NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 3 gennaio 2022

Terenzio, "Adelphoe". 24

V, 3 prima parte (787-806) 

 
Micio, Demea

Micione esce dalla casa di Sostrata e vede il fratello mentre esce da casa sua e grida  che non sa come fare.
Micione capisce che Demea oramai sa tutto e teme delle contese, forse addirittura un processo, quindi dice - a parte - che è necessario ricorrere ai ripari: “paratae lites: succurrendumst” 792.
Demea per il momento non sembra disponibile alla riparazione: "eccum adest - communis corruptela nostrum liberum” (792)
Nel giudizio di questo severo censore il fratello sarebbe il corruttore dei due nipoti che il padre chiama figli nostri.
 
In effetti Demea è vedovo, Micio scapolo e i due litigano e pure si vogliono bene come due sposi bizzarri.
 
Micio prova a calmare il fratello adirato e fuori di sé: “Tandem reprĭme iracundiam atque ad te redi” 794.
Leggendo questo latino o quello di Petronio, ma perfino quello più paludato di Seneca viene da pensare che quello delle opere maggioni di Cicerone non sia mai stato parlato da alcuno.
 
Solo un breve esempio da Seneca a proposito dell’iracundia di Demea
Nel De ira Seneca scrive: “ Quidam itaque e sapientibus viris  iram dixerunt brevem insaniam; aeque enim impotens sui est” (I, 1, 2), pertanto alcuni saggi hanno detto che l'ira è una breve pazzia; infatti è nello stesso modo incapace di controllarsi.
 
Demea si calma e dice che loro due devono esaminare i fatti.
Ricorda che si erano accordati sulla ripartizione dei due ragazzi: uno a me, uno a te
Micione non lo nega
Allora Demea domanda come mai il suo Ctesifone ora beva in casa dello zio che gli ha pura pagato la ganza. La conclusione è: “Quando ego tuom non curo, ne cura meum” (802) dal momento che non mi occupo del tuo, non occuparti del mio.
Micione replica ricorrendo a un vetus verbum, una antico detto: “communia esse amicorum inter se omnia” (804) è il comunismo tra gli amici.
Dopo la battaglia di Isso ( 333 a. C.) ci fu il compianto delle donne su Dario III creduto morto. Anche Alessandro pianse. Entrò nella tenda con Efestione, longe omnium amicorum carissimus erat regi (III, 12, 16).
Era più prestante di Alessandro e la regina con le principesse credevano che fosse lui il re; poi si scusarono, ma Alessandro disse: “non errasti-inquit- mater, nam et hic Alexander est” (Curzio Rufo  Historiae Alexandri Magni 3, 12, 17)
Cicerone nel  De amicitia scrive: Infatti ciascuno ama se stesso non per far pagare a se stesso una qualche ricompensa dell’amore suo, ma in quanto ciascuno è caro a se stesso per quello che è. Se non si trasporterà il medesimo tipo di amore nell’amicizia, non si troverà mai un vero amico. Infatti è tale chi è come un altro se stesso (Est enim is, qui est tamquam alter idem, 80)[1].
 
Demea replica che questo discorso è fuori tempo e fuori luogo
Micio però non si arrende e  procede con il tentativo di convincere il fratello: “Ausculta paucis nisi molestumst, Demea” (806) Demea si rivela capace di ascoltare e si lascerà convincere da Micione più aggiornato.
 
Bologna 3 gennaio 2022
Giovanni ghiselli

p. s
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[1] Cfr. Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est ”, infatti volere e non volere le medesime cose costituisce precisamente la solida amicizia.

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