PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT HELLENIKA QUI E GREEK QUIPriapo
Mirrina dunque ha detto al marito che se vuole fare l’amore con lei deve votare per la pace. Poi se ne è andata.
Cinesia si lamenta: ajpodeivrasa oi[cetai (953), “se ne va dopo avermi sbucciato” - ajpodevrw, levo la pelle (ovviamente dal glande). Infine invoca Kunalwvpex, Canevolpe un tenutario di bordello.
Il corifeo lo compiange per gli o[rcei" insoddisfatti.
In italiano si direbbe che ha l’orchite.
Quindi il vecchio incita il marito che
continua a chiamarla pagglukevra 970, dolcissima, a punire la scellerata miarav (971), sollevandola in aria e facendola ricadere in
modo che si infili di colpo sul glande ejxaivfnh" peri; th;n ywlhvn (979), data l’erezione.
Arriva un araldo spartano anche lui con
un’erezione evidente.
Domanda dov’è il senato aJ gerwciva o i pritani (980).
Arriva il pruvtani"
- presidente - del giorno - e gli domanda se sia un uomo o Konìsalo, un demone
della fecondità simile a Priapo.
Lo spartano risponde ka'rux ejgwvn , sono un araldo io venuto da Sparta per la pace.
Parla in dialetto dorico che non sembra
essere solo la “patina” dei cori tragici.
Perché allora questa lancia sotto
l’ascella? Dovru
uJpo; mavlh" (985) domanda il
pritano.
L’araldo si volta per non far vedere la
“lancia”.
Ma girato sembra che abbia un bubbone
sotto l’anguinaia
Finalmente il pritano capisce che si
tratta di erezione ajll
j e[stuka", w\ miarwvtate,
mascalzonissimo 989.
Lo Spartano nega e dice che si tratta
della skutavla
lakwnikav, un bastone di legno intorno al
quale si avvolgevano le strisce con i messaggi di Stato, i dispacci di Sparta.
Però poi l’araldo confessa che l’intera
Sparta è ritta e tutti gli alleati sono in erezione: c’è bisogno di donne
(menziona Pallene, forse una prostituta)
Lampitò ha dato il segnale, dopo di che,
tutte hanno scacciato i mariti dalle fiche ajphvlaan tw;" a[ndra" ajpo; tw'n ujssavkwn (1001) - u{ssax (u|" -
latino sus)
L’araldo spartano aggiunge che i maschi
girano per la città tutti curvi, “come se portassimo una lanterna e le donne
non si lasciano toccare se prima gli uomini non fanno la pace”.
Il Pritano ne deduce che si è congiurato
dovunque da parte delle donne, ora capisco pantacovqen xunomwvmotai - uJpo; tw'n gunaikw'n: a[rti
nuniv manqavnw - 1007 - 1008 - Ora
capisco è l’espressione della resipiscenza associata al mavqo" tragico. In seguito arriva la cessazione del pavqo".
L’intelligenza del dolore porta alla
resipiscenza e al superamento della pena.
Parto da Eschilo: il tw'/ pavqei mavqo~ dell’Agamennone (v. 177) che ritorna in altre forme in
altri autori, antichi e moderni.
Goccia invece del sonno davanti al cuore
la pena che ricorda il male (stavzei d’ ajnq j u[pnou pro; kardiva~ - mnhsiphvmwn povno~ , Agamennone, 179 - 180) e anche a chi non vuole
giunge l’essere saggio.
Arriva con violenza la grazia degli dèi
(182). Sono tutte espressioni della Parodo.
“La forma drammatica classica si regge
su un principio: che la sofferenza inevitabilmente connessa all’esistere (anzi:
al voler essere la via destinataci) conduca finalmente al mathos, a un ‘chiaro’
sapere” .
Un caso di lieto fine in seguito a
resipiscenza possiamo trovare nell'Alcesti di Euripide. Admeto, sentendo il
peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio
della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è
rimasto e dice: "lupro;n
diavxw bivoton: a[rti manqavnw",
condurrò una vita penosa: ora comprendo (v.940). In seguito, come si sa, gli
verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.
C. Del Grande in Tragw/diva afferma che pure la commedia nuova, e particolarmente
quella di Menandro mantiene un carattere paradigmatico fornendo esempi di mavqo" tragico. E' il caso di Carisio negli jEpitrevponte" (L’arbitrato): il marito che aveva ripudiato la
moglie per un presunto errore sessuale di lei, un fallo che, senza conoscersi
prima né riconoscersi poi, avevano commesso insieme da ubriachi, quando si
accorge dell'amore della sposa, ironizza sulla propria innocenza di uomo
attento alla reputazione:" ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan
blevpwn"(v. 588), io uno senza
peccato, e comprende che deve perdonare quello che è stato solo un "ajkouvsion gunaiko;"
ajtuvchma", un infortunio
involontario della donna (v.594).
E', secondo Del Grande, un "vero
momento di mavqo" tragico" .
Viene in mente l’episodio dell’adultera
perdonata da Cristo nel Vangelo di Giovanni:"chi di voi è senza peccato
scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp j aujth;n
balevtw livqon, qui sine peccato est
vestrum, primus in illam lapidem mittat (N. T. 8, 7). Questa non è una
posizione realistica, commenta Del Grande, poiché i mariti borghesi non erano,
né sono, come Carisio; Menandro dunque, messi da parte gli eroi del mito, ne
crea altri più umani i quali comunque arrivano alla comprensione attraverso la
sofferenza, come suggerisce l'Agamennone (v. 177) di Eschilo.
Bologna 7 settembre 2021 ore 19, 47
Giovanni ghiselli
p. s.
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Uccello di Pascoli e tale voglio rimanere.
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