Dyskolos al Teatro Stabile di Catania - Teatro della Città |
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V, 4 seconda parte (866-881)
Demea procede presentando se stesso nolto criticamente
Ego ille agrestis, saevos, tristis, parcus, truculentus, tenax duxi uxorem: quam ibi miseriam vidi! Nati filii - alia cura (866-867), ecco il famigerato tanghero, crudele, cupo, taccagno, truce, tirchio, presi moglie, quale miseria ho visto in quello stato! Sono nati i due figli, altra preoccupazione.
Il quadro è tutto scuro, non c’è luce nemmeno di crepuscolo. Manca pure la motivazione di queste scelte sbagliate.
Il duvskolo" di Menandro, Cnemone, invece spiega per quali ragione è diventato un misantropo e un sordido anacoreta: ha visto troppa malvagità e ingratitudine nella società. Ma questo a Roma non si poteva dire, neppure in una commedia ambientata in Atene. Con gli Scipioni si attendevano magnifiche sorti e progressive: tutta l’ecumene assoggettata a Roma in cinque decenni come fece notare Polibio, e tutti i cittadini romani benestanti, liberali e contenti al pari di Micione.
Sentiamo per un attimo Polibio anche lui organico al cicolo scipionico: "I Romani invece avendo resa sottomessa a se stessi, non alcune parti, ma quasi tutta la terra abitata “ jRwmai'oiv ge mh;n ouj tina; mevrh, scedo;n de; pa'san pepoihmevnoi th;n oijkoumevnhn ujphvkoon auJtoi'"” hanno lasciato una potenza del loro impero irresistibile per i contemporanei, insuperabile anche per i posteri" (Storie, I, 2, 7).
Chi vuole un corso sulla storiografia lo faccia sapere sl direttore.
Demea dunque si rammarica di avere consumato la propria vita e il tempo- vitam atque aetatem meam contrivi- nel preparare il futuro cercando denaro in quaerendo (869-869): e ora che sono vecchio, si autocompiange, hoc fructi pro labore ab iis fero in cambio della fatica riporto questo frutto da quelli per cui l’ho impiegata: odium (870- 871). Se fosse più saggio Demea darebbe la colpa di questo odio in gran parte a chi gli vuole male.
Del resto non poche dei nostri labores sono fatiche di Sisifo
Spesso l’odio colpisce chi dice la verità, chi è serio, chi lavora bene perché la sua vita è un’accusa nei confronti di gran parte del suo prossimo.
Quindi Demea torna a considerare il fratello che senza fatica ha ricavato simpatia e amore dai due ragazzi: “illum diligunt, apud illum sunt ambo, ego desertus sum; -illum ut vivat optant, meam autem mortem exspectant scilicet” (872-873) a lui vogliono bene entrambi e stanno con lui, io sono desolato, di lui si augurano che viva, di me invece aspettano la morte, si capisce. Il motivo è che Micione è più simile ai due nipoti di quanto lo è il padre loro.
Micio con poca spesa paulo sumptu ha reso suoi i figli miei, a me rimane la miseria di sempre (876)
E’ la constatazione di un fallimento.
Viene in mente il lamento di Prospero sul proprio insuccesso educativo nei confronti di Calibano
“my pains, humanely taken, all, all lost, quite lost” (The tempest, IV, 1)
Sicché Demea vuole provare a fare il contrario di quanto faceva prima. Cercherà di comportarsi come il fratello che lo ha sfidato a farlo:
“blande dicere aut benigne facere (878). Ego quoque a meis me amari et magni pendi postulo (879), anche io ho la pretesa di essere amato e considerato dai miei: se questo si ottiene donando e accondiscendeno, reciterò un ruolo di primo piano - si id fit dando atque obsequendo, non posterioris feram (880)
Demea ha capito che la vita intera è una recita teatrale, non solo il tempo di questa commedia.
Per quanto riguarda il conseguimento dell’amore, Seneca dà questo consiglio: “Si vis amari, ama (Ep. 9, 6), se vuoi essere amato, ama.
Io credo che non basti pure se la Francesca di Dante lo ribadisce: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” (Inferno, V, 103)
Per quanto riguarda l’eros è vero che in questo tempo di cellulari e di viagra una donna sana può venire fortemente impressionata da un uomo che sente e le manifesta un forte desiderio.
Ovidio consiglia al corteggiatore l'audacia e la facondia che sarà nutrita, essa pura, dalla forza del desiderio: è il rem tene verba sequentur di Catone trasferito in campo erotico:"fac tantum cupias, sponte disertus eris " (Ars Amatoria , I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo.
Tereo che arde di passione per la cognata Filomela è reso eloquente dallo stesso ardore amoroso:"Facundum faciebat amor " (Metamorfosi , VI, 469).
Pagato il debito delle citazioni di altri autori, copio l’ultima battuta di Demea che chiude la scena: “Deerit: id mea minime refert, qui sunt natus maxumus” (881), scemerà il capitale ma non me ne importa niente, tanto sono vecchio.
Già e come ebbe a dire Papa Francesco: “Il sudario non ha tasche”. Bellino e caro Bergoglio, e pure saggio
Bologna 4 dicembre 2022 ore 18, 04
Giovanni ghiselli
p. s.
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Il quadro è tutto scuro, non c’è luce nemmeno di crepuscolo. Manca pure la motivazione di queste scelte sbagliate.
Il duvskolo" di Menandro, Cnemone, invece spiega per quali ragione è diventato un misantropo e un sordido anacoreta: ha visto troppa malvagità e ingratitudine nella società. Ma questo a Roma non si poteva dire, neppure in una commedia ambientata in Atene. Con gli Scipioni si attendevano magnifiche sorti e progressive: tutta l’ecumene assoggettata a Roma in cinque decenni come fece notare Polibio, e tutti i cittadini romani benestanti, liberali e contenti al pari di Micione.
Sentiamo per un attimo Polibio anche lui organico al cicolo scipionico: "I Romani invece avendo resa sottomessa a se stessi, non alcune parti, ma quasi tutta la terra abitata “ jRwmai'oiv ge mh;n ouj tina; mevrh, scedo;n de; pa'san pepoihmevnoi th;n oijkoumevnhn ujphvkoon auJtoi'"” hanno lasciato una potenza del loro impero irresistibile per i contemporanei, insuperabile anche per i posteri" (Storie, I, 2, 7).
Chi vuole un corso sulla storiografia lo faccia sapere sl direttore.
Demea dunque si rammarica di avere consumato la propria vita e il tempo- vitam atque aetatem meam contrivi- nel preparare il futuro cercando denaro in quaerendo (869-869): e ora che sono vecchio, si autocompiange, hoc fructi pro labore ab iis fero in cambio della fatica riporto questo frutto da quelli per cui l’ho impiegata: odium (870- 871). Se fosse più saggio Demea darebbe la colpa di questo odio in gran parte a chi gli vuole male.
Del resto non poche dei nostri labores sono fatiche di Sisifo
Spesso l’odio colpisce chi dice la verità, chi è serio, chi lavora bene perché la sua vita è un’accusa nei confronti di gran parte del suo prossimo.
Quindi Demea torna a considerare il fratello che senza fatica ha ricavato simpatia e amore dai due ragazzi: “illum diligunt, apud illum sunt ambo, ego desertus sum; -illum ut vivat optant, meam autem mortem exspectant scilicet” (872-873) a lui vogliono bene entrambi e stanno con lui, io sono desolato, di lui si augurano che viva, di me invece aspettano la morte, si capisce. Il motivo è che Micione è più simile ai due nipoti di quanto lo è il padre loro.
Micio con poca spesa paulo sumptu ha reso suoi i figli miei, a me rimane la miseria di sempre (876)
E’ la constatazione di un fallimento.
Viene in mente il lamento di Prospero sul proprio insuccesso educativo nei confronti di Calibano
“my pains, humanely taken, all, all lost, quite lost” (The tempest, IV, 1)
Sicché Demea vuole provare a fare il contrario di quanto faceva prima. Cercherà di comportarsi come il fratello che lo ha sfidato a farlo:
“blande dicere aut benigne facere (878). Ego quoque a meis me amari et magni pendi postulo (879), anche io ho la pretesa di essere amato e considerato dai miei: se questo si ottiene donando e accondiscendeno, reciterò un ruolo di primo piano - si id fit dando atque obsequendo, non posterioris feram (880)
Demea ha capito che la vita intera è una recita teatrale, non solo il tempo di questa commedia.
Per quanto riguarda il conseguimento dell’amore, Seneca dà questo consiglio: “Si vis amari, ama (Ep. 9, 6), se vuoi essere amato, ama.
Io credo che non basti pure se la Francesca di Dante lo ribadisce: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” (Inferno, V, 103)
Per quanto riguarda l’eros è vero che in questo tempo di cellulari e di viagra una donna sana può venire fortemente impressionata da un uomo che sente e le manifesta un forte desiderio.
Ovidio consiglia al corteggiatore l'audacia e la facondia che sarà nutrita, essa pura, dalla forza del desiderio: è il rem tene verba sequentur di Catone trasferito in campo erotico:"fac tantum cupias, sponte disertus eris " (Ars Amatoria , I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo.
Tereo che arde di passione per la cognata Filomela è reso eloquente dallo stesso ardore amoroso:"Facundum faciebat amor " (Metamorfosi , VI, 469).
Pagato il debito delle citazioni di altri autori, copio l’ultima battuta di Demea che chiude la scena: “Deerit: id mea minime refert, qui sunt natus maxumus” (881), scemerà il capitale ma non me ne importa niente, tanto sono vecchio.
Già e come ebbe a dire Papa Francesco: “Il sudario non ha tasche”. Bellino e caro Bergoglio, e pure saggio
Bologna 4 dicembre 2022 ore 18, 04
Giovanni ghiselli
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