martedì 8 settembre 2020

Lucano XXXVII. Pharsalia VII (vv. 1-138)

Edward Sylvester Ellis, Fuga di Pompeo

Libro VII
sommario
I soldati di Pompeo vogliono combattere. Loro portavoce si fa Cicerone.
Pompeo cede ma i segni sono cattivi
Cesare parla ai suoi soldati. Pompeo anche.
Battaglia di Farsalo (agosto 48 a.C.). Sconfitta di Pompeo. Morte del pompeiano Domizio. Pompeo fugge a Larissa.
Nel campo di Farsalo gli uccelli e altri animali banchettano con i cadaveri.
Lucano maledice la Tessaglia dove si combatterà anche la guerra civile di Filippi (nel 42).

Vediamo i versi più belli (da 1 a 138)
Il sole apportatore di lutti luctificus Titan esce dall’Oceano con riluttanza segnior quam lex aeterna vocabat 1 - 2
 (cfr. Titan dubius, Seneca, Oedipus, v. 1).
Malvolentieri spingeva i cavalli e attrasse le nuvole et attraxit nubes, non pabula flammis - sed ne Thessalico purus lucēret in orbe non come pascoli alle sue fiamme ma per non brillare puro nel mondo dove c’è la Tessaglia.
La notte ingannò i sonni agitati di Pompeo con una vana immagine - nx - sollicitos vana decepit imagine somnos - 8
Gli sembrò di vedere se stesso acclamato nel teatro chiamato con il suo nome - attollique suum laetis ad sidera nomen - vocibus12 - 13.
Appariva giovane come quando sconfisse Sertorio e domò gli Iberici nel 71. Ma il sonno vaticinando con le solite tortuosità immagini contrarie a quelle viste prima - quies vaticinata per ambages solitas contraria visis , portò presagi di lutto grande - magni tulit omina planctus - . Sono le associazioni barocche delle immagini oniriche rilevate molto tempo dopo anche da Freud.
Il giorno seguente questi omina verranno confermati.
Pompeo non avrà a Roma nemmeno una tomba né il compianto dei buoni cittadini come accadde ai funerali di Bruto Maggiore. Comunque i Romani piangeranno la sua morte
Intanto vicerat astra iubar (45) lo splendore del giorno aveva vinto le stelle e i soldati vogliono combattere, turba signa petit (47) fatisque trahentibus orbem (46) dal momento che il destino trascina il mondo
La parte più grande di quel volgo disgraziato non avrebbe visto intera la giornata - Miseri pars maxima vulgi - non totum visura diem - 47 - 48. Si affrettano verso la loro morte.
Anche re e popoli d’Oriente lamentano che la guerra venga protratta a lungo e di essere tenuti lontani dalla loro terra “Nec non et reges populique queruntur Eoi - bella trahi patriaque procul tellure teneri (56 - 57).

Cicerone - Romani maximus auctor - Tullius eloquii - 62 - 63 - si fa portavoce e la sua facundia addidit robur invalidae causae aggiunse forza alla causa debole 67. L’oratore domanda a Pompeo dove siano finiti l’ardore e la fiducia nel destino –quo tibi fervor abit aut quo fiducia fati? 75. de superis, ingrate times, causamque senatus –credere dis dubitas? (76 - 77) ed esiti ad affidare agli dèi la causa del senato?
Pompeo capì che il destino era in contrasto con la sua volontà e disse nil ultra fata morabor (88) non porrò più indugi al destino
Tuttavia manifesta il suo dissenso. Si poteva evitare il massacro facendo la guerra in modo diverso. Quis furor, o caeci, scelerum? (95)
Cesare è in difficoltà: Belli pars magna peracta est (101).
Fortissimus ille est - qui, promptus metuenda pati, si comminus instent, - et differre potest (105 - 107), il più forte è quello pronto a subire quello che fa davvero paura se lo incalza da vicino, ma è pure in grado di rinviarlo.
 Pompeo non è convinto ma rassegnato - pugnatur - 114 si va a combattere ma Quantum scelerum quantumque malorun - in populos lux ista feret! (114 - 115). Dice che vorrebbe essere colpito per primo purché venga evitata la strage. Pompeo comunque lascia spazio alla furia di chi vuole combattere.
Fa come il marinaio che vinto dal furore della tempesta dat regĭmen ventis lascia il timone ai venti. Multorum pallor in ore - mortis venturaeque faciesque simillima fato (129 - 130) nella faccia di molti c’è il pallore della morte che arriverà, e il loro aspetto è del tutto simile al loro destino. Palam est (133) è del tutto evidente che con quella battaglia quaeri Roma quid esset si ricerca che cosa sia Roma. Non c’è tempo di delle paur per se stesso Non vacat ullos - pro se esse metus. urbi Magnoque timetur (138), non cìè tempo per il timore personale. Si teme per la città e per Pompeo Magno.
 Intanto vedono litora ponto - obruta, summis in montibus aequor - aetheraque in terras deiecto sole cadentem le coste coperte dal mare, l’acqua sulle cime dei monti e il cielo cadere sopra la terra con il precipitare del sole (136).
E’ il caos della guerra che mette subbuglio nell’universo, nel cosmo che retrocede in direzione del caos. Si perde l’individuazione delle persone e dei popoli con la guerra civile e torna la confusione tra gli elementi. Come nella tempesta conclusiva del Prometeo incatenato.

Le ultime parole di questa tragedia sono pronunciate dal Titano che descrive la tempesta già scoppiata, "correlativo oggettivo" della sua anima sconvolta, ed emblema del Caos , il disordine cosmico e umano, che egli ha cercato di ripristinare confutando l'autorità e l'ordine di Zeus:"certo di fatto e non più soltanto a parole/la terra si è messa ad ondeggiare,/e mugghia il profondo rimbombo/del tuono, e le spire del lampo /brillano (e{like~ d j ejklavmpousi steroph`~[1]) ardenti, e i turbini fanno girare/la polvere (strovmboi de; kovnin[2] - eiJlivssousi), e saltano i soffi/di tutti i venti dichiarandosi/una guerra (stavsin[3]) reciprocamente contraria/e sono sconvolti insieme il cielo e il mare ( xuntetavraktai d j aijqh;r povntw/",vv. 1080 - 1088).
Ci sono rimandi alla sterilità della polvere, alla guerra civile, alla confusione.
Tale assalto che vuole creare paura/avanza chiaramente da Zeus contro di me./O maestà della madre mia, o etere/che fai girare la luce comune a tutti (koino;n favo~ eiJlivsswn)/tu vedi come ingiustamente io soffro" (vv. 1089 - 1093).

La tempesta marina che minaccia di ripristinare il caos, significativo del disordine umano, viene descritta anche dall'araldo Euribate nell'Agamennone di Seneca:"Mundum revelli sedibus totum suis/ipsosque rupto crederes caelo deos/decidere et atrum rebus induci chaos./Vento restitit aestus et ventus retro/aestum revolvit; non capit sese mare:/in astra pontus tollitur, caelum perit/undasque miscent imber et fluctus suas" (vv. 484 - 490), avresti creduto che l'intero universo fosse strappato dalle fondamenta, e che gli stessi dei cadessero dal cielo squarciato, e che il tenebroso caos si stendesse sul mondo. La mareggiata si oppone al vento e il vento risospinge indietro le onde: il mare non sta più dentro se stesso: il ponto è sollevato fino alle stelle, il cielo sparisce, la pioggia e i flutti mescolano le loro acque.
La regola è una sola: la confusione.


Pesaro 8 settembre 2020 ore 17, 55
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Ecco l’elettricità, un altro “di quegli agenti terribili” menzionati da Leopardi nello Zibaldone (p. 3645).
[2] La polvere, come la cenere, nei drammi Greci è spesso un simbolo negativo di sterilità e morte. Nell' Antigone, per esempio, il segno positivo della luce viene contrapposto a quelli negativi della polvere, del sangue e della pazzia:"Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce ( favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere macchiata di sangue (foiniva...kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (vv.599 - 603). La polvere fa paura forse perché prefigura l'inevitabile esito della nostra vita:"what is this quintessence of dust? " (Amleto, 2, 2), che cosa è per me questa quintessenza di polvere? domanda il principe di Danimarca. Naturalmente l'uomo, e pure la donna, dei quali Amleto non si prende alcun piacere. Insomma:"I will shaw you fear in a handful of dust" ( The waste land, v.30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.
[3] E’ la guerra civile che confonde i ruoli, come fa l’incesto, trasformando i fratelli in nemici. Secondo Tucidide cambia anche il significato delle parole. Lo afferma a proposito della guerra civile (stavsi") di Corcira (427 - 425):"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. “Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82 - 84)”, M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p.43 

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