monti della Tessaglia: Meteora |
Lucano
XXXIII. Introduzione a Lucano. "Pharsalia". Libro VI (versi
116-401)
Argomenti
Scene di
guerra. Monti e fiumi della Tessaglia. Il male della navigazione in
Lucano e nella Medea di Seneca. In nota il motivo
ecologico
Le
tribolazioni dei pompeiani vengono attenuate dal vento e dai
rifornimenti di grano dal mare che hanno alle spalle
L’esercito
di Cesare invece patisce una fame crudele. Il grano non è maturo e i
soldati sono costretti a brucare i roveti, a mangiare foglie,
radici, erba, cibi che possono escoriare la gola, bocconi incognita
mensis humanis (116). Gli affamati dunque assediano i sazi.
Pompeo decide di attaccare di giorno: non oscura petit
latebrosae tempora noctis (Pharsalia, VI,
120) e disdegna un percorso rubato con un furto al suocero
senza combattere - et raptum furto soceri cessantibus
armis dedignatur iter-. Si spinge dunque all’attacco del vallo.
Cfr.
Alessandro Magno-A Gaugamela (ottobre 331) Dario
con un milione di fanti e 40 mila cavalieri aspetta Alessandro.
La regione era piatta. Parmenione voleva attaccare di notte ma
Alessandro rispose che era turpe rubare la vittoria e che lui doveva
vincere fanerw`~ kai; a[neu
sofivsmato~ (Arriano, Anabasi
di Alessandro 3, 10, 2) alla luce del sole e senza
sotterfugi.
L’eroe
vuole apparire schietto, come Achille.
I
pompeiani stavano prevalendo ma vi si oppone l’aristia del
cesariano Cassio Sceva. Prima di combattere in Gallia “Scaeva
viro nomen: castrorum in plebe merebat” (144)
militava nella truppa, poi fu promosso centurione per il molto sangue
versato, era pronus ad omne nefas, incline a ogni
nefandezza, et qui nesciret in armis- quam magnum
virtus crimen civilibus esset ed era uno che non
sapeva quanto la virtù sia un grande misfatto nelle guerre civili.
Parla
dunque ai compagni. Chiede perché diano alla morte solo le
spalle-terga date morti? 153. Cadrò lodato da Pompeo,
dato che Cesare non mi vede. Pompeio laudante cadam (160)
Queste
parole accesero il furore dei compagni grande più di quello che
accendono classica le trombe di guerra al primo
squillo primo cantu (166)
Sceva fa
strage dei pompeiani. Si lancia giù dal vallo contro i nemici e la
Fortuna vede scontrarsi una coppia di gladiatori nuova: un uomo
contro un’armata - parque novum Fortuna videt concurrere,
bellum - atque virum (191-192). Cesare è difeso da Sceva
meglio che da un muro: egli è non fragilis pro Caesare
murus (201). Non usa più lo scudo perché vuole combattere
con entrambe le mani né vuole sopravvire per sua colpa. Nel petto
porta una densa selva di giavellotti. Ma procede come un elefante
trafitto dalle frecce, duro a morire
Una
freccia cretese penetra nel suo occhio e arriva dentro la testa.
Sceva
estrae il dardo e lo calpesta insieme al suo occhio - intrepidus
telumque suo cum lumine calcat (219).
Viene
paragonato a un’orsa della Pannonia quando ha ricevuto il colpo di
un’asta.
Pannonis haud
aliter post ictum saevior ursa -
Se
rotat in vulnus - ruota su se stessa cercando la ferita (220 (…)
222).
La
faccia è priva di forma informis facies (225) ma
quel soldato né mosse collo né piegò sua costa –stetit imbre
cruento sotto la pioggia di sangue.
Il
sangue del centurione fece esultare i pompeiani più che se avessero
visto quello di Cesare. Sceva riesce a uccidere un altro pompeiano.
Quindi muore celebrato quale eroe dai compagni, ma Lucano commenta
scrivendo che il cesariano con la sua virtus si è procurato un
padrone. “infelix, quanta dominum virtute parasti!” (262)
Quindi
Pompeo attacca e i soldati di Cesare hanno paura più di
quanto ne hanno di Encelado gli abitanti delle vallate di Enna quando
soffia Noto e l’Etna vomita fuoco bruciando i campi dove
scorre-egerit et torrens in campos defluit Aetna (295).
Pompeo a un certo punto trattenne le spade furenti-ipse furentis-
dux tenuit gladios (301).
Ma
a te, Cesare giova il sommo dei tuoi delitti - prodest tibi, Caesar,
summa tuorum-scelerum-cum genero pugnasse pio (304-305)
avere combattutto contro un genero pietoso.
Sicché
Farsalo non uscì dal destino dove si trovava. Cesare marcia verso la
Tessaglia.
I comites cercarono
di indurre Pompeo a tornare in Italia ma il capo non volle portare lì
la guerra civule. Piuttosto è meglio che se ne impadronisca Cesare
con l’esercito
Lucano
ricorda i monti della Tessaglia: l’Ossa da dove sorge il sole
d’inverno - sud-est - brumalibus horis (333), poi il
Pelio, l’Otri, il Pindo il quale maturato praecīdit
vespere lucem taglia la luce con la sera affrettata - sud-ovest.
Poi
l’Olimpo che ripara da Borea. In mezzo a questi monti c’è la
vallata di Tempe.
Quando
l’Ossa venne separato dall’Olimpo per mano di Ercole, spuntò
fuori Farsalo dal letto dei fiumi precipitatii nel mare - melius
mansura sub undis - 349, avrebbe fatto meglio a rimanere sotto le
onde.
Farsalo
regno di Achille, poi altre città tessale: Filace che mandò a Troia
la nave del suo re Protesilao, la prima che toccò le spiagge del
promontorio Reteo. Protesilao fu il primo a sbarcare e il primo a
morire. Laodamia lo seguì dopo avere tentato di sostituirlo con una
statua.
poi
Pteleo, Dorione et Dorion ira - flebile Pieridum 351-352
che piange ancora per l’ira delle Pieridi le quali acciecarono il
poeta Tàmiri che si era vantato di essere più bravo di loro e
le aveva sfidate, quindi Trachis, poi Melibea la città di Filottete
che ricevette in dono le frecce di Ercole pretio nefandae
lampados come ricompensa della fiaccola che
accese il rogo dell’eroe, una torcia nefanda, Larīsa olim
potens, poi Argo pelasgica, Tebe di Echìone dove Agàve “quondam
Pentheos exul - colla caputque ferens supremo tradidit igni”
(357-358) fuori di sé portando in mano il collo e la
testa di Penteo li consegnò allìultimo rogo.
Quindi i
fiumi derivati dalla palude scissa - palus multos discessit in
amnes 360): Eante purus in occasus con
l’acqua limpida va verso occidente, parvi sed gurgitis,
di poca acqua Ionio fluit inde mari; poi l’Inaco pater
Isidis avectae, il padre di Iò portata via in Egitto dove
prese il nome di Iside, e l’Acheloo pretendente di Deianira e quasi
genero di Eneo, suo padre, re di Caledonia. L’Acheloo copre le
Echinadi (nello Ionio) con le sue acque fangose crassis
undis (364), poi l’Evèno Euhēnos maculatus
sanguine Nessi che taglia Calidòne città di Meleagro. Lo
Sperchèo ha la foce nel sinus Maliacus sotto il monte Eta,
l’Anfrisso irriga i pascoli dove Apollo fu pastore al servizio di
Admeto, l’Anàuro privo di esalazioni. E altri fiumi affluenti del
Peneo.
Il
Titarèsso non mescola le sue acque con il Peneo ma vi passa sopra
come fosse terra asciutta. Si dice che questo fiume emani dalla
palude Stige e ricordando la sua fonte fluvii contagia
vilis - nolle pati superumque sibi servare timorem (179-180) e
non vuole sopportare il contagio di un fiume da poco e mantiene per
sé la paura degli dèi - di spergiurare sulle acque dello Stige.
Nelle
caverne la nuvola gravida partorì i Centauri bimembri figli di
Issione. Nubes feta effudit in antris Ixionidas Centauros.
Cfr. La
morte del cervo di D’Annunzio:
“Lo
conobbi tremando a foglia a foglia.
Ben era il generato dalla Nube
acro e bimembre, uomo fin quasi al pube,
stallone il resto dalla grossa coglia.”
Lucano menziona alcuni tra cui Foloe ospite di Ercole e Nesso - teque, per amnem - improbe Lernaeas vector passure sagittas - 391-392, te disonesto traghettatore del fiume destinato a subire le frecce avvelenate dall’Idra di Lerna.
Ben era il generato dalla Nube
acro e bimembre, uomo fin quasi al pube,
stallone il resto dalla grossa coglia.”
Lucano menziona alcuni tra cui Foloe ospite di Ercole e Nesso - teque, per amnem - improbe Lernaeas vector passure sagittas - 391-392, te disonesto traghettatore del fiume destinato a subire le frecce avvelenate dall’Idra di Lerna.
Poi
Chirone gelido qui sidere fulgens rifulgendo in una
costellazione fredda, ti avventi con il tuo arco contro maiorem
Scorpion una costellazione più grande.
In
Tessaglia nacquero gli Sparti e un cavallo saltò fuori dalle rocce
colpite dal tridente di Nettuno. Il thessalicus sonipes fu
bellis feralibus omen (397) il destriero presagio di
guerre funeste. La prima nave prima pinus dalla
spiaggia di Pagase (sotto il Pelio) - terrenum ignotas
hominem proiecit in undas (401)
Lanciò
in mezzo a onde ignote l’uomo nato per stare sulla terra.
Cfr. Il
secondo e il terzo coro della Medea di Seneca contro
la navigazione.
Seneca
attraverso il secondo coro della Medea maledice
la navigazione come attività troppo audace per l'uomo: “Audax
nimium, qui freta primus/rate tam fragili perfida rupit/terrasque
suas post terga videns/animam levibus credidit auris… "
(vv. 301-304), Audace troppo chi per primo ruppe con la barca tanto
fragile i perfidi flutti e vedendo alle spalle la sua terra affidò
la vita ai venti incostanti. Il primo a violare il mare è stato
Giasone la cui audacia e perfidia ha trovato degni antagonisti
nei freta perfida.
Seneca
contrappone l'età preargonautica a quella successiva a Tifi, il
pilota della nave Argo:"Ausus Tiphis/pandere vasto carbǎsa
ponto/legesque novas scribere ventis" (vv. 317-319), Tifi
osò distendere le vele sul vasto mare e dettare leggi nuove ai
venti.
Insomma
questo Coro della Medea situa l'età edenica nel
passato antecedente l'impresa di Argo:"Candida nostri saecula
patres/videre, procul fraude remota./Sua quisque piger litora
tangens,/patrioque senex factus in arvo,/parvo dives, nisi quas
tulerat/natale solum, non norat opes./Bene dissaepti foedera
mundi/traxit in unum Thessala pinus,/iussitque pati verbera
pontum;/partemque metus fieri nostri/mare sepositum" (vv.
328-338), secoli immacolati videro i nostri padri, tenuta lontano la
frode. Ciascuno tenendo pigro i suoi lidi e divenuto
vecchio nel campo paterno, ricco con poco, non conosceva ricchezze se
non quelle prodotte dal suolo natale. La nave Tessala unificò le
regole del cosmo ben diviso in parti, e ordinò che il ponto patisse
le frustate dei remi; e che il mare già separato divenisse parte
della nostra paura.
Il
terzo coro, con l’ultima strofe saffica, consiglia "vade,
qua tutum populo priori;/rumpe nec sacro, violente, sancta/foedera
mundi! "
( Medea,
vv. 605-606), procedi per dove il cammino è stato sicuro alla gente
di prima; e non spezzare con violenza le sacrosante regole del mondo.
Quindi
i coreuti Corinzi procedono con questo avvertimento: "Quisquis
audacis tetigit carinae/nobiles remos nemorisque sacri/Pelion densa
spoliavit umbra,/ quisquis intravit scopulos vagantes/et tot emensus
pelagi labores/barbara funem religavit ora/raptor externi rediturus
auri,/exitu diro temerata ponti/iura piavit./Exigit poenas mare
provocatum"
( Medea,
vv. 607-616), tutti quelli che toccarono i remi famosi della nave
audace, e spogliarono il Pelio dell'ombra densa della foresta
sacra[1];
chiunque passò tra gli scogli vaganti e, attraversati tanti travagli
del mare, gettò l'ancora su una barbara spiaggia, per tornare
impossessatosi dell'oro straniero, con morte orribile espiò le
violate leggi del mare. Fa pagare il fio il mare provocato.
Pesaro
4 settembre 2020. giovanni ghiselli
p.
s.
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|
I 4
post più letti in questa settimana
[1] Si
noti l’oltraggio all’ambiente e la presenza del motivo
ecologico
Anche
nella Tebaide di Stazio la terra soffre il
disboscamento dovuto alla costruzione di una pila colossale per il
piccolo Ofelte: “ dat gemitum tellus”(VI,
107), ne piange la terra. Pale, dea dei campi e Silvano signore
dell’ombra della foresta (arbiter umbrae, v. 111)
abbandonano piangendo i cari luoghi del loro riposo (linquunt
flentes dilecta locorum/otia, vv. 110-111), mentre le Ninfe
abbracciate ai tronchi degli alberi e non vogliono lasciarli: “nec
amplexae dimittunt robora Nymphae” (v. 113).
Nell’Achilleide Stazio
ricorda che la costruzione della flotta necessaria alla guerra contro
Troia spogliò delle loro ombre i monti e li rimpicciolì: “Nusquam
umbrae veteres: minor Othrys et ardua sidunt/ Taygeta, exuti viderunt
aëra
montes./Iam natat omne nemus” (I,
426-428), in nessun luogo le antiche ombre: è più piccolo l’Otris
e si abbassa l’erto Taigeto, e i monti spogliati videro l’aria.
Oramai ogni monte galleggia.
L’Otris
è una catena montuosa della Tessaglia; il Taigeto, si sa, è la
montagna che sovrasta Sparta. Chi scrive l’ha scalata da Kalamata
alla cima (km 33, 12) in bicicletta in 2 ore, 14 minuti e 27 secondi,
alla media di 14, 7 Km all’ora. All’età di 62 anni e 8 mesi.
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