lunedì 7 settembre 2020

Leopardi e i classici 7. Conferenza di Cento (12 settembre ore 17)


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Argomenti
L’uomo come problema. Positività del dubbio. Le Filippiche di Cicerone quali ultimo monumento della libertà antica. Seguì, negli autori successivi, l’adulazione del potere. Il più libero rimase Lucano.

L’uomo come problema e la positività del dubbio.
"Alla luce di questa drammaturgia, l'uomo non appare delineato come una natura stabile, un essere che si potrebbe delineare e definire, ma come un problema; assume la forma di un'interrogazione, di una serie di domande. Creatura ambigua, enigmatica, sconcertante, al tempo stesso agente e agito, colpevole e innocente, libero e schiavo, destinato per la sua intelligenza a dominare l'universo e incapace di dominare se stesso, l'essere umano, unendo in sé il meglio e il peggio, può essere qualificato come un deinov~ , nei due sensi del termine: meraviglioso e mostruoso"[1]
L’eroe tragico, come Edipo per esempio, oscilla tra l’essere uguale a Dio e uguale al nulla.

Leopardi ha rappresentato in termini analoghi la donna che impersona la Natura: “Ma, fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra il bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi: la quale guardavalo fissamente”[2].

Leopardi cita Cartesio a proposito della necessità del dubbio: “Le verità contenute nel mio sistema non saranno certo ricevute generalmente, perché gli uomini sono avvezzi a pensare altrimenti, e al contrario, né si trovano molti che seguono il precetto di Cartesio: l’amico della verità debbe una volta in sua vita dubitar di tutto. Precetto fondamentale per li progressi dello spirito umano. Ma se le verità ch’io stabilisco avranno la fortuna di essere ripetute, e gli animi vi si avvezzeranno, esse saranno credute, non tanto perché sien vere, quanto per l’assuefazione”[3].

“In molte pagine dello Zibaldone, Leopardi mette in dubbio ogni sistema: anche quelli che ha più cari o che posseggono più rilievo. “Il mio sistema” scriveva già nel settembre 1821 “introduce non solo uno Scetticismo ragionato e dimostrato, ma tale che, secondo il mio sistema, la ragione umana per qualsivoglia processo possibile, non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo; anzi esso contiene il vero, e si dimostra che la nostra ragione non può assolutamente trovare il vero se non dubitando; ch’ella si allontana dal vero ogni volta che giudica con certezza; e che non solo il dubbio giova a scoprire il vero… ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere”[4].
“Piccolissimo è quello spirito che non è capace o è difficile al dubbio”[5].

Pasolini: “I miei film non mirano ad avere un senso compiuto. Finiscono sempre con una domanda”[6] .

Nell’Apologia di Platone leggiamo: “la vita senza ricerca non è degna di essere vissuta” (38a).
Cherefonte, andato a Delfi, domandò se esistesse qualcuno più sapiente di Socrate. La Pizia rispose nessuno ( ajnei`len hJ Puqiva mhdevnaApologia, 21 a). E aveva ragione perché poi interrogando diversi politici e uomini che avevano fama di essere sapienti, vedevo che non lo erano e nemmeno se ne rendevano conto.
Non avevano dubbi.

Nel prologo del Fedro Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~), fuori luogo, che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. E’ un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero che io non ho: ejmoi; de; pro;~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Ed ecco il dubbio di fondo.
Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n . Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a)

“Lo sviluppo dell’intelligenza generale richiede di legare il suo esercizio al dubbio[7], lievito di ogni attività critica (…) Comporta anche quell’intelligenza che i Greci chiamano métis[8], “insieme di attitudini mentali…che combinano l’intuizione, la sagacia, la previsione, l’elasticità mentale, la capacità di cavarsela, l’attenzione vigile, il senso dell’opportunità… “Unico punto pressochè certo nel naufragio (delle antiche certezze assolute): il punto interrogativo”, ci dice il poeta Salah Stétié”[9].

La libertà e gli autori dell’età imperiale

Per quanto riguarda la libertà e il servilismo, sentiamo: “ Le Filippiche di Cicerone , contengono l’ultima voce romana, sono l’ultimo monumento della libertà antica, le ultime carte dov’ella sia difesa e predicata apertamente e senza sospetto ai contemporanei. D’allora in poi la libertà non fu più oggetto di culto pubblico, né delle lodi e insinuazioni degli scrittori (…) E infatti colla libertà romana spirò per sempre la libertà delle nazioni civilizzate. Quelli che vennero dopo, la celebrarono nel passato come un bene, la biasimarono e detestarono nel presente come un male. I suoi fautori antichi furono esaltati nelle storie, nelle orazioni, nei versi, come Eroi: i moderni biasimati ed esecrati come traditori (Zibaldone, 459 e 460)
“Se non altro non si potè più né lodare né insinuare e inculcare la libertà ai contemporanei espressamente, e la libertà non fu più un nome pronunziabile con lode, riguardo al presente e al moderno. Quando anche non tutti si macchiassero della vile adulazione di Velleio, e Livio fosse considerato come Pompeiano nella sua storia, e sieno celebrati i sensi generosi di Tacito, ec. Ma neppur egli troverebbe che, sebbene condanna la tirannia, lodi mai la libertà in persona propria. Dei poeti, come Virgilio, Orazio, Ovidio non discorro. Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene lodatore degli antichi repubblicani.
Il più libero è Lucano” (Zibaldone 463).

giovanni ghiselli



[1] J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 253.
[2] Dialogo della Natura e di un Islandese, del 1824.
[3] Zibaldone, 1720.
[4] P. Citati, Leopardi, p. 56.
[5] Zibaldone, 1392.
[6] Pasolini, Tutte le Opere, Saggi sulla politica e sulla società, p. 1319
[7] Montaigne che cita Dante: “Che, non men che saver, dubbiar m’aggrata”, Divina Commedia, Inferno XI, v. 93.
[8] M. Detienne, J. - P. Vernant, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia, tr. It. Laterza, Roma - Bari 1984.
[9] E. Morin, La testa ben fatta, pp. 16 - 17 e 55.

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