lunedì 7 settembre 2020

Debrecen 1979. 38. La mia lettera supplichevole e pure perentoria

Vermeer, Donna che legge una lettera davanti alla finestra

Martedì 7 agosto andai a lezione, poi a correre, quindi in piscina a leggere, nuotare, abbronzarmi, e mi recai anche a comprare un dentifricio.
Ma l’attività più importante e impegnativa della giornata iniziò verso le 22 quando mi diedi a scrivere una lettera all’amante lontana.
Le dicevo che avevo superato la meta dei venti minuti durante i miei girotondi allo stadio, faticosi eppure pieni di gioia, e che l’accrescimento del benessere fisico e mentale lo dovevo in buona parte a lei, la mia compagna meravigliosa, che però era tenuta a mantenere la promessa di scrivere e spedirmi l’espresso se non voleva che i miei sentimenti si pervertissero nell’ attesa già da tempo troppo allungata.
Io non avrei potuto tradirla. Il timore dell’ infedeltà mia era stato un falso problema: passare il tempo con lei scrivendole, o pensandola, mi faceva sentire più vivo di qualsiasi altro modus vivendi.
“Tu mi hai fatto progredire - spiegavo - e ora non posso né voglio tornare alle esperienze degli anni passati: la felicità di stare con te, di studiare, fare sport, fare l’amore con te è stata più impegnativa e pure più accrescitiva delle emozioni mensili, evanescenti che negli anni passati mi avevano dato delle donne di qualche valore senz’altro ma remote nello spazio e nel tempo più di quell’era lontana: irreparabile tempus. Il praeteritum non può più tornare, mentre il futuro è nostro. Con te, soltanto con te, ho una voglia mai sazia di fare l’amore, di commentare i libri letti, di andare al cinema e a teatro poi parlarne, di ascoltare musica, correre, andare in bicicletta, nuotare, sciare”.
Propositi belli, però ora trovo che difettavano dello scopo più alto: impiegare la nostra felicità in favore del prossimo.
Concludevo questa missiva con una richiesta chiara, da supplice tuttavia perentorio: “Ifigenia cara, se contraccambi i miei sentimenti, mandami la lettera che hai preannunciato, poiché la mia gioia rischia la vita ogni mattina verso le undici quando arriva il postino con una borsa piena, la apre, distribuisce negli scomparti della posta tutte buste, quindi tante persone in attesa le ritirano, felicemente, ma da parte tua non c’è mai nulla per me. Allora il mio umore si approssima al caos della pazzia, all’abisso dell’annientamento, poi dura fatica a ritrovare la via, a ristabilirsi, a raddrizzarsi”.
Più esplicito e supplichevole di così non potevo essere, né più ultimativo. E lei non rispose.

Pesaro 7 settembre 2020 ore 21, 9.
giovanni ghiselli

p.s
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