J.H. Füssli, Le tre streghe (Macbeth, I, 3) |
Argomento
La preghiera nera di
Erichto confrontabile con quella della nipote di Circe nel primo atto
della Medea di Seneca e con quella delle streghe del Macbeth
Erichto risponde
che fata minora si possono smuovere ma da quando c’è la causarum
series (612) la serie concatenata delle cause omnia fata
laborant si quidquam mutare velis (612 - 613) e tutti i destini
soffrono se vuoi cambiare qualcosa, plus Fortuna potest (615),
la Fortuna si è fatta più potente della magia tessala.
Seneca: “dicimus
seriem esse causarum ex quibus nectitur fatum (Ep.19, 6), diciamo
che c’è la serie delle cause che forma la trama del destino. Una trama, un
ordito di ferro
Il futuro comunque
è dato conoscerlo. Si può anche fare parlare uno morto da poco ut ora
plena voce sonent nec membris sole perustis - auribus incertum strideat feralis
umbra (622 - 623)
Dopo avere detto questo,
la strega raddoppia con la magia le tenebre della notte e con la testa lugubre
coperta da una nuvola sudicia va errando in mezzo ai cadaveri degli insepolti.
Fuggono i lupi e gli uccelli da preda mentre la donna cerca il morto che farà
da profeta. Finalmente sceglie un cadavere, gli annoda un laccio intorno alla
gola, vi inserisce un uncino e lo trascina sotto la roccia di una caverna.
Dentro la grotta marciscono tenebre torpide marcentes intus tenebrae (646).
E’ l’anticamera del mondo dei morti. La coma horrida di Eritto
è stretta sul collo da una ghirlanda di vipere. Sesto Pompeo e i compagni hanno
paura e la strega li rimprovera: “quis timor ignavi, metuentis cernere mames?”
666. Sono, loro, i morti che hanno paura di me. Eritto apre nuove ferite nel
cadavere, lava le viscere togliendo la putredine e versa umore di luna - abluit
et virus large lunare ministrat (669) mescola tutto quanto la natura
ha generato con un parto sinistro: bava di cani idrofobi, spuma canum,
viscere di linci, vertebra di iena spietata, midolla di cervo nutrite da un
serpente, il pesce remora che trattiene la nave anche se spinta dal vento,
occhi di drago, sassi che crepitano intiepiditi da uccello che cova, il
serpente alato degli Arabi, la vipera marina che nasce nel mar Rosso, custode
della preziosa conchiglia, la pelle di una cerasta - vipera cornuta cfr. kevra", corno - di Libia.
In Dante le “feroci
Erine - “serpentelli e ceraste avean per crine” - Inferno 9, 41.
Quindi la cenere di una
Fenice posatasi su un altare d’ Oriente
A questi flagelli
aggiunge fronde impregnate di formule nefande et quibis os dirum
nascentibus inspuit herbas - addidit (683 - 684) e aggiunse erbe su
cui la sua bocca tremenda aveva sputato quando nascevano.
Poi la sua voce esprime
borbottii dissonanti
“Latratus habet illa
canum gemitusque luporum” (688) quella contiene latrati cani e ululati
di lupi, il verso del gufo inquieto e di strige notturna, lo stridere e
l’ululare delle fiere, il sibilare dei serpenti. Esprime pure i lamenti
dell’onda frantumata dagli scogli - exprimit et planctus illisae cautibus
undae - (691), e i tuoni della nuvola che si spacca fractaeque
tonitrua nubis (692). La sua lingua penetra nel Tartaro con parole rivolte
alle Eumenidi, all’empietà dello Stige, alla Pena dei colpevoli, “et Chaos
innumeros avidum confundere mundos - 696 e a Plutone rector terrae (697)
tormentato dal fatto che la morte degli altri dèi è differita in un tempo
lontano, poi ai campi Elisi quos nulla meretur - Thessalis Elysios (698
- 699), che nessuna donna tessala si merita, e a Persefone caelum
matremque perosa - Persephone (699 - 700), che ha odiato il
cielo e la madre. A Ecate è il tratto d’unione tra Eritto e i morti, poi a Eaco
che getta al cane Cerbero le viscere offerte “tuque o flagrantis portitor
undae”, a Caronte (704) traghettatore dell’onda infuocata, vecchio
affaticato dalle ombre che tornano indietro da me iam lassate senex ad
me redeuntibus umbrae (705)
Dunque exaudite
preces (706). Io infatti vos satis ore nefando - pollutoque
voco (706 - 707) vi invoco con bocca abbastanza nefanda e lorda, e
canto formule magiche numquam fibris humanis ieiuna (708),
se piena del dio nel petto ho lavato interiora tagliate quando il cervello era
ancora caldo, se ogni bambino quisquis infans che ho messo sulle
vostre scodelle - vestris lancibus[1]
- con testa e viscere sarebbe sopravvissuto se non fosse stato per me
Dunque: parete
precanti 711, obbedite a me che vi prego.
giovanni ghiselli
p. s
a chi le vuole manderò
le preghiere nere di Medea e delle streghe del Macbeth
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