Sostrata walks off on Canthara. Geta runs off |
Conclusione del IV atto
Demea
Demea solo in questa breve scena (vv 713-718), dice di essere stanco a forza di girare nel labirinto suggeritogli da Syro contro il quale lancia maledizioni. E’ passato lungo tutti i luoghi indicati dal servo e non ha trovato nessuna fabrica né alcuno che potesse dargli indicazioni sul fratello. Sicché è tornato davanti a casa e aspetta il ritorno di Micione
Terenzio Adeplhoe IV, 7 (719-762)
Micio Demea
Micione esce da casa e rivolto all’interno informa che sta andando da Sostrata e Panfila a dire che tutto è già pronto nullam esse in nobis moram
Ma Demea lo ferma. Gli vuole raccontare gli ingentia flagitia boni illius adulescentis, gli enormi scandali di quel “buon giovane”.
Micione fa Ecce autem! Ci risiamo! Demea però annuncia nova capitalia!, peccati nuovi da forca! Nescis qui vir sit.
E Micio: Scio (724)
Non si tratta di una suonatrice questa volta ma di una cittadina vergine dice Demea pieno di sdegno.
Scio fa ancora Micione.
Il fratello comprensivo ha la superiorità e la calma di una maggiore informazione e consapevolezza rispetto a Demea.
Pensate ai segreti tenuti sempre dal Palazzo, agli arcana imperii svelati da Tacito, poi denunciati da Guicciardini.
Demea insiste sulla gravità della situazione: “ non clamas, non insānis?, 727, non urli? Non impazzisci?
Micione non si scompone Non, anche se inizia a dire: “malim quidem…, certo preferirei.
Ma il fratello lo interrompe: puer natust (728) è nato un bambino.
E Micione: Di bene vortant! ogni bene dagli dèi!
Demea: virgo nihil habet , la ragazza è povera, non ha niente et ducenda indotatast e va sposata senza dote.
Micio: scilicet, si capisce.
I due fratelli fanno battute coerenti con i rispettivi caratteri. Questo dialogo ha il pregio della naturalezza quale si trova in pochi altri autori.
Che cosa accadrà ora? Domanda Demea allarmato
Ottima e dal significato profondo la risposta di Micio: id quod res ipsa fert: - illinc huc transferetur virgo (730-731). Sono parole intelligentemente risolutive in ogni situazione.
Nessun arzigogolo, nessuna finzione, nessuna maschera.
Dicono più o meno la stessa cosa ma non altrettanto bene Cicerone e Seneca
Cicerone:"Officium autem, quod ab eo ducitur, hanc primum habet viam, quam deducit ad convenentiam conservationemque naturae quam si sequemur ducem, numquam aberrabimus " (De Officiis, I, 100), il dovere che ne deriva percorre una strada che conduce all’accordo con la natura e alla conservazione di quanto produce
Troppe parole in un periodo pesante.
Seneca :"Sequitur ratio naturam. Quid est ergo ratio? Naturae imitatio. Quod est summum hominis bonum? Ex naturae voluntate se gerere " .( Epistole a Lucilio , 66), la ragione allora segue la natura. Che cosa è la ragione? Imitazione della natura. Qual è il sommo bene dell'uomo? Comportarsi secondo la volontà della natura.
Meno pesante questo, tuttavia meno essenziale ed efficace della battuta di Terenzio
Demea è scandalizzato e dice al fratello che se non prova dolore dovrebbe almeno simularlo.
Micione ribatte che è già tutto stabilito : fiunt nuptiae e si è agito in maniera umana (736)
Demea domanda a Micione se davvero certe cose gli piacciono.
Micio dà una risposta molto sensata: da uomo maturo: “Non, si queam id mutare”, no, se potessi cambiarle
“Nunc quom non queo, animo aequo fero” (738) ora, dal momento che non posso, contribuisco a portarlo avanti con animo sereno.
Si noti l’allitterazione con la consonante ripetuta che risuona nell’aequo animo di Micione e lo rafforza
E’ il metodo di fare il possibile ad maiora mala vitanda. Cfr. il dramma Il vicario (1963) di Rolf Hocchhuth
Micione continua: Ita vitast hominum, quasi quom ludas tesseris (739), la vita degli uomini è come un gioco di dadi;
si illud quod maxume opus est iactu non cadit, se con il lancio non cade quello che sopra tutto ci vorrebbe,
illud quod cecidit forte, id arte ut corrigas (741), è opportuno che si corregga con l’ingegno quello che è accaduto per caso.
Anche questi versi sono belli. C’è però da dire che se nemmeno con la correzione abbiamo successo in un gioco significa che non abbiamo i mezzi per correggere i risultati, allora dobbiamo cambiare gioco.
Demea replica chiamando ironicamente il fratello: “Corrector!”. Secondo il catoniano si sono perse venti mine e si ritrovano in casa una citarista cioè una cattiva signorina, quindi bisogna cacciarla: venderla e se nessuno vuole pagare, regalarla.
Catone il Vecchio nel dà disposizione su come trattare gli schiavi: sempre con avarizia spesso venata anche di crudeltà. Un solo esempio: sculponeas bonas alternis annis dare oportet (De agri cultura, 59), ogni due anni bisogna dare loro un buon paio di zoccoli.
Micio risponde che non ha intenzione di vendere l’amante di Ctesifone.
Demea teme lo scandalo più che mai ed esclama: meretrix et materfamilias una in domo? (748)
Pavese risponderebbe con queste parole sue: “"Se una donna non tradisce, è perché non le conviene"[1]. Inoltre:"Le puttane battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion veduta?"[2].
Micio risponde Quor non?, perché no?
A Demea sembra che il fatello delìri: “sanum te credis esse?” (748) Micio risponde Equidem arbitror
Etère buone e generose si trovano già nei drammi di Menandro: Abrotano dell’Arbitrato, per esempio.
Per comprendere meglio Terenzio nel corso che inizieremo il 25 gennaio partiremo da Menandro.
Demea schernisce il fratello dicendogli che ha preso in casa la cantatrice per canticchiare con lei
Micio ripete Quor non?
Allora il catoniano domanda se la sposina imparerà le medesime cose- Et nova nupta eadem haec discet? (751)
E Micio : Scilicet, si capisce.
Demea incalza il fratello cercando di ridicolizzarlo: “e tu in mezzo a quelle donne danzerai tenendo la corda?
Probe, sicuro fa Micio e aggiunge et tu nobiscum una, si opus sit, e tu con noi in caso di bisogno.
L’arma del ridicolo è sempre efficace per smontare gli accigliati catoni e i senes severiores in genere. Può funzionare anche con i sornioni.
Demea domanda: “Non te haec pudet?” , non te ne vergogni?
Micio non se la prende e diventa appunto sornione, cioè il bonario che non dice tutto e non polemizza.
Suggerisce al fratello di mettere via l’iracondia e di mostrarsi ilare come si addice per le nozze del figlio. Quindi esce di scena.
Demea rimasto solo enumera le cose che secondo lui non vanno: “Hoscine mores”
I mores vengono deprecati spesso con i tempi ( si pensi O tempora o mores! del quarto libro della seconda verrina e della prima catilinaria di Cicerone).
L’associazione tra i tempi e i costumi è giusta perché i costumi non sono eterni né fissi e cambiano con i tempi. Noi vecchi in genere rimpiangiamo i costumi della nostra età novella.
il superciliosus censore del fratello prosegue nell’esposizione del lato negativo, l’unico della famiglia se non fosse per lui : “Hanc dementiam! - Uxor sine dote veniet; intus psaltria est;-domus sumptuosa la casa nello sperpero; adulescens luxu perditus, il giovane rovinato dai vizi, senex delirans.Ipsa si cupiat Salus,-servare prorsus non potest hanc familiam” 757-762.
Bologna 2 gennaio 2022 ore 18, 31
giovanni ghiselli
p. s.
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[1]Il mestiere di vivere , 31 ottobre 1938.
[2]Il mestiere di vivere , 17 gennaio 1938.
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