Edward Sylvester Ellis, Fuga di Pompeo |
Libro VII
sommario
I soldati di
Pompeo vogliono combattere. Loro portavoce si fa Cicerone.
Pompeo cede
ma i segni sono cattivi
Cesare parla
ai suoi soldati. Pompeo anche.
Battaglia di
Farsalo (agosto 48 a.C.). Sconfitta di Pompeo. Morte del pompeiano Domizio. Pompeo fugge
a Larissa.
Nel campo di
Farsalo gli uccelli e altri animali banchettano con i cadaveri.
Lucano
maledice la Tessaglia dove si combatterà anche la guerra civile di Filippi (nel
42).
Vediamo i
versi più belli (da 1 a 138)
Il sole
apportatore di lutti luctificus Titan esce dall’Oceano con
riluttanza segnior quam lex aeterna vocabat 1 - 2
(cfr. Titan dubius, Seneca, Oedipus, v. 1).
Malvolentieri spingeva i cavalli e attrasse le
nuvole et attraxit nubes, non pabula flammis - sed ne Thessalico purus
lucēret in orbe non come pascoli alle sue fiamme ma per non brillare
puro nel mondo dove c’è la Tessaglia.
La notte ingannò i sonni agitati di Pompeo con una
vana immagine - nx - sollicitos vana decepit imagine somnos - 8
Gli sembrò di vedere se stesso acclamato nel teatro
chiamato con il suo nome - attollique suum laetis ad sidera nomen - vocibus12
- 13.
Appariva giovane come quando sconfisse Sertorio e domò
gli Iberici nel 71. Ma il sonno vaticinando con le solite tortuosità immagini
contrarie a quelle viste prima - quies vaticinata per ambages solitas
contraria visis , portò presagi di lutto grande - magni tulit omina
planctus - . Sono le associazioni barocche delle immagini oniriche rilevate
molto tempo dopo anche da Freud.
Il giorno seguente questi omina verranno
confermati.
Pompeo non avrà a Roma nemmeno una tomba né il
compianto dei buoni cittadini come accadde ai funerali di Bruto Maggiore.
Comunque i Romani piangeranno la sua morte
Intanto vicerat astra iubar (45) lo
splendore del giorno aveva vinto le stelle e i soldati vogliono
combattere, turba signa petit (47) fatisque trahentibus
orbem (46) dal momento che il destino trascina il mondo
La parte più grande di quel volgo disgraziato non
avrebbe visto intera la giornata - Miseri pars maxima vulgi - non totum
visura diem - 47 - 48. Si affrettano verso la loro morte.
Anche re e popoli d’Oriente lamentano che la guerra
venga protratta a lungo e di essere tenuti lontani dalla loro terra “Nec non
et reges populique queruntur Eoi - bella trahi patriaque procul tellure teneri (56
- 57).
Cicerone - Romani maximus auctor - Tullius eloquii
- 62 - 63 - si fa portavoce e la sua facundia addidit robur invalidae
causae aggiunse forza alla causa debole 67. L’oratore domanda a Pompeo
dove siano finiti l’ardore e la fiducia nel destino –quo tibi fervor abit
aut quo fiducia fati? 75. de superis, ingrate times, causamque
senatus –credere dis dubitas? (76 - 77) ed esiti ad affidare agli dèi
la causa del senato?
Pompeo capì che il destino era in contrasto con la sua
volontà e disse nil ultra fata morabor (88) non porrò più
indugi al destino
Tuttavia manifesta il suo dissenso. Si poteva evitare
il massacro facendo la guerra in modo diverso. Quis furor, o caeci,
scelerum? (95)
Cesare è in difficoltà: Belli pars magna
peracta est (101).
Fortissimus ille est - qui, promptus metuenda pati, si
comminus instent, - et differre potest (105 - 107),
il più forte è quello pronto a subire quello che fa davvero paura se lo incalza
da vicino, ma è pure in grado di rinviarlo.
Pompeo non è convinto ma rassegnato - pugnatur
- 114 si va a combattere ma Quantum scelerum quantumque malorun - in
populos lux ista feret! (114 - 115). Dice che vorrebbe essere colpito
per primo purché venga evitata la strage. Pompeo comunque lascia spazio alla
furia di chi vuole combattere.
Fa come il marinaio che vinto dal furore della
tempesta dat regĭmen ventis lascia il
timone ai venti. Multorum pallor in ore - mortis venturaeque faciesque
simillima fato (129 - 130) nella faccia di molti c’è il pallore della
morte che arriverà, e il loro aspetto è del tutto simile al loro destino. Palam
est (133) è del tutto evidente che con quella battaglia quaeri
Roma quid esset si ricerca che cosa sia Roma. Non c’è tempo di delle paur
per se stesso Non vacat ullos - pro se esse metus. urbi Magnoque
timetur (138), non cìè tempo per il timore personale. Si teme per la
città e per Pompeo Magno.
Intanto
vedono litora ponto - obruta, summis in montibus aequor - aetheraque in
terras deiecto sole cadentem le coste coperte dal mare, l’acqua sulle cime
dei monti e il cielo cadere sopra la terra con il precipitare del sole (136).
E’ il caos della guerra che mette subbuglio
nell’universo, nel cosmo che retrocede in direzione del caos. Si perde
l’individuazione delle persone e dei popoli con la guerra civile e torna la
confusione tra gli elementi. Come nella tempesta conclusiva del Prometeo
incatenato.
Le ultime
parole di questa tragedia sono pronunciate dal Titano che descrive la tempesta
già scoppiata, "correlativo oggettivo" della sua anima sconvolta, ed
emblema del Caos , il disordine cosmico e umano, che egli ha cercato di
ripristinare confutando l'autorità e l'ordine di Zeus:"certo di fatto e
non più soltanto a parole/la terra si è messa ad ondeggiare,/e mugghia il
profondo rimbombo/del tuono, e le spire del lampo /brillano (e{like~ d j ejklavmpousi steroph`~[1]) ardenti, e i turbini fanno girare/la polvere (strovmboi de; kovnin[2] - eiJlivssousi), e saltano i soffi/di tutti i
venti dichiarandosi/una guerra (stavsin[3]) reciprocamente contraria/e sono sconvolti insieme il cielo e il mare ( xuntetavraktai d j aijqh;r povntw/",vv. 1080 - 1088).
Ci sono
rimandi alla sterilità della polvere, alla guerra civile, alla confusione.
Tale assalto
che vuole creare paura/avanza chiaramente da Zeus contro di me./O maestà della
madre mia, o etere/che fai girare la luce comune a tutti (koino;n favo~ eiJlivsswn)/tu vedi come ingiustamente io soffro" (vv. 1089 - 1093).
La tempesta
marina che minaccia di ripristinare il caos, significativo del disordine umano,
viene descritta anche dall'araldo Euribate nell'Agamennone di
Seneca:"Mundum revelli sedibus totum suis/ipsosque rupto crederes caelo
deos/decidere et atrum rebus induci chaos./Vento restitit aestus et ventus retro/aestum
revolvit; non capit sese mare:/in astra pontus tollitur, caelum perit/undasque
miscent imber et fluctus suas" (vv. 484 - 490), avresti creduto che
l'intero universo fosse strappato dalle fondamenta, e che gli stessi dei
cadessero dal cielo squarciato, e che il tenebroso caos si stendesse sul mondo.
La mareggiata si oppone al vento e il vento risospinge indietro le onde: il
mare non sta più dentro se stesso: il ponto è sollevato fino alle stelle, il
cielo sparisce, la pioggia e i flutti mescolano le loro acque.
La regola è una sola: la confusione.
Pesaro 8 settembre 2020 ore 17, 55
giovanni ghiselli
p. s.
isualizzazioni
di pagine: oggi
|
346
|
Visualizzazioni
di pagine: ieri
|
644
|
Visualizzazioni
di pagine: ultimo mese
|
13.548
|
Visualizzazioni
di pagine: tutta la cronologia
|
1.029.659
|
[1] Ecco l’elettricità, un altro “di quegli agenti terribili” menzionati da
Leopardi nello Zibaldone (p. 3645).
[2] La polvere, come la cenere, nei drammi Greci è spesso un simbolo
negativo di sterilità e morte. Nell' Antigone, per esempio, il segno positivo della luce viene contrapposto a quelli negativi della polvere,
del sangue e della pazzia:"Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa
una luce ( favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere
macchiata di sangue (foiniva...kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia della
parola ed Erinni della mente" (vv.599 - 603). La polvere fa paura forse perché
prefigura l'inevitabile esito della nostra vita:"what is this
quintessence of dust? " (Amleto, 2, 2), che cosa è per me
questa quintessenza di polvere? domanda il principe di Danimarca. Naturalmente
l'uomo, e pure la donna, dei quali Amleto non si prende alcun piacere.
Insomma:"I will shaw you fear in a handful of dust" ( The
waste land, v.30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.
[3] E’ la guerra civile che confonde i ruoli, come fa l’incesto,
trasformando i fratelli in nemici. Secondo Tucidide cambia anche il significato
delle parole. Lo afferma a proposito della guerra civile (stavsi") di Corcira (427 - 425):"Kai; th;n
eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/
dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo"
ejnomivsqh" (III,
82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto
ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai
compagni di partito. “Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è
necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è
ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più
feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82 - 84)”, M. Cacciari, Geofilosofia
dell'Europa, p.43
Nessun commento:
Posta un commento