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V, 1-2
Syrus Demea
Lo schiavo Syrus esce di casa gonfio di cibo e bevande e ha voglia di passeggiare un po’ lì sul posto. Doverebbe per lo meno correre. Magari vomiterebbe quanto ha ingurgitato. Postquam intus sum omnium rerum satur,-prodeambulare huc libitum est (765-766) Demea lo vede e lo indica al pubblico: “Illud sis vide: exemplum disciplinae” 766-767.
Un esempio di educazione detto con ironia. L’assenza di educazione dipende dalla cattiva scuola e quando tale carenza si generalizza e passa dagli schiavi ai padroni, compresi quelli che governano, le civiltà crollano perché nessuno sa svolgere più alcun compito. Syro rivolge al vecchio una domanda provocatoria: “quid tu es tristis? perché sei triste?
Demea se ne risente - Oh, scelus! , oh scellerato! - Il servo lo provoca di nuovo chiamandolo Sapientia, saggezza personificata. Demea risponde a Syro che se fosse il servo suo ne farebbe un exemplum per tutti i mascalzoni come lui. In effetti l'esempio, positivo e negativo, è la stella polare dell'educazione antica, il punto di orientamento più efficace.
Già nel primo canto dell'Odissea compaiono i paradigmi educativi: Egisto è presentato dallo stesso Zeus quale contromodello, siccome è uno degli uomini che soffrono dolori contro il destino per la loro follia: "sfh'/sin ajtasqalivh/sin ujpe;r movron a[lge j e[cousin"(v. 34). Viceversa Oreste più avanti viene indicato a Telemaco da AtenaMente quale paradigma positivo in quanto ha ucciso il negativo Egisto appunto, e ha vendicato il padre. Anche tu sii forte, lo incoraggia la dea, poiché ti vedo bello e grande assai:" "kai; suv, fivlo", mala gavr s& oJrovw kalovn te mevgan te-a[lkimo" e[ss j"(vv. 301-302). Senza l'esempio mancherebbe l'elemento concreto indispensabile per un elleno: "il realismo, in arte, è greco; l'allegorismo è ebraico", ebbe a scrivere Pavese . Platone nella Repubblica afferma che non sono diversi dai ciechi coloro che non hanno nell’anima nessun esemplare chiaro: "mhde;n ejnarge;" ejn th'/ yuch'/ e[conte" paravdeigma" (484c).
Syro finge di non capire: “Quid feci?” 772 Demea gli rinfaccia lo scompiglio peccaminoso della famiglia e il suo trincare con altri nel mezzo della confusione in ipsa turba atque in peccato maximo (773) … potatis, scelus, quasi in re bene gesta (774) Syro dice tra sé che era meglio non uscire Terenzio Adelphoe V, 2 Dromo, Syrus, Demea Sulla soglia della casa di Micione compare lo schiavo Dromo dicendo a Syro che Ctesifone lo vuole. Il collega prova a fargli capire che deve rientrare : “ Abi!”, vattene, ma è tardi: Demea ha sentito e domanda se Ctesifone è dentro. Syro, maestro di menzogna, mente: “non est”. Il vecchio allora domanda Quor hic nominat? (778), perché costui lo nomina? La domanda sule cause ora viene bollata e censurata come complottismo ma una persona con un poco di logica non può farne a meno di cercare le cause più vere e meno chiarite a parole. Syro tira fuori dal suo repertorio di bugiardo un’altra menzogna: “est alius quidam parasitaster paululus: - nostin?” è un altro, un miserabile parassita da poco, lo conosci?
Dell’eterno parassita edace e adulatore troviamo un’efficace descrizione nel romanzo di Manzoni che ne situa tre alla tavola di Don Rodrigo: "In faccia al podestà, in atto d'un rispetto il più puro, il più sviscerato, sedeva il nostro dottor Azzeccagarbugli in cappa nera, e col naso più rubicondo del solito: in faccia ai due cugini, due convitati oscuri, de' quali la nostra storia dice soltanto che non facevano altro che mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale, e a cui un altro non contraddicesse".
Di recente un bel film sud coreano ha raccontato la storia sanguinosa di una famiglia dei parassiti che spesso non sono solo degli adulatori e dei buffoni ma dei veri criminali organizzati. Non mancano quelli che provano a succhiare anche il poco sangue dei poverelli come me. Demea vuole entrare, e Syro cerca di trattenerlo, ma il vecchio lo minaccia e lo schiavo deve lasciarlo entrare. Quindi si dà a un immeritato riposo: “Quid ego nunc agam,nisi dum haec silescunt turbae, interea in angulum - aliquo abeam atque edormiscam hoc villi? Sic agam” (784-786) villum è diminutivo di vinum, un vinello, un po’ di vino che concilia il sonno. Il servo intrallazzone e parassita lui pure, dopo tutto se ne frega anche delle possibili sanzioni.
Bologna 3 gennaio 2022 ore 10, 31
Giovanni ghiselli
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