Luigi Ontani, Fauno |
Arriva Cinesia con una visibile erezione. Lo segue uno schiavo che
porta un bambino.
Lamenta che spasmov",
erezione, tevtano" (846)
tensione lo hanno invaso, e si sente come uno torturato alla ruota - w{sper ejpi; tocou` streblouvmenon - 845.
Lisistrata, dato che è un uomo gli dice di andarsene fuori dai piedi - oujk a[pei dh`t j ejkpodwvn ; 848.
Richiesta del proprio ruolo la donna risponde di essere la sentinella
diurna
Cinesia chiede a Lisistrata della sua Mirrina
Lisistrata lo saluta con enfasi amichevole e gli dice Mirrina lo ha
sempre sulla bocca - sj e[cei dia; stovma
856 parlandone bene.
Degli altri uomini dice che sono una sciocchezza lh`ro" rispetto al proprio marito.
Quindi Cinesia le chiede di andare a chiamare Mirrina: ha perso ogni
gioia di vivere da quando lei se n’è andata, quando torno a casa mi sento
depresso - a[cqomai, tutto mi sembra
deserto e non provo nemmeno gioia a mangiare: cavrin
oujdemivan oi\d j ejsqivwn: e[stuka gavr (869) ce l’ho ritto perché (ho
tradotto con un pesaresismo buffo per rendere l’aura comica.
Mirrina oppone resistenza dicendo in disparte a Lisistrata che il
marito mente.
Cinesia prova a chiamarla ma la moglie è riluttante. Prova a impietosirla dicendo di essere tribolato - ejpitetrimmevno" - 876 ejpitribw - Ci manca solo che dica come fa Germont con Violetta, la traviata.
Deh, non mutate in triboli
le rose dell’amor!
Ai preghi miei resistere
non voglia il vostro cor.
Cinesia spinge il figlio a chiamare la mammina mammiva, mammiva, mammiva 879
Quindi marito chiede pietà per il piccolo che non è lavato nè allattato
- a[louton ka[qhlon - da sei giorni
- qhlhv, mammella e capezzolo.
Mirrina ribatte che a lei il bambino fa pena, ma è il padre quello che
lo trascura ajmelhv" aujtw'/.
Cinesia insiste, e lei fa: oi|on
to; tekei'n: katabatevon che faccenda avere partorito, bisogna andare
laggiù, che altro posso fare? - tiv ga;r
pavqw; (884),
Cinesia la guarda avidamente e le dice che sembra diventata newtevra più giovane e più splendida. E il
fatto che sei sdegnosa duskolaivnei
e altezzosa brenquvetai è proprio
quello che mi strugge di desiderio m’
ejpitrivbei tw'/ povqw/ (888).
Cfr. Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (Ovidio, Amores, II,
20, 36)
E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi
fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza nella poesia
amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciascuno di noi:
Teocrito nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma
secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde: "kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei"
(v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso
Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella
presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Abbiamo anche qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole
dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato letterario. Teocrito è,
come Callimaco, un rappresentante di una poesia cosiddetta postfilosofica: "Post
- filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità
di dominare teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui
Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano
scetticamente dall'universale e si rivolgono con amore al particolare" .
Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato che nel V secolo era
comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello
della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la poesia
è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la storia
al particolare" (p. 141). La poesia postfilosofica dunque non racconta più
l'universale. Post - filosofica o almeno postilluministica sarebbe anche quella
di Goethe:" Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta storica;
al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che ha dissolto le
antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il razionalismo e
incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma l'evoluzione del mondo
antico segue una via così diversa da quella del mondo moderno, che Callimaco, e
con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia minore, delicata, mentre
Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà la preferenza alla
poesia patetica, interiormente commossa" .
"Un epigramma di Callimaco
(Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in
Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti:" Come il
cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di
mano, così fa anche l'amante che dice: "…Meus est amor huic similis:
nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones , 1, 2,
107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in
un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della
perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la
tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse
sequor (2, 20, 36)" , evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un luogo comune
dell'amore, o, forse, della non praticabilità dell'amore.
Sentiamo qualche altra testimonianza. Nella commedia La locandiera (del
1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo."Quei
che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione analoga troviamo in Il giocatore di Dostoevskij (1866)
dove il protagonista Alexei dichiara il suo amore a Polina in questi termini: "Lei
sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza
e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei
dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo
so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so
neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non
è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile" .
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi
mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto: "Qualsiasi
essere amato - anzi, in una certa misura, qualsiasi essere - è per noi simile a
Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a
nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia" .
L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il
raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le
ottave dell'Orlando furioso: "La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel
giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor
se le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor
s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie
ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo
verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto
perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita
aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti
gli altri amanti" (I, 42 - 43).
Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo
che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina:"Lui la guardava
come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui
riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e
distrutto" .
Gozzano, su questa linea,
sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di rimpianto. Non
amo che le rose/ che non colsi" .
Sentiamo infine C. Pavese: "Ma
questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone
più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono" .
Mirrina bacia il bambino chiamandolo teknivdion
kakou` patrov" – figlioletto di un cattivo padre e pure glukuvtaton th` mammiva/ 890, dolcezza di
mamma.
Bologna 6 ottobre 2021 ore 18, 41
giovanni ghiselli
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