Giacomo
Leopardi e i classici” con Giovanni Ghiselli. Sabato 12 settembre -
ore 17,00 - Sala Artecento presso il Cine-teatro Don Zucchini, Cento
(FE)
Argomenti
Rapportti
tra la lingua greca e quella latina. Cicerone, Lucrezio,
Orazio, Seneca, Frontone
Greci
e Latini nelle arti, nelle scienze e nel linguaggio
“ Certo
è che la Grecia, se non fu l’inventrice delle sue lettere,
scienze, ed arti, le ricevé informi, ed instabili, e imperfette, e
indeterminate, e così ricevute, le formò, stabilì, perfezionò,
determinò essa medesima (Zibaldone,
746) e formò insieme la sua lingua e trasse da se stessa il tesoro
della favella."
Ma
ai Latini non accadde lo stesso. “La loro letteratura,
le loro arti, le loro scienze, vennero dalla Grecia, e tutto in un
tratto, e belle formate (...) insomma i latini non ebbero e non
fecero altra opera che trapiantare di netto le scienze, arti, lettere
greche nel loro terreno” (747). Quindi
le discipline non formate da loro portavano seco un linguaggio non
latino. I latini ricevettero dai Greci le discipline e il linguaggio.
Lucrezio
si era lagnato della povertà della lingua latina
“nec
me animi fallit Graiorum obscura reperta-difficile inlustrare Latinis
versibus esse,/ multa novis verbis praesertim cum sit agendum/propter
egestatem linguae et rerum novitatem”,
I, 136-139).
“Cicerone
popolò il latino di parole greche certo di non riuscire affettato
perché la lingua greca era divulgatissima e familiare tra i suoi”
Tutta
la cultura era venuta in Roma dai Greci. “e così la facoltà
generativa della lingua latina, rimase estinta o indebolita, e si
trasformò nella facoltà adottiva” (749)
“Cicerone
ne aveva usato con discrezione e finissimo giudizio, ma dopo Cicerone
si passarono i limiti: davano sacco alla lingua greca poiché
conoscevano poco la latina”.
Lo
facevano per ignoranza della propria lingua e anche per vezzo.
Orazio
“uomo in ogni cosa libertino e damerino e cortigiano, insomma tutto
l’opposto del carattere Romano (…) non è maraviglia se la lingua
romana gli parve inferiore alla sua propria eleganza e galanteria”
(Zibaldone, 751)
Leopardi
rimanda ai vv. 46-62 della Poetica dove Orazio
scrive che le parole nuove formate da poco (et nova fictaque nuper
verba) troveranno credito (habebunt fidem) si
Greco fonte cadent, se cadranno da fonte greca, parce
detorta, un poco alterate” (751)
Orazio
era uomo di basso ma sottile ingegno e non nocque alla lingua, anzi i
suoi ardimenti sono in massima parte felicissimi
Ma
al tempo di Seneca la lingua “imbarbariva effettivamente per
grecismo come oggi per francesismo” (752)
Del
resto al tempo di Caterina dei Medici (regina consorte di Enrico II
re di Francia dal 1547 al 1559) la lingua francese si
tinse di italiano e fu spezzata e sparsa di italicismi.
“La
lingua latina fu (per poco spazio) restituita (…) a un certo
splendore somigliante all’antico (insieme colla letteratura
parimente corrotta) da parecchi scrittori del secolo tra Nerva e
Marcaurelio, fra’ quali Tacito ec,” (752)
Quindi Frontone (100-165
precettore di Marco Aurelio) il quale “merita un posto distinto,
fra i restauratori e zelatori della purità come della letteratura
così della lingua latina” (753).
Leopardi
si riferisce alle Epistulae scoperte
da Angelo Mai nel palinsesto Ambrosiano E 147 e pubblicate nel 1815.
Frontone
fa parte della nuova sofistica con scritti tipo Laudes fumi
et pulveris e le Laudes neglegentiae, pezzi di
bravura su argomenti futili. Cerca nei suoi modelli
preclassici insperata atque inopinata verba. Vuole
ritrovare l’originaria purezza di eloquio. Il suo ideale
di latinitas equivale a quello di ellenismòs della
neosofistica.
Ma,
continua Leopardi, Frontone cadde nell’eccesso contrario. Non si
può ricondurre la lingua ai suoi princìpi. La lingua infatti
cammina sempre perché segue le cose che sono instabili. Frontone in
luogo di purificare la lingua la volle antiquare. Peccò nella troppa
imitazione degli antichi e “nell’aver considerato come modelli
piuttosto Ennio che Virgilio e che lo stesso Lucrezio” (Zibaldone,
757).
giovanni
ghiselli
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