Nuovo discorso di Catone: il capo si presenta come il primo nell’affrontare
i pericoli. Motivi ecologici: il disboscamento, la siccità, il caldo eccessivo,
il vento implacabile.
Sesto Pompeo rimase con i suoi sulle spiagge migliori (in Tunisia).
L’impaziente virtù di Catone che aveva perduto le navi invece si mise in
marcia. L’inverno libico non faceva temere il freddo né il caldo
Catone parla ai soldati e chiede loro “componite mentes - ad magnum
virtutis opus summosque labores” 380 - 381. Andremo dove è nimius
Titan et rarae in fontibus undae, siccaque arva letiferis squalent serpentibus (383
- 384) il sole è eccessivo e l’acqua è rara nelle fonti campo secchi sono irti
di serpenti letali.
Durum iter ad leges (385) duro è il percorso verso
la legalità. Ma a noi ire sat est, basta l’andare. Catone promette
che sarà il primo ad affrontare i pericoli aprendo la strada - primus
harenas - ingrediar primusque gradus in pulvere ponam (394 - 395).
Il calore del cielo colpisca me - me calor aetherius ferat, mihi
plena veneno - occurrat serpens, venga contro di me la serpe carica di
veleno. Insomma saggiate con il mio destino i pericoli vostri - fatoque
pericula vestra - praetemptate meo” 397 - 398.
Catone ribadisce che sarà sempre davanti a tutti: Serpens, sitis,
ardor, harenae - dulcia virtuti (402 - 403) gaudet patientia duris gioisce
la sopportazione per le durezze. Tutte le difficoltà sono gradite al valore.
L’onesto riesce più piacevole tutte le volte che costa di più (404)
Solo la Libia con la massa dei mali può mostrare come si addica essere
stati in fuga a uomini veri Sola potest Lybie turbā malorum potest
praestare ut deceat fugisse viros (405 - 406). Chiede un riscatto
rispetto alla sconfitta subìta a Farsalo.
Così accese con la virtù e l’amore delle fatiche gli animi già caldi
- Sic ille calentis - incendit virtute animos et amore laborum (406
- 407) e al confine del desrto carpit irreducem viam - prende la
via senza ritorno.
La Libia è tertia pars rerum (411) la terza parte
della terra, a quanto comunemente si dice, ma se guardi ai venti e al
clima pars erit Europae.
L’Asia da sola è più grande di Europa e Libia. L’Asia discedit in
ortus va verso oriente
La parte fertile della Libia vergit in occasus (421)
volge a occidente
E’ una terra non corrotta dalla ricerca di ricchezze: in nullas
vitiatur opes (424) non aere nec auro - excoquitur (424
- 425) non viene cotta per il rame e per l’oro
Il disboscamento
Il motivo ecologico in Lucano, Seneca e Stazio
Denuncia del disboscamento che toglie l’ombra e fa piangere la terra.
Lucano, Seneca e Stazio
Le ricchezze di quella gente sono solo le querce di Mauritania - tantum
Maurusia genti - robora divitiae (426 - 427) che però non ne
conoscevano l’uso ma si accontentavano delle chiome e dell’ombra del
cedro sed citri contenta comis vivebat et umbra (428) .
Ma le nostre scuri sono arrivate nel bosco sconosciuto - in nemus
ignotum nostrae venere secures (429) extremoque epulas
mensasque petimus ab orbe (430) e abbiamo chiesto cibi e mense ai
confini del mondo (430)
Motivo ecologico presente anche nella Medea di Seneca e
nella Tebaide di Stazio dove gli autori deplorano i
disboscamenti fatti per costruire navi o pire
"Quisquis audacis tetigit carinae/nobiles remos, nemorisque
sacri/Pelion densa spoliavit umbra; quisquis intravit scopulos
vagantes,/et tot emensus pelagi labores,/barbara funem religavit ora,/raptor
externi rediturus auri:/exitu diro temerata ponti/iura piavit./Exigit poenas
mare provocatum " (vv. 608 - 616), tutti quelli che toccarono i
remi famosi della nave audace, e spogliarono il Pelio dell'ombra densa della
foresta sacra; chiunque passò tra gli scogli vaganti[1] e,
attraversati tanti travagli del mare, gettò l'ancora su una barbara spiaggia,
per tornare impossessatosi dell'oro straniero: con morte orribile espiò le
violate leggi del mare. Fa pagare il fio il mare provocato.
Nella Tebaide di Stazio
la terra soffre il disboscamento dovuto alla costruzione di una pila colossale
per il piccolo Ofelte: “ dat gemitum tellus”(VI, 107),
ne piange la terra. Pale, dea dei campi e Silvano signore dell’ombra della
foresta (arbiter umbrae, v. 111) abbandonano piangendo i cari luoghi del
loro riposo (linquunt flentes dilecta locorum/otia, vv. 110 - 111),
mentre le Ninfe abbracciate ai tronchi degli alberi non vogliono lasciarli: “nec
amplexae dimittunt robora Nymphae” (v. 113).
Nell’Achilleide Stazio
ricorda che la costruzione della flotta necessaria alla guerra contro Troia
spogliò delle loro ombre i monti e li rimpicciolì: “Nusquam umbrae veteres:
minor Othrys et ardua sidunt/ Taygeta, exuti viderunt aëra montes./Iam natat
omne nemus” (I, 426 - 428), in nessun luogo le antiche ombre: è più piccolo
l’Otris e si abbassa l’erto Taigeto, e i monti spogliati videro l’aria. Oramai
ogni monte galleggia.
Motivo ecologico della siccità
Ma qualunque costa affacciata sulla Sirte at quaecumque ora
sub nimio proiecta die, distesa sotto un sole eccessivo, vicina
perusti aetheris, posta vicine a un etere riarso exurit messes et
pulvere Bacchum - enecat et nulla putris radice tenetur (434 - 435)
brucia le messi e con la sabbia fa morire la vite e la polvere non è trattenuta
da nessuna radice.
Temperies vitalis abest (435) manca il clima adatto
alla vita, natura desĭde torpet (436) la natura è intorpidita
nell’ozio.
Gli abitanti Nasamòni gens dura, vivono di rapine ai
danni dei naufraghi (439)
Infatti il saccheggiatore incombe sul litorale sabbioso - Nam litoreis
populator harenis - imminet (441 - 442). La dura virtus comanda
a Catone di andare da questa parte. Ai soldati che non temevano le tempeste
questo ambiente invece fa paura. Il vento non è trattenuto da alture né da alberi
–liberque meatu - aeoliam rabiem totis exercet haremis (454 - 455)
e libero nel movimento esercita su tutte le sabbie la rabbia di Eolo.
Con la polvere vorticata fa girare violento una nube che non porta
pioggia non imbriferam nubem (455)
Pars plurima terrae tollitur una gran
quantità grandissima di terra viene sollevata dal suolo. I poveri Nasamòni
della costa vedono i loro regni erranti nel vento “Regna videt pauper
Nasamon errantia vento” (458) discussasque domos e le loro
abitazioni fatte a pezzi (459), e le capanne dei Garamanti che abitano
all’interno della regione volitantque a culmine raptae –detecto
Garamante casae , svolazzano afferrate dal tetto lasciandoli privi di
copertura.
La sabbia occupa il cielo quanto il
fumo e ugualmente oscura la luce del sole. Il vento come un nemico attacca la
schiera romana più violento che mai - romanum solito violentior agmen - aggreditur
- e il soldato non può avere stabilità raptis etiam quas calcat harenis (465)
dal momento che viene trascinata via anche quella su cui poggia i piedi
[1] Le Simplegadi
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