domenica 6 settembre 2020

Debrecen 1979. 37. Riflessioni sul prato interno alla pista dello stadio


Dopo la corsa mi fermai per riflettere. Mi posi la domanda: quale spinta mi aveva fatto correre bene? Il pensiero che un amore sciagurato fosse finito, oppure il sentimento che Ifigenia nonostante i ritardi fosse ancora la mia compagna e la mia Musa ispiratrice ? Come sempre con la corsa avevo smaltito l’indigestione di angoscia oltre avere bruciato parecchie calorie.
Sentivo di nuovo il profumo esalato da quella giovane donna e il suono della sua voce calda che spesso mi aveva incoraggiato verso le cose egregie. Vedevo il dito della sua mano destra che mi indicava le mete da raggiungere insieme. C’erano state alcune difficoltà, date prima dal marito cerbero ancora presente nella sua vita, poi dai genitori apprensivi, eppure dovevo a lei il meglio della mia vita nei mesi precedenti.
Mi ero disteso sul prato interno alla pista e pensavo. Osservavo il cielo e accarezzavo l’erba ancora umida immaginando che ciascun filo fosse un capello di lei, rorido di gocce celesti e luminoso di sole, oppure un ciglio bagnato di lacrime calde di amore per me.
“Domani arriva sicuramente la lettera sua”, vaticinavo con incauto ottimismo. Quei 19 minuti e 38 secondi impiegati per correre i 5000 metri non era un gran risultato, infatti l’avrei migliorato di molto, ma significavano che non avevo perso la voglia di fare sempre meglio in questa mia vita mortale. Tale volontà sicura e al di sopra di tutto la dovevo a lei e ad alcune altre incontrate dalle due Elene in avanti. Ma l’amore di Ifigenia, mi domandavo ancora, era un Eros Uranio nato da Afrodite Celeste o piuttosto un Cupido pandemio figlio di una Venere volgare?
Comunque mi spingeva a procedere sulla mia via, con metodo. E mi sentivo bene. Sia mentalmente, sia fisicamente. Si doveva vedere siccome, mentre tornavo in collegio, la ragazza Canadese con la quale avevo ballato la prima sera mi salutò sonoramente con un fischio e un complimento indirizzato al mio aspetto.
Oggettivamente non ero né sono mai stato una bellezza assoluta, quindi l’apprezzamento significava che il mio corpo faceva vedere tutto il benessere interno.
Benedissi tutte le mie amanti di qualsiasi divinità fossero state figlie e nipoti.

giovanni ghiselli

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