venerdì 4 settembre 2020

Lucano XXXIII. Pharsalia VI da v. 116 a v. 401

monti della Tessaglia: Meteora

Lucano XXXIII. Introduzione a Lucano. "Pharsalia". Libro VI (versi 116-401)

Argomenti
Scene di guerra. Monti e fiumi della Tessaglia. Il male della navigazione in Lucano e nella Medea di Seneca. In nota il motivo ecologico

Le tribolazioni dei pompeiani vengono attenuate dal vento e dai rifornimenti di grano dal mare che hanno alle spalle
L’esercito di Cesare invece patisce una fame crudele. Il grano non è maturo e i soldati sono costretti a brucare i roveti, a mangiare  foglie, radici, erba, cibi che possono escoriare la gola, bocconi incognita mensis humanis (116). Gli affamati dunque assediano i sazi. Pompeo decide di attaccare di giorno: non oscura petit latebrosae tempora noctis  (Pharsalia, VI, 120)  e disdegna un percorso rubato con un furto al suocero senza combattere - et raptum furto soceri  cessantibus armis dedignatur iter-. Si spinge dunque all’attacco del vallo.
Cfr. Alessandro Magno-A Gaugamela  (ottobre 331)  Dario con un milione di fanti e 40 mila cavalieri aspetta  Alessandro. La regione era piatta. Parmenione voleva attaccare di notte ma Alessandro rispose che era turpe rubare la vittoria e che lui doveva vincere fanerw`~ kai; a[neu sofivsmato~ (Arriano, Anabasi di Alessandro 3, 10, 2) alla luce del sole e senza sotterfugi.
L’eroe vuole apparire schietto, come Achille.

I pompeiani stavano prevalendo ma vi si oppone l’aristia del cesariano Cassio Sceva. Prima di combattere in Gallia “Scaeva viro nomencastrorum in plebe merebat” (144) militava nella truppa, poi fu promosso centurione per il molto sangue versato, era pronus ad omne nefas, incline a ogni nefandezza, et qui nesciret in armisquam magnum virtus crimen civilibus esset ed era uno che non sapeva quanto la virtù sia un grande misfatto nelle guerre civili.
Parla dunque ai compagni. Chiede perché diano alla morte solo le spalle-terga date morti? 153. Cadrò lodato da Pompeo, dato che Cesare non mi vede. Pompeio laudante cadam (160)
Queste parole accesero il furore dei compagni grande più di quello che accendono classica le trombe di guerra al primo squillo primo cantu (166)
Sceva fa strage dei pompeiani. Si lancia giù dal vallo contro i nemici e la Fortuna vede scontrarsi una coppia di gladiatori nuova: un uomo contro un’armata - parque novum Fortuna videt concurrere, bellum - atque virum (191-192). Cesare è difeso da Sceva meglio che da un muro: egli è non fragilis pro Caesare murus (201). Non usa più lo scudo perché vuole combattere con entrambe le mani né vuole sopravvire per sua colpa. Nel petto porta una densa selva di giavellotti. Ma procede come un elefante trafitto dalle frecce, duro a morire
Una freccia cretese penetra nel suo occhio e arriva dentro la testa.
Sceva estrae il dardo e lo calpesta insieme al suo occhio - intrepidus telumque suo cum lumine calcat (219).
Viene paragonato a un’orsa della Pannonia quando ha ricevuto il colpo di un’asta.
Pannonis  haud aliter post ictum saevior ursa - 
Se rotat in vulnus - ruota su se stessa cercando la ferita (220 (…) 222).
La faccia è priva di forma informis facies (225) ma quel soldato né mosse collo né piegò sua costa –stetit imbre cruento sotto la pioggia di sangue.
Il sangue del centurione fece esultare i pompeiani più che se avessero visto quello di Cesare. Sceva riesce a uccidere un altro pompeiano. Quindi muore celebrato quale eroe dai compagni, ma Lucano commenta scrivendo che il cesariano con la sua virtus si è procurato un padrone. “infelix, quanta dominum virtute parasti!” (262)
Quindi Pompeo attacca  e i soldati di Cesare hanno paura più di quanto ne hanno di Encelado gli abitanti delle vallate di Enna quando soffia Noto e l’Etna vomita fuoco bruciando i campi dove scorre-egerit et torrens in campos defluit Aetna (295). Pompeo a un certo punto trattenne le spade furenti-ipse furentis- dux tenuit gladios (301).
 Ma a te, Cesare giova il sommo dei tuoi delitti - prodest tibi, Caesar, summa tuorum-scelerum-cum genero pugnasse pio (304-305) avere combattutto contro un genero pietoso.
Sicché Farsalo non uscì dal destino dove si trovava. Cesare marcia verso la Tessaglia.
comites cercarono di indurre Pompeo a tornare in Italia ma il capo non volle portare lì la guerra civule. Piuttosto è meglio che se ne impadronisca Cesare con l’esercito
Lucano ricorda i monti della Tessaglia: l’Ossa da dove sorge il sole d’inverno - sud-est - brumalibus horis (333), poi il Pelio, l’Otri, il Pindo il quale maturato praecīdit vespere lucem taglia la luce con la sera affrettata - sud-ovest.
Poi l’Olimpo che ripara da Borea. In mezzo a questi monti c’è la vallata di Tempe. 
Quando l’Ossa venne separato dall’Olimpo per mano di Ercole, spuntò fuori Farsalo dal letto dei fiumi precipitatii nel mare - melius mansura sub undis - 349, avrebbe fatto meglio a rimanere sotto le onde.
 Farsalo regno di Achille, poi altre città tessale: Filace che mandò a Troia la nave del suo re Protesilao, la prima che toccò le spiagge del promontorio Reteo. Protesilao fu il primo a sbarcare e il primo a morire. Laodamia lo seguì dopo avere tentato di sostituirlo con una statua.
 poi Pteleo, Dorione et Dorion ira - flebile Pieridum 351-352 che piange ancora per l’ira delle Pieridi le quali acciecarono il poeta Tàmiri che si era vantato di essere più bravo di loro  e le aveva sfidate, quindi Trachis, poi Melibea la città di Filottete che ricevette in dono le frecce di Ercole pretio nefandae lampados come  ricompensa della fiaccola che accese il rogo dell’eroe, una torcia nefanda, Larīsa olim potens, poi Argo pelasgica, Tebe di Echìone dove Agàve “quondam Pentheos exul - colla caputque ferens supremo tradidit igni” (357-358)  fuori di sé portando in mano il collo e la testa di Penteo li consegnò allìultimo rogo.
Quindi i fiumi derivati dalla palude scissa - palus multos discessit in amnes 360):  Eante purus in occasus con l’acqua limpida va verso occidente, parvi sed gurgitis, di poca acqua Ionio fluit inde mari; poi l’Inaco pater Isidis avectae, il padre di Iò portata via in Egitto dove prese il nome di Iside, e l’Acheloo pretendente di Deianira e quasi genero di Eneo, suo padre, re di Caledonia. L’Acheloo copre le Echinadi (nello Ionio) con le sue acque fangose crassis undis (364), poi l’Evèno Euhēnos maculatus sanguine Nessi che taglia Calidòne città di Meleagro. Lo Sperchèo ha la foce nel sinus Maliacus sotto il monte Eta, l’Anfrisso irriga i pascoli dove Apollo fu pastore al servizio di Admeto, l’Anàuro privo di esalazioni. E altri fiumi affluenti del Peneo.
Il Titarèsso non mescola le sue acque con il Peneo ma vi passa sopra come fosse terra asciutta. Si dice che questo fiume emani dalla palude Stige e ricordando la sua fonte fluvii contagia vilis - nolle pati superumque sibi servare timorem (179-180) e non vuole sopportare il contagio di un fiume da poco e mantiene per sé la paura degli dèi - di spergiurare sulle acque dello Stige.
 Nelle caverne la nuvola gravida partorì i Centauri bimembri figli di Issione. Nubes feta effudit in antris Ixionidas Centauros.
Cfr. La morte del cervo di D’Annunzio:
Lo conobbi tremando a foglia a foglia.
Ben era il generato dalla Nube
acro e bimembre, uomo fin quasi al pube,
stallone il resto dalla grossa coglia.”

Lucano menziona alcuni tra cui Foloe ospite di Ercole e Nesso - teque, per amnem - improbe Lernaeas  vector passure sagittas - 391-392,  te disonesto traghettatore del fiume destinato a subire le frecce avvelenate dall’Idra di Lerna.
Poi Chirone gelido qui sidere fulgens rifulgendo in una costellazione fredda, ti avventi con il tuo arco contro maiorem Scorpion una costellazione più grande.
In Tessaglia nacquero gli Sparti e un cavallo saltò fuori dalle rocce colpite dal tridente di Nettuno. Il thessalicus sonipes  fu bellis feralibus omen  (397) il destriero presagio di guerre funeste. La prima nave prima pinus dalla spiaggia di Pagase  (sotto il Pelio) - terrenum ignotas hominem proiecit in undas (401)
Lanciò in mezzo a onde ignote l’uomo nato per stare sulla terra.
Cfr. Il secondo e il terzo coro della Medea di Seneca contro la navigazione.
Seneca attraverso il secondo coro della Medea  maledice la navigazione come attività troppo audace per l'uomo: “Audax nimium, qui freta primus/rate tam fragili perfida rupit/terrasque suas post terga videns/animam levibus credidit auris… " (vv. 301-304), Audace troppo chi per primo ruppe con la barca tanto fragile i perfidi flutti e vedendo alle spalle la sua terra affidò la vita ai venti incostanti. Il primo a violare il mare è stato Giasone la cui audacia e perfidia ha trovato degni antagonisti nei freta perfida.
Seneca contrappone l'età preargonautica a quella successiva a Tifi, il pilota della nave Argo:"Ausus Tiphis/pandere vasto carbǎsa ponto/legesque novas scribere ventis" (vv. 317-319), Tifi osò distendere le vele sul vasto mare e dettare leggi nuove ai venti.
Insomma questo Coro della Medea situa l'età edenica nel passato antecedente l'impresa di Argo:"Candida nostri saecula patres/videre, procul fraude remota./Sua quisque piger litora tangens,/patrioque senex factus in arvo,/parvo dives, nisi quas tulerat/natale solum, non norat opes./Bene dissaepti foedera mundi/traxit in unum Thessala pinus,/iussitque pati verbera pontum;/partemque metus fieri nostri/mare sepositum" (vv. 328-338), secoli immacolati videro i nostri padri, tenuta lontano la frode.  Ciascuno tenendo pigro i suoi lidi e divenuto vecchio nel campo paterno, ricco con poco, non conosceva ricchezze se non quelle prodotte dal suolo natale. La nave Tessala unificò le regole del cosmo ben diviso in parti, e ordinò che il ponto patisse le frustate dei remi; e che il mare già separato divenisse parte della nostra paura.
Il terzo coro, con l’ultima strofe saffica, consiglia "vade, qua tutum populo priori;/rumpe nec sacro, violente, sancta/foedera mundi! " ( Medea, vv. 605-606), procedi per dove il cammino è stato sicuro alla gente di prima; e non spezzare con violenza le sacrosante regole del mondo.
Quindi i coreuti Corinzi procedono con questo avvertimento: "Quisquis audacis tetigit carinae/nobiles remos nemorisque sacri/Pelion densa spoliavit umbra,/ quisquis intravit scopulos vagantes/et tot emensus pelagi labores/barbara funem religavit ora/raptor externi rediturus auri,/exitu diro temerata ponti/iura piavit./Exigit poenas mare provocatum" ( Medea, vv. 607-616), tutti quelli che toccarono i remi famosi della nave audace, e spogliarono il Pelio dell'ombra densa della foresta sacra[1]; chiunque passò tra gli scogli vaganti e, attraversati tanti travagli del mare, gettò l'ancora su una barbara spiaggia, per tornare impossessatosi dell'oro straniero, con morte orribile espiò le violate leggi del mare. Fa pagare il fio il mare provocato.


Pesaro 4 settembre 2020. giovanni ghiselli

p. s.
Visualizzazioni di pagine: oggi
116


Visualizzazioni di pagine: ieri
573

Visualizzazioni di pagine: ultimo mese
13.258

Visualizzazioni di pagine: tutta la cronologia
1.027.489

I  4 post più letti in questa settimana
Massimo Cacciari III, "Il lavoro dello spirito". 3
19 ago 2020
81
Lucano XXXII. Introduzione a Lucano. "Pharsalia". ...
31 ago 2020
73
Massimo Cacciari II, "Il lavoro dello spirito". 2
16 ago 2020
64
Massimo Cacciari IX, "Il lavoro dello spirito" (I ... 62






[1] Si noti l’oltraggio all’ambiente e la presenza del motivo ecologico
Anche nella Tebaide di Stazio la terra soffre il disboscamento dovuto alla costruzione di una pila colossale per il piccolo Ofelte: “ dat gemitum tellus”(VI, 107), ne piange la terra. Pale, dea dei campi e Silvano signore dell’ombra della foresta (arbiter umbrae, v. 111) abbandonano piangendo i cari luoghi del loro riposo (linquunt flentes dilecta locorum/otia, vv. 110-111), mentre le Ninfe abbracciate ai tronchi degli alberi e non vogliono lasciarli: “nec amplexae dimittunt robora Nymphae” (v. 113).
Nell’Achilleide Stazio ricorda che la costruzione della flotta necessaria alla guerra contro Troia spogliò delle loro ombre i monti e li rimpicciolì: “Nusquam umbrae veteres: minor Othrys et ardua sidunt/ Taygeta, exuti viderunt aëra montes./Iam natat omne nemus(I, 426-428), in nessun luogo le antiche ombre: è più piccolo l’Otris e si abbassa l’erto Taigeto, e i monti spogliati videro l’aria. Oramai ogni monte galleggia.

L’Otris è una catena montuosa della Tessaglia; il Taigeto, si sa, è la montagna che sovrasta Sparta. Chi scrive l’ha scalata da Kalamata alla cima (km 33, 12) in bicicletta in 2 ore, 14 minuti e 27 secondi, alla media di 14, 7 Km all’ora. All’età di 62 anni e 8 mesi.

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLIX. Il sogno angoscioso e la sua interpretazione.

  La notte tra l’11 e il 12 agosto feci un sogno angoscioso. Mi vedevo a Pesaro nella casa delle zie, mentre studiavo e aspettavo un...