".
[9] Soprattutto da Seneca di cui
del resto mi sono servito in questo lavoro in quanto me ne sono avvalso
personalmente quale educatore, mio e dei miei studenti.
[10] Cfr. Shakespeare, Macbeth: "There' s daggers in
men's smile" II, 4. Alla SSIS di Bologna ho fatto una lezione comparativa partendo da questa
tragedia.
[11] Tacito ha appena raccontato l’avvelenamento di Britannico da parte di
Nerone. Siamo nel 55 d. C. e Ottavia ha solo quindici anni.
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