NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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martedì 8 settembre 2020

Leopardi e i classici 9. Conferenza di Cento (12 settembre ore 17)

Giacomo Leopardi e i classici” con Giovanni Ghiselli. Sabato 12 settembre - ore 17,00 - Sala Artecento presso il Cine-teatro Don Zucchini, Cento (FE)

Argomenti
Rapportti tra la lingua greca e quella latina. Cicerone, Lucrezio,  Orazio, Seneca, Frontone

Greci e Latini nelle arti, nelle scienze e nel linguaggio
Certo è che la Grecia, se non fu l’inventrice delle sue lettere, scienze, ed arti, le ricevé informi, ed instabili, e imperfette, e indeterminate, e così ricevute, le formò, stabilì, perfezionò, determinò essa medesima (Zibaldone, 746) e formò insieme la sua lingua e trasse da se stessa il tesoro della favella."

Ma ai Latini non accadde lo stesso.  “La loro letteratura, le loro arti, le loro scienze, vennero dalla Grecia, e tutto in un tratto, e belle formate (...) insomma i latini non ebbero e non fecero altra opera che trapiantare di netto le scienze, arti, lettere greche nel loro terreno” (747). Quindi le discipline non formate da loro portavano seco un linguaggio non latino. I latini ricevettero dai Greci le discipline e il linguaggio.

Lucrezio si era lagnato della povertà della lingua latina
nec me animi fallit Graiorum obscura reperta-difficile inlustrare Latinis versibus esse,/ multa novis verbis praesertim cum sit agendum/propter egestatem linguae et rerum novitatem”, I, 136-139).

Cicerone popolò il latino di parole greche certo di non riuscire affettato perché la lingua greca era divulgatissima e familiare tra i suoi”
Tutta la cultura era venuta in Roma dai Greci. “e così la facoltà generativa della lingua latina, rimase estinta o indebolita, e si trasformò nella facoltà adottiva” (749)
Cicerone ne aveva usato con discrezione e finissimo giudizio, ma dopo Cicerone si passarono i limiti: davano sacco alla lingua greca poiché conoscevano poco la latina”.
Lo facevano per ignoranza della propria lingua e anche per vezzo.
Orazio “uomo in ogni cosa libertino e damerino e cortigiano, insomma tutto l’opposto del carattere Romano (…) non è maraviglia se la lingua romana gli parve inferiore alla sua propria eleganza e galanteria” (Zibaldone, 751)
Leopardi rimanda ai vv. 46-62 della Poetica dove Orazio scrive che le parole nuove formate da poco (et nova fictaque nuper verba) troveranno credito (habebunt fidemsi Greco fonte cadent, se cadranno da fonte greca, parce detorta, un poco alterate” (751)

Orazio era uomo di basso ma sottile ingegno e non nocque alla lingua, anzi i suoi ardimenti sono in massima parte felicissimi
Ma al tempo di Seneca la lingua “imbarbariva effettivamente per grecismo come oggi per francesismo” (752)
Del resto al tempo di Caterina dei Medici (regina consorte di Enrico II re di Francia dal 1547 al 1559) la lingua francese  si tinse di italiano e fu spezzata e sparsa di italicismi.

La lingua latina fu (per poco spazio) restituita (…) a un certo splendore somigliante all’antico (insieme colla letteratura parimente corrotta) da parecchi scrittori del secolo tra Nerva e Marcaurelio, fra’ quali Tacito ec,” (752)
Quindi Frontone (100-165 precettore di Marco Aurelio) il quale “merita un posto distinto, fra i restauratori e zelatori della purità come della letteratura così della lingua latina” (753).
Leopardi si riferisce  alle Epistulae scoperte da Angelo Mai nel palinsesto Ambrosiano E 147 e pubblicate nel 1815.
Frontone fa parte della nuova sofistica con scritti tipo Laudes fumi et pulveris e le Laudes neglegentiae, pezzi di bravura su argomenti futili. Cerca nei suoi modelli preclassici insperata atque inopinata verba. Vuole ritrovare l’originaria purezza di eloquio. Il suo ideale di latinitas equivale a quello di ellenismòs della neosofistica.

Ma, continua Leopardi, Frontone cadde nell’eccesso contrario. Non si può ricondurre la lingua ai suoi princìpi. La lingua infatti cammina sempre perché segue le cose che sono instabili. Frontone in luogo di purificare la lingua la volle antiquare. Peccò nella troppa imitazione degli antichi e “nell’aver considerato come modelli piuttosto Ennio che Virgilio e che lo stesso Lucrezio” (Zibaldone, 757).


giovanni ghiselli

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