Cesare va a ispirarsi sulla tomba di
Alessandro Magno. Lucano e Seneca quali detrattori del condottiero macedone. Lo
rimpiccioliscono come farà Tolstoj con Napoleone. Tito Livio confronta
Alessandro con i consoli vissuti al tempo del macedone. I Romani hanno
conseguito vittorie più meritevoli su nemici più forti dei rammolliti Persiani
e degli sdilinquiti Indiani battuti dal Macedone.
Cesare dunque sbarcò sulle sabbie
maledette dell’Egitto e subito “pugnavit fortuna ducis fatumque nocentis - Aegypti”
(3 - 4) la fortuna del duce si scontrò con il destino del colpevole Egitto.
Cesare discordia sensit
pectora - et ancipites animos si accorse che discordi erano i petti e
divisi in due parti gli animi dal rumoreggiare della folla fremitu
vulgi (11) che si lamentava che i fasci e il diritto romano venissero
inseriti nei propri.
Cfr. le guerre per esportare la
democrazia o i costumi discinti tra popoli parte dei quali non ne voleva
sapere.
Comprese inoltre Magnumque
perisse non sibi non era morto a proprio vantaggio. Tum, vultu
semper celante pavorem, scese nell’antro scavato per la tomba di
Alessandro.
“Illic Pellaei proles vesana
Philippi, - felix praedo, iacet, terrarum vindice fato - raptus” (20 - 22)
lì giace il figlio pazzo di Filippo di Pella, trascinato via dal destino
vendicatore delle terre - desolate da lui. I suoi resti non dovrebbero
stare sacratis adytis in una cella consacrata ma spargenda
totum per orbem avrebbero dovuto essere sparsi per tutto il mondo.
Però la Fortuna pepercit - manibus risparmiò il cadavere
(23 - 24).
Leggiamo ora il ribaltamento
dell’arcanum imperii indicato nella parte precedente (Pharsalia IX,
1076 - 1078) .
Lui è “non utile mundo - editus
exemplo, terras tot posse sub uno - esse viro” (X, 25 - 27), un non utile
esempio per il mondo di come tante terre possano sottostare a un solo uomo.
Alessandro disertò le spelonche dei
suoi avi, despexit Athenas, disprezzò Atene vinta da suo padre, “perque
Asiae populos fatis urguentibus actus” (30) spinto dal
destino che lo incalzava, humana cun strage ruit (31) si
precipitò in mezzo ai popoli dell’Asia con strage di uomini.
Mescolò fiumi sconosciuti con il
sangue: con quello dei Persiani l'Eufrate, degli Indiani il Gange, lui terrarum
fatale malum (34), sidus iniquum - gentibus (35 - 36),
stella infausta per i popoli.
Infine fu la natura a imporre il
termine della morte al re pazzo: "occurrit suprema dies, naturaque
solum - hunc potuit finem vaesano ponere regi (41 - 42).
La natura è più selettiva e
aristocratica di qualsiasi società umana.
Nel De beneficiis [1] Seneca presenta Alessandro come
un vesanus adulescens il quale seguiva le orme di
Ercole e di Libero (Herculi Liberique vestigia sequens) ma con Ercole
non aveva nulla in comune. Ercole infatti non vinceva per sé (Hercules nihil
sibi vicit) : lui era malorum hostis, bonorum vindex, terrarum
marisque pacator. E’ il lato buono di Ercole che ha pure un dark
side.
Alessandro invece fu "a
pueritia latro gentiumque vastator, tam hostium pernicies quam amicorum, qui
summum bonum duceret terrori esse cunctis mortalibus, oblitus non ferocissima
tantum, sed ignavissima quoque animalia timeri ob malum virus" (I, 13,
3).
Il Macedone era meno ricco di
Diogene al quale poteva offrire meno di quanto egli poteva rifiutare (V, 4, 4).
Alessandro era povero poiché non si accontentava mai: “tantum illi deest
quantum cupit” (VII, 2, 6).
Cfr. Napoleone in Guerra e
pace di Tolstoj.
Tolstoj spiega i successi di
Napoleone che era "un uomo senza convinzioni, senza consuetudini, senza
tradizioni, senza nome, e che non è neppure francese" come necessari
perché potesse compiersi "il movimento di carattere militare dei popoli europei
da oriente a occidente"[2].
Poi doveva esserci il movimento
inverso, allora "improvvisamente, al posto di quei casi e di quella
genialità , che in modo così progressivo lo hanno guidato finora, con una serie
ininterrotta di successi, verso lo scopo prestabilito, si profilano una
quantità incalcolabile di casi contrari, dal raffreddore di Borodino al gelo e
alla scintilla che incendia Mosca; e invece della genialità , appaiono una
stupidità e una viltà senza ragioni"[3].
“Napoleone è uno dei soggetti
classici di biografia in quanto reputato personaggio sicuramente ‘decisivo’,
eppure per il Tolstoj di Guerra e pace è quasi una marionetta
perché la storia è fatta dalla somma degli infiniti e contraddittori voleri
delle masse”[4].
Alessandro Magno dunque fu Terrarum
fatale malum (Pharsalia X, 34) mescolò fiumi ignoti,
l’Eufrate dei Persiani e il Gange degli Indiani con il sangue - e fu sidus
iniquum - gentibus (36 - 37), stella ostile al genere umano.
Il Macedone, se fosse vissuto più a
lungo sarebbe andato verso il tramonto del globo seguendo la curvatura della
terra - “isset in occasus mundi devexa secutus” (39) ma occurrit
suprema dies (41) gli andò contro l’ultimo giorno e la natura potuit
finem vaesano ponere regi (42), potè imporre un termine al re pazzo.
Non migliore è il giudizio di Lucano su Giulio Cesare, altro massacratore di
genti, compresa la propria, finito male lui stesso.
Alessandro nullo herede
relicto - totius fati lacerandas praebuit urbes (44 - 45) senza
lasciare un erede del suo intero destino, offrì ai successori città da
sbranare.
In Oriente Alessandro è stato
signore degli Arsacidi, quindi molto più bravo dei Romani. Non felix
Parthia Crassis - exiguae secura fuit provincia Pellae (51 - 52). La
Partia , non un successo per i due Crassi, fu una provincia sicura per la
piccola Pella. Criminale fu Alessandro ma pur sempre più forte e capace di
successo rispetto ai Romani guidati dal Crasso e da suo figlio.
Cfr. viceversa i giudizi comparativi
di Tito Livio su Alessandro Magno e i consoli romani.
Tito Livio[5] IX,
17 - 19.
Alessandro morì giovane senza avere mai provato l’avversa fortuna: “nondum
alteram fortunam expertus decessit ”. Ciro e Pompeo le furono esposti
da una lunga vita. Nei consoli romani che lo avrebbero combattuto (Tito
Manlio Torquato p. e.) c’era indoles eadem quae in Alexandro animi
ingeniique (9, 17, 9) la medesima qualità naturale di coraggio e di
ingegno che in Alessandro, e in più la disciplina militaris, la
quale “iam inde ab initiis urbis tradita per manus, in artis perpetuis
praeceptis ordinatae modum venerat ” (9, 17, 10), già fin dagli inizi
della città tramandata di mano in mano, era giunta a una forma d’arte regolata
da norme immutabili.
Tito Manlio Torquato durante la
guerra contro i Latini (340 - 338 a. C.) condannò a morte il figlio che aveva
osato combattere contro il suo ordine, di capo e di padre, dopo averlo accusato
in questo modo:"tu, T. Manli, neque imperium consulare neque maiestatem
patriam veritus, adversus edictum nostrum extra ordinem in hostem pugnasti, et,
quantum in te fuit, disciplinam militarem, qua stetit ad hanc diem
Romana res solvisti " (Livio, 8, 7, 15) tu, Tito Manlio,
senza riguardo per il comando dei consoli e per l'autorità paterna, hai
combattuto il nemico contro le nostre disposizioni, fuori dallo schieramento,
e, per quanto è dipeso da te, hai dissolto la disciplina militare, sulla quale
sino ad ora si è fondata la potenza romana.
G. De Sanctis commenta questa
guerra notando che la forza vincente dei Romani era "la consuetudine di
sfruttare nella lotta per l'esistenza tutte le forze fino al limite estremo
senza alcuna compassione di sé"[6].
Insomma la disciplina per
i Romani del tempo di Al. era fas, legge divina, legge di natura,
non mos, costume soggetto a mutamenti.
Non avrebbero ceduto ad Alessandro Manlio Torquato e Valerio Corvo insignes
ante milites quam duces (Livio, 9, 17, 13) distinti come soldati prima
che comandanti, né i Deci, devotis corporibus in hostem ruentes,
che si erano precipitati contro il nemico con i corpi consacrati, né Papirio
Cursore illo corporis robore, illo animi! (9, 17, 14) Nemmeno
quel Senato di cui Cinea, ambasciatore di Pirro a Roma ex regibus
constare dixit, disse che era formato da re, vinctus esset
consiliis iuvenis unius (9, 17, 14), sarebbe stato vinto dagli
accorgimenti di un giovane.
Se Alessandro si fosse incontrato
con uomini grandi quanto i consoli romani Manlio Torquato, Valerio Corvo, i
Deci, Papirio Cursore, o con i senatori avrebbe detto che non aveva a che fare
con Dario, praedam verĭus quam hostem, che egli aveva sbaragliato incruentus, senza spargimento di
sangue, mulierum ac spadonum agmen trahentem, mentre si tirava
dietro uno stuolo di donne e di castrati, oneratum fortunae apparatibus
suae, appesantito dallo sfarzo della sua fortuna. Alessandro non osò altro
che disprezzare opportunamente quella vanità: nihil aliud quam bene
ausus vana contemnere (9, 17, 16).
Inoltre: era altra cosa l’Italia dall’India per quam temulento
agmine comisabundus incessit (9, 17, 17) attraverso la quale passò
gozzovigliando con uno stuolo di ubriachi. Non ebbe nemmeno la forza di
sopportare i successi che lo corruppero. Referre in tanto rege piget
superbam mutationem vestis et desideratas humi iacentium adulationes (9,
18, 4), rincresce ricordare in un re tanto grande lo sfarzoso cambiamento del
modo di vestire e le desiderate adulazioni di quelli prosternati a terra, insopportabili
ai Macedoni, et foeda supplicia et inter vinum et epulas, caedes
amicorum et vanitatem ementiendae stirpis” (5), e gli orrendi supplizi e le
uccisioni degli amici tra il vino e i banchetti e la vanità di mentire la
stirpe. Alessandro per giunta fu un uomo dal breve destino, il popolo romano
guerreggia con poche sconfitte da otto secoli. Certo nei tredici anni di
Alessandro (336 - 323) la fortuna è stata meno varia che negli otto secoli dei
Romani. I consoli avevano meno tempo per conseguire vittorie, erano osteggiati
dai tribuni della plebe, potevano essere ostacolati dalla temerarietà o
dall’incapacità del collega ed ebbero anche altre difficoltà.
Come armi: clupeus sarīsaeque illis (9, 19, 7), scudo e lunga asta; i Romani lo scutum , maius
corporis tegumentum, et pilum, il giavellotto, arma che si lancia e
colpisce con maggior forza dell’asta. Statarius uterque miles,
sapevano combattere a piè fermo, ma la phalanx era
immobile e unius generis, uniforme, mentre la
romana acies era formata da diverse parti: hastati,
i giovani, principes, triarii , e i velĭtes armati alla leggera, facili a dividersi e a
riunirsi. Il soldato romano era ottimo nei lavori di fortificazione e quis
ad tolerandum melior? Quale più bravo a sopportare la fatica? Ad
Alessandro sarebbe bastato perdere una sola battaglia per perdere la guerra; i
Romani non furono piegati da Caudio né da Canne. Se Al. avesse incontrato
Sanniti e Cartaginesi avrebbe rimpianto i Persiani et cum feminis
sibi bellum fuisse dixisset, avrebbe detto di avere combattuto con
delle donne. I Romani continueranno a vincere “modo sit
perpetuus huius qua vivimus pacis amor et civilis curia concordiae”.
Bologna 28 settembre 2020, giovanni ghiselli
[1] In sette libri completati nel 64 d. C.
[2]Tolstoj, Guerra e pace , p.
1697.
[3] Guerra e pace , p. 1701.
[4] L. Canfora, Noi e gli antichi,
p. 43.
[5] 59 - 17 d. C.
[6]Storia Dei Romani , vol II, p.
261.
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