Lisistrata accusa tutta la razza delle Ateniesi di essere dissolutissima pagkatavpugon a{pan gevno" (137) - katapuvgwn = rotto in culo (puhghv) e zozzone in genere. Dato che pensano a una sola cosa.
Chiede comprensione e aiuto alla fivlh Lavkaina 140 la cara spartana Lampitò. Basteranno loro due ad
aggiustare la cosa.
Si diversificano i ruoli a partire dalle caporione.
Lampitò risponde che è duro rimanere senza glande, ma
c’è bisogno di pace (142 - 143).
Pensate a quante volte abbiamo dovuto o voluto rinunciare
a un’amante o un amante ad maiora mala vitanda.
Cleonice dubita
che l’astensione dal sesso porti la pace.
In effetti spesso i più frustrati sessuali sono pieni
di risentimento e anche di rabbia e la guerra per molti è “tutto sesso andato a
male”, come l’adorazione dei capi.
Lisistrata,
sempre più convinta, illustra la tattica da usare: le donne dovranno aspettare
i mariti con belle tuniche trasparenti depilate nel pube devlta paratetilmevnai (151) e quando gli uomini avranno un’erezione stuvointo d’ a[ndre" (151) kajpiqumoi'en splekou'nm e abbiano voglia di fottere, noi ajpecoivmeqa, ci
scostiamo. Allora gli uomini patteggeranno e trionferà la strategia che porta
alla pace.
Lampitò aggiunge un esempio tratto da vicende
spartane: infatti Menelao quando vide le tette di Elena nuda, gettò via la
spada (Lisistrata, 155 - 156).
Nell’Andromaca di Euripide, Peleo rinfaccia a Menelao
che come vide il seno (masto;n) di Elena, gettata la spada, si è fatto baciare
lusingando la cagna traditrice - prodovtin aijkavllwn kuvna (629 - 630).
Cleonice domanda “cara mia, e se gli uomini ci
piantano?
Lisistrata “dovremo scuoiare una cagna scuoiata (ossia
usare l’olisbo consumato) - kuvna devrein dedarmevnhn
(158)
Cleonice disprezza tali memimhmevna
–imitazioni, surrogati, dicendo che sono insulsaggini fluariva (159), cose
senza senso.
Poi aggiunge che i mariti potrebbero anche forzarle.
Allora
Lisistrata ribatte che non c’è piacere quando certe cose si fanno per forza “ouj ga;r e[ni touvtoi"
hJdonh; toi'" pro;" bivan”
(163). E l’uomo non potrà godere se non c’è il piacere della donna.
Certi uomini allora fanno come il principe Salina del
Gattopardo la cui moglie non tripudiava e lui andava a cercare amanti meno
inibite, perfino nei bordelli.
Cleonice comincia a convincersi.
Lampitò
annuncia che le donne spartane sapranno persuadere gli uomini a fare la pace.
Ma la folla del popolo ateniese tw'n jAsanaivwn rJuavceton - dialetto laconico - chi potrà persuaderla a non fare sciocchezze?.
Lisistrata risponde che ci penseranno loro con la
tattica già detta.
Lampitò ne dubita e ricorda la smania imperialistica
degli Ateniesi maschi che hanno riempito l’Acropoli di tesori rubati.
Lisistrata replica: “noi donne oggi stesso occuperemo
l’acropoli - “katalhyovmeqa
ga;r th;n ajkrovpolin thvmeron”176.
Alle anziane
anzi è già stato l’ordine di farlo con il pretesto di sacrificare - quvein dokouvsai" 179.
I riti religiosi sono stati nella storia strumenti di
operazioni militari o politiche come colpi di Stato.
Lampitò ne è convita
Lisistrata propone un giuramento sullo scudo, come
quello descritto da Eschilo nei Sette a Tebe .
E’ nel racconto che fa il Messaggero a Eteocle a
proposito degli a[ndre"
eJptav (v. 42).
Cleonice non è d’accordo sullo scudo che evoca la
guerra. Bisogna piuttosto giurare su una coppa di non versare mai acqua nel
vino.
Lampitò approva. Lisistrata versa il vino nella coppa
come se fosse sangue di un porco sacrificato.
Lisistrata detta le parole del giuramento che Cleonice
ripete: “oujk
e[stin oujdei;" ou[te moico;" out j ajnh;r” (213) nessuno mai né ganzo né marito.
La caporiona completa o{sti" pro;" ejme; provseisin
ejstukwv", levge (214), si
avvicinerà mai a me con l’erezione, ripeti
- stuvw, ho un’erezione -
Cleonice ripete pur mentre le si piegano le ginocchia.
E passerò la vita in casa ajtaurwvth (217, cfr. taurovw, trasformo
in toro) senza essere montata.
cfr. Medea quando nel prologo la nutrice racconta
“Già infatti l'ho vista mentre fissava con furia
taurina 92 tauroumevnhn
questi bambini, come se avesse in animo di fare
qualcosa; e non cesserà
dall'ira, lo so bene, prima di avere assalito
qualcuno.
Spero almeno lo faccia con i nemici, non con i suoi
cari. 95.
Lisistrata poi suggerisce “con una veste color
zafferano e imbellettata - krokwtoforou`sa kai; kekallwpismevnh - 219”
Breve Excursus
l’eleganza delle donne, il loro cultus, fa presa sul
desiderio maschile.
Nell'Ars Amatoria Ovidio afferma che è proprio
l'eleganza a fargli preferire l'età moderna all'antica, presunta aurea: "prisca
iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor: haec aetas moribus apta
meis" (III, 121 - 122), i tempi antichi piacciano ad altri, io mi rallegro
di essere nato ora, dopo tutto: questa è l'età adatta ai miei gusti, non
perché, continua il Sulmonese, terre mari e monti sono stati domati
dall'uomo,"sed quia cultus adest nec nostros mansit in annos/rusticitas
priscis illa superstes avis " Ars, III, 127 - 128), ma perché c'è eleganza
e non è rimasta fino ai nostri anni quella rozzezza sopravvissuta agli avi
antichi.
"Ordior a cultu . Così Ovidio inizia, dopo il
lungo proemio, la precettistica riservata alle donne nel terzo libro dell'Ars .
Cultus , riferito come qui alla vita della donna,
indica più o meno la "cura della persona" e quindi la
"raffinatezza" .
Il cultus rende
le donne più attraenti e seduttive ed è una di quelle parole che possono
prendere significati differenti dando luogo a comportamenti contrastanti.
Qualora ci si
voglia liberare dai lacci delle donne e trovare rimedi all'amore converrà
vederle al naturale arrivando all'improvviso di mattina: "Auferimur cultu:
gemmis auroque teguntur/omnia; pars minima est ipsa puella sui " (Remedia
Amoris vv. 343 - 344), siamo sedotti dall'acconciatura: tutti i difetti sono
coperti dalle gemme e dall'oro; la donna in sé, è una parte minima di sé.
Infatti, prosegue Ovidio, "Saepe, ubi sit quod
ames, inter tam multa, requiras:/decipit hac oculos aegide dives Amor "
(vv. 345 - 346), spesso tra tante contraffazioni uno può chiedersi dove sia ciò
che ama: Amore arricchito con questo scudo inganna gli occhi.
"E' in Ovidio che troviamo l'irrisione aperta
della rusticitas , è Ovidio che della negazione della rusticitas fa un aspetto
essenziale del suo mondo galante. In alcuni casi egli ci presenta la negazione
in modo ambiguo", attribuendola a personaggi poco attendibili. "Per
esempio, una contrapposizione fra le formosae audaci di oggi e le sporche
sabine delle origini di Roma è elaborata da una lena nel suo discorso
esortativo (Am. I 8. 39 sgg.): "Forsitan inmundae Tatio regnante
Sabinae/noluerint habiles pluribus esse viris;/nunc Mars externis animos
exercet in armis,/at Venus Aeneae regnat in urbe sui./Ludunt formosae: casta
est quam nemo rogavit;/aut si rusticitas non vetat, ipsa rogat " , forse
le sporche Sabine sotto il regno di Tazio non avranno voluto essere disponibili
per più uomini; ora Marte tiene occupati gli animi in guerre straniere, ma è
Venere che regna nella città del suo Enea. Le belle si divertono: è casta
quella cui nessuno ha fatto proposte; oppure se non lo impedisce la
selvatichezza, è lei che fa le proposte.
E ovviamente non sono sempre proposte decenti.
Pesaro 3 ottobre 21021 ore 10, 32
giovanni ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento