Argomenti
L’uomo come problema. Positività del
dubbio. Le Filippiche di Cicerone quali ultimo monumento della
libertà antica. Seguì, negli autori successivi, l’adulazione del potere. Il più
libero rimase Lucano.
L’uomo come problema e la
positività del dubbio.
"Alla luce di questa
drammaturgia, l'uomo non appare delineato come una natura stabile, un
essere che si potrebbe delineare e definire, ma come un problema; assume
la forma di un'interrogazione, di una serie di domande. Creatura ambigua,
enigmatica, sconcertante, al tempo stesso agente e agito, colpevole e
innocente, libero e schiavo, destinato per la sua intelligenza a dominare
l'universo e incapace di dominare se stesso, l'essere umano, unendo in sé il
meglio e il peggio, può essere qualificato come un deinov~ , nei due sensi del termine:
meraviglioso e mostruoso"[1].
L’eroe tragico, come Edipo per
esempio, oscilla tra l’essere uguale a Dio e uguale al nulla.
Leopardi ha rappresentato in termini
analoghi la donna che impersona la Natura: “Ma, fattosi più da vicino, trovò
che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto
ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma
viva; di volto mezzo tra il bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi:
la quale guardavalo fissamente”[2].
Leopardi cita Cartesio a proposito
della necessità del dubbio: “Le verità contenute nel mio sistema non
saranno certo ricevute generalmente, perché gli uomini sono avvezzi a pensare
altrimenti, e al contrario, né si trovano molti che seguono il precetto di
Cartesio: l’amico della verità debbe una volta in sua vita dubitar di
tutto. Precetto fondamentale per li progressi dello spirito umano. Ma se le
verità ch’io stabilisco avranno la fortuna di essere ripetute, e gli animi vi
si avvezzeranno, esse saranno credute, non tanto perché sien vere, quanto per
l’assuefazione”[3].
“In molte pagine dello Zibaldone,
Leopardi mette in dubbio ogni sistema: anche quelli che ha più cari o che
posseggono più rilievo. “Il mio sistema” scriveva già nel settembre 1821
“introduce non solo uno Scetticismo ragionato e dimostrato, ma tale che,
secondo il mio sistema, la ragione umana per qualsivoglia processo possibile,
non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo; anzi esso contiene il vero, e
si dimostra che la nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non
dubitando; ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e
che non solo il dubbio giova a scoprire il vero… ma il vero consiste
essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere”[4].
“Piccolissimo è quello spirito che
non è capace o è difficile al dubbio”[5].
Pasolini: “I miei film non mirano ad avere un senso compiuto. Finiscono
sempre con una domanda”[6] .
Nell’Apologia di Platone leggiamo: “la vita senza ricerca non è
degna di essere vissuta” (38a).
Cherefonte, andato a Delfi, domandò
se esistesse qualcuno più sapiente di Socrate. La Pizia rispose nessuno ( ajnei`len hJ
Puqiva mhdevna, Apologia,
21 a). E aveva ragione perché poi interrogando diversi politici e uomini che
avevano fama di essere sapienti, vedevo che non lo erano e nemmeno se ne
rendevano conto.
Non avevano dubbi.
Nel prologo del Fedro Socrate dice a Fedro che se non credesse
al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci
credono oiJ sofoiv, non sarebbe
l’uomo strano (a[topo~), fuori luogo, che è
(229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o
dall’Areopago. E’ un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve
raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le
stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero che io non
ho: ejmoi; de; pro;~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Ed ecco il dubbio di fondo.
Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to;
Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv
moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria
skopei`n . Dunque dico addio a tali questioni, esamino me
stesso skopw` ejmautovn, per vedere se
per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o
se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per
natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a)
“Lo sviluppo dell’intelligenza
generale richiede di legare il suo esercizio al dubbio[7], lievito
di ogni attività critica (…) Comporta anche quell’intelligenza che i Greci
chiamano métis[8],
“insieme di attitudini mentali…che combinano l’intuizione, la sagacia, la previsione,
l’elasticità mentale, la capacità di cavarsela, l’attenzione vigile, il senso
dell’opportunità… “Unico punto pressochè certo nel naufragio (delle antiche
certezze assolute): il punto interrogativo”, ci dice il poeta Salah Stétié”[9].
La libertà e gli autori dell’età
imperiale
Per quanto riguarda la libertà e il
servilismo, sentiamo: “ Le Filippiche di Cicerone ,
contengono l’ultima voce romana, sono l’ultimo monumento della libertà
antica, le ultime carte dov’ella sia difesa e predicata apertamente e
senza sospetto ai contemporanei. D’allora in poi la libertà non fu più oggetto
di culto pubblico, né delle lodi e insinuazioni degli scrittori (…) E infatti
colla libertà romana spirò per sempre la libertà delle nazioni civilizzate.
Quelli che vennero dopo, la celebrarono nel passato come un bene, la
biasimarono e detestarono nel presente come un male. I suoi fautori antichi
furono esaltati nelle storie, nelle orazioni, nei versi, come Eroi: i moderni
biasimati ed esecrati come traditori (Zibaldone, 459 e 460)
“Se non altro non si potè più né
lodare né insinuare e inculcare la libertà ai contemporanei espressamente, e la
libertà non fu più un nome pronunziabile con lode, riguardo al presente e al
moderno. Quando anche non tutti si macchiassero della vile adulazione di
Velleio, e Livio fosse considerato come Pompeiano nella sua storia, e
sieno celebrati i sensi generosi di Tacito, ec. Ma neppur egli troverebbe
che, sebbene condanna la tirannia, lodi mai la libertà in persona propria. Dei
poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro. Adulatori per lo più de’
tiranni presenti, sebbene lodatore degli antichi repubblicani.
Il più libero è Lucano” (Zibaldone 463).
giovanni ghiselli
[7] Montaigne che cita Dante: “Che, non men che saver, dubbiar
m’aggrata”, Divina Commedia, Inferno XI, v. 93.
[8] M. Detienne, J. - P. Vernant, Le astuzie dell’intelligenza
nell’antica Grecia, tr. It. Laterza, Roma - Bari 1984.
Nessun commento:
Posta un commento